TERZO MILLENNIO Verso l'Antropocrazia

"Bambini da salvare"

Di Innocenza Indelicato

 

 

Una campagna di Amnesty International

In occasione dei dieci anni della Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo, Amnesty International ha lanciato una campagna che riguarda i bambini, i loro diritti, le violazioni che spesso vengono a subire.
La campagna è, innanzi tutto, un invito a dare uno sguardo al mondo e alla condizione dell’infanzia oggi. Questo non solo perché Amnesty è un movimento internazionale, ma soprattutto perché un bambino è un bambino dovunque si trovi, dovunque abbia avuto la sorte di nascere e vivere; ed è un principio inderogabile della Convenzione che i diritti che vi sono enunciati spettano a tutti i “fanciulli” del mondo, a tutti coloro cioè che non hanno compiuto i diciotto anni.
Da questo principio deriva l’altro secondo cui i diritti dei bambini si traducono in doveri da parte delle istituzioni statali, delle famiglie, della società adulta in generale.
Saper guardare anche lontano da noi non significa certo evadere dalla nostra realtà ma sentire che l’umanità è una e che la sofferenza e la violazione di un diritto umano di un bambino lontano geograficamente, diverso per cultura, situazione sociale e storica, ferisce anche la nostra umanità.
Ma cosa vediamo oggi, guardando al mondo dell’infanzia?
Le storie che Amnesty ci presenta in questa occasione sono storie di uno o più bambini collocati in un preciso contesto geografico; ma sono contemporaneamente storie che possono essere generalizzate e che, anche se non esauriscono tutti i problemi dei minori, rappresentano un ampio panorama di violazioni ai diritti dell’ infanzia. Sono storie accomunate anche dal fatto che la responsabilità di queste violazioni, direttamente o indirettamente può essere attribuita alle istituzioni statali: ed è molto grave che chi avrebbe il compito di tutelare e proteggere diventi talvolta un violatore o permetta, per gravi inadempienze, che certe violazioni permangano.
C’è la storia di Mi Mi, tredicenne birmana, che lavora in un “progetto di sviluppo” trasportando pietre per una pavimentazione stradale, mentre vorrebbe andare a scuola. E’ stata prelevata dalla sua casa dall’esercito che spadroneggia nel suo Paese, che la obbliga a questo lavoro, naturalmente senza remunerazione.
Ci sono bambini e ragazzi colombiani che combattono da anni tra di loro - e sono circa sei mila- nella guerra civile di un Paese che non riesce a trovare le strade di una vera pacificazione.
Ci sono i bambini Rom maltrattati e picchiati dalle forze di polizia in diversi paesi europei, che ricordano i ragazzi delle minoranze etniche che in tante parti del mondo sono considerati cittadini di seconda classe; e i bambini pakistani, vittime di antiche forme di giustizia tribale: Jamilla, ad esempio, uccisa perché, secondo gli anziani del suo villaggio, potesse riavere l’onore perduto a causa di uno stupro che aveva subito.
C’è ancora la storia di tre fratellini iraniani che le autorità tengono in ostaggio da anni per costringere il padre, oppositore politico fuggito all’estero, a rientrare in patria e riconsegnarsi.
Ci sono i ragazzi tenuti in condizione di sovraffollamento, maltrattati e talvolta torturati nelle carceri del Burundi, dove sono finiti per una presunta collaborazione con gli Hutu, oggi in disgrazia nel Paese dominato dai Tutzi.
Una panoramica che dice già tanto della situazione dell’infanzia e della strada ancora lunga che bisogna fare perché i minori siano effettivamente tutelati, possano crescere serenamente, liberi dalla paura della violenza e della sopraffazione.
Eppure in questi dieci anni quasi tutti i Paesi del mondo- ad eccezione di Somalia e Stati Uniti- hanno ratificato la Convenzione sui Diritti del Fanciullo: si sono impegnati quindi davanti alla comunità internazionale ad adeguare ai suoi principi la loro propria legislazione e anche a presentare ogni cinque anni, davanti ad un comitato dell’ONU, un rapporto che dimostri quanto lo stato abbia fatto perché quei diritti sanciti diventino realtà.
E’ importante quindi richiamare tutti i governi agli impegni che si sono assunti, ricordare loro che i bambini non possono aspettare, che i loro diritti garantiranno non solo il loro futuro di persone ma anche quello del mondo intero.
Qui si innesta il secondo invito della campagna di Amnesty: passare all’azione dopo aver acquistato consapevolezza. Non basta infatti sapere se poi non si agisce unendo la propria voce a quella di tanti altre persone che in vario modo, con ruoli diversi, si impegnano a chiedere ai governanti del mondo il rispetto di quei diritti che i minori hanno ma che non sono in grado di esigere.
Non deve scoraggiare l’ampiezza del problema: dobbiamo essere fiduciosi che anche un piccolo contributo, una firma in calce ad una petizione possono avere il loro effetto, che la forza dell’opinione pubblica può modificare la realtà.
Appoggiamo la campagna di AI: ci sono ancora nel mondo tanti “bambini da salvare”.

Innocenza Indelicato
Responsabile Coordinamento Minori
Sezione Italiana Amnesty International

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