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23 febbraio 2006

Anticipando quella che sarà la versione finale pubblicata sulla G.U. del nuovo testo unico in materia ambientale, quindi con il beneficio d’inventario che abbiamo già detto, apriamo le danze con l’esame delle novità che riguardano le disposizioni riguardanti il recupero dei rifiuti in regime c.d. semplificato, oggi ancora dettate dagli artt. 31, 33 e seguenti del D.Lvo 22/97.

Come si è avuto occasione di dire in più riprese su questo sito nell’applicazione delle procedure semplificate sui rifiuti nel nostro paese sono emerse diverse criticità, tra le quali, quella più preoccupante, il fatto che hanno finito per rappresentare la via preferenziale per l’esercizio di traffici illeciti.

Il D.L.vo 22/97 ha tradotto le indicazioni della Direttiva CEE/CEEA/CE n° 156 in un articolato che contiene i seguenti punti fermi:

    Con decreto sono adottate per ciascun tipo di attività le norme, che fissano i tipi e le quantità di rifiuti, e le condizioni in base alle quali le attività di smaltimento di rifiuti non pericolosi effettuate dai produttori nei luoghi di produzione degli stessi e le attività di recupero sono sottoposte alle procedure semplificate.

    Le norme e le condizioni citate devono garantire che i tipi o le quantità di rifiuti ed i procedimenti e metodi di smaltimento o di recupero siano tali da non costituire un pericolo per la salute dell’uomo e da non recare pregiudizio all’ambiente.

    La costruzione di impianti che recuperano rifiuti nel rispetto delle condizioni, delle prescrizioni e delle norme tecniche di cui ai commi 2 e 3 è disciplinata dal Dpr 24 maggio 1988, n. 203, e dalle altre disposizioni che regolano la costruzione di impianti industriali.

    La Provincia iscrive in un apposito registro le imprese che effettuano la comunicazione di inizio di attività ed entro 90 giorni verifica d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti. A tal fine alla comunicazione di inizio di attività è allegata una relazione dalla quale deve risultare: il rispetto delle norme tecniche e delle condizioni specifiche, il possesso dei requisiti soggettivi richiesti per la gestione dei rifiuti, le attività di recupero che si intendono svolgere, stabilimento, capacità di recupero e ciclo di trattamento o di combustione nel quale i rifiuti stessi sono destinati ad essere recuperati, le caratteristiche merceologiche dei prodotti derivanti dai cicli di recupero.

    Qualora la Provincia accerti il mancato rispetto delle norme tecniche e delle condizioni previste dispone con provvedimento motivato il divieto di inizio ovvero di prosecuzione dell’attività, salvo che l’interessato non provveda a conformare alla normativa vigente dette attività ed i suoi effetti entro il termine prefissato dall’amministrazione.

Come è noto sono stati emanati due decreti ministeriali che hanno regolamentato il recupero dei rifiuti pericolosi e non, il D.M. 5 febbraio 1998 e il D.M. 12 giugno 2002 n°161. In particolare attraverso il primo sono stati puntualizzati alcuni elementi che nel testo originale degli artt.31,32, 33 D.Lvo 22/97 potevano passare per generici. Per es. al comma 3 dell'art.1 del D.M 5 febbraio 1998 si ribadisce, chiarendo il concetto, che le attività, i procedimenti e i metodi di recupero di ogni tipologia di rifiuto, disciplinati dal decreto, devono rispettare le norme vigenti in materia di tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente, nonché di sicurezza sul lavoro.

Ora, se si intende garantire la collettività dagli effetti di operazioni di recupero svolte senza i requisiti fissati dalla normativa nazionale, è indispensabile che l'attenzione dell'ente di controllo sia appuntata sulle informazioni che si traggono dalla relazione che il decreto prevede.

