leggi e sentenze
18 marzo 2004

Sulla G.U. del 26 febbraio è stato pubblicato il DM 16 gennaio 2004 n°44 che recepisce nel nostro ordinamento la direttiva n° 1999/13/CE relativa alla limitazione delle emissioni di composti organici volatili (VOC = volatil organic compounds) di talune attivita' industriali. Anche in questo caso il recepimento è avvenuto con forte ritardo rispetto alle previsioni indicate dalla direttiva stessa, aprile 2001, motivo per cui lo Stato Italiano ha ricevuto l'ennesima condanna per mancata trasposizione entro le scadenze stabilite (Sentenza Corte di Giustizia Ue 2 ottobre 2003, causa C-348/02). Ogni commento a questo proposito sarebbe superfluo se non fosse che i tempi lunghi di approvazione di questa come di altre direttive finirà per comportare una condizione di ingorgo nazionale dovuto al sommarsi di cosi' tanti adempimenti in grado di mettere al tappeto sia le istituzioni che le stesse imprese. Sul filo di lana attendono di essere ancora recepite:

E' stata recepita, ma attende di essere applicata concretamente a causa di continue proroghe:

Il concatenamento a breve di tutti questi obblighi ambientali risulterà particolarmente insopportabile ad alcune categorie di insediamenti le cui caratteristiche possono far rientrare i propri impianti in più di un campo di applicazione, con quel che ne consegue in termini di costi e investimenti. Non è difficile prevedere le proteste, nè le soluzioni che si troveranno all'ultimo momento. Tuttavia per quanto riguarda l'adesione al Protocollo di Kyoto da parte della Comunità Europea, la cui messa a regime dovrà avvenire entro il 1°2005 con il rilascio di tutte le autorizzazioni alle emissioni di gas serra, questa volta non sarà così semplice rimandare sine die le scadenze fissate in un accordo internazionale.

I prodromi

E' noto che la Direttiva VOC ha genitori anglofoni nel senso che l'approccio alla regolamentazione raccoglie diverse idee tipiche della produzione legislativa inglese, maggiormente incentrata sulle tecniche di gestione, per certi versi in antitesi rispetto alla definizione di limiti in massa o concentrazione di sostanze alle emissioni, tipicamente frutto del l'asse franco-tedesco. Non è un caso che al momento della sua emanazione vi siano state forti rimostranze nell'amministrazione francese chiamata ad applicarla. In effetti la direttiva parte male in quanto si propone l'obiettivo ambizioso di ridurre significativamente l'uso dei composti organici volatili senza curarsi tuttavia troppo di sperimentare le modalità in concreto perché questo possa realmente avvenire. Ciò è in particolare dovuto all'avere messo sullo stesso piano la possibilità di conseguire i risultati attesi con mezzi diversi, da una parte l'applicazione tradizionale di tecnologie di abbattimento "end of pipe", dall'altra il piano di riduzione dei consumi, stabilendone l'equivalenza. Ma sull'equivalenza i conti non tornano, come già molti hanno provato su casi concreti mettendo a confronto le due metodologie. Il piano di riduzione ottenuto con gli algoritmi suggeriti dalla direttiva consente un "maggiore grado di libertà" rispetto all'adozione di MTD ai camini, tanto che si è portati a pensar male sulle reali intenzioni del legislatore europeo.

Se si vuole trovare un lato positivo nel ritardo con cui è stato approvato il decreto nazionale dobbiamo sottolineare il contributo di Regioni e Province alla predisposizione del testo definitivo. In effetti nella fase iniziale sono state le loro forti critiche alla bozza ministeriale che hanno portato ad una sua sostanziale revisione fino ad ottenere il via libera nel luglio dello scorso anno. E' nell'articolo 3, comma 1, del decreto che più si riconosce l'esito di questo confronto costruttivo tra le diverse parti istituzionali:

1.Gli impianti di cui all'articolo 1 rispettano i valori limite di emissione negli scarichi gassosi e i valori limite di emissione diffusa indicati nell'allegato II oppure i valori limite di emissione totale individuati ai sensi dell'allegato II o dell'allegato III, nonche' le altre prescrizioni individuate ai sensi dei medesimi allegati. Tale risultato e' ottenuto mediante l'applicazione delle migliori tecniche disponibili e, in particolare, utilizzando materie prime a ridotto o nullo tenore di solventi organici, ottimizzando l'esercizio e la gestione degli impianti e, ove necessario, installando idonei dispositivi di abbattimento, in modo da minimizzare le emissioni di composti organici volatili.

La strada seguita non è quindi quella dell'alternativa tra due approcci, tecnologie di abbattimento vs piano di riduzione dei solventi, ma quella della loro combinazione in modo da prefigurare il migliore risultato prendendo il meglio dalle due proposte. Il che è semplice a dirsi, ma non così semplice a farsi. Questo anche perché gli allegati tecnici sono stati trasposti pressochè tal quali (ved. allegato III dove si dice: prescrizioni alternative all'allegato II) creando delle palesi discontinuità con gli indirizzi che si ritrovano nel testo modificato rispetto alla versione comunitaria.

