interventi
9 ottobre 2005

Venerdì 10 giugno 2005 si è tenuto in Assindustria a Firenze il Seminario "Terre e rocce da scavo: materiali o rifiuti?". Nel corso dell’iniziativa è stato ufficialmente presentato un interessante documento, frutto del lavoro del personale tecnico delle Agenzie di Protezione Ambientale, nazionale e regionali, dal titolo "Indirizzi guida per la gestione delle terre e rocce da scavo".

La lettura della guida si presta quindi ad un aggiornamento di quanto avvenuto ad oggi nell'ambito di una delle tante questioni interpretative riguardante il più grande tema dei rifiuti. Come apertura gli estensori tengono a precisare che le informazioni contenute nel testo sono indicative e non prescrizionali, il che sgombra il campo da possibili critiche sulle ricadute che queste potrebbero avere sia sul versante amministrativo che dei controlli.

In effetti la parte potenzialmente più discutibile (nel senso che susciterà senz'altro discussioni) è quella dedicata all'esame tecnico-giuridico delle norme vigenti. E' utile ricordare a questo punto che la regolamentazione delle terre e rocce di scavo, dopo diverse versioni, ha avuto un'ultima variante con la legge 306/2003 (entrata in vigore il 30 novembre 2003 e, relativamente ai lavori in corso a tale data, differita al 31 dicembre 2004) a modificazione degli artt.17,18 e 19 della Legge 21/12/01 n. 443, più nota come Lunardi dal nome del Ministro che l'ha introdotta nell'ordinamento (e il cui intervento era stato motivato dalle vicissitudini giudiziarie in cui era finita la TAV in terra toscana, vicenda alla quale abbiamo dedicato questi commenti: Alta Velocità: ricostruiamo quello che è avvenuto nei cantieri del Mugello /// A proposito del sequestro dei cantieri della tratta TAV toscana.Primi discutibili provvedimenti /// E adesso si possono diluire i rifiuti)

Il testo attuale è il seguente (le parti in corsivo sono quelle modificate con L.306/03):

17. Il comma 3, lettera b), dell'articolo 7 ed il comma 1, lettera f-bis) dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 22 del 1997, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo solo nel caso in cui, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a Via, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall'autorità amministrativa competente previo parere dell'Arpa, sempreché la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.

18. Il rispetto dei limiti di cui al comma 17 è verificato può essere verificato in accordo alle previsioni progettuali anche mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dall'allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore.

19. Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso purché sia progettualmente previsto l'utilizzo di tali materiali, intendendosi per tale anche il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente previo, ove il relativo progetto non sia sottoposto a VIA, parere dell'Arpa, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato. Qualora i materiali di cui al comma 17 siano destinati a differenti cicli di produzione industriale, le autorità amministrative competenti ad esercitare le funzioni di vigilanza e controllo sui medesimi cicli, provvedono a verificare, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, anche mediante l'effettuazione di controlli periodici, l'effettiva destinazione all'uso autorizzato dei materiali; a tal fine l'utilizzatore è tenuto a documentarne provenienza, quantità e specifica destinazione.

Nella guida si traggono alcune conclusioni, ma si presentano anche i diversi scenari che nascono dall'applicazione delle norme al caso concreto e ai quali si propone di dare risposta.

La conclusione principale è il fatto che le terre e rocce da scavo sono non rifiuti purché siano rispettate contemporaneamente due condizioni:

1. presenza di inquinanti nei limiti di legge, verificata sulla composizione media dell’intera massa

2. effettivo utilizzo

I limiti sono quelli del DM 471/99, all. 1, tab.1, colonna B, salvo limiti più restrittivi per destinazioni urbanistiche diverse dall’uso previsto dalla tab. 1, colonna B, del DM 471/99 (uso commerciale e industriale). L’ utilizzo deve avvenire, senza trasformazioni preliminari, e secondo le modalità previste nel progetto VIA o, se non sottoposto a VIA, secondo le modalità di progetto approvate dall’Autorità Amministrativa previo parere ARPA e comunque provenienza, quantità e specifica destinazione finale delle terre deve essere dimostrata attraverso una registrazione da parte dell’utilizzatore.