In generale si può dire che le migliori garanzie di tutela ambientale si sono ottenute attraverso istruttorie condotte in modo esemplare, in quanto è nella fase della localizzazione e dell'esame progetto che possono essere individuate le soluzioni più idonee per ridurre, se non eliminare, eventuali fattori di incompatibilità. Istruttorie superficiali costituiscono invece l'anticamera dei problemi che inevitabilmente si creeranno a valle del processo. In sostanza l'efficacia dei controlli ex-post dipende in gran parte dall'accuratezza dell'esame documentale che viene svolto ex-ante sulla comunicazione del proponente. Se il piatto della bilancia penderà più a favore della prevenzione, minori saranno le risorse che dovranno essere spese per bonifiche e ripristini.

Ciò invece che si è verificato più spesso in occasione di fatti di cronaca riguardanti illeciti in materia di rifiuti è stato proprio la maniera approssimativa con cui si sono svolti gli accertamenti tecnico-amministrativi.

Non è quindi un caso che questo sia avvenuto nell'ambito delle procedure semplificate, dove la debolezza della pubblica amministrazione è oltremodo accentuata dalla mancanza di direttive chiare in proposito, oltre che dalla scadenza dei termini in silenzio-assenso.

Un altro elemento che concorre tuttora a lasciare ampi margini di incertezza nel processo che porta a riconoscere la sussistenza dei requisiti per avviare il recupero è che l'assunzione di notizie avviene senza che si ritenga necessario il supporto conoscitivo che sola può rendere una ispezione dei luoghi. E' un fatto che, salvo lodevoli eccezioni, le istruttorie si esauriscano tutte d'ufficio, a prescindere da quella che può essere la corrispondenza tra ciò che viene dichiarato e la realtà delle cose, mentre invece la programmazione di un sopralluogo ante operam può anticipare sorprese che potrebbero risultare ben più problematiche da gestire a lavori avviati.

Non solo. E' internazionalmente considerata buona pratica che il soggetto preposto ai controlli possa influenzare la predisposizione degli atti autorizzativi attraverso la proposta di prescrizioni e delle relative modalità di accertamento. Il coinvolgimento dell'ente che effettuerà la sorveglianza periodica sull'impianto, se attuato fin dalla fase di lettura delle relazioni, consegna un contributo importante all'esame delle circostanze esistenti, sia sotto il profilo della memoria storica che quello più diretto di una visita programmata.

Attraverso l'accertamento eseguito sullo stato dei luoghi la valutazione della veridicità delle asserzioni contenute nello schema di comunicazione si arricchisce così di maggiori riscontri. Che questo costituisca un tassello fondante della strategia mirata a prevenire gli illeciti piuttosto che a reprimerli quando il danno è ormai già stato fatto ne è buona dimostrazione il recente D.Lvo 24 giugno 2003 n° 209 "Attuazione della direttiva 2000/53/Ce relativa ai veicoli fuori uso."

All'art.6, comma 5 si dice quanto segue: "L'ammissione delle attività di recupero dei rifiuti derivanti da veicoli fuori uso alle procedure semplificate, ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997, è subordinata a preventiva ispezione da parte della Provincia competente per territorio, da effettuarsi entro sessanta giorni dalla presentazione della comunicazione di inizio di attività e, comunque, prima dell'avvio della stessa attività." E così si prosegue al successivo comma 6: "Nel caso che la Provincia competente per territorio, a seguito delle ispezioni previste al comma 5, accerta la violazione delle disposizioni stabilite allo stesso comma, vieta, previa diffida e fissazione di un termine per adempiere, l'inizio ovvero la prosecuzione dell'attività, salvo che il titolare dell'impianto non provveda, entro il termine stabilito, a conformare detta attività alla normativa vigente."