Le definizioni

Nel campo di applicazione del DM 44/04, ai sensi dell'art.1, rientrano le attività individuate nell'allegato I che superano le soglie in esso indicate. Le soglie sono relative ai consumi di solvente inteso come qualsiasi COV usato da solo o in combinazione con altri agenti al fine di dissolvere materie prime, prodotti o materiali di rifiuto, senza subire trasformazioni chimiche o usato come agente di pulizia per dissolvere contaminanti oppure come dissolvente, mezzo di dispersione, correttore di viscosita', correttore di tensione superficiale, plastificante o conservante. Il calcolo si fa riferito all'anno civile e alla potenzialita' della singola attivita', come prevista a livello di progetto, e tenendo conto delle condizioni di esercizio normali.

Nel consumo dei 12 mesi c'è tuttavia da sottrarre al quantitativo totale di solventi organici utilizzato qualsiasi COV recuperato per riutilizzo. Per rendere documentabile il calcolo dei quantitativi annuali viene richiesta la registrazione dei solventi recuperati all'interno o all'esterno dell'impianto. Già qualche perplessità si inizia ad avere per quanto riguarda il controllo esercitabile sull'effettivo recupero interno. Nondimeno poiché le soglie di consumo stabilite dalla CE sono relativamente alte, a secondo delle categorie di attività interessate, non dovrebbe presentarsi il rischio di una evasione significativa dall'obbligo di legge.

Un miglioramento evidente rispetto al testo comunitario sono le definizioni di soglia di consumo e di produzione:

ii) "soglia di consumo": il valore di consumo di solvente espresso in tonnellate/anno, riferito alle attivita' di cui all'allegato I, determinato in riferimento alla capacita' nominale dell'impianto. Tale valore si determina in riferimento alla potenzialita' della singola attivita', come prevista a livello di progetto, e tenendo conto delle condizioni di esercizio normali;

ll) "soglia di produzione": la quantita' espressa in numero di pezzi prodotti/anno di cui all'appendice 1 dell'allegato II, riferita alla potenzialita' di prodotto prevista a livello di progetto dell'impianto.

Senza queste definizioni, che appunto mancano nel testo comunitario, è incomprensibile come si possa avere un riscontro oggettivo sulla dichiarazione dell'utilizzatore di solventi e vernici. La previsione della potenzialità della singola attività secondo i dati di progetto è probabile sarà un elemento di discussione, tuttavia non si vede come sia possibile rinunciarvi dal momento che i consumi oggettivi di solvente, dipendendo da oscillazioni in relazione alla produttività del periodo, variano considerevolmente. La massima potenzialità d'impianto è sempre stata il punto di partenza per il dimensionamento delle tecnologie di depurazione, prendere in considerazione valori inferiori perché sono quelli effettivi al momento della domanda è una opzione che dovrebbe essere sfruttata solo nei casi di attività esistenti sulle quali esistono conoscenze consolidate circa il volume di lavoro. Mai, in ogni caso, per le attività nuove.

Un'altra definizione che va decrittata è quella di composto organico volatile.

f) "composto organico volatile (COV)": qualsiasi composto organico che abbia a 293,15 K una pressione di vapore di 0,01 kPa o superiore, oppure che abbia una volatilita' corrispondente in condizioni particolari di uso. Ai fini del presente decreto, e' considerata come un COV, la frazione di creosoto che alla temperatura di 293,15 K ha una pressione di vapore superiore a 0,01 kPa;

E' indispensabile disporre di una elencazione di composti organici che possano rientrare nel campo di definizione descritto. Poiché né la direttiva né il decreto forniscono alcun supporto in questo senso si ricorre alla nomenclatura internazionale. L’Agenzia di Protezione Ambientale Statunitense (U.S.E.P.A.) con il "Compendium of Methods for Organic Air Pollutants" di gennaio 1997, e precisamente con il "Method T015", relativo alla determinazione dei composti organici volatili, fornisce una definizione di VOC analoga, e precisamente "VOC sono definiti i composti organici aventi una pressione di vapore maggiore di 10-1 Torr a 25°C e 760 mm Hg" .

Questo permette di utilizzare come sistema rapido di riferimento la tabella USEPA dei composti organici volatili.

