leggi e sentenze
22 settembre 2003

E’ finalmente uscito il Decreto Legislativo 209 del 24 giugno 2003 sul Supplemento Ordinario alla G.U. n.182 del 7 agosto 2003 di recepimento della Direttiva CEE sui veicoli fuori uso. Sul piano tecnico si tratta di una buona legge, buona perché, salvo che per aspetti non immediatamente dirimenti, è subito applicabile senza rimandi a decreti o regolamenti ulteriori. Come ormai si ripete spesso una delle debolezze della legislazione ambientale è l’enunciazione di grandi principi per coprire un vuoto di criteri e di requisiti cogenti senza i quali l’attività del Parlamento finisce per assomigliare ad un’operazione di marketing. In questo caso le norme tecniche sono invece parte integrante dell’articolato e, senza dubbio, attentamente costruite in favore della loro migliore comprensione.

Ma andiamo per gradi ed esaminiamo gli elementi più interessanti del testo magari evidenziando qualche crepa nell’edificio della legge. Poiché l’argomento è già stato trattato in un intervento del mese di marzo del corrente anno “i veicoli a fine vita sono rifiuti pericolosi” al quale link vi rimandiamo per una eventuale ri-lettura, sorge una curiosità riguardante l’impegno dell’attuale Ministro dell’Ambiente Altero Matteoli ad affrontare e risolvere uno dei problemi evidenziatosi nel corso delle audizioni parlamentari riguardanti lo schema di recepimento della direttiva 53/00, il problema riguardante i veicoli NC  “non circolanti”.

Così sosteneva il Presidente dell’ACI Franco Lucchesi: "Un altro elemento che abbiamo riscontrato e che non vogliamo includere tra quelli patologici, anche se si colloca al limite della patologia, è rappresentato dai cosiddetti interventi classificati "NC", cioè "non circolanti". Come sapete, il codice della strada, in attuazione del decreto Ronchi che ha anticipato per certi aspetti le norme della direttiva, prevede l'obbligo di non procedere direttamente da parte del singolo utente alla rottamazione dei veicoli, trasferendoli agli operatori del settore. Tuttavia, il singolo automobilista può recarsi al pubblico registro automobilistico e chiedere di procedere alla cancellazione del proprio veicolo, in modo da determinare l'impossibilità per lo stesso di circolare sul suolo pubblico, riservando la circolazione al suolo privato. Questo fenomeno, che è stato inizialmente giudicato marginale e destinato a facilitare alcune situazioni legate all'uso delle vetture in aree circoncluse (centri sportivi, campi agricoli, campi da golf, eccetera), ha un'incidenza nel nostro paese che varia dal 14 al 19 per cento dell'intero mercato delle rottamazioni." Nel 2001 le cancellazioni al PRA sono state 1.946.000, di cui 1.525.000 per demolizione.

In effetti l'art. 46 del D.lvo 22/97 prevede che il proprietario di un veicolo a motore o di un rimorchio il quale intenda procedere alla demolizione dello stesso deve consegnarlo ad un centro di raccolta per la messa in sicurezza, la demolizione, il recupero dei materiali e la rottamazione, autorizzato ai sensi degli articoli 27 e 28 del decreto. Come ben si capisce la formulazione del testo rimanda alla vexata quaestio della nozione di rifiuto. Se il proprietario dell'auto non intende procedere alla demolizione e quindi non intende disfarsi del veicolo allora quel veicolo non sarà un rifiuto, anche se, con la cancellazione al PRA, perderà la qualifica di "bene mobile registrato" e come tale sarà paragonabile ad una lavatrice, un televisore o altro bene inutilizzato che tuttavia rimane nella disponibilità del privato il quale non ne dà conto a nessuno.