Sempre relativamente alle "prove in campo" effettuate nell’applicazione di questa novità procedurale rappresentata dall’art.33 si è espressa anche l’Unione delle Province Italiane UPI con un rapporto redatto congiuntamente ad ANPA e all’Osservatorio Nazionale Rifiuti ONR nell’ottobre 2001. Tra le analisi del rapporto questa è una delle più importanti:

Il rapporto si conclude poi con queste osservazioni:

Anche autorevoli commentatori si sono espressi sulle problematicità applicative delle procedure:

Pur rilevando doverosamente la grande importanza che tali procedure hanno avuto ed hanno nel favorire il ricorso al recupero in luogo dello smaltimento, è altrettanto necessario riconoscere che la difficoltà di controlli e l’aleatorietà di un procedimento amministrativo e tecnico preliminare all’inizio delle attività costituiscono un indubbio punto di debolezza ed una appetibile occasione per chi intenda mascherare, con falsi recuperi, reali attività illecite di gestione rifiuti.

Causa di questa situazione sono certamente in primo luogo una serie di evidenti lacune della legge, derivanti nel complesso dalla volontà della norma europea di assoggettare ad una procedura derogatoria (rispetto all’obbligo generale di autorizzazione) particolari procedure di gestione dei rifiuti destinate al recupero, creando di fatto i presupposti per sottrarre le attività stesse ad una seria, puntuale azione di controllo sia (e soprattutto) in fase preventiva che di esercizio.

Ma causa altrettanto significativa è certamente una diffusa interpretazione della norma che vorrebbe assegnare alla attività procedimentale della pubblica amministrazione un ruolo di mera verifica formale dei presupposti di accesso alle procedure derogatorie, con una drastica rinuncia alle prerogative di controllo – anche sostanziale – che ad essa è riservato in via generale nell’ambito della tutela ambientale e della gestione dei rifiuti in particolare.

……

E’ chiaro pertanto l’importanza assunta nell’ambito del procedimento in questione dal periodo di 90 giorni dalla comunicazione e, specificatamente, dalle verifiche d’ufficio che in tale periodo debbono essere compiute dalla Provincia. E ciò, nonostante la legge preveda che le stesse province siano obbligate a controllare, ad attività iniziata, l’effettivo rispetto delle norme per il recupero: una carenza nelle attività conoscitive da effettuare in sede di verifica d’ufficio rischia infatti, nella maggioranza dei casi, di mettere a serio rischio la stessa efficacia dei controlli in fase di esercizio.

Il comportamento amministrativo delle Province nella fase delle verifiche d’ufficio diviene dunque un momento discriminante per il successivo controllo della attività di recupero.

Attualmente, l’interpretazione che le diverse amministrazioni provinciali hanno inteso dare al senso delle "verifiche d’ufficio" è estremamente differenziata. In casi estremi, la verifica rischia di essere limitata ad una mera verifica formale della presenza della documentazione minima prevista dalla legge, senza alcun riscontro sui contenuti della comunicazione sotto l’aspetto tecnico e sostanziale. Il risultato, in tali situazioni, è quello di permettere l’inizio di attività di recupero che già all’origine sono difformi, nella realtà dei fatti, rispetto ai contenuti della legge e che sarà molto difficile ricondurre al rispetto delle norme una volta avviate. (Ing. Ernesto dello Vicario)

Nel merito delle tante critiche portate e anche delle soluzioni che in più occasioni sono state proposte ai più alti livelli istituzionali per le modifiche da apportare alle procedure semplificate, in questi anni nulla si è mosso. E’ sicuramente possibile che molte delle conseguenze registrate nel corso del tempo del diffuso ricorso all’art.33 del D.Lvo 22/97 per commettere illeciti ambientali o comunque per poter effettuare attività che in condizioni ordinarie sarebbero state sottoposte a maggiori vincoli e prescrizioni, se non vietate, ci sarebbero potuto essere risparmiate.

