leggi e sentenze
7 aprile 2003

La problematica tecnico-legale dell'inquinamento acustico contenuta nella legge quadro n.447/95 e relativi decreti di attuazione è trattata molto raramente sulle riviste del settore. I motivi sono probabilmente legati al fatto che ha contenuti troppo specialistici per essere affrontata da un esperto di materie giuridiche, mentre per i professionisti del ramo è più interessante approcciare la tematica sotto il profilo della ricerca e della misura del fenomeno acustico. Finisce così che la discussione sulle modalità applicative della legge, in particolare quando si tratti di evidenziare le violazioni e le modalità per regolarizzarle, o manca completamente o avviene nei ristretti circoli degli addetti ai lavori, con il rischio frequente di isolare le opinioni e impedire la diffusione delle informazioni.

In effetti sono talmente scarse le occasioni per vedere affermata o meno l'interpretazione del testo della legge quadro sull'inquianamento acustico che si saluta con grande entusiasmo il manifestarsi di una novità in questo senso. Tuttavia quando capita di leggere qualche sentenza a proposito delle diverse espressioni di questa disciplina applicata alla tutela dei soggetti esposti ci si sorprende per l'evidente inadeguatezza delle conclusioni di quel consesso che ha ritenuto di giudicare di fatto e di diritto. Bisogna inoltre sottolineare come le poche sentenze in materia sono tutte frutto di ricorsi ai Tribunali Amministrativi Regionali o al Consiglio di Stato, e ciò in riferimento alla legittimità di ordinanze di ripristino, il che mostra come l'aver previsto l'applicazione di sanzioni pecuniarie in luogo di quelle penali limiti di molto la possibilità del formarsi di una indispensabile giurisprudenza in questo ambito (se si esclude quella relativa all'applicazione dell'art.659 C.P. che possiede tuttavia connotati tutti propri, quasi mai sovrapponibili con le figure di reato individuate nella legge quadro).

Negli ultimi tempi sono state date alle stampe alcune sentenze che meritano un commento. Questo mese parliamo della Sentenza Tar Friuli-Venezia Giulia 21 dicembre 2002, n. 1069 dove si affronta il tema dell'applicazione del cosiddetto limite differenziale.

Il limite differenziale ha trovato una prima espressione nel DPCM 1 marzo 1991 dove viene definito come la differenza tra il livello Leq (A) di rumore ambientale e quello del rumore residuo. Quest'ultimi sono invece definiti di seguito:

Livello di rumore residuo - Lr.

E' il livello continuo equivalente di pressione sonora ponderato "A" che si rileva quando si escludono le specifiche sorgenti disturbanti. Esso deve essere misurato con le identiche modalità impiegate per la misura del rumore ambientale.

Livello di rumore ambientale - La.

E' il livello continuo equivalente di pressione sonora ponderato "A" prodotto da tutte le sorgenti di rumore esistenti in un dato luogo e durante un determinato tempo. Il rumore ambientale è costituto dall'insieme del rumore residuo (come definito al punto 3) e da quello prodotto dalle specifiche sorgenti disturbanti.

La tutela dei soggetti esposti a rumore in ambiente abitativo si attua con l'applicazione dei limiti differenziali e assoluti alle sorgenti sonore di tipo fisso. Mentre i limiti assoluti sono fissati in relazione alla diversa destinazione d'uso del territorio, con riferimento ad una fase transitoria, così come previsto dal decreto ministeriale 2 aprile 1968 e indicato nella tabella 1,

zonizzazione Limite diurno Leq(A) Limite notturno Leq(A)

Tutto il territorio nazionale

Zona A (DM n.1444/98)*

Zona B (DM n.1444/98)*

Zona esclusivamente industriale

70

65

60

70

60

55

50

70

(*) Zone di cui all'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968.

per le zone non esclusivamente industriali indicate in tabella, oltre ai limiti massimi in assoluto per il rumore, sono stabilite anche le seguenti differenze da non superare tra il livello equivalente del rumore ambientale e quello del rumore residuo (criterio differenziale): 5 dB (A) per il Leq (A) durante il periodo diurno: 3 DB (A) per il Leq (A) durante il periodo notturno. La misura deve essere effettuata nel tempo di osservazione del fenomeno acustico negli ambienti abitativi.

