chiarimenti
26 gennaio 2002

La prima risposta che verrebbe da dare è che le vie della pianificazione sono infinite. A parte gli scherzi, la materia, così come è regolamentata, presenta effettivamente una caratteristica tutta sua, quella di essere così malleabile da permettere all'interprete di volgerla a favore o contro il medesimo intervento, a seconda di quale parte questo rappresenta. I motivi sono presto detti. Con la pianificazione si governa il territorio. Le decisioni più concrete sotto questo punto di vista spettano ai Comuni, anche se le scelte di livello locale debbono comunque fare i conti con la pianificazione sovraordinata, sempre che vi sia. Una irrigimentazione dei vincoli posti sull'uso del suolo è cosa mal vista da qualsiasi amministrazione la quale, per quanto attiene al proprio compito di regolarne il destino, preferisce redigere un articolato che possa permettere flessibilità nella sua pratica attuazione. Ben difficilmente le norme tecniche che guidano i progettisti nelle predisposizione di un intervento edificatorio rappresentano un limite invalicabile, c'è sempre un'interpretazione corrente che ne garantisce la realizzabilità a determinate condizioni.

Con ciò non si deve intendere che questo aspetto debba essere necessariamente giudicato negativo, anzi. Se le regole fossero molto definite non avremmo più necessità di verifiche preventive, il tutto sarebbe lasciato ad una macchinetta in grado di sfornare timbri, con ovvio svilimento della funzione del controllo da parte degli enti pubblici (e conseguente deresponsabilizzazione). E' vero tuttavia che, per quanto riguarda l'oggetto della domanda, questa flessibilità può comportare dei problemi quando si tratta di insediamenti, impianti, infrastrutture di un certo impatto ambientale. Il difetto di tutta la costruzione è che si pianificano gli usi, le destinazioni, non le attività. Quando in un piano regolatore si è definita una certa zona come industriale, o come una delle innumerevoli versioni dello stesso termine, si ammette implicitamente che in quest'area possa insediarsi qualsiasi tipo di lavorazione, indipendentemente dalla capacità di carico dell'ambiente e dalla "capacità di sopportazione" dei cittadini. Il secondo elemento è quello più facilmente sollecitato, come ben si può immaginare, a causa dell'elevata densità abitativa del nostro paese che costringe spesso a far convivere tra loro funzioni incompatibili.

E' vero, vi sono spesso riferimenti sia nelle leggi urbanistiche, che nelle norme di attuazione, a verifiche della compatibilità sotto il profilo igienico-sanitario e ambientale dei progetti. Tuttavia il termine è spesso aleatorio, privo di contenuti tecnici, con rimandi del tutto generici alla disciplina in materia di industrie insalubri o ai principi dello sviluppo sostenibile. Sulla scarsa tenuta di queste indicazioni al momento del bisogno si possono portare ad esempio quelle varianti approvate urgentemente, in "corso d'opera" per così dire, per inserire nei PRG il divieto di installare sul proprio territorio inceneritori, discariche, impianti di verniciatura, trattamenti termici dei metalli, ecc. ecc. E, al contrario, quando si considerino maggiori i benefici rispetto ai costi, lo stesso progetto di insediamento sarà reso possibile su un altro territorio proprio perché l'assenza di divieti espressi non ne pregiudicherà la conformità urbanistica. Insomma, per dirla breve, il problema è tutto "politico", di opportunità. Il consenso si gioca sulle esigenze primarie, lavoro o ambiente.