Ora, poichè questa facoltà è stata subito sfruttata a piene mani da una moltitudine di possessori d’auto, abbiamo quasi 500.000 parcheggiati “temporaneamente”, per quanto tempo non si sa, negli orti e nei giardini dei legittimi proprietari, salvo che non siano già entrati a far parte di quel numero altrettanto elevato di veicoli abbandonati sulle pubbliche vie, ai quali il Comune deve far fronte d’ufficio ricaricandosi di oneri non suoi perché vengano avviati alla rottamazione. Spero che si convenga che, oltre a costituire un danno considerevole per le casse dei Comuni, l’assenza di provvedimenti per contrastare il fenomeno comporta di fatto una inapplicabilità della direttiva, potendosi sottrarre così tanti autoveicoli stargati alla bonifica dei componenti pericolosi e al recupero di quelli riutilizzabili.

Il Ministro si era impegnato a rivedere l’art.46, ma, duole dirlo, questo non è avvenuto. L’unico tentativo, peraltro malriuscito, di porre alcuni limiti alla proliferazione di questo fenomeno si rinviene al comma 2 dell’art.3, dove si prevede la classificazione di veicolo fuori uso:

 

a) con la consegna ad un centro di raccolta, effettuata dal detentore direttamente o tramite soggetto autorizzato al trasporto di veicoli fuori uso o tramite il concessionario o il gestore dell'automercato o della succursale della casa costruttrice che ritira un veicolo destinato alla demolizione nel rispetto delle disposizioni del presente decreto. È, comunque, considerato rifiuto e sottoposto al relativo regime, anche prima della consegna al centro di raccolta, il veicolo che sia stato ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, salvo il caso di esclusivo utilizzo in aree private di un veicolo per il quale è stata effettuata la cancellazione dal Pra a cura del proprietario;

b) nei casi previsti dalla vigente disciplina in materia di veicoli a motore rinvenuti da organi pubblici e non reclamati;

c) a seguito di specifico provvedimento dell'autorità amministrativa o giudiziaria;

d) in ogni altro caso in cui il veicolo, ancorché giacente in area privata, risulta in evidente stato di abbandono.

L’art.5 della Direttiva CEE 53/00 stabiliva che “Gli Stati membri adottano inoltre i provvedimenti necessari affinché tutti i veicoli fuori uso siano consegnati ad impianti di trattamento autorizzati.”  La previsione di questa deroga a favore dell’esclusivo utilizzo in aree private può provocare l’apertura di una procedura d’infrazione a carico del nostro Paese.

Per quanto riguarda l’indicazione sull’”evidente stato di abbandono” di un veicolo giacente in area privata come elemento dirimente per la classificazione di veicolo fuori uso può servire si’, ma solo in occasione di segnalazioni. Non può certo essere utilizzato come strumento di dissuasione considerato che, perché abbia effetto, avrebbe necessità di essere applicato ad un tale numero di domiciliazioni da richiedere un esercito di ispettori. Questa prassi è sfuggita ad ogni controllo e i rimedi individuati non sono altro che paliativi.

Altro difetto del decreto è il non aver rispettato il comma 1 dell’art.10 della direttiva: “Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 21 aprile 2002. Come vedremo le disposizioni regolamentari e amministrative oltre a non essere state attuate entro tale data, non verranno attuate ancora per parecchi mesi con riferimento agli autodemolitori esistenti al momento di entrata in vigore della legge, cioè il 23 agosto 2003.

Vediamo ora i contenuti più interessanti del decreto, tra quelli innovativi o integrativi rispetto al testo della direttiva.

Intanto tra le definizioni descritte all’art.3 ne troviamo alcune di matrice italiana. La figura del detentore:

 

-c) "detentore" il proprietario del veicolo o colui che lo detiene a qualsiasi titolo

 

è stata introdotta ex-novo così come quella del produttore:

 

-d) "produttore", il costruttore o l'allestitore, intesi come detentori dell'omologazione del veicolo, o l'importatore professionale del veicolo stesso.