La definizione di "impianto esistente" continua a rappresentare il punto debole di tutta la nostra legislazione ambientale. Nella Comunità Europea il problema non è così sentito come da noi, è sufficiente manifestare l'esistenza fisica di uno stabilimento con il fatto di operare in forza di una autorizzazione. Evidentemente nessun stabilimento può operare senza. Nel nostro Paese invece questo accade, e anche spesso purtroppo, grazie a quell'escamotage all'italiana che va sotto il nome di "ope legis" o "autorizzazione tacita" o "silenzio-assenso". Anche in questo caso si arroventeranno infinite discussioni sul significato da darsi alla definizione presente nel DM 367/04:

s) "impianto esistente": un impianto per il quale l'autorizzazione e' stata rilasciata prima della data di entrata in vigore del presente decreto. Si considerano, altresi', esistenti gli impianti a ciclo chiuso di pulizia a secco di pellami, escluse le pellicce, e di tessuti, nonche' le pulitintolavanderie a ciclo chiuso, in esercizio alla data di entrata in vigore del presente decreto conformemente alla normativa vigente, che, entro 12 mesi dalla suddetta data, comunicano alla regione di avvalersi dell'autorizzazione generale da emanarsi ai sensi dell'articolo 9, comma 2;

Come si vede c'è anche l'immancabile deroga che viene subito inserita nella definizione più critica del decreto. Si tratta di attività evidentemente sconosciute all'ente di controllo perché, quando il DPR 203/88 l'avrebbe richiesto, cioè tra il 1989 e il 1990, non hanno ritenuto di presentare la fatidica domanda ai sensi dell'art.12 del decreto stesso. Ora si ritrovano senza alcuna pezza giustificativa e quindi si ricorre all'articolo costruito su misura per evitarne la sanzìonabilità. Peraltro non è detto che le Regioni emettano un'autorizzazione generale come vorrebbe l'articolo e quindi il rischio è che tra 12 mesi se ne debba riparlare.

La modifica sostanziale

Un altro elemento che ha smosso discussioni a non finire in passato, senza arrivare ad una conclusione, è quello della modifica sostanziale delle emissioni. Nel caso in esame per la maggiorparte delle attività descritte in allegato IIA si tratta di un incremento del 10%.

Per esempio su di un consumo di 15 t/anno è ammesso si possa arrivare fino a 17,5 t senza dover presentare alcuna domanda di modifica. Per i piccoli impianti (attività 1, 3, 4, 5, 8, 10, 13, 16, 17 con soglia inferiore uguale al valore indicato in terza colonna) la percentuale ammessa arriva al 25%.

Come precisa però subito dopo il decreto, la modifica sostanziale è anche:

5) qualsiasi modifica della capacita' nominale che comporta variazione della soglia di consumo e conseguente variazione dei valori limite applicabili secondo l'allegato II;

cioè se con l'incremento si rimane all'interno della soglia superiore, nell'esempio ipotizziamo si tratti di 25 t/anno, allora va bene, in caso contrario, nell'eventualità di uno superamento, si deve richiedere una nuova autorizzazione.

A questo proposito si deve sottolineare come in nessuna parte del decreto viene descritta una procedura autorizzativa per i nuovi impianti o le modifiche degli esistenti. Ci si deve arrivare indirettamente osservando come la disciplina in argomento costituisca attuazione dell'art.3, comma 2, del Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203. Ergo le procedure sono quelle dettate dall'art.6 o 15 A e B della legge quadro sull'inquinamento atmosferico prodotto dagli impianti industriali. Per quanto riguarda le procedure per impianti esistenti viene prevista la presentazione all'autorità competente entro il 10 marzo 2005 di una relazione tecnica di inquadramento dell'attività rispetto alle indicazioni del decreto e di un progetto di adeguamento che andrà attuato alla scadenza del 31 ottobre 2007.

Stabilire una percentuale di consumo per definire la modifica sostanziale rappresenta un elemento di notevole criticità per il controllo ambientale. In effetti per un piccolo impianto che utilizzi 10 t/anno con soglia superiore a 25 è reso di fatto possibile un incremento del 25% ogni anno fino al valore soglia senza che nessun obbligo imcomba al gestore. In termini assoluti l'incremento maggiore riguarda l'attività 17, fabbricazione di preparati per rivestimenti, che dispone di un margine di libertà tra le 100 e le 1000 t/anno. Lasciare "incustoditi" questi incrementi non è certamente una buona modalità di governo. A questo si aggiunga la difficoltà di accertamento degli effettivi consumi, possibile solo con un dispendio discutibile di forze e di tempo nel controllo della contabilità commerciale (si veda più avanti).

Quello che bisogna tenere ben presente è la "capacità nominale dell'impianto", cioè la massa giornaliera massima teorica di solventi organici immessi in un impianto. Al di là delle prevedibili oscillazioni della produzione in dipendenza da fattori di mercato occorre che sia ben chiaro, fin da subito, che il termine di riferimento è quanto prodotto finito si è in grado di mettere a magazzino nell'unità di tempo, il che porta a dover definire un fattore di emissione, cioè il rapporto tra solvente usato e prodotto finito. Tale potenzialità quindi dipende in ultima istanza dal tipo di impianto inteso non solo come lo stabilimento ma come l'insieme delle linee produttive finalizzate ad una specifica produzione. Dovrà essere quindi esplicitata la potenzialità max della singola linea produttiva.

