AI COLLEGHI DELLA "SARDA ESPLOSIVI" (SEI SpA)
AGLI AMICI ED AMICHE DELLA SARDEGNA
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MESSAGGIO DI FRANCA FAITA
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Cari amici,
Care amiche,
sono Franca Faita. Lavoro nella fabbrica di Castenedolo (Brescia) dal 1967. Nel 1970 sono stata eletta nella Commissione interna ed ho incominciato a lavorare nel sindacato.
Fino al 1980, la Meccanotecnica (si chiamava così allora) produceva televisori e mobili in plastica. A quell’epoca eravamo 200 dipendenti. Nel 1980, la prima crisi nel settore; l’azienda ci ha messo in CIG (Cassa Integrazione Guadagno) per 12 mesi. Nel 1983, l’azienda ci comunica che il mercato dei prodotti civili non tira più e che gli operai erano troppi: 30 dipendenti hanno dovuto lasciare.
La ditta ci informa che saremmo diventati un’azienda militare, incorporando la ditta Valsella con 60 dipendenti: siamo così diventati la famigerata "Valsella Meccanotecnica". Da allora, abbiamo iniziato a produrre le mine antipersona e gli stipendi aumentavano senza bisogno di fare scioperi o proteste. Siamo andati avanti per 10 anni con commesse grandiose; ma quando le commesse finivano, nessun problema per noi: ci mettevano in CIG e l’azienda continuava a pagare i salari.
Da parte sindacale, ad ogni incontro con la proprietà, chiedevamo: "Per chi sono tutte queste mine?" La risposta era: "Segreto militare". Chiedevamo: "Ma perché servono migliaia e migliaia di mine?" Risposta: "Per difendere il territorio dal nemico". I tecnici della Valsella si recavano spessissimo alla SEI, Società Esplosivi Industriali di Ghedi (Brescia). Come mai? Studiavano e facevano esperimenti per "migliorare" le mine. Ma anche quello era un "segreto militare". La SEI riempiva di esplosivo le mine prodotte dalla Valsella; ma dove andavano a finire tante mine? Ancora, "segreto militare".
Nel frattempo, proprio quando ormai la gente incominciava a sapere cosa stava succedendo nel mondo intero, la SEI SpA anch’essa preleva una fabbrica di mine marine e di altro tipo. Era già stata messa in atto una moratoria. La SEI non ha più venduto e prodotto mine perché la legge non lo permetteva più, non per volontà di qualche dirigente della SEI.
Un grande giorno fu quello in cui fui chiamata dal dottor Gino Strada. Mi presentò una cassetta piena di mine dicendomi: "Le conosci?" Risposi di sì, le conoscevo.
"Ma tu sai cosa fanno?"
"Servono a difendere il territorio dal nemico", risposi.
"Cara Franca, queste mine stanno provocando tantissime vittime civili, che con la guerra non c’entrano, non c’entrano con la difesa del territorio. La famosa Valmara 69 è quella più bastarda: ce ne sono a migliaia nel Golfo e in tutto il mondo..."
Tornando a casa, ho incominciato a pensare che dovevo fare qualcosa. Il primo pensiero è stato quello di licenziarmi. Ma se io andavo via, la Valsella avrebbe continuato a produrre le mine, e la SEI avrebbero continuato a riempirle. Da quel giorno, la mia vita è cambiata. Ho incominciato a parlarne con tutte le maestranze, a spiegare cosa facevano quei pezzi di plastica che noi avevamo prodotto. La risposta di tutti era: "Se non le facciamo noi, le fanno gli altri".
Ma io, con altre poche operaie, incoraggiate dal missionario saveriano padre Marcello, abbiamo continuato a parlarne anche fuori dei cancelli della fabbrica e in giro per l’Italia. Sempre più gente capiva e ci seguiva. E il coraggio di richiedere la riconversione della Valsella aumentava sempre più. La vita in fabbrica era molto dura per me, perché ero controllata a vista. Ho avuto da soffrire, da sopportare.
Dal 1994, la Valsella non ha più prodotto mine, non per volontà dell’azienda, ma per la forza nostra e di chi ci ha aiutato, per la tenacia di chi ha lottato fino a far approvare la legge 374 del 1997.
Io voglio dire a tutti voi, che le bombe della SEI SpA hanno già fatto troppi danni e troppi morti. E’ molto meglio non farne più. Fate di tutto perché non se ne producano più. Se posso aiutarvi in questa vicenda, ditemelo. Lo farò con molto piacere. E farò anch’io tutto il possibile perché i soldi pubblici non vengano usati per produrre bombe, né alla SEI di Brescia né alla SEI di Domusnovas.
Cari amici ed amiche, state attenti perché le aziende, quando si tratta di produzione militare e bellica, ci raccontano tante balle. Io l’ho provato di persona. La battaglia della Valsella ci è costata 18 mesi di CIG e senza stipendio. Ma ne è valsa la pena. Nel 1998, la Valsella è stata messa in liquidazione ed è stata prelevata da un’altra Società; è stato fatto un accordo sindacale per distruggere tutto quello che riguardava la produzione delle mine antipersona e per produrre solo prodotti civili. Noi siamo fieri di questo risultato.
Come donna e come madre e come sindacalista di sinistra, ne sono fiera; e lo farei di nuovo. E prego anche voi di provare a fare lo stesso. Come sindacalista della FIOM, vi abbraccio facendovi tanti auguri e pregandovi, ancora una volta, di tentare la via della riconversione. Con sei miliardi, è possibile farcela. E sarebbero sei miliardi spesi bene.
Franca Faita
RSU FIOM
Castenedolo (Brescia), San Valentino, 14 febbraio 2001