 

che è modificata rispetto alla versione originale avendo inserito anche la figura dell’”allestitore”, se detentore dell’omologazione del veicolo.

Nondimeno importanti sono altre definizioni tratte dalle attività ricomprese in quella generale di trattamento:

 

f) "trattamento", le attività di messa in sicurezza, di demolizione, di pressatura, di tranciatura, di frantumazione, di recupero o di preparazione per lo smaltimento dei rifiuti frantumati, nonché tutte le altre operazioni eseguite ai fini del recupero o dello smaltimento del veicolo fuori uso e dei suoi componenti effettuate, dopo la consegna dello stesso veicolo, presso un impianto di cui alla lettera n).

 

Nel testo del decreto sono state infatti inserite o integrate le seguenti ulteriori definizioni:

 

g) "messa in sicurezza", le operazioni di cui all'allegato I, punto 5;

h) "demolizione", le operazioni di cui all'allegato I, punto 6;

i) "pressatura", le operazioni di adeguamento volumetrico del veicolo già sottoposto alle operazioni   di messa in sicurezza e di demolizione;

l) "tranciatura", le operazioni di cesoiatura;

m) "frantumatore", un dispositivo impiegato per ridurre in pezzi e in frammenti il veicolo già sottoposto alle operazioni di messa in sicurezza e di demolizione, allo scopo di ottenere residui di metallo riciclabili;

n) "frantumazione", le operazioni per la riduzione in pezzi o in frammenti, tramite frantumatore, del veicolo già sottoposto alle operazioni di messa in sicurezza e di demolizione, allo scopo di ottenere residui di metallo riciclabili, separandoli dalle parti non metalliche destinate al recupero, anche energetico, o allo smaltimento;

o) "impianto di trattamento", impianto autorizzato ai sensi degli articoli 27, 28 o 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997 presso il quale sono effettuate tutte o alcune delle attività di trattamento di cui alla lettera f).

Soprattutto si comprende come questo ulteriore dettaglio serva a descrivere una filiera dell’autodemolizione che può essere costituita da centri dedicati solo ad alcune delle attività di trattamento. Possiamo cioè avere un centro in cui si svolge la sola messa in sicurezza, a seguire uno in cui si effettuano demolizione e pressatura, un terzo ove si effettuano tranciatura e frantumazione.

Uno dei punti più critici è il ritiro gratuito del veicolo da demolire da parte del centro di raccolta. Nella legge, come nella direttiva, è stato affrontato e risolto spostando gli oneri della demolizione a carico del produttore. Questo, secondo il DLvo 209 (art.5, comma 3), se non organizza una rete di centri di raccolta opportunamente distribuiti sul territorio, dove si effettua il ritiro gratuito, sostiene i costi del ritiro che dovranno essere determinati da un decreto da emanarsi entro il 1° gennaio 2006. Anche qui c’è qualche contraddizione con la direttiva: questa prevede che il ritiro gratuito avvenga a partire dal 1 luglio del 2002 per i veicoli nuovi immessi da questa data, mentre ne rimanda la gratuità al 1° gennaio 2007 per quelli immessi precedentemente.

Come detto in apertura il decreto contiene anche le norme tecniche per la progettazione e l’esercizio del centro. L’articolo 6 rimanda all’allegato I, nonchè al rispetto di obblighi quali:

 

a) effettuare al più presto le operazioni per la messa in sicurezza del veicolo fuori uso di cui all'allegato I, punto 5;

b) effettuare le operazioni per la messa in sicurezza, di cui al citato allegato I, punto 5, prima di procedere allo smontaggio dei componenti del veicolo fuori uso o ad altre equivalenti operazioni volte a ridurre gli eventuali effetti nocivi sull'ambiente;

c) rimuovere preventivamente, nell'esercizio delle operazioni di demolizione, i componenti ed i materiali etichettati o resi in altro modo identificabili, secondo quanto disposto in sede comunitaria;

d) rimuovere e separare i materiali e i componenti pericolosi in modo da non contaminare i successivi rifiuti frantumati provenienti dal veicolo fuori uso;

e) eseguire le operazioni di smontaggio e di deposito dei componenti in modo da non comprometterne la possibilità di reimpiego, di riciclaggio e di recupero.