I valori limite di emissione.

I valori limite riguardano le emissioni condottate (canalizzate) e quelle diffuse.

Per le prime si segue la prassi di un limite in concentrazione espresso in mg di Carbonio/Nmc, misurato al camino in condizioni normalizzate di temperatura e pressione.

I limiti in concentrazione espressi in mgC/Nmc sono sostanzialmente quattro: 20, 50, 75, 100. Non è possibile conoscere come siano stati fissati, tuttavia appare chiaro come non abbiano correlazione con gli aspetti sanitari legati ai componenti della miscela solvente, quali per esempio la vicinanza di un nucleo abitato. Una correlazione scatta solo per determinate sostanze. Infatti gli artt. 9, 10 e 11 del DM 44/04 sanciscono obblighi particolari nell'uso di componenti la miscela solvente caratterizzati da proprietà tossicologiche: il primo, più importante, consiste nella sostituzione a breve di sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche (R45, R46, R49, R60). In ogni caso, laddove presenti, per un flusso di massa uguale o superiore a 10 g/h ottenuto dalla somma delle sostanze così classificate, il valore limite scende per tutte le attività a 20 mgC/Nmc. Allo stesso limite scendono inoltre tutte le attività che utilizzano composti organici alogenati etichettati con R60, R68 qualora il loro flusso di massa sia uguale o superiore a 100 g/h. In più, sono richieste efficaci misure di confinamento dell'ambiente di lavoro e interventi di riduzione alle emissioni prodotte in fase di avviamento e arresto.

Peraltro i limiti indicati non richiamano alcuna tra le tecnologie disponibili per l'abbattimento dei solventi nelle emissioni, mentre un approccio più razionale, in linea con l'avvento dei principi di prevenzione integrata (IPPC), si sarebbe dovuto fondare sull'esame delle MTD applicata ai vari comparti. Questo avrebbe permesso di individuare le condizioni di migliore applicazione delle singole tecnologie e, conseguentemente, quale valore-guida attendersi dal loro utilizzo.

Anche il legislatore comunitario non disdegna l'uso di deroghe. Il comma 14 dell'art.3, che rappresenta la traduzione fedele del testo della direttiva, ammette una deroga singolare fino al 2013.

14. Il gestore di un impianto esistente che utilizza un dispositivo di abbattimento che consente il rispetto del valore limite di emissione pari a 50 mgC/Nm3, in caso di incenerimento, e a 150 mgC/Nm3, per qualsiasi altro tipo di dispositivo di abbattimento, e' esentato dall'obbligo di conformarsi ai valori limite di emissione negli scarichi gassosi di cui all'allegato II fino al 1° aprile 2013, a condizione che le emissioni totali dell'intero impianto non superino le emissioni che si sarebbero verificate rispettando le prescrizioni dell'allegato II.

Posto che un limite di 150 mgC/Nmc potrebbe essere rispettato anche senza alcun dispositivo di abbattimento, riesce difficile comprendere come sia possibile che, in termini di emissioni totali, con un limite maggiore si arrivi ad ottenere il medesimo risultato che si avrebbe con l'applicazione di un limite inferiore (allegato II: a scelta tra 20, 50, 75 o 100mgC/Nmc).

Una spiegazione plausibile legge tale deroga solo in espressa relazione agli stabilimenti ove sia già installato un dispositivo di incenerimento: solo in questi casi, visto che sono già stati sopportati oneri rilevanti per l'installazione di un inceneritore, per le emissioni condottate a dispositivi diversi, non altrettanto efficaci, si ammette un limite superiore. E' evidente che si tratterà di compensare ciò che si è guadagnato da una parte con quanto viene perso dall'altra, senza tuttavia che le emissioni totali oltrepassino il contingente fissato ai sensi dell'allegato II con l'applicazione dei limiti in esso indicati.

Immaginiamo che la nostra azienda sia così fatta: una verniciatura del legno con consumi di prodotto annuo pari a 100 t. La vernice ha un residuo secco del 35%. L'attività è la numero 10 e l'allegato II prevede quanto segue:

.

