chiarimenti
29 ottobre 2002

Abitiamo in un piccolo centro frazionale dove abbiamo sempre avuto una elevata qualità della vita. Questo fino a un anno fa, da allora non si vive più. In una vecchia fabbrica dismessa a pochi passi dalle prime case, tra cui la nostra, nel giro di un mese si è insediata una grossa verniciatura industriale e lavorazioni varie che ci rovina la salute con i suoi scarichi, le puzze di solvente, i rumori di giorno e di notte, la plastica bruciata, i rifiuti accastati dove capita. Abbiamo chiamato i NOE, l'Arpa, l'Ausl. Tutti questi Enti hanno rilevato irregolarità e presentato denunce alla Magistratura per violazioni delle norme ambientali e sanitarie. L'impianto è stato perfino messo sotto sequestro, anche se dopo due giorni è stato tolto. Ma non è servito a niente, i problemi continuano come prima, più di prima. Abbiamo chiesto al Comune di intervenire, ma ci hanno risposto che non potevano a causa della DIA, cioè del fatto che la ditta ha autocertificato solo opere interne, senza chiedere alcuna concessione edilizia. Abbiamo interpellato anche la Provincia che risponde di essere competente solo per alcune emissioni, non tutte. E' stata emanata anche un'ordinanza come industria insalubre, ma non è mai stata rispettata. Ma insomma noi cosa dobbiamo fare perché questa ditta rispetti le regole, comprese quelle della normale convivenza? E' questo l'esempio? Qui le Istituzioni latitano, i controlli non funzionano e gli inquinatori prosperano sulla nostra salute.

Si vorrebbe credere che nel 2002 queste cose non accadano più. Invece accadono e nulla può essere più desolante delle considerazioni che si leggono in questa e-mail a proposito dell'esempio portato, salvo la constatazione che esistono ancora certe visioni del fare impresa che prescindono dai principi in cui ormai tutti si riconoscono. La missiva contiene diversi elementi di discussione, molti meritevoli di essere approfonditi. Proviamo ad andare per gradi cercando di evitare passaggi incomprensibili.

Il primo profilo che possiamo sviscerare è quello procedurale. Si intuisce dalla lettera che il nesso di tutta la vicenda scaturisce dal recupero di un vecchio edificio industriale evidentemente acquistato dalla ditta in questione e quindi riadattato all'uso, con poche modifiche interne. Se ci si addentra nella selva degli interrogativi sul fatto che sia possibile riaprire un'attività industriale a pochi passi dalle case, non se ne esce più. E' sufficiente riconoscere che vi sono dei diritti acquisiti da parte del proprietario dell'immobile, e cioè la destinazione d'uso del contenitore e la proprietà del contenitore stesso. E quindi è nel suo diritto, se non vi è stata modifica del Piano Regolatore, rivenderlo per lo stesso scopo produttivo. A questo punto la volontà dell'acquirente è quella di sfruttare rapidamente l'occasione trasferendovi un'attività già consolidata. Non ha necessità di molta spesa, basta alzare qualche muro, abbattere qualche divisoria e possono essere installati impianti e iniziate lavorazioni. Per permettersi questa tempestività adempie alle formalità che la legge effettivamente oggi ammette, quelle che, per determinate opere o progetti, è possibile presentare in Comune una DIA, acronimo di denuncia inizio attività.

Nella DIA il progettista a cui affidato l'incarico assevera che le opere interne sono realizzate conformemente ai requisiti edilizi, igienico-sanitari e di sicurezza previsti in questi casi. Dopo 20 giorni, in assenza di dinieghi da parte del Comune, l'attività può iniziare. A proposito della superficialità con cui sono state emanate queste norme abbiamo già parlato (una DIA e via!). Qui è sufficiente puntualizzare alcune cose. Fino al momento in cui entrerà in vigore il nuovo testo unico sull'edilizia, previsto per marzo 2003, l'elenco delle tipologie di intervento asseverabile con procedura semplificata è molto ridotto. Si tratta in sostanza di dodici categorie di progetti che si suppone presentino un rischio limitato, tanto da essere anche chiamate opere minori (1)

Non disponendo di maggiori ragguagli su quanto è stato asseverato si può pensare che effettivamente non possano essere mosse contestazioni sotto questo profilo, i requisiti da certificare sono cosa di non elevata difficoltà: rapporti aeranti, rapporti illuminanti, servizi adeguati, numero ricambi aria ecc.