Allegato I

L’allegato I è il vero cuore del decreto, dove si fissano i requisiti che i centri dovranno avere. L’allegato si articola in 8 punti, tra i quali sottolineiamo i seguenti.

Ubicazione dell'impianto di trattamento

E’ uno degli argomenti più ostici, quello sul quale si è più dibattuta la giurisprudenza. Il problema è antico e riguarda l’insediamento di queste attività di raccolta e demolizione veicoli nelle aree marginali, agricole o demaniali, spesso in difformità urbanistica, per quelle realtà dove i piani regolatore hanno visto la luce, o del tutto abusive, salvo condono.

Il decreto individua tre destinazioni conformi: 1) le aree industriali dimesse, 2) le aree per servizi e impianti tecnologici, 3) le aree per insediamenti industriali ed artigianali. Le Regioni devono favorire le delocalizzazioni dei centri situati in aree non idonee attraverso strumenti di agevolazione. Tuttavia questa indicazione non è perentoria, se infatti si guarda nelle disposizioni transitorie dettate all’art.15, “qualora emerga che non risultano rispettati i soli requisiti relativi alla localizzazione dell'impianto la Regione autorizza la prosecuzione dell'attività, stabilendo le prescrizioni necessarie ad assicurare la tutela della salute e dell'ambiente, ovvero prescrive la rilocalizzazione dello stesso impianto in tempi definiti.” Pare di capire che possa essere tollerata una difformità urbanistica, a condizione che sia l’unica difformità presente, senza quindi rendersi indispensabile una ricollocazione del centro. Si tratta effettivamente di una notevole semplificazione, che potrebbe rendere finalmente autorizzabili tanti impianti oggi in situazioni critiche o “provvisorie”.

Organizzazione del centro di raccolta

E’ in questo paragrafo che si danno le dritte per il problema delle impermeabilità delle aree, uno dei requisiti spesso oggetto di frequenti discussioni. Il decreto lo risolve stabilendo la suddivisione dell’insediamento in tanti settori logisticamente individuati secondo il criterio organizzativo:

 

a) settore di conferimento e di stoccaggio del veicolo fuori uso prima del trattamento;

b) settore di trattamento del veicolo fuori uso;

c) settore di deposito delle parti di ricambio;

d) settore di rottamazione per eventuali operazioni di riduzione volumetrica;

e) settore di stoccaggio dei rifiuti pericolosi;

f) settore di stoccaggio dei rifiuti recuperabili;

g) settore di deposito dei veicoli trattati.

Tutti questi settori devono essere impermeabilizzati. Non solo, le superfici devono essere trattate per resistere all’aggressività dei liquidi pericolosi, si suppone acidi e basi forti. In più è richiesta la copertura dei settori b), c) ed e). Tutti i settori, ma a maggior ragione quelli esposti agli agenti atmosferici, dovranno essere serviti da una rete fognaria per la raccolta delle acque meteoriche di dilavamento il cui scarico, prima del recapito in acque superficiali, dovrà essere sottoposto a decantazione e disoleatura. E’ questo il primo esempio di regolamentazione delle acque meteoriche di dilavamento che il D.Lvo 152/99 aveva previsto essere affidata alla potestà legislativa delle regioni, purtroppo, ad oggi, con successo nullo, se si eccettua la regione Puglia.

Requisiti del centro di raccolta e dell'impianto di trattamento.

Anche il punto 2.1. dell’allegato richiama la necessità di superfici impermeabilizzate e di “sistemi di convogliamento delle acque meteoriche dotati di pozzetti per il drenaggio, vasche di raccolta e di decantazione, muniti di separatori per oli, adeguatamente dimensionati”.