Attività (soglie di consumo di solvente in tonnellate/anno)

Soglie di consumo di solvente (tonn/anno)

Valori limite di emissione negli scarichi gassosi


(mgC/Nm3)

Valori limite di
emissione (% di
input solvente)

Valori limite di
emissione totale

Disposizioni
speciali

10

Rivestimento delle superfici di legno (>15)

<25

100(1)

25

L'eventuale valore limite di emissione totale si determina la secondo procedura indicata nell' allegato III

(1) Il limite di emissione si applica ai processi di applicazione di rivestimento ed essiccazione in condizioni di confinamento.
(2) Il primo valore concerne i processi di essiccazione e il secondo quelli di applicazione del rivestimento

>25

50/75 (2)

20

 L'applicazione dei limiti fissati in quarta colonna dell'allegato II produrrebbe i seguenti risultati:

Numero emissione

Ore

Giorni/anno

Portata Nmc

Abbattimento

Limite in mgC/Nmc

T/anno

E1 applicazione

8

220

80.000

inceneritore

75

10,56

E2 applicazione

8

220

5.000

altro

75

0,66

E3 applicazione

8

220

5.000

altro

75

0,66

E4 essiccamento

8

220

2.000

altro

50

0,176

E5 essiccamento

8

220

8.000

altro

50

0,704

.

.

.

.

.

.

12,76 totale annuo

Il contingente non superabile sarebbe pertanto pari a 12,76 T/anno.

Qual'è il risultato che si otterrebbe ad applicare i limiti fissati in base all'art.3, comma 14?

Numero emissione

Ore

Giorni/anno

Portata Nmc

Abbattimento

Limite in mgC/Nmc

T/anno

E1 applicazione

8

220

80.000

inceneritore

50

7,04

E2 applicazione

8

220

5.000

altro

150

1,32

E3 applicazione

8

220

5.000

altro

150

1,32

E4 essiccamento

8

220

2.000

altro

150

0,528

E5 essiccamento

8

220

8.000

altro

150

2,112

.

.

.

.

.

.

12,32 totale annuo

La deroga può essere concessa.

In altri casi, per attività diverse dalla verniciatura del legno, il valore limite di emissione totale è indicato come fattore di emissione. Per es. nell'attività n°12, impregnazione del legno, il fattore di emissione è espresso come il rapporto tra i consumi di solvente per unità di superficie impregnata. Ciò da una parte costituisce un utile raffronto per la definzione della capacità nominale di impianto, dall'altra rende il calcolo più incerto perché il valore di emissione totale varia con il variare dei metri quadri da impregnare. E' vero che si deve fare riferimento alla massima potenzialità d'impianto, ma, qualora questa non sia utilizzata che per una parte, si finisce, ancora una volta, per ammettere un incremento progressivo dei consumi, non il contrario.

Rispetto al primo esempio il termine "emissioni totali dell'intero impianto" autorizza anche un'altra lettura, in considerazione della nota di colonna 6: "L'eventuale valore limite di emissione totale si determina secondo la procedura indicata nell'allegato III".

Il calcolo funziona così: si determina la massa totale di materia solida (cioè il residuo secco) nella quantità di rivestimento, di inchiostro, di vernici o di adesivo per la potenzialità di prodotto annuo prevista a livello di progetto dell'impianto e poi si moltiplica la massa così determinata per il fattore indicato: 4, 3, ecc. a seconda dell'attività. Questa è l'emissione annua di riferimento (ma si sta parlando di massa solida e non di sostanze volatili). Questo valore viene moltiplicato per la percentuale prevista nell'allegato II in quinta colonna , cioè il valore limite di emissione diffusa a cui si aggiunge + 15 o + 5 (è indispensabile leggersi le note dell'allegato). Si ottiene la cosiddetta "emissione bersaglio" cioè le tonnellate di solvente che si possono utilizzare in un anno, valore decisamente inferiore a quello inizialmente considerato. Nell'esempio riportato sopra il calcolo è questo:

35 (quantità secco) x 4 (fattore moltiplicativo) = 140 (emissione annua di riferimento)

140 x 0,25 (valore di emissione diffusa + 5) = 35 (emissione bersaglio)

La deroga del comma 14 è concessa se il valore totale delle emissioni calcolate con un limite di 50 o 150 mgC/Nmc, a seconda del dispositivo di abbattimento, rimane comunque all'interno di un contingente pari a 35 tonnellate/annue al 2007, risultate dal nostro calcolo. Immaginando sempre che la nostra verniciatura possa essere autorizzata in questo modo:

Numero emissione

Ore

Giorni/anno

Portata Nmc

Abbattimento

Limite in mgC/Nmc

T/anno

E1 applicazione

8

220

80.000

inceneritore

50

7,04

E2 applicazione

8

220

5.000

altro

150

1,32

E3 applicazione

8

220

5.000

altro

150

1,32

E4 essiccamento

8

220

2.000

altro

150

0,528

E5 essiccamento

8

220

8.000

altro

150

2,112

.

.

.

.

.

.

12,32 totale annuo

Nell'esempio riportato 12,32 < 35 e la deroga è ammissibile (l'esercizio serve solo ad esempio, una verniciatura che consuma 75 t di solvente anno ha un flusso di massa superiore, più emissioni tra condottate e diffuse e quindi le tonnellate annue emesse a camino sono di più).