Tuttavia la superficialità della norma che si diceva qui si svela al completo. Come dice il disposto del comma 10 dell'art. 4 della L.n.493 del 1996 i requisiti asseverabili sono quelli relativi alla "conformita' delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonche' il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie." Non sono citati i requisiti ambientali, il che, fa supporre, che non si sia voluto eccedere nella semplificazione. In ogni caso si sarebbe dovuto intervenire chiaramente sulle leggi che tutelano acqua, aria e suolo modificandole laddove queste prevedono una autorizzazione espressa. Questo non è avvenuto e l'attività di cui si discute non può aver altrettanto rapidamente concluso, in 20 giorni, gli iter procedurali per il rilascio dei permessi in materia di emissioni in atmosfera, attivazione scarichi idrici, installazione sorgenti rumorose, deposito temporaneo di rifiuti, tutte fattispecie che si applicano sicuramente nel caso di una verniciatura industriale.

La poca avvedutezza che ha spinto il legislatore sulla strada di rendere possibili certi eventi sta nell'aver voluto creare il mito illusorio del "tutto e subito", dando assicurazione che sia possibile tirare su un muro a prescindere dall'uso che si farà del contenitore. In questo modo si finisce per premiare la logica della separazione tra aspetto strutturale e connotazione gestionale, tra costruzione ed esercizio, il che, nell'ambito degli insediamenti di produzione beni e servizi, è scelta deleteria, come si dimostra.

Ma se ignoriamo, per ora, il completamento di questa filosofia spiccia che troverà attuazione nel testo unico e nelle ulteriori semplificazioni che si prospettano purtroppo all'orizzonte, non si può che non riconoscere invece la bontà di un altro provvedimento emesso in questi anni, quel regolamento semplificativo che va sotto il nome di Sportello Unico per le Imprese e pubblicato sulla G.U. con DPR 447/98.

Per essere brevi, quanto sostiene tale regolamento, già vigente al momento dei fatti narrati, è che c'è un'unica procedura per "la realizzazione, l'ampliamento, la ristrutturazione, la localizzazione, la cessazione, la riattivazione e la riconversione di impianti produttivi, l'esecuzione di opere interne ai fabbricati" e che tale procedura prevede sia in termini ordinari che semplificati il rilascio di un solo titolo autorizzatorio che comprende sempre l'esame dei profili in materia urbanistica, della sicurezza degli impianti, della tutela sanitaria e della tutela ambientale (nonché la insussistenza di vincoli sismici, idrogeologici, forestali ed ambientali, di tutela del patrimonio storico, artistico e archeologico incompatibili con l'impianto.).

Questi profili sono ulteriormente dettagliati nelle seguenti materie o discipline soggette a puntuale verifica da parte degli Enti :

a) la prevenzione degli incendi;
b) la sicurezza degli impianti elettrici, e degli apparecchi di sollevamento di persone o cose;
c) l'installazione di apparecchi e impianti a pressione;
d) l'installazione di recipienti a pressione contenenti GPL;
e) il rispetto delle vigenti norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro;
f) le emissioni inquinanti in atmosfera;
g) le emissioni nei corpi idrici, o in falde sotterranee e ogni altro rischio di immissione potenzialmente pregiudizievole per la salute e per l'ambiente;
h) l'inquinamento acustico ed elettromagnetico all'interno ed all'esterno dell'impianto produttivo;
i) le industrie qualificate come insalubri;
j) le misure di contenimento energetico.

Quindi la materia ambientale entra di diritto tra i profili che devono essere oggetto di verifica di conformità preventiva, al momento dell'esame del progetto, da parte degli Enti competenti chiamati ad esprimersi al tavolo dello sportello unico di turno. Non solo, per la stessa esiste una espressa deroga all'art. 6, che ribadisce la tutela delle forme autorizzative in luogo di quelle asseverative: "L'autocertificazione non può riguardare le materie di cui all'articolo 1, comma 3, nonché le ipotesi per le quali la normativa comunitaria prevede la necessità di una apposita autorizzazione.".