Da sottolineare l’esigenza di un “deposito per le sostanze da utilizzare per l'assorbimento dei liquidi in caso di sversamenti accidentali e per la neutralizzazione di soluzioni acide fuoriuscite dagli accumulatori”.

Sia i pezzi di ricambio, che gli accumulatori usati, che i liquidi e i fluidi derivanti dal veicolo fuori uso devono essere “adeguatamente” stoccati. E’ sempre meglio nelle norme tecniche non lasciare all’interprete il compito di definire quali siano le soluzioni “adeguate e quali no. Per i pezzi smontati, soprattutto se sporchi d’olio, il sistema migliore è quello di ricoverarli al coperto o all’interno di contenitori copribili.

Di notevole importanza è la prescrizione di tenere separati i vari liquidi e i vari fluidi, identificati con precisione nell’elenco, allo scopo di permetterne un  recupero più semplice oltre che più garantito da contaminazioni incrociate. Sarà conseguente richiedere che i diversi contenitori abbiano stampigliate le denominazioni delle sostanze contenute, in modo da evitare errori.

Discutibile invece il requisito 2.3. “Al fine di minimizzare l'impatto visivo dell'impianto e la rumorosità verso l'esterno, il centro di raccolta è dotato di adeguata barriera esterna di protezione ambientale, realizzata con siepi o alberature o schermi mobili.” Siepi o alberature non hanno nessuna efficacia sul contenimento delle emissioni sonore, eventuali disturbi provocati da lavorazioni rumorose svolte all’esterno possono essere ridimensionati solo con una accurata progettazione acustica basata sull’utilizzo di pannelli fonoisolanti o la realizzazione di barriere in terra in funzione schermante.

Per quanto riguarda i criteri di stoccaggio questi ricalcano in gran parte quelli previsti per rifiuti pericolosi e non pericolosi nei decreti applicativi del D.Lvo 22/97 e nella “vecchia” Delibera Interministeriale 27 luglio1984. Alcuni piccoli scostamenti migliorativi riguardano il volume residuo di sicurezza pari al 10% che deve essere mantenuto nei serbatoi fissi e l’indicatore di livello che ve essere installato. Una precisazione importante riguarda lo stoccaggio in cumuli che deve avvenire “su basamenti impermeabili resistenti all’attacco chimico dei rifiuti, che permettono la separazione dei rifiuti dal suolo sottostante”. D’obbligo anche la bonifica dei contenitori che non sono sempre destinati a raccogliere la stessa tipologia di rifiuti, da effettuare su area appositamente allestita o fuori sito, presso centri autorizzati.

Sulle operazioni per la messa in sicurezza dei veicoli fuori uso la precisione è “certosina”, non si lascia niente al caso. Il testo è immediato, non abbisogna di ulteriori delucidazioni. Da sottolineare che occorre rimuovere e stoccare in sicurezza eventuali condensatori contenenti PCB’s, il che richiede di conoscere quali siano i veicoli o i mezzi speciali nei quali questi siano presenti, e tutti i componenti contenenti mercurio, come per es.lampade a luminescenza e visualizzatori del quadro strumenti.

Anche nei criteri di gestione vi sono prescrizioni importanti come quelle relative all’accastamento dei veicoli da trattare, non più di tre veicoli sovrapposti, o già bonificati, non più di cinque metri in altezza.

Questi in sintesi gli aspetti più rilevanti inseriti nelle norme tecniche.

