chiarimenti
26 dicembre 2004

Sono un ispettore della gdf e desideravo porle una domanda. Qualora un impresa che effettua recupero e smaltimento di rifiuti non pericolosi (gomme usate) decide di trasferire i rifiuti a mezzo nave, affidandone la movimentazione ad un impresa portuale per il carico su nave, dando luogo a un deposito in ambito portuale. Secondo Voi l'impresa portuale deve essere iscritta all'albo delle imprese che esercitano il recupero o smaltimento di rifiuti? 


Dal quesito si comprende come in ambito portuale tutte le merci e quindi anche una speciale categoria di merci come i rifiuti possano sostare per un tempo determinato in aree apposite in attesa di essere imbarcati sulle navi che porteranno a destinazione il carico.

Ma dal momento che i rifiuti sono depositati all'interno dell'area portuale sono ancora rifiuti?

Occorre prima ricordare l'articolo 57, comma 6 bis, del Dlgs n. 22/1997 "In attesa delle specifiche norme regolamentari e tecniche, da adottarsi ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera i), i rifiuti sono assimilati alle merci per quanto concerne il regime normativo in materia di trasporti via mare e la disciplina delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio in aree portuali. In particolare i rifiuti pericolosi sono assimilati alle merci pericolose".

Il 22 luglio 2003 è stato emanato il Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 182 "Attuazione della direttiva 2000/59/CE relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi ed i residui del carico". Sebbene il decreto non contenga nelle premesse al testo l'articolo 57, comma 6 bis, ma un riferimento a tutto il D.Lvo 5 febbraio 1997 n°22 sulla gestione dei rifiuti, e, in ogni caso, abbia origine dal dover recepire la direttiva 2000/59/CE, relativa agli impianti portuali di raccolta per i rifiuti prodotti dalle navi e i residui del carico, questo contiene una indicazione dirimente all'art.2 comma 2 "I rifiuti prodotti dalla nave e i residui del carico sono considerati rifiuti ai sensi del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni".

Poi cosa è successo. A causa della indisponibilità di impianti per la raccolta ed il trattamento delle acque di sentina e nei principali porti italiani il Governo ha deciso un'immancabile proroga che ha colpito indistintamente tutti i rifiuti.

L'articolo 10bis del Dl 355/2004 (introdotto dalla legge 47/2004) ha così differito "fino all'entrata in vigore della specifica normativa semplificata ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22" (già adottata con il Dm 5 febbraio 1998 e il Dm 12 giugno 2002, n. 161) "e comunque non oltre il 31 dicembre 2005" l'entrata in vigore dell'articolo 2, comma 2 del Dlgs 182/2003.

La novità introdotta dall'art.2, comma 2, del Dlgs 182/2003 tuttavia non si applica nel caso esposto dal lettore. Nel quesito si parla in effetti di rifiuti che arrivano in porto, sicuramente non prodotti da navi né costituiti da residui di loro carichi.

Si tratta sicuramente di una spedizione via mare di rifiuti, anche se la destinazione potrebbe rimanere all'interno dei confini nazionali. In questo caso il riferimento è comunque la Convenzione Marpol per il trasporto di merci pericolose, l'IMDG Code (International Maritime Dangerous Goods Code) e il D.P.R. n° 1008 del 09/05/1968 "Regolamento per l'imbarco, trasporto per mare, sbarco e trasbordo delle merci pericolose in colli."

Inevitabilmente vengono a mancare tutte le disposizioni in materia di rifiuti dettate dal Ronchi, compresa quella dell'obbligo di iscrizione all'Albo.

Ma per avere un'idea delle condizioni in cui si viene ad operare in area portuale quando sono previsti imbarchi di merci pericolose o di rifiuti (corrispondenti alla classe 9 delle merci pericolose) sia sotto il profilo dei controlli e delle norme è molto utile la lettura di un estratto dall'audizione alla Commissione Bicamerale d'Inchiesta sul Ciclo dei Rifiuti del Comandante dell'Ufficio centrale per la sicurezza della navigazione, ammiraglio Alberto Stefanini ( 8 novembre 2002)

Quanto alle merci pericolose, la loro individuazione è molto complessa e le ho raccolte in vari gruppi, a seconda della tipologia. Vi è anzitutto un trasporto merci pericolose in imballaggi (colli, contenitori, unità di trasporto del carico, eccetera). È il classico trasporto che si effettua imbarcando di volta in volta tali merci sulle navi in partenza, che hanno le caratteristiche idonee a questo genere di trasporto: nessuna merce può essere imballata in contenitori ed imbarcata su una nave se quest'ultima non possiede l'idoneità a trasportarla accertata dall'organismo riconosciuto.