Se da una parte non si disconosce che una maggiore sensibilità delle amministrazioni preposte nel respingere le comunicazioni incomplete (o difformi, o palesemente false ecc.) e nel predisporre controlli accurati avrebbe fatto la differenza, dall’altra non è possibile sostenere che la tutela dell’ambiente, in particolare su una componente così delicata come quella della produzione, smaltimento o recupero dei rifiuti, si garantisca con il meccanismo del silenzio-assenso. Come si diceva già anni fa su questo sito: "..il fatto, incontrovertibile, è che si ritiene possa essere raggiunto un medesimo livello di tutela dell'ambiente senza sottoporre la domanda del richiedente ad un vero e proprio esame di conformità rispetto ai requisiti di legge, ma abbozzando una sorta di riconoscimento (la trascrizione nel registro imprese) basato quasi esclusivamente sulla veridicità delle dichiarazioni fornite, salvo appunto il contrario."

Di esempi da riportare ce ne sono stati tanti, basti per tutti quello che è avvenuto in Campania nel 2003:

Per mesi, ci sono state imprese che hanno gabbato i divieti dettati dall’emergenza e importato fanghi con il trucco delle doppie autorizzazioni, una regionale e l’altra provinciale. La prima non consente l’importazione di rifiuti. La seconda non cita il divieto. E tanto bastava per convincere le imprese del Nord, che non sapevano come liberarsi dei loro fusti, dei residui di lavorazione anche di rifiuti urbani, di liquami.

Una beffa della burocrazia e delle competenze, guarda un po’, detta procedura semplificata. E così, carte in regola, i trafficanti di veleni, facendosi pagare trasporto e smaltimento, hanno portato giù fanghi di aziende pubbliche e private milanesi, pavesi, venete, toscane. Materiale da trattare e poi smaltire in cave e vecchie discariche.

Ufficialmente, fanghi trasformati in fertilizzanti e inerti, oppure, in compost o quella che i tecnici chiamano Fos, frazione organica stabilizzata, materiale che dovrebbe essere riutilizzabile per le ricomposizioni ambientali.

Ebbene ora, con il nuovo testo unico, si è presentata l’occasione per mettere mano al testo dell’art.33, oggi diventato l’art.216. Contemporaneamente, nella conferenza Stato - Regioni del 24 novembre 2005, è stata approvata una nuova versione emendata del D.M. 5 febbraio 1998 relativo al recupero di rifiuti non pericolosi in procedura semplificata (entrambi sono disponibili nella rubrica documenti).

Un primo commento riguarda la compatibilità tra i due testi, considerato che tutti i presupposti giuridici sulla base dei quali viene emanato il nuovo D.M. 5 febbraio 1998 vengono abrogati dal testo unico. E’ vero che varrà una fase transitoria, ma è anche vero che la contestualità nella pubblicazione in G.U. dovrebbe richiedere un aggiornamento alle nuove disposizioni del decreto sul recupero. Ma lasciamolo stabilire agli affari giuridici.

Cosa prevede il nuovo art.216? La novità più importante è l’attribuzione delle competenze in materia all’Albo Gestori dei Rifiuti, presente in ogni città capoluogo di regione. E’ una decisione gravida di conseguenze, posto che comunque si mette mano ad una ripartizione dei poteri che non spetta allo Stato definire, ma semmai alle Regioni. Non a caso le Regioni sono sul piede di guerra, per questo ed altro ancora, vista la nulla considerazione che il Governo ha loro riconosciuto nella stesura del testo unico. Conclusione ancora più paradossale alla luce delle modifiche alla Costituzione improntate al modello di decentramento federalista della pubblica amministrazione.

In pratica le Province saranno esautorate dall’esame degli artt.216 che arriveranno dalle imprese. Stiamo parlando di migliaia di comunicazioni ogni anno. Non è nota la motivazione sulla base della quale si sia deciso di coinvolgere l’Albo. Certo che il tutto suona come una sonora bocciatura dell’operato delle Province. Ora si tratta di capire quali sono gli effettivi elementi di giudizio sulla base dei quali la Commissione dei Saggi ha ritenuto di modificare le competenze attuali: o le Province hanno lavorato poco e male, o, al contrario, hanno lavorato troppo, nel senso che hanno utilizzato quella sensibilità che si diceva per respingere molte delle comunicazioni arrivate.