C'è stato tuttavia, fino a poco tempo fa, un ostacolo rilevante alla nascita di imprese nel nostro paese. Le necessità di ampliamento di un'attività industriale o artigianale o quelle della sua delocalizzazione in altro sito, motivata dall'esigenza di spazi non disponibili nella sede originale, dal momento in cui i piani regolatori non ammettevano tale tipo di previsione, si sono spesso dovute scontrare con il problema dei tempi necessari perché andasse in porto la variante urbanistica adatta a soddisfare queste esigenze. Confindustria ha addirittura redatto un libro bianco sull'argomento, elencando numerosi esempi negativi di quella che viene spesso identificata con il termine "burocrazia", dove questo termine ha ormai assunto un significato spregiativo senza che nessun rappresentante dello stato o delle sue articolazioni periferiche si sia mai assunto il compito di intervenire distinguendo tra quelli che sono i comportamenti discutibili e quello che è invece il rispetto delle regole. Anzi, è vero l'opposto, c'è stata un'accettazione supina di queste critiche se non un adesione, senza che nessuno di questi riconoscesse di avere una diretta responsabilità dei disfunzionamenti della pubblica amministrazione. Ma questo è un altro argomento.

Rimane il fatto che, se vi è consenso da parte dell'amministrazione locale, un'attesa di due, tre anni, se non di più, prima che la variante sia approvata, ai quali aggiungiamo i tempi rilascio della concessione edilizia una volta che si possa presentare la domanda per costruire, è cosa inaccettabile. Qualcuno dovrebbe però cercare di approfondire l'argomento verificando nel processo di approvazione quanto è dovuto alla lentezza della macchina, quanto alla farraginosità della procedura, quanto ai contrasti tra i decisori ultimi (che, nelle amministrazioni, rimangono sempre i rappresentanti eletti).

Confindustria, come peraltro le altre associazioni di imprese, hanno così visto riconosciuto il proprio impegno quando il governo della precedente legislatura, nella persona del Ministro Bassanini, ha predisposto ed approvato il D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 447: "Regolamento recante norme di semplificazione dei procedimenti di autorizzazione per la realizzazione, l'ampliamento, la ristrutturazione e la riconversione di impianti produttivi, per l'esecuzione di opere interne ai fabbricati nonché per la determinazione delle aree destinate agli insediamenti produttivi, a norma dell'art. 20, comma 8, della legge 15 marzo 1997, n. 59".

In specie, proprio per far fronte alle critiche degli industriali, è stata approvata una semplificazione in materia di variazione degli strumenti urbanistici vigenti descritta all'art.5 del regolamento:

5. Progetto comportante la variazione di strumenti urbanistici.

1. Qualora il progetto presentato sia in contrasto con lo strumento urbanistico, o comunque richieda una sua variazione, il responsabile del procedimento rigetta l'istanza.

Tuttavia, allorché il progetto sia conforme alle norme vigenti in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro ma lo strumento urbanistico non individui aree destinate all'insediamento di impianti produttivi ovvero queste siano insufficienti in relazione al progetto presentato, il responsabile del procedimento può, motivatamente, convocare una conferenza di servizi, disciplinata dall'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, come modificato dall'articolo 17 della legge 15 maggio 1997, n. 127, per le conseguenti decisioni, dandone conte-stualmente pubblico avviso.

Alla conferenza può intervenire qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, individuali o collettivi nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dalla realizzazione del progetto dell'impianto industriale.

2. Qualora l'esito della conferenza di servizi comporti la variazione dello strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante sulla quale, tenuto conto delle osservazioni, proposte e opposizioni formulate dagli aventi titolo ai sensi della legge 17 agosto 1942, n. 1150, si pronuncia definitivamente entro sessanta giorni il consiglio comunale. Non è richiesta l’approvazione della Regione, le cui attribuzioni sono fatte salve dall’art.14, comma 3-bis della legge 241 del 1990.