Che la verniciatura industriale rientrasse nella definzione di riattivazione o riconversione di una attività produttiva non vi sono dubbi. Se i lavori di ristrutturazione interna potevano attuarsi mediante DIA così non poteva essere per l'esercizio di una nuova attività: la domanda per la riconversione del ciclo produttivo avrebbe dovuto essere oggetto di una istruttoria coordinata dallo sportello unico secondo i criteri definiti dal regolamento. Si può tranquillamente azzardare che se la struttura comunale obbligatoriamente istituita ai sensi del decreto soprariportato avesse funzionato, molte delle ricadute ambientali delle nuove lavorazioni sarebbero state evitate. Si sarebbero richieste le insomorizzazioni sulle sorgenti rumorose, la sostituzione delle vernici a solvente con quelle ad acqua (non sempre possibile, ma spesso sì), la depurazione degli scarichi, la realizzazione di un'area idonea per lo stoccaggio dei rifiuti ecc.

E' presumibile che le denunce inoltrate all'Autorità Giudiziaria siano infatti da riferirsi alla sicura mancanza di queste autorizzazioni. Quanto detto sottolinea la evidenza di legge, non solo di buon senso, perché sulla parte che riguarda l'insediamento di un impianto, attività, infrastruttura non siano rese possibili scorciatoie amministrative. Le regole ci sono e vanno fatte rispettare.

Sul fatto che le regole"vanno" fatte rispettare alziamo un altro sipario.

Nelle discipline che abbiamo riportato sopra quali sono le Istituzioni che "fanno" rispettare le regole? Sono a vario titolo le Amministrazioni dello Stato, in particolare Regioni, Province, Comuni. In parte anche i Ministeri, ma ormai si tratta di una funzione residuale che con la modifica del Titolo V della Costituzione e del decentramento amministrativo tenderà a scomparire. Fare rispettare le regole significa disporre di un potere, di una autorità.

Nella materia ambientale si dice che sono le Amministrazioni ad essere "attive", cioè sono dotate delle funzioni e dei poteri che la legge loro attribuisce per garantire che il rilascio di permessi non confligga con le normali esigenze dei cittadini e che nell'esercizio non si violino le relative prescrizioni. Tra tutti c'è il potere-dovere di controllare e quello dell'ordinare. Se si verifica l'insussistenza di requisiti, la violazione di norme, l'Autorità può intervenire con provvedimenti perentori per il ristabilirsi delle condizioni di regolarità utilizzando forme impositive via via più stringenti dalla diffida, alla sospensione, alla chiusura di uno stabilimento. In linguaggio tecnico questi provvedimenti si chiamano "sanzioni complementari"

I NOE, le Ausl, le Arpa, il Corpo Forestale dello Stato ecc non sono autorità, ma organi di vigilanza ai quali le amministrazioni o i cittadini stessi possono rivolgersi per effettuare i controlli.

Quando questi rilevano inadempienze il potere-dovere di applicare un ordine spetta all'amministrazione che ne ha la competenza, l'autorità. Ai Sindaci spettano i poteri di ordinanza in materia di igiene e sanità, materia nella quale viene fatta confluire anche la tutela dell'ambiente in senso lato. Alle Regioni, Province e Comuni spettano altre forme a carattere ordinatorio a seconda della fattispecie normativa (emissioni, rifiuti, scarichi, rumore ecc.) e rispetto alla distribuzione dei compiti che è avvenuta all'interno di ogni specifica regione (purtroppo diversa di regione in regione, come si può capire dalla risposta della provincia interpellata, competente solo per alcune emissioni).

E quindi gli strumenti non mancano. I dubbi riguardano il loro uso effettivo.

Per prima cosa è necessario capire se i soggetti che effettuano i controlli si rapportano all'ente amministrativo che detiene le competenze, l'autorità. Frequentemente accade di verificare che gli organi di controllo chiamati a vigilare si riferiscano alla sola Autorità Giudiziaria, e non anche a quella amministrativa, quasi a considerare l'aspetto sanzionatorio come motivazione unica dell'accertamento. A volte, per una malinterpretata valutazione del segreto istruttorio, si compie l'errore di non informare l'amministrazione che deve prendere provvedimenti nei confronti del trasgressore.

Mentre, come si ribadisce spesso su queste pagine, questo rapporto è dirimente perchè le irregolarità si risolvano.