Tra le incertezze sono invece indicate:

  1. Il campo di applicazione:

  1. L'effettivo riutilizzo:

  1. L'accertamento della contaminazione:

Tra i tanti aspetti critici l'ultimo è certamente quello che solleva maggiori perplessità, tanto è vero che nella guida si propende senza remore per l'accertamento all'origine. Rispetto alla prima versione questa lettura ne esce confermata in quanto ora la contaminazione può essere verificata in accordo alle previsioni progettuali anche sul sito di destinazione.

D'altra parte l'utilizzo dei soli mezzi meccanici per l'escavazione non può causare contaminazioni. In questo senso risponde il Ministero dell'Ambiente ad apposito quesito dell'ANCE: "le analisi di verifica sui siti ai sensi del D.M.471/99 sono necessarie solo nel caso in cui nelle attività di escavazione, perforazione e trivellazione, siano utilizzate sostanze inquinanti. Qualora, sulla base di quanto attestato dall'operatore, si faccia esclusivo utilizzo di mezzi meccanici, queste analisi non sono richieste"

Il problema dei problemi è quindi quello della conoscenza dei siti potenzialmente contaminati. In effetti, da quando è stato emanato il D.M. 471/99, in particolare grazie ai limiti di cui alle colonne A e B della tabella 1, è diventato tutto molto complicato. Prima vi erano delle certezze unicamente nelle condizioni in cui potevano essere messe in luce le conseguenze di uno smaltimento abusivo di rifiuti, per es il loro interramento, oppure si consideravano gli effetti inquinanti causati dalla degerazione di depositi abbandonati di sostanze pericolose. Con l'avvento del D.M. 471/99, con lo stabilire un tetto massimo di contaminazione di un terreno o di un'acqua sotterranea (operazione di per sé indispensabile, salvo non pretendere la luna) si può facilmente sostenere come il numero dei siti potenzialmente contaminati nel nostro paese sia chiaramente lievitato. Per paradossale che possa essere sono potenziali siti contaminati tutti gli alvei dei corsi d'acqua che ricevono scarichi di origine domestica e/o industriale a causa degli inquinanti che si vi si depositano come sedimento, così come avviene anche per i fondali marini nelle aree antistanti grandi agglomerati urbani o porti commerciali: il dubbio si è posto nel momento esatto in cui per le opere idrauliche di risezionamento di alvei fluviali e dragaggio di canali di transito hanno richiesto l'asportazione di terre e fanghi con elevate percentuali di sostanze organiche e metalli.

Così, se si volesse davvero governare il problema, impedendo il trasferimento di inquinanti da un ambiente all'altro, il punto di partenza più serio non può essere altro che il censimento dei siti potenzialmente contaminati. A questo, peraltro, già il vecchio Decreto Ministeriale del 16/05/1989 aveva dato mandato. E' lo stesso decreto a cui si richiama l''art.16 del D.M. 471/99, dove dice:

Art. 16 - Censimento dei siti potenzialmente contaminati

1. I Censimenti, effettuati con le modalità di cui al Dm n. 185 del 16 maggio 1989, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 121 del 26 maggio 1989, sono estesi alle aree interne ai luoghi di produzione, raccolta, smaltimento e recupero dei rifiuti, ed in particolare agli impianti a rischio di incidente rilevante di cui al Dpr 17 maggio 1988, n. 175 e successive modifiche ed integrazioni.

2. Le Regioni ai fini della predisposizione dei Piani regionali per la bonifica delle aree inquinate, possono procedere, nei limiti delle disponibilità finanziarie, all'aggiornamento del Censimento dei siti potenzialmente contaminati, entro un anno dall'entrata in vigore del presente regolamento.

Nell'allegato A al decreto 16 maggio 1989 è presente un elenco indicativo delle aree che sono considerarsi oggetto di rilevazione:

- aree interessate da attività minerarie, in corso o dismesse

- aree interessate da attività industriali dismesse

- aree interessate da rilasci incidentali, o dolosi, di sostanze pericolose

- aree interessate da discariche non autorizzate

- aree interessate da operazioni di adduzione e stoccaggio di idrocarburi, così come da gassificazione di combustibili solidi

- aree, anche a destinazione agricola, interessate da spandimento non autorizzato di fanghi e residui speciali o tossici e nocivi.