La vicenda da cui trae origine la sentenza in esame è del tutto simile alle tante che si presentano nella realtà e con le quali l'unica vera e sostanziale differenza è che si è andati per vie legali. Il motivo nel caso discusso è da addebitarsi alle contestazioni riguardo ai contenuti di una ordinanza sindacale che fa carico alla ricorrente della predisposizione di un piano di abbattimento delle emissioni sonore e di una precedente deliberazione consiliare di classificazione in zone del territorio comunale, ai sensi dell'articolo 6, 1° comma, della legge 26.10.1995 n. 447, legge quadro sull'inquinamento acustico.

Diversamente dalla maggiorparte dei Comuni italiani il Comune di Sesto al Reghena ha in effetti adotatto nel settembre dell'anno 2000 la classificazione in zone stabilita all'art.6 della legge quadro. Questa classificazione viene normalmente denominata "definitiva" per distinguerla da quella "provvisoria" che abbiamo visto essere stata introdotta dal DPCM 1 marzo 1991. Il fatto che questo comune abbia già adottato la zonizzazione definitiva è appunto da salutare come evento rilevante in un quadro dalle tinte assai grigie che contraddistingue l'applicazione dell'art.6 nel resto del nostro paese. Tuttavia è proprio l'aver adottato la classificazione uno degli elementi di contestazione della ricorrente. La ricorrente infatti, davanti al T.A.R., contesta la

violazione dell'articolo 4, 1° comma, della legge n. 447/95 poiché sarebbe possibile contestare la violazione dei limiti differenziali delle emissioni sonore, previsti dall'articolo 4 del Dpcm 14.11.1997, solo in quanto il Comune abbia adottato la classificazione del territorio comunale, di cui all'articolo 6, 1° comma della legge n. 447/95, secondo i criteri previsti dal precedente articolo 4, 1° comma, dovendosi in mancanza applicare, in base all'articolo 8 del predetto decreto presidenziale, in via transitoria, solo i limiti assoluti, disciplinati dal precedente Dpcm 1.3.1991. Nel caso in esame la classificazione in questione è stata approvata con l'impugnata deliberazione consiliare, ma illegittimamente, in assenza dei criteri, da determinarsi con legge regionale, che debbono presiedere alla sua formazione.

Che la Regione Friuli-Venezia Giulia non abbia emanato i criteri per classificare acusticamente le diverse zone comunali secondo quanto disponeva l'articolo 4, 1° comma della L.447/95 è indiscutibilmente vero. Anche in questo caso siamo in buona compagnia, molte altre regioni non hanno fatto il loro dovere. A distanza di 8 anni dall'emanazione della legge quadro una tale diffusa inadempienza mostra come l'atteggiamento nei confronti nell'applicazione delle leggi ambientali sia sempre di disinteresse generale, salvo le solite eccezioni che ormai conosciamo.

Il Tribunale ha quindi accolto il ricorso e ha conseguentemente negato la correttezza delle misure eseguite per quanto riguarda il limite differenziale. La cosa fa un po' scalpore. Per due ragioni.

La prima: la classificazione "definitiva" del Comune di Sesto al Reghena potrebbe essere anche il risultato di un lavoro iniziato con il DPCM 1 marzo 1991, il quale già la richiedeva, sulla base di circolari regionali di indirizzo relativamente alle modalità di pervenire al risultato sancito solo nell'anno 2000. Se così fosse la zonizzazione sarebbe del tutto lecita e solo un contrasto con i "nuovi" criteri che verranno poi emanati dalla regione, ne renderebbe necessaria una revisione. In ogni caso, poichè si sta parlando di una zona non esclusivamente industriale (vista la presenza dell'abitazione dell'esponente), si poteva valutare se il suo inserimento in classe V fosse eventualità del tutto scartabile a priori oppure, come logico, l'unica e condivisa modalità di identificare un tale tipo di area da parte di qualsiasi strumento abbia la finalità di determinare i citati criteri.

La seconda: il tribunale considera la mancanza della zonizzazione definitiva come motivo per l'inapplicabilità del limite differenziale e ciò in base all'articolo 8 del predetto decreto presidenziale, in quanto questo stabilisce, in via transitoria, solo la vigenza dei limiti assoluti, disciplinati dal precedente Dpcm 1.3.1991:

Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14/11/1997

Determinazione dei valori limite delle sorgenti sonore.

Art.8

In attesa che i comuni provvedano agli adempimenti previsti dall'art. 6, comma 1, lettera a), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, si applicano i limiti di cui all'art. 6, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri l marzo 1991.