E' indispensabile che il soggetto che ha effettuato l'accertamento comunichi all'amministrazione gli esiti di queste verifiche, descriva le irregolarità riscontrate, chieda l'emanazione di un provvedimento. Ci si può spingere anche oltre, laddove l'ente che ha effettuato il sopralluogo sia in grado di mettere a disposizione non solo conoscenze giuridiche, ma anche tecniche o tecnologiche. In questa condizione è auspicabile, se non doveroso, che il soggetto controllore suggerisca almeno un primo ventaglio di interventi a carattere strutturale o gestionale per ricondurre a regolarità l'impianto visitato e ne stabilisca uno scadenziario. Quando il provvedimento emesso contiene le indicazioni per il ripristino e i relativi tempi, le probabilità di un successo sono molto maggiori. Per questo si sostiene che le attività di accertamento non possano prescindere da una buona conoscenza dei fattori di rischio e di pericolo delle lavorazioni e delle migliori soluzioni per ridurne gli impatti.

Naturalmente se si tratta di un processo complesso (impianto, infrastruttura o altro) è preferibile (come esperienza) sia prima presentato un piano di ripristino/risanamento i cui contenuti saranno oggetto di un attento esame che può preludere ad un via o ad un diniego. In questi casi, quando si deve fare i conti con la complessità, è inevitabile che i tempi per vedere la fine si allunghino.

Come ogni provvedimento anche le ordinanze, le diffide, le sospensioni, le chiusure, sono ricorribili al Tribunale Amministrativo Regionale e non è escluso che questa opportunità sia stata sfruttata anche nell'occasione che stiamo esaminando (ved.mancato rispetto di ordinanza in materia di industrie insalubri). Purtroppo l'eccesso di garantismo formale che contraddistingue le decisioni di questo organo giurisdizionale finisce per premiare spesso l'inadempiente, al quale basta contestare qualche vizio di notifica o qualche difetto di motivazione per vedersi confermata la sospensiva del provvedimento, nel giro di soli 15 giorni dalla richiesta. Poichè i difetti di motivazione sono spesso individuati nella mancanza di dati e dimostrazioni circa l'effettivo danno ambientale prodotto dall'insediamento irregolare, si rimarca ancora una volta l'importanza di una relazione tecnica sorretta da analisi ed elaborazioni sulle cause e sugli effetti che, utilizzata come indispensabile premessa all'ordinanza, permette poi di conseguire un esito favorevole alla pubblica amministrazione piuttosto che all'inadempiente.

Lo stesso vale per i sequestri di impianti non a norma attuati d'iniziativa da parte della polizia giudiziaria appartenente agli stessi organi di vigilanza sopra citati. Se il sequestro viene motivato solo sulla base di carenze ed omissioni di carattere formale è quasi inevitabile che non venga convalidato dal pubblico ministero e quindi decada dopo 48 ore, con lo sconcerto immaginabile di chi aveva considerato giusto questo provvedimento estremo. Tuttavia, proprio perchè si tratta di provvedimento estremo, è del tutto comprensibile come non se ne debba fare un uso sconsiderato, ma che debba essere attentamente ponderato sulla base delle conseguenze che si potrebbero avere sempre in termini di danno all'ambiente o alla salute. Il sequestro è convalidato quando è supportato da osservazioni congruenti e dimostrate dei pericoli legati alla libera prosecuzione del reato stesso, cioè quando l'organo di vigilanza è sceso nell'esame delle cause e degli effetti, in una parola nella sostanza delle cose.

Per secondo dobbiamo rilevare come sussista un ampio margine di discrezionalità per applicare questi provvedimenti, fino all'ipotesi di non emetterli del tutto scegliendo la via della contrattazione o la proposizione di paliativi o sostitutivi privi di valore ordinatorio (si rammenta che..., si invita a..). Questa strada può comunque ottenere risultati, ma solo quando l'impresa dimostra la più ampia disponibilità a correggerere le proprie inadempienze. E' chiaro che il clima positivo, l'abitudine a negoziare, il confronto tecnico, sono tutti fattori che contribuiscono alla buona conclusione della vicenda e, spesso, a chiudere con gli atteggiamenti miopi o i comportamenti incorretti.

In caso contrario si tratta di inutili perdite di tempo. Peraltro il mancato rispetto di un ordine è fattispecie sanzionabile ai sensi dell'art.650 del Codice Penale, il non rispetto di un invito non comporta nessuna conseguenza.