Non voglio entrare nel merito delle singole normative, che lascio comunque a vostra disposizione. Fondamentale è il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1968, che riguarda il trasporto di merci pericolose in colli ed un altro provvedimento relativo alle procedure. Oggi l'imballaggio di queste merci sulle navi avviene attraverso l'autorizzazione della capitaneria di porto: chi intende trasportare una merce pericolosa deve presentarsi alla capitaneria di porto, avanzare un'istanza e far capire cosa vuole trasportare; tale istanza deve essere corredata da una serie di certificati che consentono alla capitaneria di verificare se questo tipo di merce può essere trasportato, dove deve essere collocato a bordo della nave, se vi siano incompatibilità con altre merci, eccetera. La capitaneria di porto, effettuata questa verifica a tavolino, autorizza l'imbarco della merce e demanda un controllo a terra ai nostromi di banchina per verificare se le merci sono trattate secondo le indicazioni riportate nell'autorizzazione.

La normativa nazionale deve sposarsi con quella internazionale, la quale sotto questo profilo è rappresentata dall'IMDG code (International maritime dangerous goods), elaborata in sede IMO. Questo codice non è ancora obbligatorio; entrerà sicuramente in vigore il 1o gennaio 2004.

In Italia, quindi, si lavora basandosi sulla normativa nazionale, che è assai frammentata anche nel tentativo di seguire l'evoluzione delle merci pericolose sotto il profilo della loro composizione e del loro trasporto come disciplinato dalle norme internazionali.

Nella procedura ci si deve attenere alle norme internazionali perché alcuni paesi che fanno parte dell'organizzazione internazionale hanno già adottato il codice IMDG. Stiamo quindi cercando, anche mediante decreti dirigenziali della capitaneria di porto, di colmare questa lacuna con provvedimenti volti a far fronte ad esigenze che richiedono un adeguamento della nostra normativa a quella internazionale.

Abbiamo già elaborato uno schema di decreto del Presidente della Repubblica, attualmente all'esame del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con cui si recepirà totalmente il codice IMDG, ancora non obbligatorio, per anticipare i tempi e per fornire a tutti gli addetti uno strumento operativo adeguato a quelli dei paesi avanzati. Si tratta di uno sforzo che abbiamo compiuto e continuiamo a compiere, ma i tempi sono lunghi, anche alla luce della difficoltà della materia; occorre inoltre il concerto con altri ministeri (ambiente, industria e via dicendo), per cui la conclusione di questo iter non avverrà a tempi brevi. Va detto però che con le circolari e i decreti emanati per colmare questo vuoto riusciamo a far fronte alla situazione.

Abbiamo parlato in maniera sintetica del trasporto di merci pericolose in imballaggi perché la Jolly Rubino sicuramente imbarcava dei container con merci pericolose, sistemate nel rispetto delle procedure; infatti i container devono essere omologati, perché le merci pericolose non possono essere imballate in una confezione regalo, ma devono essere inserite in contenitori adeguati e previsti dalle norme nazionali ed internazionali vigenti, che devono essere rispettate. Per poter imbarcare certe merci all'interno di determinati contenitori, al momento della presentazione in capitaneria di porto occorre assicurare che il trasportatore metterà la merce all'interno dei contenitori omologati; è questa la condizione per poter ottenere l'autorizzazione. Le capitanerie di porto svolgono questa importante azione. Devo dire che così non è in campo internazionale; a livello europeo, proprio nel rispetto del codice IMDG, non c'è questa azione preventiva da parte delle capitanerie, ma il controllo viene svolto sulla nave da parte dall'autorità ad esso preposta per verificare che effettivamente le imbarcazioni siano in regola e rispettino le norme. Dai dati in nostro possesso non emerge un'attività ispettiva svolta in maniera propedeutica e preliminare all'imbarco; la merce viene imbarcata e poi viene effettuato il controllo da parte dell'autorità locale a ciò preposta.