Come si può arguire da queste prima note il modello delineato dal legislatore è affetto da notevole complessità, oltre che incertezza. L'impressione è che tale complessità non pare proprio giustificare i risultati attesi.

Le emissioni diffuse

Per le emissioni diffuse c'è da fare qualche ragionamento in più. Innanzitutto le emissioni diffuse non sono solo quelle che sfuggono attraverso finestre, porte, sfiati ecc., ma anche quelle trasferite alla matrice suolo e alla matrice acqua. Ai fini del calcolo questo tuttavia non interessa. Interessa invece che siano naturalmente esclusi i solventi evacuati attraverso un sistema di convogliamento verso l'esterno ed i solventi presenti nel prodotto finale (come nel caso di un produttore di vernici).

Nel calcolo si tiene conto di tutti i solventi utilizzati sia come tali che come componenti la miscela dei preparati in uso nell'azienda. A questo si devono aggiungere i solventi recuperati in proprio o tramite terzi. Come detto, la registrazione dei solventi effettivamente recuperati non è un parametro controllabile. Anche in questo caso servirebbe una linea guida senza la quale si correrebbe il rischio di una deriva nei metodi utilizzati, ma sia nella direttiva che nel decreto questa manca.

Posto che si determini con sufficiente precisione il quantitativo totale di un anno civile si deve calcolare la percentuale di input che è ammessa come emissione diffusa e che è indicata nella quinta colonna dell'allegato II. Nella stampa offset, per esempio, è il 30%. Questo significa che su 100 t/anno di solvente utilizzato almeno 30 t. possono essere disperse attraverso porte, finestre, aperture varie, sia per impianti esistenti che nuovi. Su come siano state stabilite le percentuali assegnate, diverse da attività ad attività, non vi sono informazioni. Anche questo aspetto lascia grandi margini di incertezza e di dubbio negli operatori.

In effetti, pur considerando che la captazione degli inquinanti in un ambiente di lavoro non possa garantire mai di poter catturare il 100% di quanto emesso nel corso del processo tra miscelazione, lavorazione e manutenzione, il punto di partenza di una buona progettazione è che il sistema deve comunque essere tecnicamente idoneo, cioè in condizioni di assicurare una efficace/efficiente captazione. Se questo principio viene condiviso, se le aspirazioni installate sono state progettate per massimizzare il risultato, conoscere e misurare il valore limite di emissione diffusa perde di significato. Sotto questo profilo è bene tuttavia sottolineare come sia indispensabile, almeno per le attività più rilevanti, raccogliere il contributo del personale degli SPISAL (Servizi Prevenzione, Igiene e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro delle ASL) che opera tutti i giorni su questo campo specifico e che può condizionare l'approvazione del progetto secondo le proprie linee guida.

I controlli

E' già chiaro che l'efficacia dei controlli è direttamente proporzionale alla misurabilità dei requisiti. L'efficacia è fortemente condizionata dalla semplicità nell'approccio: se i controlli si effettuano sui camini per la misura dei limiti di concentrazione non c'è paragone quanto a efficacia rispetto all'accertamento di tipo documentale.

L'accertamento documentale comporta infatti un elevato carico di lavoro a fronte di risultati parecchio più incerti. Intanto per avere un dato incontrovertibile circa il consumo di prodotti a solvente occorrerebbe conoscere il valore esatto di magazzino al momento della messa in esercizio dell'impianto. Per un impianto esistente dovrebbe essere fissato un giorno xx per effettuare l'inventario in modo che si possano identificare con precisione i prodotti in deposito.

Il controllo di questi settori di attività presenta difficoltà rilevanti dovute a:

Una volta affrontate tali criticità d'inizio dovrebbe seguire un controllo sulle fatture di acquisto ad un anno dalla data fissata per l'esercizio o l'inventario, dato che tuttavia non rappresenta ancora il consumo effettivo: per ricavare i consumi effettivi occorre ripetere l'inventario ad un anno dal primo. In alcune regioni dove si è legiferato sui criteri di autorizzazione per i nuovi impianti produttivi, per alcune categorie di attività come le verniciature e per quantitativi giornalieri limitati, è stato introdotto l'obbligo del registro dei consumi di materia prima. Per quanto tale strumento possa costituire una semplificazione all'atto degli accertamenti, le eventuali incertezze sulla corretta redazione di tali registri non possono che essere affrontate come abbiamo detto.

Sul fronte invece delle misure bene ha fatto il legislatore nazionale a prevedere l'obbligo di installazione di misuratori in continuo dei COV in emissione non solo nei casi in cui il flusso di massa superi i 10 kg/h, come nel testo comunitario, ma anche per flussi di massa inferiori, qualora l'autorità competente lo ritenga necessario. In caso di misurazioni continue, la conformita' ai valori limite di emissione negli scarichi gassosi e' considerata raggiunta se nessuna delle medie di 24 ore di esercizio normale supera i valori limite di emissione e se nessuna delle medie orarie supera i valori limite di emissione di un fattore superiore a 1,25.