A parere di chi scrive qui il TAR è andato completamente fuori strada. Infatti il rimando all'art.6, comma 1, lettera a), della legge 26 ottobre 1995, n. 447 è utilizzato a torto come giustificazione dell'inapplicabilità del limite differenziale. Secondo tale disposto il Comune detiene la competenza di definire la classificazione del territorio comunale, una volta definiti i criteri previsti dall'articolo 4, comma 1, lettera a), e se ancora non vi ha provveduto l'indicazione del legislatore è semplicimente quella di fare riferimento alla zonizzazione provvisoria già indicata nel precedente DPCM del quale abbiamo appunto riportato la tabella 2. Perché mai questa carenza dovrebbe incidere sul limite differenziale quando questo lo stesso si applica indipendetemente dalla classificazione acustica?

Se si torna alla lettura del DPCM 14/11/97 troviamo all'art.4 la nuova formulazione di limite differenziale:

Art. 4. - Valori limite differenziali di immissione.

1.I valori limite differenziali di immissione, definiti all'art. 2, comma 3, lettera b), della legge 26 ottobre 1995, n. 447, sono: 5 dB per il periodo diurno e 3 dB per il periodo notturno, all'interno degli ambienti abitativi. Tali valori non si applicano nelle aree classificate nella classe VI della tabella A allegata al presente decreto.

Perché mai il decreto dovrebbe sospendere con l'art.8 quello che ha deciso con l'art.4 ? Anche la stessa definizione di limite è del tutto identica a quella del "vecchio" DPCM 1 marzo 1991. E' proprio nel riproporre una identifica formulazione del testo che ci si rende conto della piena attualità del disposto. Si tratta di una conferma di quanto già si faceva con la disciplina precedente alla Legge 447/95.

Davvero non si capisce come si possa agganciare la mancata classificazione acustica, la quale prevede di effettuare misure ai confini dell'attività rumorosa confrontandone gli esiti con limiti assoluti, che possono essere diversi a seconda dei criteri adottati, con un tipo di verifica che ha connotati del tutto differenti a partire dalle stesse modalità di misura e dal punto prescelto (all'interno dell'ambiente abitativo). E il limite differenziale da rispettare è sempre il medesimo: 5 dB (A) per il Leq (A) durante il periodo diurno: 3 DB (A) per il Leq (A) durante il periodo notturno. Non cambia a seconda della zona.

L'unica concessione al dubbio potrebbe essere quella della possibile individuazione di un'area esclusivamente industriale. Se questa rientrasse nella classe VI non si applicherebbe il limite differenziale. Tuttavia non c'è proprio bisogno di attendere la definizione dei criteri regionali per arrivare ad una valutazione condivisa della classe da attribuire. Vediamo la tabella B del DPCM 14/11/97 dove si rappresenta la possibile suddivisione in zone (peraltro del tutto identica alla tabella 2 del "vecchio" DPCM 1 marzo 1991):

Tabella B - valori limite di emissione - Leq in dB(A) (art. 2)

classi di destinazione d'uso del territorio

tempi di riferimento

 

I aree particolarmente protette

II aree prevalentemente residenziali

III aree di tipo misto

IV aree di intensa attivita' umana

V aree prevalentemente industriali

VI aree esclusivamente industriali

diurno(06.00-22.00)

45

50

55

60

65

65

notturno (22.00-06.00)

35

40

45

50

55

65

Nella tabella A dello stesso decreto vengono descritte sommariamente le classi di destinazione d'uso del territorio. A noi interessa conoscere cosa si dice a proposito delle classe V e VI:

CLASSE V - aree prevalentemente industriali: rientrano in questa classe le aree interessate da insediamenti industriali e con scarsita' di abitazioni.

CLASSE VI - aree esclusivamente industriali: rientrano in questa classe le aree esclusivamente interessate da attivita' industriali e prive di insediamenti abitativi

A questo punto per quanto possiamo immaginare possa sbizzarrirsi una regione nello stabilire criteri di individuazione delle classi di destinazione d'uso sul proprio territorio nessuno può ragionevolmente sostenere che vi siano dubbi su cosa differenzia la classe V dalla classe VI: la presenza/assenza di abitazioni.

Non è solo una conclusione di buon senso, è di una evidenza plateale che le cose non possono che stare così. E spiace che un tribunale amministrativo abbia preso un tale abbaglio, fornendo così alimento a nuovi contenziosi basati sulle medesime, errate, conclusioni.