La prima osservazione sulle novità introdotte dall'art.5 è che i tempi per l'approvazione della variante sono effettivamente diminuiti. Tenendo conto dei tempi amministrativi di convocazione della conferenza il procedimento potrebbe agevolmente concludersi nel giro di 90 giorni. Un altro elemento positivo è che è resa indispensabile la presentazione di un progetto e quindi di tutta la documentazione tecnica che permette di valutare la conformità dello stesso sotto il profilo ambientale, sanitario e della sicurezza. Certamente il progetto non potrà che avere la maggiore definizione possibile, non essendo accettabili relazioni di massima o elaborati di minima. Altro aspetto da valutare favorevolmente è la salvaguardia degli interessi individuali o collettivi e di quelli diffusi, anche se non vi è alcun accenno alla necessaria pubblicità della conferenza o ai modi di coinvolgere detti interessi.

L'effetto più negativo è invece conseguente al principio che si introduce. Se le uniche condizioni sono quelle del rispetto della conformità di leggi speciali e la mancanza/insufficienza di aree produttive allora la pianificazione, le sue regole, fanno la fine di cenerentola. La pianificazione sovrintende (o dovrebbe sovrintendere) allo sviluppo ordinato del territorio. Voi capite che se è ammesso costruire in ogni sua parte, salvo che non si producano troppi danni, allora quello che ci attende è di vedere applicato il cosiddetto modello veneto (con tutto il rispetto per i veneti). Una moltiplicazione di insediamenti ad ogni latitudine e longitudine, senza nessuna configurazione, anzi nella massima disgregazione dei domini e dei reticoli. Questo è quello contro cui si batte ogni buon urbanista.

Per rispondere infine alla domanda del lettore, allora, non rimane da dire questo. La possibilità di realizzare grandi insediamenti anche quando il piano regolatore non lo prevede è ora più vicina di prima, tutto sta nella volontà dell'amministrazione locale di aderire alle richieste degli imprenditori considerando costi e benefici del progetto. Sta tuttavia negli elettori il dovere di vigilare sulle scelte dell'amministrazione e il diritto di esprimersi contro queste scelte, quando non le si condivide. Il suggerimento è quello di non aspettare che sia troppo tardi per discutere degli usi del territorio, ma di intervenire prima, esaminandone le condizioni e insistendo perché vengano dettate regole sulle attività insediabili, con tutti i migliori auguri di ottenere ascolto.

Di seguito è possibile leggere quanto dice a proposito dell'art.5 del DPR 447/98 la Regione Emilia-Romagna e quanto dispone a proposito della sua pratica applicazione. Si capisce tra le righe la principale preoccupazione dell'organo amministrativo, quella che con troppa superficialità siano mandati al macero anni di buona pianificazione.

Delibera di Giunta - N.ro 2001/2767 - del 10/12/2001 modifiche ed integrazioni alla deliberazione di giunta regionale 26-07-99 n.1367 recante'prime indicazioni per la realizzazione degli sportelli unici per le attivita' produttive'.

Progetto comportante la variazione di strumenti urbanistici - Art. 5 del DPR n. 447 del 1998

Il progetto non conforme alle previsioni del Piano regolatore generale o alle previsioni di un piano attuativo può dar luogo a due soluzioni alternative: al rigetto della domanda oppure alla convocazione di una conferenza dei servizi per variare il piano urbanistico qualora il progetto stesso soddisfi alcune condizioni.

Il rigetto dell'istanza, sotto l'aspetto procedurale, può produrre gli stessi effetti della pronuncia negativa di cui all'art. 4, comma 2, del DPR in questione. Pertanto il responsabile del procedimento trasmette entro tre giorni la pronuncia negativa (formulata sulla base dell'istruttoria degli uffici tecnici comunali) all'impresa. Nel caso in cui si prospetti la possibilità di ricondurre il progetto alla conformità urbanistica, l'impresa può richiedere alla struttura la convocazione di una conferenza di servizi per concordare le modifiche necessarie per rendere detto progetto conforme allo strumento urbanistico e per svolgere l'esame dello stesso ai fini del rilascio dell'autorizzazione.