Sulla base di quanto detto la Regione Toscana, nella Deliberazione della Giunta Regionale 566/2004 sul "Piano relativo alla bonifica dei siti inquinati della provincia di Firenze", individua le aree descritte nell'Allegato A al D.M. 16 maggio 1989 come possibili terre contaminate, salvo diversa e attestata documentazione. Questo significa che la movimentazione di queste terre non può avvenire prima che sia stata condotta un'accurata indagine sul sito, il che naturalmente non può che comprenderne l'analisi.

A questa medesima conclusione arriva quindi anche la guida, ampliandone la casistica:

Si ritiene che la valutazione analitica della contaminazione dei materiali, a cura del soggetto interessato, dovrà effettuarsi sempre nei seguenti casi :

a) rocce e terre interessate da tecnologie di scavo con impiego di prodotti tali da contaminare le rocce e terre

b) zone di scavo ricadenti in aree industriali, artigianali, o soggette a potenziale contaminazione, quali ad esempio quelle:

interessate da serbatoi o cisterne interrate, sia dismesse che rimosse che in uso, contenenti, nel passato o attualmente, idrocarburi o sostanze etichettate pericolose ai sensi della direttiva 67/548/CE e successive modificazioni ed integrazioni; interessate dalla localizzazione di impianti ricadenti:

• nell’Allegato A del D.M. 16/05/89

• nella disciplina del Dlgs 334/1999 (incidenti rilevanti)

• nella disciplina del Dlgs 372/99 (tipologie di impianti di cui all’all. 1- IPPC)

• nella disciplina di cui al Dlgs 22/97: impianti di gestione dei rifiuti eserciti in regime di autorizzazione (artt. 27 e 28 Dl 22/97) o di comunicazione (artt. 31 e 33 del Dl 22/97)

• interessate da impianti con apparecchiature contenenti PCB di cui al Dlgs. 209/99

• siti interessati da interventi di bonifica

• aste fluviali o canali su cui sono presenti potenziali fonti di contaminazione (es. scarichi di acque reflue industriali e/o urbani)

Aree di scavo limitrofe alle zone di cui sopra.

Aggiungendo altre aree a rischio anche il Veneto ha regolamentato il riutilizzo dei materiali da escavazione, prima attraverso la Delibera n. 1126 del 23.4.2004, adesso con la Delibera n.20 del 21 gennaio 2005. L'obbligo della caratterizzazione del sito potenzialmente inquinato è stato quindi inserito per:

1. aree pubbliche o private ubicate:

- entro di una fascia di 20 metri dal bordo stradale di strutture viarie di grande traffico, così come individuate all’articolo 2, comma 2, lettere A e B, del D.Lgs. 30.04.1992, n. 285 e successive modifiche,

- in prossimità di insediamenti che possano aver influenzato le caratteristiche del sito stesso mediante ricaduta delle emissioni in atmosfera;

2. aree pubbliche o private interessate da:

- presenza di serbatoi o cisterne interrate, sia dismesse che rimosse che in uso e che contengono o hanno contenuto idrocarburi e/o sostanze etichettate ai sensi della direttiva 67/548/CE e successive modifiche e integrazioni ,

- attività che rientrano fra quelle definite dal decreto ministeriale n. 185 del 16 Maggio 1989,

- impianti assoggettati alla disciplina del D.Lgs. n. 334/1999 relativo al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose,

- attività industriali rientranti nelle categorie di cui all'Allegato 1 di cui al D.Lgs. n. 372/1999 (Attuazione della Direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento - IPPC),

- impianti autorizzati allo svolgimento di attività di smaltimento e/o recupero di rifiuti ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. n. 22/1997 o attività di recupero di rifiuti, ad esclusione degli inerti, avvalendosi del regime semplificato di cui agli art. 31 e 33 del D.Lgs. n. 22/1997,

- interventi di bonifica, anche conclusi.