Vi è poi il trasporto dei rifiuti, che si inquadra ovviamente all'interno del trasporto di merci pericolose in colli. Se il rifiuto è frutto di una attività che ha come riferimento materie pericolose, ovviamente anche esso è pericoloso e quindi viene trattato come le merci pericolose e seguendo le stesse procedure amministrative di cui si è parlato prima, vale a dire il controllo della capitaneria di porto. In questo caso c'è qualcosa in più, perché nel 1991 è stato emanato un decreto concernente i rifiuti non pericolosi. Esiste una rilevante distinzione tra il rifiuto pericoloso e il rifiuto non pericoloso: il primo è trattato secondo le regole standard dei prodotti pericolosi; inoltre, nel momento in cui si autorizza il trasporto, occorre la disponibilità al recepimento al porto di destinazione e quindi bisogna essere certi che questo rifiuto vada allo smaltimento. Chi intende effettuare questo tipo di trasporto deve produrre dei documenti attestanti che il prodotto verrà monitorato e portato deve previsto, nella discarica, con il consenso della regione, della provincia o del comune, se in Italia, oppure del paese estero interessato a questo tipo di lavorazione. In assenza di tale documentazione a corredo, il rifiuto non viene imbarcato. Per quanto riguarda il rifiuto non pericoloso, invece, la non pericolosità deve essere accertata di volta in volta da un chimico iscritto all'albo; anche in questo caso vi è la richiesta in capitaneria di porto, la quale, se la certificazione del chimico attesta che il prodotto non è pericoloso, dà l'autorizzazione all'imbarco. In aggiunta, per quanto riguarda i rifiuti, il decreto Ronchi stabilisce quali siano i rifiuti pericolosi per il trasporto stradale e per quello ferroviario; ovviamente quelli pericolosi per il viaggio su strada o per ferrovia diventano pericolosi anche per il trasporto via mare, tanto che noi li trattiamo comunque come rifiuti pericolosi. L'articolo 18 del decreto Ronchi, rimasto un po' disatteso, prevede che, di concerto con noi, il Ministero dell'ambiente, che ha emanato questo decreto e che sta predisponendo tutti i provvedimenti collegati, deve dar vita ad un decreto concernente il trasporto via mare dei rifiuti non pericolosi. Per la nostra parte abbiamo già dato delle indicazioni su come effettuare questo trasporto, che verranno recepite quando al Ministero dell'ambiente si elaborerà questo provvedimento, in modo da avere un chiaro riferimento in relazione al trasporto dei rifiuti non pericolosi che darà una soluzione più compiuta al problema.

Nella nostra sintetica carrellata intendiamo riferirci anche ad un altro tipo di trasporto marittimo, sempre di merci pericolose, vale a dire quello alla rinfusa di carichi solidi. In questo caso mi riferisco a quelle navi nelle cui stive viene gettato alla rinfusa il prodotto che deve essere trasportato. Per quanto riguarda la normativa nazionale, esiste un decreto del luglio 1991, ma vi è anche una normativa internazionale: per quella nazionale, noi dobbiamo sempre seguire quella internazionale laddove non sia diventata obbligatoria, per cui dobbiamo cercare di introdurre anche da noi quelle procedure che altri paesi hanno già adottato e che spiazzano i nostri utenti.

Dobbiamo fare un grosso sforzo per cercare di modificare la nostra normativa per renderla il più possibile adeguata e rispondente a quella internazionale, e a tal fine abbiamo predisposto un provvedimento, fatto pervenire al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in modo da adeguarci al BC code, un codice di trasporto che detta norme per la caricazione, lo stivaggio, la scaricazione, le misure di emergenza e di sicurezza nei confronti del personale; si tratta di codici che contengono una serie di norme tecniche che offrono tutte le indicazioni possibili per garantire alla nave un trasporto in sicurezza e per tutelare il personale imbarcato. Non va infatti dimenticato che a bordo di una nave sono imbarcati molti marittimi, dei quali ci dobbiamo preoccupare e la cui salute va tutelata. Dobbiamo però ricordare che la normativa internazionale si evolve, non è sempre la stessa, per cui spesso esiste la difficoltà di recepire una normativa sapendo che un'altra a livello internazionale sta per modificarla. Stiamo cercando di trovare il modo per dare sempre delle risposte il più possibile positive, soprattutto per l'utenza, che nel nostro paese incontra difficoltà a fronte di provvedimenti spesso inadeguati rispetto a quelli di altri paesi che già hanno applicato alcune normative internazionali. Il problema è fare in modo che queste normative diventino parte integrante del nostro ordinamento, ancorché non obbligatorie. Ma è un fatto di costume: spesso recepiamo le normative internazionali in ritardo rispetto ad altri Stati, e per colmare questi gap le capitanerie di porto per quanto possibile elaborano dei provvedimenti atti ad evitare che i nostri operatori siano danneggiati dalla differenza tra la normativa nazionale e quella internazionale.