Repubblica italiana

in nome del popolo italiano

Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia,

nelle persone dei magistrati:

Vincenzo Sammarco – Presidente

Enzo Di Sciascio – Consigliere, relatore

Oria Settesoldi - Consigliere

--------------------------------------------------------

ha pronunciato la seguente

s e n t e n z a

sul ricorso n. 632/01 proposto dalla Altan Prefabbricati s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Persello, con domicilio legale presso la Segreteria del T.A.R., come da mandato a margine del ricorso;

c o n t r o

il Comune di Sesto al Reghena, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Longo, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R., come da deliberazione giuntale n. 1481 del 21.12.2001 e da mandato a margine dell’atto di costituzione;

per l’annullamento

dell’ordinanza sindacale n. 31 del 7.9.2001, che fa carico alla ricorrente della predisposizione di un piano di abbattimento delle emissioni sonore;

della deliberazione consiliare n. 47 del 29.9.2000 di classificazione in zone del territorio comunale, a’ sensi dell’art. 6, 1° comma, della L. 26.10.1995 n. 447;

Visto il ricorso, ritualmente notificato e depositato presso la Segreteria generale con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;

Visti gli atti tutti di causa;

Data per letta alla pubblica udienza del 18 dicembre 2002 la relazione del consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi altresì i procuratori delle parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

f a t t o

La ricorrente rappresenta di essere titolare di uno stabilimento, sito in zona urbanisticamente classificata come industriale, assoggettato, in data 5.6.2001, a controllo delle emissioni sonore da parte dell’A.R.P.A., su richiesta del Comune intimato.

L’organo regionale ha rilevato il non superamento dei limiti assoluti di immissione, nei confronti di abitazioni contigue, mentre esse supererebbero il limite differenziale, previsto dal D.P.C.M. 14.11.1997.

Di conseguenza il Sindaco, applicando il provvedimento di zonizzazione sonora oggetto di gravame, ha adottato l’ordinanza impugnata.

Entrambi gli atti sarebbero illegittimi e se ne chiede l’annullamento, in quanto viziati per:

violazione dell’art. 4, 1° comma, della L. n. 447/95 poiché sarebbe possibile contestare la violazione dei limiti differenziali delle emissioni sonore, previsti dall’art. 4 del D.P.C.M. 14.11.1997, solo in quanto il Comune abbia adottato la classificazione del territorio comunale, di cui all’art. 6, 1° comma della L. n. 447/95, secondo i criteri previsti dal precedente art. 4, 1° comma, dovendosi in mancanza applicare, in base all’art. 8 del predetto decreto presidenziale, in via transitoria, solo i limiti assoluti, disciplinati dal precedente D.P.C.M. 1.3.1991. Nel caso in esame la classificazione in questione è stata approvata con l’impugnata deliberazione consiliare, ma illegittimamente, in assenza dei criteri, da determinarsi con legge regionale, che debbono presiedere alla sua formazione;

eccesso di potere per difetto di presupposto nell’assunto che l’ordinanza impugnata non infligge, per la violazione contestata, le sanzioni amministrative previste dall’art. 10 della L. n. 447/95, fra cui non potrebbe annoverarsi l’obbligo di presentare un piano di bonifica acustica, né essa potrebbe qualificarsi come ordinanza contingibile ed urgente, dal momento che non sostiene nemmeno, nella sua parte motiva, la pressante necessità della tutela della salute pubblica come proprio fondamento;

violazione dell’art. 4, 1° comma, lett. a) della L. n. 447/95 ed eccesso di potere per illogicità in quanto illegittimamente la deliberazione consiliare impugnata avrebbe, con il circondare le aree a carattere prevalentemente industriale con aree di tipo misto, stabilito un contatto diretto fra zone, i cui valori di livello sonoro equivalente si discostano in misura superiore ai 5 dBA, violando la disposizione in rubrica e stabilendo una zonizzazione ai fini dell’inquinamento acustico del tutto illogica.

Si è costituito in giudizio il Comune intimato, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per mancata notificazione al controinteressato, e sostenendone quindi l’infondatezza.

d i r i t t o

Va esaminata innanzitutto l’eccezione proposta dalla difesa comunale, che muove dall’assunto che, siccome dai precedenti atti dell’amministrazione (risposta ad esposti al Comune, loro inoltro alle altre autorità competenti, verbale di accertamento dei vigili urbani, esposti alla Procura della Repubblica, accertamento dell’A.R.P.A.) risulta chiaramente una posizione di controinteresse di tale Infanti, residente nell’abitazione più vicina allo stabilimento della ricorrente, il ricorso avrebbe dovuto essere notificato anche a quest’ultimo e, in mancanza, sarebbe da ritenere inammissibile.

Essa va disattesa.