MODALITA' OPERATIVE

  1. sia svolta preventivamente un’indagine ambientale, sul sito di escavo del materiale,

- nel caso sub 1), le operazioni di campionamento dovranno essere eseguite mediante sondaggi o trincee, spinti alla profondità massima di 1,00 m dal piano campagna, secondo una griglia che preveda un punto di indagine ogni 5.000 metri quadrati di superficie interessata dallo scavo. L'analisi dovrà essere eseguita su un campione medio prelevato alla quota da p.c. 0,00 a - 1,00 m. In particolare i parametri da determinare per i siti collocati in prossimità delle strutture viarie di grande traffico dovranno essere: Piombo, Cadmio, Policlorobifenili (PCB), Idrocarburi Policiclici Aromatici indicati nella tabella 1, allegato 1 al D.M. n. 471/1999. Per i siti collocati in prossimità di insediamenti le cui emissioni in atmosfera possono avere effetto di ricaduta sul suolo, i parametri da ricercare dovranno essere quelli specifici della fonte di pressione individuata.

E’ fatta comunque salva la possibilità che il proponente dimostri che il superamento dei limiti tabellari di cui trattasi è determinato:

- dai valori di fondo naturale per i parametri inorganici, in analogia a quanto stabilito all’allegato 2 -"Campioni del fondo naturale"- del D.M. n. 471/1999,

- dalla presenza di inquinamento diffuso, imputabile alla collettività indifferenziata e determinata da fonti diffuse;

- nel caso sub 2), utilizzando i criteri stabiliti dal D.M. n. 471/1999, opportunamente adattati al sito specifico, nonché le modalità di campionamento e controllo definite nella D.G.R.V. n. 2922 del 3.10.2003 contenente le linee guida per il campionamento e l’analisi dei campioni di siti inquinati, opportunamente adattati alla specificità dei casi concreti.

Sul riutilizzo delle terre derivanti da risezionamento e vivificazione dei corsi d'acqua c'è un intero allegato (per la delibera con relativi allegati ved.in ultime norme).

Del resto è proprio a Venezia che si presenta uno dei problemi più gravi di inquinamento dei sedimenti grazie al lasciti passati e presenti di Porto Marghera. Uno degli ultimi provvedimenti è l'Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 dicembre 2004.

Viste le note del 23 luglio, del 28 settembre e del 18 novembre 2004, con le quali il presidente della regione Veneto ha chiesto la dichiarazione dello stato di emergenza in relazione alla grave situazione socio economico-ambientale determinatasi in conseguenza dell'interrimento dei canali portuali di grande navigazione nella laguna di Venezia che ne pregiudica gravemente la navigabilita', anche sotto l'aspetto della sicurezza, evidenziando altresi' la necessita' di provvedere urgentemente alla rimozione dei sedimenti depositatisi nei canali lagunari, il cui grave inquinamento costituisce una rilevante causa di rischio igienico-sanitario e ambientale aggravato dal fatto che l'innalzamento dei fondali e il traffico dei natanti ne favoriscono la movimentazione e diffusione;

…………

Il commissario delegato provvede, in particolare, per la realizzazione degli interventi:

- al dragaggio dei canali di grande navigazione;

- ai siti di recapito finale dei sedimenti aventi caratteristiche chimico-fisiche contenute entro i limiti di colonna B del decreto ministeriale n. 471/1999;

- ai siti di stoccaggio provvisorio, anche all'interno della conterminazione lagunare dei sedimenti aventi caratteristiche chimico-fisiche superiori ai limiti di colonna B del decreto ministeriale n. 471/1999;

- alle modalita' di trattamento dei sedimenti con l'obiettivo di realizzare la massima restituzione consentita dei medesimi per il loro riutilizzo in laguna, perseguendo altresi' la maggiore economicita' delle soluzioni.

Da quanto detto emerge poi uno scenario critico al momento di definire la destinazione finale delle terre.

Le alternative che si potranno presentare dopo la caratterizzazione sono sostanzialmente tre:

1. valori di inquinanti < colonna A:

2. valori di inquinanti compresi tra i limiti di colonna A e quelli di colonna B

3. valori di inquinanti> colonna B

La prima è la condizione più semplice, la qualità delle terre è buona, occorre solo tenere presenti le normali precauzioni legate alle grandi quantità in gioco, durante l'accumulo e la riutilizzazione, perché non si creino situazioni ingovernabili.

La terza condizione è ovvia, e quindi relativamente gestibile, in quanto si tratta di terre molto contaminate, da considerarsi rifiuti, e occorre attuare le procedure per la bonifica.