Esiste poi un altro tipo di trasporto di merci pericolose, quello del gas, di liquidi alla rinfusa e cosi via; mentre negli altri casi, in cui vi è l'autorizzazione perché c'è una idoneità generale della nave al trasporto, bisogna verificare ogni volta che la merce sia compatibile con quel tipo di nave e che le merci lo siano tra di loro, nel caso di gas e di liquidi alla rinfusa nelle cosiddette gassiere o chimichiere si tratta di navi che nascono strutturate diversamente, che sono costruite per trasportare gas o prodotti nocivi liquidi e quindi dall'origine vi è un'impostazione diversa; per certi aspetti è più facile, per noi, perché i nostri interventi sono molto più limitati. La nave deve muoversi nel rispetto di codici internazionali concernenti questo tipo di trasporto, che nascono e scaturiscono sempre dalla sede inglese IMO, dove viene elaborata ed aggiornata tutta la normativa internazionale. Il compito dei nostri ispettori, quando si recano a bordo, è quello di verificare che la nave abbia i documenti in regola e in corso di validità e che a bordi siano presenti le misure di sicurezza previste. Nel caso di gassiere e chimichiere delle norme specifiche locali che vengono impartite con ordinanza dalle varie capitanerie di porto a tutela delle persone imbarcate sulle navi e che variano, anche se hanno dei fattori in comune, per il tipo di trasporto, perché l'ambiente esterno può essere diverso da porto a porto e i traffici intorno possono variare; pertanto esistono specifiche indicazioni impartite attraverso il regime delle ordinanze, una delle competenze del comandanti dei porti.È questo, sinteticamente, il quadro di riferimento generale per quanto riguarda la sicurezza della navigazione, all'interno della quale si colloca il trasporto delle merci pericolose.

Per un ulteriore aggiornamento c'è da ricordare il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti 17 novembre 2003 che inserisce i "pneumatici tagliati in pezzatura grossolana" nell’appendice C del D.M. 22 luglio 1991 recante norme di sicurezza per il trasporto marittimo alla rinfusa di carichi solidi, indicando, altresì, le prescrizioni, osservazioni e prescrizioni particolari da osservare in fase di trasporto via nave (in Gazzetta Ufficiale del 3 dicembre 2003, n. 281)

Ciò detto riguardo al quesito del lettore è rimasta la curiosità di come si struttura invece la regolamentazione riguardante la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti e dei residui di carico prodotti dalle navi e sbarcati in area portuale.

In attesa della scadenza del 31/12/2005 gli impianti portuali dedicati alla risoluzione del problema dovranno essere autorizzati ai sensi dell'art.4 comma 4 del Dlgs 182/2003 :

Fatta salva la disciplina in materia di concessione di beni demaniali e di servizi esplicati con mezzi navali in regime di concessione, gli impianti portuali di raccolta fissi sono autorizzati ai sensi degli articoli 27 e 28 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, salvo che gli stessi impianti rispettino le condizioni stabilite all'articolo 6, comma 2, lettera m), del citato decreto.

Gli impianti mobili o galleggianti sono evidentemente esentati.

Il testo presenta però un'evidente contraddizione. A rigor di logica gli impianti portuali sono destinati alla raccolta di rifiuti prodotti da terzi e quindi necessitano di un'autorizzazione espressa, sempre che non possano operare in regime agevolato ai sensi dell'art.33 del D.Lvo 5 febbraio 1997 n°22 (Ronchi), cioè attraverso l'assenso tacito. L'alternativa prevista dalle condizioni stabilite dall'art.6 lettera m) stesso decreto non potrebbe configurarsi in quanto si tratta della fattispecie "deposito temporaneo" di rifiuti nello stesso luogo di produzione, cioè di propria produzione. E' chiaramente un'incongruenza.

Rimane il fatto che il gestore dell'impianto portuale che non adempie secondo le disposizioni del D.Lvo 24 giugno 2003, n. 182, e cioè nella comunicazione annuale dei rifiuti smaltiti e nella tenuta del registro, si applicano le sanzioni previste dall'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.

Non si applicano evidentemente altre sanzioni del Ronchi, in particolare, per quanto riguarda l'argomento in esame, quelle stabilite all'art.51.

Art. 51 - Attività di gestione di rifiuti non autorizzata

1. Chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti [....] in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 è punito:

a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se si tratta di rifiuti non pericolosi;

b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se si tratta di rifiuti pericolosi.

L'art.30 prevede per l'appunto anche l'obbligo di iscrizione all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti, ora denominato semplicemente Albo.

A questo punto la domanda è lecita: si tratta di dimenticanza o si è voluto effettivamente limitare la sanzionabilità ai soli inadempimenti amministrativi da parte del gestore dell'impianto portuale di raccolta rifiuti? L'art.13 del Decreto Legislativo 24 giugno 2003, n. 182 non prevede altre sanzioni, né altri rinvii al sistema sanzionatorio delineato dal Ronchi.