Quindi è bene sottolineare ancora una volta che, vista l'attuale separazione delle carriere tra soggetti che controllano ed autorità che applicano le disposizioni vigenti (caratteristica che contraddistingue il nostro Paese dagli altri Stati UE dove invece le Agenzie di Protezione Ambientale sono anche Autorità), non è possibile attribuire le mancate risposte in termini di tutela della salute e dell'ambiente ai soli controlli che non funzionano. La verità è che di controlli se ne fanno, anche in grande quantità, ma questi non sempre ottengono di essere tradotti in azioni corrispondenti da parte delle Istituzioni che sono riconosciute dalla legge come Autorità.

Per ultimo rimane da accennare al problema dei comportamenti trasgressivi che sembrano non avere fine, che perdurano incuranti nonostante proteste e petizioni e non accennano a correggersi neanche quando sono ripresi sotto il profilo penale o amministrativo. In una parola la mancanza di un deterrente efficace che faccia cessare gli atteggiamenti sprezzanti.

Nel sentire comune il degrado ambientale, le violazioni, si correggono applicando possibilmente "punizioni esemplari". Stabilito che le sanzioni le applicano sempre le autorità amministrative o giudiziarie che siano, l'effetto di deterrente che si ritiene esse contengano bisogna dire non è così efficace come si vorrebbe. Il motivo principale sta nella non certezza della pena. Perchè un procedimento sia portato alla prima udienza passano anni e sempre che non si incorra nella prescrizione del reato, eventualità del tutto prevedibile per la materia ambientale che ricade nell'ambito delle contravvenzioni, i cui tempi massimi di giudizio sono fissati in 4 anni e 6 mesi.

In ogni caso l'effetto deterrente è finalizzato al fatto che non si commettano altri reati.

Il problema vero è che il sistema sanzionatorio in materia ambientale non prevede ipotesi di ravvedimento, cioè non contiene correttivi degli effetti già prodotti e magari ancora in corso. In una parola, quando perdura una situazione di irregolarità, lo si deve al fatto che il processo sanzionatorio persegue solo i modi e i termini per punire il reato, senza curarsi dell'effettiva eliminazione delle irregolarità in essere e delle relative conseguenze. Vi sono sì alcuni riferimenti per alcune ipotesi di reato alla riduzione dell'entità della pena in caso di riparazione del danno (ved. circostanze attenuanti all'art.61 del D.Lvo 152/99, testo unico sulle acque), ma sono appunto indicazioni episodiche che non coprono tutta la materia.

In questo condizioni le circostanze attenuanti non incentivano alcun comportamento ravvedente ma, nella migliore delle ipotesi, qualche dimostrazione di buona volontà viene resa all'ultimo tempo utile, prima dell'apertura del dibattimento, e cioè a distanza di anni dal momento in cui è stata riscontrata la violazione. Il vero e proprio fattore limitante di queste opportunità, quando rientranti nel processo penale, è quindi rappresentato dai tempi lunghi di attuazione dei corsi della giustizia.

Anche per questi motivi il sistema sanzionatorio si sta spostando sempre più verso la depenalizzazione, o meglio, verso l'applicazione di sanzioni amministrative, in luogo di quelle penali, ritenendo che la contestazione immediata sia più efficace nel dissuadere i comportamenti in violazione di norme. Anche però per questo profilo, la legge che ne inquadra le caratteristiche procedurali, la L.689/81, non contiene indicazioni di riparazione del danno o ripristino delle regolari condizioni di esercizio come alternativa all'irrogazione di una sanzione piena. Anzi è vero il contrario, cioè che si deve applicare la sanzione al doppio del minimo o al terzo del massimo nel senso più favorevole all'interessato, senza alcuna preclusione o condizione.

Solo l'art.11 della legge sembra fornire i margini per discutere dell'entità della somma in relazione ad alcuni fatti che devono essere considerati, tra i quali la stessa gravità e l'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione. L'amministrazione procedente può quindi utilizzare estensivamente questo articolo nel senso di subordinare l'applicazione di una pena più mite all'effettiva dimostrazione di ottemperanza agli obblighi di ripristino e in tempi congrui rispetto al momento della segnalazione. Anche in questo caso tuttavia si tratta di una facoltà dell'Ente, non di un dovere, nè di un automatismo.