La seconda condizione è quella più critica. Le terre non possono essere destinate al riutilizzo in aree residenziali o verde pubblico, ma solo a quelle commerciali/industriali. Tuttavia viene normale chiedersi se sia un bene esportare la contaminazione presente da un sito all'altro, considerando che quello di destinazione finale magari non è per nulla inquinato. E' vero che lo strumento urbanistico lo ammette, ma questa equivalenza tra gli usi del territorio e il loro stato ambientale è una mera approssimazione, anzi non è vera per niente. Nell'ipotesi, presumibilmente fondata, che nella stragrande maggioranza delle aree artigianali/industriali o commerciali del nostro paese non esista una contaminazione superiore a quella di un'area residenziale, portarvi terreni inquinanti, anche se al di sotto dei limiti di colonna B, non sembra una gran bella idea. A maggior ragione se l'area è vulnerabile idrogeologicamente, si pensi al ripristino di cave di ghiaia dismesse.

Sotto questo profilo la guida introduce delle ulteriori misure preventive, che la legge non prevede e che invece dovrebbe prevedere.

A tal fine si ritiene necessario che la richiesta di parere sia corredata:

- delle risultanze di una campagna conoscitiva che consenta di caratterizzare, dal punto di vista chimico il sito di utilizzo del materiale, fornendo inoltre le necessarie informazioni di tipo idrogeologico;

- dalle risultanze del test di cessione condotto, sul campione tal quale, secondo quanto previsto dalla Norma UNI 10802 e avendo confrontato i dati con la Tab. 2 del D.M. 471/99.

L’indagine analitica sul sito di utilizzo riguarderà quei contaminanti che nel materiale da utilizzare hanno evidenziato valori di concentrazioni comprese tra i valori della colonna A e B tab. 1 All.1 del D.M. 471/99.

Sfugge agli estensori della guida un problema analogo, nel momento in cui i materiali inquinati vengono avviati ad impianti di recupero inerti, frantoi ed assimilabili, con il codice 170504. Il trasferimento di inquinanti da un sito all'altro, anzi a molti altri, è praticamente scontato nel momento in cui il risultato della macinazione è considerato un prodotto finito. Su questo viene condotto il test di cessione di cui all'allegato III del D.M. 5/2/98, due volte l'anno, analizzando una rosa di parametri molto ridotta rispetto a quella di tabella 2 del D.M. 471/99. Sempre che invece si ricerchino i contaminanti di provenienza gli esiti non potranno che essere inficiati dalla miscelazione avvenuta. Anche in questo caso quindi occorre che il test di cessione sia condotto sulle terre prima della loro miscelazione con il resto degli inerti, confrontandone i valori con i limiti di tabella A del D.M. 471/99 (su questo punto si potrebbe aprire un dibattito, se i limiti del test di cessione non debbano essere invece quelli della tabella 3 allegato 5 al D.Lvo 152/99).

Resta inteso che, fino a quando non saranno stabiliti i valori di accettabilità dei suoli agricoli, rinviati ad un decreto che ancora deve vedere la luce, il riutilizzo di terre contaminate, fino ai limiti di colonna B, in terreni dedicati alla coltivazione di prodotti alimentari, non andrebbe autorizzato.

Come si può capire da queste poche note l'applicazione della Legge 306/03 comporta un proliferare di procedure e controlli che, da soli, già dimostrano lo sbilancio tra quello che si dovrebbe conoscere e la realtà multiforme di cui non si ha nozione alcuna. In effetti, al termine di tutto, viene lecito porsi un ultimo interrogativo, cioè quale sia l'attuazione delle Legge.306/03 rispetto al numero dei lavori di escavazione che ogni giorno vengono avviati sul territorio.

Comunque vada, c'è sempre l'autocertificazione che viene in soccorso. Per la modulistica Assindustria di Firenze ha presentato delle utili bozze che si allegano di seguito.