Certamente, sia che si propenda per l’una o l’altra delle motivazioni, la soluzione è comunque peggiore del male.

Gli organici dell’Albo sono già sottodimensionati per il disbrigo delle competenze attuali, possiamo immaginare cosa significhi vedersi recapitare tutte le comunicazioni che annualmente sono esaminate dal personale preposto presso ognuna delle 110 Province d’Italia. Poiché, come si sa, terminati i 90 giorni dall’invio della comunicazione, l’impresa può iniziare l’attività nel silenzio dell’amministrazione preposta, abbiamo già un’idea di cosa ci aspetta.

Lo scollamento che già preesisteva nel testo precedente, non essendo considerato l’indispensabile rapporto tra enti di governo del territorio, Province e Comuni, rapporto che faticosamente in molti casi è stato recuperato grazie alla sensibilità dei singoli, qui è ulteriormente ampliato non solo per l’indirizzo scelto, quello di affidarsi ad un soggetto non istituzionale, ma anche per la stessa distanza fisica che si instaura tra i decisori. L’Albo valuterà solo gli aspetti meramente formali della comunicazione, non potendo certo disporre della conoscenza dei luoghi, delle lavorazioni, delle condizioni di ammissibilità di un insediamento in un punto del territorio regionale. Anche il rapporto con la Provincia verrà meno, non potendo certo ritenere possa essere assolto il dovere di informazione nei suoi confronti, solo attraverso la notizia (?!!) di quanto avverrà (è solo ridicolo pensare che le notizie partano entro 10 giorni dal ricevimento della comunicazione, basterebbe vedere quanto tempo impiega una missiva, una volta recapitata alla P.A., tra apertura, fascicolazione, protocollo, consegna all’ufficio, valutazione del dirigente, attribuzione, predisposizione dell’atto, firma, protocollo, fascicolazione, imbustaggio, spedizione.)

L’effettuazione dei controlli, peraltro previsti solo nel caso dei veicoli fuori uso, rifiuti elettrici e impianti di coincenerimento, non si riesce a capire come potranno essere svolti, in via preventiva, cioè prima dei 90 giorni, se alla Provincia non perverrà una copia della comunicazione completa di allegati (e possibilmente già istruita).

Un’altra perla, derivante dal fatto che l’Albo non ha potestà ordinatoria, non trattandosi di una amministrazione di governo, è l’indicazione che consegue ad una verifica di non conformità sulla comunicazione inviata. L’Albo, in questo caso, propone alla Provincia di emettere un divieto di inizio o prosecuzione di attività. Come è possibile che le Province emettano provvedimenti senza avere competenze in merito alla valutazione dei presupposti di fatto e di diritto in base ai quali la comunicazione può essere respinta?

Ancora oltre un secondo paradosso: con la procedura semplificata si autorizzano anche le eventuali emissioni in atmosfera che derivano dall’impianto per l’operazione di recupero da svolgersi. Ma se questa indicazione aveva un senso con le competenze in materia di emissioni in mano alle Province, adesso che passano all’Albo, sarà quest’ultimo che dovrà valutare anche la conformità di quanto emesso rispetto alle disposizioni vigenti. E con quali conoscenze tecniche?

Infine si aprono nuovi orizzonti per chi ha cattive intenzioni. Anche per aprire un centro di compostaggio di produzione di compost o di CDR dai rifiuti urbani basterà rivolgersi all’Albo, attendere (forse) i fatidici 90 giorni, e poi iniziare a portare rifiuti organici nel primo capannone sfitto che si trova a disposizione. Se sorge qualche problema si può lasciare tutto lì. E se la collettività protesta le colpe sono del Sindaco, naturalmente.

Tutto dipenderà naturalmente dal fatto che questo testo unico entri in vigore o se qualcosa cambierà prima, durante o dopo la sua pubblicazione. Certo che, se queste modifiche dovessero andare a regime, ne sentiremo presto parlare, purtoppo.

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