Perchè il sistema sanzionatorio acquisisca questo caratteristica correttiva come parte integrante del processo occorre che si vada ad applicare il modello già presente e funzionante nell'ambito della tutela dell'igiene e sicurezza dei lavoratori. Il D.Lvo 758/94 è un chiaro esempio di come si deve contestualizzare l'applicazione della pena e i termini per la regolarizzazione.

Questo prevede in sintesi che allo scopo di eliminare la contravvenzione accertata, l'organo di vigilanza, nell'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria di cui all'art 55 del codice di procedura penale, impartisce al contravventore un'apposita prescrizione, fissando per la regolarizzazione un termine non eccedente il periodo di tempo tecnicamente necessario. In nessun caso esso può superare i sei mesi. L'organo di vigilanza riferisce sempre al pubblico ministero la notizia di reato inerente alla contravvenzione ai sensi dell'art. 347 del codice di procedura penale. Entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza verifica se la violazione è stata eliminata secondo le modalità e nel termine indicati dalla prescrizione. Quando risulta l'adempimento alla prescrizione, l'organo di vigilanza ammette il contravventore a pagare in sede amministrativa, nel termine di trenta giorni, una somma pari al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la contravvenzione commessa. Entro cento venti giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'organo di vigilanza comunica al pubblico ministero l'adempimento o l'idampimento alla prescrizione, nonché l'eventuale pagamento della predetta somma. Il procedimento penale è sospeso fino al momento in cui il pubblico ministero riceve questa comunicazione. Se il contravventore ha adempiuto alla prescrizione il procedimento è archiviato, in caso contrario riprendono i termini della sua applicazione.

Concludendo, è tutto nell'interesse del contravventore adempiere tempestivamente alle prescrizioni dell'organo di vigilanza, sia perchè ottiene così di ridursi l'entità della somma da versare, che l'archiviazione del reato (e quindi la non menzione). Naturalmente è libero di scegliere di andare al dibattimento, se ritiene di essere non colpevole del reato ascrittogli.

Questa procedura, secondo molti colleghi che lavorano nel campo, ha incrementato in modo consistente il numero degli adempimenti riducendone altrettettanto drasticamente i tempi di esecuzione, comportando una vera e propria rivoluzione nel settore. E sebbene non possano essere escluse alcune ombre nel suo reale funzionamento, a parità di condizioni i benefici registrati sono molto maggiori dei costi. Per questo ci si augura che venga applicato anche in campo ambientale.

Tutto ciò detto si spera di aver fornito qualche considerazione utile al formarsi di un'opinione più chiara da parte di chi vive questa incresciose situazioni e ha perso la fiducia nelle Istituzioni. L'augurio è che la presente serva da stimolo perchè chi si trova, suo malgrado, a dover sopportare certi atteggiamenti o le conseguenze di inerzie e passività ricuperi il coraggio per farle funzionare davvero queste Istituzioni.

Note

(1) Le opere minori sono le seguenti:

a) opere di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo;
b) opere di demolizione, reinterri e scavi, che non riguardino la coltivazione di cave e torbiere;
c) occupazioni di suolo mediante deposito di materiali ed esposizioni di merci a cielo libero;
d) opere di eliminazione delle barriere architettoniche in edifici esistenti consistenti in rampe o ascensori esterni, ovvero in manufatti che alterino la sagoma dell'edificio;
e) mutamento di destinazione d'uso degli immobili senza opere a cio' preordinate nei casi in cui esista la regolamentazione di cui all'articolo 25, ultimo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, come sostituito dal comma 13 del presente articolo;
f) recinzioni, muri di cinta e cancellate;
g) aree destinate ad attivita' sportive senza creazione di volumetrie;
h) opere interne di singole unita' immobiliari che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechino pregiudizio alla statica dell'immobile;
i) impianti tecnologici al servizio di edifici o attrezzature esistenti e realizzazione di volumi tecnici che si rendano indispensabili, sulla base di nuove disposizioni, a seguito della revisione o installazione di impianti tecnologici;
l) varianti a concessioni gia' rilasciate che non incidano sui parametri urbanistici, e sulle volumetrie, che non cambino la destinazione d'uso e la categoria edilizia e non alterino la sagoma e non violino le eventuali prescrizioni contenute nella concessione edilizia;
m) parcheggi di pertinenza nel sottosuolo del lotto su cui insiste il fabbricato;
n) le altre opere individuate da legge regionale o provinciale.

 

 

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