Per le misurazioni periodiche la conformita' ai valori limite di emissione negli scarichi gassosi e' considerata raggiunta se, nel corso di una misurazione, la concentrazione, calcolata come media delle 3 letture e riferita ad un'ora di funzionamento dell'impianto nelle condizioni di esercizio piu' gravose, non supera il valore limite di emissione stabilito.

E' importante sottolineare che il miglior controllo è strettamente collegato ai contenuti dell'autorizzazione: tali contenuti devono essere completi, precisi e sufficientemente chiari e comprensibili (not ambiguos).

Anche lo stesso gestore deve avere chiari i suoi compiti dal momento che deve dimostrare all'autorita' competente la conformita' dell'impianto:

a) ai valori limite di emissione negli scarichi gassosi, ai valori limite per le emissioni diffuse e ai valori limite di emissione totale, in quanto autorizzati;

b) all'emissione totale annua autorizzata per l'intero impianto.

Nell'allegato II al decreto, sesta colonna, il valore limite di emissione totale è richiesto come eventuale e non perentorio, salvo per quelle attività dove è espressamente indicato un fattore di emissione. In questo si distingue dal testo comunitario che questa eventualità non prevede mai per il motivo detto in premessa, cioè che la metodologia descritta in allegato III è del tutto alternativa rispetto a ciò che si stabilisce in allegato II. E' sulla base di questa, come di altre osservazioni, che si ritiene vi sia un orientamento nazionale che privilegia la combinazione delle due metodologie piuttosto che la loro alternativa.

Criteri temporali di applicazione

I nuovi impianti possono essere autorizzati solo se dimostrano la sussistenza dei requisiti fissati. Gli impianti esistenti si adeguano entro il 31 ottobre 2007. Nel caso di impianti che si debbano conformare anche secondo le indicazioni dell'allegato III il termine è lo stesso, salvo una tappa intermedia nel 2005.

Per quanto riguarda le modifiche d'impianto esistente c'è una ulteriore complicazione. Oltre a tenere in considerazione il margine in percentuale oltre il quale si possa effettivamente parlare di modifica sostanziale c'è da soppesare il carico inquinante teorico nelle due ipotesi. Il testo recita così:

4. In caso di impianto sottoposto a modifica sostanziale o di impianto al quale, a seguito di una variazione di capacita' nominale, si applicano, per la prima volta, le disposizioni del presente decreto, la parte dell'impianto oggetto di detta modifica e' considerata come un nuovo impianto. A detta parte possono essere applicate le disposizioni previste per gli impianti esistenti, nel caso in cui le emissioni totali dell'intero impianto sottoposto a modifica sostanziale non superano quelle che si otterrebbero se la parte oggetto della modifica sostanziale fosse considerata come un nuovo impianto.


Rischiando il mal di testa potremmo semplificare in questo modo: se applicando i limiti di impianto esistente alle emissioni modificate il totale ottenuto non risulta superiore a quello che si avrebbe applicando alle emissioni modificate i limiti per nuovo impianto allora le emissioni modificate possono essere effettivamente autorizzate con i limiti per impianto esistente.

A parere di chi scrive mettere mano a questo rompicapo cercando di applicarlo in concreto comporta un'inutile perdita di tempo a fronte di vantaggi irrisori.

Il piano di riduzione

Il difetto più evidente della direttiva solvente è l'aver prefigurato il conseguimento di una riduzione delle emissioni con mezzi che vengono considerati equivalenti rispetto all'applicazione dei limiti corrispondenti. Se nella direttiva si fosse enunciato il principio senza tuttavia stabilirne i criteri l'effetto non sarebbe stato così discutibile. Invece proprio nel mettere alla prova gli algoritmi suggeriti nell'allegato III si mostra l'inaffidabilità del metodo nel garantire la medesima equivalenza ottenibile attraverso l'imposizione di limiti alle emissioni.

Nel testo nazionale il metodo ha peraltro un'applicazione più limitata che nella direttiva, esso è infatti considerato "valido per le categorie di attività per cui non sono individuati nell'allegato II specifici valori di emissioni totali".

Il disegno di questo piano prende a riferimento uno scenario emissivo rappresentato dal livello di emissioni totali dell'attività che corrisponde il più fedelmente possibile a quello che si avrebbe senza interventi, in particolare in assenza di impianti di abbattimento e con l'uso di materie prime ad alto contenuto dì solvente, in riferimento al consumo dichiarato dal gestore per la potenzialità di prodotto prevista a livello di progetto dell'impianto.

Il paradosso che si mette in luce lavorando con gli algoritmi proposti è che chi utilizza prodotti a maggior residuo secco, quindi prodotti meno inquinanti, può emettere più solventi rispetto a chi segue la vecchia strada.