Parrebbe quindi che il Dlgs 182/2003 preveda una disciplina speciale per i rifiuti ed i residui di carico delle navi, che non si correla con le disposizioni dettate dal Dlgs 22/1997 se non per una piccola parte.

Qui si può solo citare la Corte di Cassazione - III Sezione penale, Sentenza 28 febbraio - 29 aprile 2003, n. 393, che ha invece ritenuto di applicare integralmente le pene previste dall'art.51 del D.Lvo 22, prima ancora dell'entrata in vigore del D.Lvo 183, in considerazione del fatto che la raccolta e il trattamento delle acque di sentina è a tutti gli effetti un'operazione di smaltimento di rifiuti tale da richiedere un'autorizzazione secondo la disciplina dettata dal Ronchi e quindi, ne consegue, anche della relativa iscrizione all'Albo.

L’azione penale traeva origine dallo accertamento, effettuato dai C.C del Nucleo Operativo Ecologico di Genova, che la Società (...) utilizzava le bettoline sequestrate per prelevare acque di sentine dalle navi presenti nella rada del porto di Trieste e che, previa separazione per decantazione dei residui oleosi dall’acqua, vendeva i primi ad un’azienda di recupero (...) e conferiva le acque di risulta ad un impianto di smaltimento autorizzato, che provvedeva ad ulteriori procedimenti di depurazione e miscelazione.

Secondo il ricorrente la propria società non doveva munirsi di alcuna autorizzazione di cui al Dlgs n. 22/1997, sia perché, con riferimento alle operazione di trasporto, le acque di sentina dovevano essere considerate alla stregua di merci pericolose, sia perché non vi è stata alcuna operazione di trattamento delle stesse.

Il ricorso non è fondato.

Dispone l’articolo 57, comma 6 bis, del Dlgs n. 22/1997 (aggiunto dall’articolo 7, comma 24, del Dlgs 8.11.1997 n. 389) - la cui applicazione è stata invocata dal ricorrente -: "In attesa delle specifiche norme regolamentari e tecniche, da adottarsi ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera i), i rifiuti sono assimilati alle merci per quanto concerne il regime normativo in materia di trasporti via mare e la disciplina delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio in aree portuali. In particolare i rifiuti pericolosi sono assimilati alle merci pericolose". Risulta, pertanto, evidente dal riferimento testuale del dato normativo che la assimilazione dei rifiuti alle merci, pericolose e non pericolose a seconda della natura degli stessi, opera esclusivamente con riferimento alla fase del loro trasporto per via mare ed operazione ad esso connesse.

La equiparazione, non opera, quindi, con riferimento alle ordinarie operazioni di raccolta e di smaltimento dei rifiuti prodotti dalle navi nel corso e in conseguenza della navigazione, non riferendosi il dato normativo a tale tipo di operazioni. Peraltro, la disposizione richiamata, sia per il suo carattere transitorio, sia e soprattutto in quanto deroga alla ordinaria disciplina in materia di rifiuti, costituisce norma eccezionale e, pertanto, non è applicabile in via analogica ad attività diverse da quella indicata del trasporto dei rifiuti.

Il trasporto via mare : IMDG Code

Il trasporto di merci pericolose via mare è normato per cercare ragionevolmente di evitare danni alle persone, alle navi o ai carichi. Il trasporto di inquinanti è valutato al fine di evitare danni all’ecosistema. L’obiettivo principale dell’IMDG Code (International Maritime Dangerous Goods Code) è quello di aumentare la sicurezza dei trasporti delle merci pericolose facilitando il libero scambio di tali beni.

L’IMDG code è uno dei codici emanati dalla SOLAS (Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare) che l’Italia ha adottato con la legge n°313 del 23 maggio 1980. L’organismo internazionale al cui interno opera la SOLAS è l’International Maritime Organisation (IMO).

L’IMDG Code è riferito al trasporto delle merci pericolose in colli e recipienti (anche di grandi dimensioni). In Italia ci si riferisce all’IMDG Code in base al D.M. 31 ottobre 1991.

Esistono anche codici relativi al trasporto delle merci pericolose solide alla rinfusa (codice BC), liquide alla rinfusa (codice BCH e IBC) e gas liquefatti alla rinfusa (IGC).

Parallelamente alla convenzione SOLAS esiste la convenzione MARPOL che si occupa degli aspetti legati all’impatto ambientale e che consta in cinque "annessi".

 

 

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