Il responsabile del procedimento può motivatamente attivare lo speciale procedimento di variante urbanistica, di cui all’art. 5 del DPR, qualora sussistano precise condizioni:

  • che il progetto presentato sia conforme alle norme in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro;

  • che il contrasto con gli strumenti urbanistici derivi dal fatto che gli stessi non individuano aree destinate ad impianti produttivi oppure che le aree previste siano insufficienti rispetto al progetto presentato.

Il procedimento di variante in questione, quindi, può avere inizio solo nell'ipotesi di non conformità urbanistica per totale carenza o insufficienza di aree aventi destinazione produttiva; mentre ogni altro contrasto con le previsioni del P.R.G. e la difformità del progetto rispetto alla pianificazione sovraordinata, o alla pianificazione paesistica, o a quella di bacino o delle aree naturali protette non consente l'applicabilità del procedimento.

E’ necessario che l'attivazione del procedimento sia innanzitutto preceduta dalla necessaria istruttoria tesa ad accertare l'esistenza delle condizioni appena ricordate (conformità alle norme in materia ambientale, sanitaria e di sicurezza del lavoro e la carenza di previsioni di piano), e sia supportata da una istruttoria del responsabile del procedimento in merito alle ragioni che inducono l’amministrazione a scegliere l’avvio del procedimento di variazione.

In particolare occorre dare una prima valutazione circa la convergenza tra l'interesse dell'impresa e gli altri interessi pubblici e privati coinvolti, tra cui l'interesse pubblico ad un corretto uso del suolo.

Inoltre, poiché l'assenso alla proposta di variante da esprimere in sede di conferenza di servizi è propria del Consiglio comunale, in quanto organo istituzionalmente competente in materia di pianificazione urbanistica, la struttura unica potrà acquisire detta determinazione consiliare non soltanto prima della conclusione della conferenza dei servizi, ma anche preliminarmente alla sua apertura, per le evidenti esigenze di economia dell'azione amministrativa.

La convocazione della Conferenza dei servizi che dà inizio al procedimento deve essere pubblicizzata per garantire il diritto di intervento a coloro che potrebbero subire un pregiudizio dalla realizzazione dell’intervento.

Qualora la decisione della Conferenza comporti la variazione urbanistica, il verbale conclusivo costituisce adozione di variante e pertanto dovrà essere depositato unitamente agli elaborati costitutivi della variante; del deposito dovrà essere dato pubblico avviso sul Bollettino Ufficiale della Regione e sulla stampa.

Gli atti sono soggetti ad osservazioni da parte di tutti i cittadini nei termini e secondo le modalità previste nella legge regionale. Terminate le fasi del deposito e sca duti i termini per la presentazione delle osservazioni, il Consiglio comunale entro i successivi 60 giorni deve pronunciarsi definitivamente sulla variante, tenendo conto delle osservazioni pervenute.

Il recente DPR 440 del 2000, modificando il DPR 447/98, ha chiarito alla fine del comma 2 dell'art. 5 che per detta pronuncia definitiva sulla variante non è richiesta l'approvazione da parte del livello sovraordinato, rappresentato nella nostra Regione dalla Provincia, la quale è chiamata ad esprimere le proprie valutazioni nell'ambito della conferenza dei servizi.

In proposito occorre accennare alla recente pronuncia della Corte Costituzionale n. 206 del 2001 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 25, comma 2, lettera g), del D.Lgs. 112 del 1998 "nella parte in cui prevede che, ove il progetto di insediamento contrasti con le previsioni di uno strumento urbanistico, la determinazione della conferenza di servizi costituisce, anche nell'ipotesi di dissenso della Regione, proposta di variante sulla quale si pronuncia definitivamente il consiglio comunale.".

La Corte ha rilevato infatti che la norma censurata comporta una lesione della competenza regionale (in Emilia-Romagna della Provincia) in materia urbanistica, che non viene salvaguardata dalle regole generali che disciplinano la conferenza dei servizi.

Detta pronuncia sembra pertanto precludere che la conferenza possa concludersi positivamente nell'ipotesi di dissenso della Provincia.

 

 

 

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