Ma per gli impianti in esercizio quanto tempo si potrà disporre prima di dover ristrutturare il centro secondo le prescrizioni dell’allegato I? Posto che si tratterà di stabilire se i centri che operavano prima del 23 agosto 2003 sono esistenti “di fatto” o solo “di diritto”, cioè quando autorizzati ai sensi degli artt. 27 e 28 del D.Lvo 22/97 (è possibile che non si riesca mai a scrivere un testo di legge che chiarisca il punto una volta per tutte?) vi sono 6 mesi di tempo (23 febbraio 2004) per presentare una nuova domanda corredata dal progetto di adeguamento e fino a 18 mesi di tempo, una volta ottenuta l’autorizzazione (il che dovrebbe avvenire entro 90 gg dalla presentazione della domanda, ma si sa che spesso le interruzioni dei termini per integrazioni documentali incrementano i ritardi nella conclusione del procedimento), per mettere in pratica le disposizioni del decreto.

Sorge il dubbio su quali siano le disposizioni alle quali adeguarsi entro la data finale, che peraltro potrebbe anche essere anticipata, nulla vieta che siano prescritti termini inferiori ai 18 mesi. In effetti il comma 4 dell’art.15, lo stesso che stabilisce i termini dell’adeguamento, prevede che la Provincia, ente al quale sono affidati i controlli, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, “proceda all'ispezione degli impianti in esercizio alla stessa data che effettuano l'attività di recupero di rifiuti derivanti da veicoli fuori uso di cui all'articolo 6, comma 5, al fine di verificare il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni di esercizio previste dal decreto e, se necessario, stabilisce le modalità ed i tempi per conformarsi a dette prescrizioni, consentendo, nelle more dell'adeguamento, la prosecuzione dell'attività. In caso di mancato adeguamento nei modi e nei termini stabiliti, l'attività è interrotta.

Ora qui, in effetti, la legge non è molto chiara. Se i termini di adeguamento sono fissati una volta approvato il progetto e rilasciata l’autorizzazione e questo può avvenire solo dopo i 6 + 3 mesi richiesti per la presentazione della domanda e la conclusione del procedimento, come può controllare la Provincia entro i primi 6 mesi se siano state ottemperate le norme tecniche e le condizioni di esercizio dettate dal decreto stesso? Allora queste si applicano indipendentemente dal progetto di adeguamento? Non sarà che l’adeguamento riguardi solo i requisiti strutturali, le opere fisse (per es. le impermeabilizzazioni), mentre le disposizioni di carattere amministrativo e  tecnico-gestionali vanno a regime subito? Solo in questo modo possiamo spiegare l’intervento della Provincia nel prescrivere altre modalità e tempi per conformarsi alle prescrizioni, nelle more dell'adeguamento.

Per quanto riguarda sempre il capitolo dei controlli, hanno una notevole rilevanza le disposizioni riguardanti l’ammissione alle procedure semplificate, ai sensi ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997, subordinata “a preventiva ispezione da parte della Provincia competente per territorio, da effettuarsi entro sessanta giorni dalla presentazione della comunicazione di inizio di attività e, comunque, prima dell'avvio della stessa attività; detta ispezione, che è effettuata, dopo l'inizio dell'attività, almeno una volta l'anno, accerta: a) la tipologia e la quantità dei rifiuti sottoposti alle operazioni di recupero; b) la conformità delle attività di recupero alle prescrizioni tecniche ed alle misure di sicurezza fissate in conformità alle disposizioni emanate ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, nonché alle norme tecniche previste dall'articolo 31 del medesimo decreto legislativo n. 22 del 1997.

Questa è una notevole innovazione nell’ambito delle procedure semplificate. Per gli “affezionati” frequentatori del sito è un discorso già noto, che si sta ripetendo in ogni occasione e che vede nell’attuazione deresponsabilizzante del silenzio-assenso uno dei motivi per cui tali procedure costituiscono l’anello debole della normativa sui rifiuti e il mezzo meglio sfruttato per poter svolgere traffici illeciti grazie anche al comodo paravento di pezzi di carta privi di valore. Aver inserito un obbligo di ispezione significa aver messo all’indice l’inefficienza del solo controllo amministrativo, basato sul carteggio, scollegato con lo stato dei luoghi e con la realtà delle cose.

 

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