I provvedimenti in materia di prevenzione ed eliminazione degli inconvenienti derivanti dall’inquinamento sonoro s’inscrivono nella tutela del generale interesse alla salute pubblica, concretamente riferito, dalle norme pubblicistiche che li prevedono, a più o meno ampie collettività, onde non è dato individuare qualificati interessi di privati, collegati a quelli pubblici tutelati (cfr. in fattispecie analoga T.A.R. Friuli – Venezia Giulia 18.12.1990 n. 334).

Chi ricorra contro l’uno o l’altro dei provvedimenti in parola non è perciò tenuto a notificare il gravame a soggetti diversi dall’amministrazione interessata, ancorché per avventura menzionati in atti del procedimento, presupposti a quelli, oggetto della vicenda contenziosa.

Nel merito il ricorso è fondato.

Invero la rilevazione effettuata dall’A.R.P.A. dalla casa di un vicino ha evidenziato che i rumori, prodotti dallo stabilimento della ricorrente, rispettano i valori limite assoluti di immissione, di cui all’art. 3 del D.P.C.M. 14.11.1997, ma non quelli differenziali, di cui al successivo art. 4.

Con il primo motivo di gravame la ricorrente sostiene l’inapplicabilità di detti ultimi limiti, in quanto conseguenti a una zonizzazione acustica del territorio, che il Comune ha approvato, con la deliberazione consiliare impugnata, senza la previa fissazione con legge regionale dei criteri che ad essa debbono presiedere secondo l’art. 4, 1° comma, lett. a) della L. n. 447/85. Pertanto detta deliberazione andrebbe annullata e andrebbe applicato l’art. 8, 1°comma, del D.P.C.M. 14.11.1997 secondo cui, in mancanza della classificazione del territorio comunale secondo gli anzidetti criteri, si applicano i limiti di cui all’art. 6, 1° comma, del D.P.C.M. 1.3.1991.

Essendo pacifico che la Regione non ha provveduto a legiferare in materia e che l’appena citato art. 6, 1° comma, disciplina soltanto i limiti massimi di accettabilità e non quelli differenziali, regolati dal successivo 2° comma, il motivo è fondato e deve ritenersi illegittima la deliberazione oggetto di gravame, in quanto approvata senza la necessaria predeterminazione di criteri, che assicurino elementi di uniforme regolamentazione riferita all’intero territorio regionale, in quanto l’art. 6, 1° comma, della L. n. 447/85 affida ai Comuni "la classificazione del territorio comunale secondo i criteri previsti dall’art. 4, comma 1°, lettera a)".

In altri termini il legittimo esercizio della pianificazione comunale per l’applicazione dei valori di qualità del rumore è condizionato alla previa fissazione da parte della Regione dei criteri che essa dovrà seguire.

L’illegittimità della deliberazione consiliare di classificazione comporta il venir meno, nel territorio comunale, dell’applicabilità dei valori limite differenziali di rumore, rimanendo vigenti solo i limiti assoluti che la ricorrente ha rispettato, onde ne consegue che è illegittima, in via derivata, anche l’ordinanza sindacale impugnata, che applica sanzioni in conseguenza dell’accertato superamento di limiti non operanti.

Tale ordinanza è peraltro illegittima anche per vizi propri, in quanto dispone forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore in difetto dei presupposti di cui all’art. 8, cioè delle condizioni di contingibilità ed urgenza, non essendo nemmeno addotta la sussistenza di "eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente", come la norma impone e come è dimostrato dal carattere non temporaneo, o non preordinato a soluzioni temporanee, delle misure imposte alla ricorrente.

Il Comune avrebbe dovuto, in base all’art. 6, 1° comma lett. e) e 2° comma, predisporre regolamenti di attuazione della disciplina di tutela dall’inquinamento acustico ed adeguare, allo scopo, i vigenti regolamenti di igiene e sanità o di polizia municipale, applicando in via ordinaria, e non d’urgenza, non ricorrendone nel caso gli estremi, le sanzioni previste.

Si tratta invero, come la stessa difesa comunale ha documentato, di una situazione che si protrae da diverso tempo e se il Comune non ha disposto gli strumenti normativi per intervenire imputet sibi.

In conclusione, assorbita ogni altra censura, il ricorso dev’essere accolto e gli atti impugnati annullati.

Sussistono motivi per compensare le spese di giudizio fra le parti.

p. q. m.

il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sul ricorso in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo accoglie e, di conseguenza, annulla la deliberazione consiliare n. 47 del 29.9.2000 e l’ordinanza sindacale n. 31 del 7.9.2001 ,

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 18 dicembre 2002.

Vincenzo Sammarco - Presidente

Enzo Di Sciascio – Estensore

Depositata nella Segreteria del Tribunale in data 21 dicembre 2002

 

 

 

 

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