Per un ulteriore aiuto a coloro i quali si volessero cimentare nel censimento dei siti potenzialmente inquinanti ecco ancora l'elenco di dettaglio contenuto nel Decreto 16 maggio 1989 (ricordando che allora i rifiuti pericolosi erano chiamati "tossici e nocivi")

 

Cicli di produzione di rifiuti potenzialmente tossici e nocivi:

  1. Rifiuti provenienti da processi di produzione di:
  2. 1.1. Biocidi e sostanze fitofarmaceutiche;

    1.2. Policlorobifenili, policlorotrifenili, policloronaftaleni;

    1.3. Policlorofenoli;

    1.4. Idrocarburi clorurati;

    1.5. Composti farmaceutici;

    1.6. Betanaftolo;

    1.7. Benzidina;

    1. Smaltatura di piastrelle o ceramiche con smalti piombici.

  3. Rifiuti e fanghi di processo e non provenienti da:
  4. 2.1. Bagni galvanici contenenti cromo esavalente e cianuri;

    2.2. Tempra a caldo dei metalli;

    2.3. Trattamento del legno con creosoto e pentaclorofenolo;

    2.4. Indurimento di superfici metalliche mediante bagni al cianuro;

    2.5. Dismissione di reti di adduzione e stoccaggio di idrocarburi;

    2.6. Operazioni di sgrassaggio di superfici metalliche mediante solventi clorurati;

    2.7. Trattamento di depurazione di aeriformi da attività produttive e di servizi;

    2.8. Cabine di verniciatura di superfici metalliche e lignee;

    2.9. Operazioni di prelievo (dragaggio, perforazioni, etc.) effettuate in mare, sui fiumi, laghi o sulle acque pubbliche e private in genere.

  5. Residui e code di distillazione da produzione ed utilizzazione di:
  6. 3.1. Acrilonitrile;

    3.2. Anilina;

    3.3. Clorobenzene;

    3.4. Cloruro di benzile;

    3.5. Cloruro di etile;

    3.6. Cloruro di vinile;

    3.7. Dicloroetilene;

    3.8. Epicloridrina;

    3.9. Fenolo-acetone da cumene;

    3.10. Nitrobenzene da nitrazione del benzene;

    3.11. Tetraclorobenzene;

    3.12. Tetraclorometano;

    3.13. Toluene di isocianato;

    3.14. 1,1,1-Tricloroetano;

    3.15. Tricloroetilene e percloroetilene.

  7. Soluzioni esauste provenienti da:
  8. 4.1. Lavaggio e strippaggio nei processi galvanici in cui sono impiegati i cianuri;

    4.2. Bagni galvanici;

    4.3. Bagni salini contenenti cianuri impiegati nei trattamenti a caldo dei metalli;

    4.4. Bagni esausti di sviluppo di pellicole e lastre fotografiche e radiografiche;

    4.5. Residui di processi pirolitici;

    4.6. Residui derivanti dalla produzione, preparazione e utilizzazione di inchiostri, coloranti, pigmenti, pitture, lacche e vernici;
    4.7. Residui di produzione, preparazione e utilizzazione di resine, lattice, plastificanti, colle e adesivi;

    1. Lavaggi contenenti idrocarburi, olii, morchie e simili provenienti da natanti adibiti a trasporto marittimo ommerciale o da serbatoi di prodotti petroliferi.

  9. Solventi esausti di seguito elencati e relativi residui provenienti dalla loro distillazione nelle fasi di recupero:
  10. 5.1. Clorobenzene;

    5.2. Cloruro di metilene;

    5.3. o-Diclorobenzene;

    5.4. Piridina;

    5.5. Solfuro di carbonio;

    5.6. Tetracloroetilene;

    5.7. Tetraclorometano;

    5.8. Toluene;

    5.9. 1,1,1-Tricloroetano;

    5.10. Tricloroetilene;

    5.11. Tricloroflurometano;

    5.12. 1,1,2-Tricloro 1,2,2-Trifluoroetano.

  11. Residui catramosi e bituminosi derivanti da operazioni di trattamento e stoccaggio del carbone, del petrolio e dei prodotti petroliferi.


7. Sostanze chimiche di laboratorio non identificabili.


8. Sostanze acide e/o basiche impiegate nei trattamenti di superficie dei metalli.


9. Farmaci, biocidi, sostanze fitofarmaceutiche ed altre sostanze chimiche, fuori specifica.


10. Olii contenenti bifenili e trifenili policlorurati.


11. Fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue dei processi, dei trattamenti e delle operazioni compresi nella presente tabella.


12. Materiale di pulizia e perdite derivanti dalla produzione di stirene e contamina, da stirene monomero.

 

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