Ricorriamo ancora all'esempio di una verniciatura. Si facciano due ipotesi con prodotti vernicianti a residuo secco diverso.

Scenario emissivo A

consumo di vernici 60 t/a

residuo secco medio vernici 40%

quantità secco 24 t/a

quantità solvente 36 t/a

diluente + solvente di pulizia 40 t/a

Totale 76 t/a

Scenario emissivo B

consumo di vernici 60 t/a

residuo secco medio vernici 60%

quantità secco 36 t/a

quantità solvente 24 t/a

diluente + solvente di pulizia 40 t/a

Totale 64 t/a

Riduzione

24 (secco) x 4 (fatt. moltiplicativo) = 96 (emissione/a di riferimento)

96 x 0,25 (valore di emissione diffusa + 5) = 24 (emissione bersaglio)

76 - 24 = 52 t/anno

Riduzione

36 (secco) x 4 (fatt. moltiplicativo) = 144 (emissione/a di riferimento)

144 x 0,25 (valore di emissione diffusa + 5) = 36 (emissione bersaglio)

64 - 36 = 28 t/anno

Come si vede è richiesta una maggiore riduzione nello scenario A, tuttavia, a parità di consumo di vernici, finisce per essere concessa un'emissione totale annua di solventi maggiore per coloro che fanno uso di vernici ad alto solido (36 T/anno contro le 24 T/anno).

Per quanto riguarda l'asserita equivalenza tra effetti prodotti dall'applicazione di limiti alle emissioni e quelli prodotti dal piano di riduzione dei solventi proviamo con questo secondo esempio, preso questa volta da due casi reali

Scenario emissivo C

consumo di vernici 105,9 t/a

residuo secco medio vernici 40%

quantità secco 42,4 t/a

quantità solvente 63,5 t/a

diluente + solvente di pulizia 80 t/a

Totale 143,6 t/a

Portata totale emessa 46.100 Nmc/h

Ore lavorate anno 1540

Scenario emissivo D

consumo di vernici 161,5 t/a

residuo secco medio vernici 62%

quantità secco 100,1 t/a

quantità solvente 61,4 t/a

diluente + solvente di pulizia 58,5 t/a

Totale 119,9 t/a

Portata totale emessa 180.000 Nmc/h

Ore lavorate anno 1540

Riduzione con Allegato III

42,4 (secco) x 4 (fatt. moltiplicativo) = 169,6 (emissione/a di riferimento)

169,6 x 0,25 (valore di emissione diffusa + 5) = 42,4 (em.sione bersaglio)

143,6 - 42,4 = 101,2 t/anno

Flusso di massa finale 42400 : 1540 = 27,6 kg/h

Concentrazione media di emissione 27600000 : 46100 = 600 mgC/Nmc

Riduzione con Allegato III

100,1 (secco) x 4 (fatt. moltiplicativo) = 400,4 (em.sione/a di riferimento)

400,4 x 0,25 (valore di emissione diffusa + 5) = 100,1 (em.ione bersaglio)

119,9 - 100,1 = 19,8 t/anno

Flusso di massa finale 100100 : 1540 = 65 kg/h

Concentrazione media di emissione 65000000 : 180000 = 360 mgC/Nmc

Abbattimento con Allegato II

Valore limite di emissione = 75 mgC/Nmc

Flusso di massa finale = 3,4 Kg/h

Abbattimento con Allegato II

Valore limite di emissione = 75 mgC/Nmc

Flusso di massa finale = 13,5 Kg/h

Come si vede mettendo a confronto i due metodi in entrambi gli scenari il flusso di massa risultante dall'applicazione del valore limite di 75 mgC/Nmc è sempre molto inferiore al flusso di massa ottenuto tramite il calcolo per individuare l'emissione bersaglio.

Conclusioni

Sebbene il decreto di recepimento della direttiva solventi sia in molte parti migliorativo del testo comunitario rimane il fatto che le zone d'ombra originarie non sono state tutte dissipate. Se si deve ragionare sull'obiettivo più semplice da raggiungere, quello di utilizzare prodotti ad alto solido, la direttiva appare inutilmente contorta: si poteva arrivare direttamente allo scopo stabilendo la percentuale massima nei prodotti d'uso per le diverse categorie a partire da date scaglionate nel tempo, se non prevedere il passaggio obbligatorio a prodotti ad acqua. Nello stesso tempo ricollegare all'uso di un prodotto a solvente l'installazione della migliore tecnologia applicativa, il che avrebbe significato ridurre anche notevolmente le perdite di prodotto dovute a pratiche obsolete. Applicare queste regole non sarà semplice.

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RECEPITA LA DIRETTIVA VOC: PASSO A PASSO IL D.M. 16 GENNAIO 2004 N°44