leggi e sentenze
20 agosto 2004

C’è già stata occasione di dire che in periodo pre-ferie occorre seguire attentamente le cronache parlamentari perché è probabile che si approfitti del generale abbassamento di tensione per sferrare colpi bassi alla normativa ambientale. Cosa che è puntualmente avvenuta con un provvedimento balneare che più non si poteva, visto che la Legge 28 luglio 2004 n° 192, pubblicata sulla G.U. del 3 agosto, converte con modificazioni il decreto-legge 4 giugno 2004, n. 144, recante differimento della disciplina sulla qualita’ delle acque di balneazione.

Sarà stata per l’assonanza tra acque di balneazione e acque di scarico che il relatore della legge, tal On.Bergami, ha ritenuto di massimizzare il risultato portando a casa non una, ma due proroghe: oltre a quella sul contento dell’ossigeno delle acque di mare anche quella sul differimento dei termini di presentazione delle domande di autorizzazione allo scarico di acque domestiche ed industriali alla nuova data del 31 dicembre 2004, vista la scadenza del 3 agosto. Si sarà detto "abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno".

In effetti il decreto-legge 4 giugno 2004, n. 144 originariamente non conteneva una nuova proroga alla normativa sull’inquinamento idrico, ma l’emendamento è stato introdotto "in corso d’opera" dal relatore che, nella seduta al Senato, lo ha proposto e fatto approvare il 6 luglio 2004 con atto n° 2983. L’emendamento è criptico come si conviene nelle migliori occasioni:

All’articolo 1:

al comma 2, e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo: "I termini di cui all’articolo 10-bis del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 147, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 200, sono differiti al 31 dicembre 2004";

Sarà stato per la comprensibile difficoltà dei parlamentari nello svelare a quale norma originaria facesse rinvio l’emendamento in questione che tutta la discussione è stata catalizzata sull’altro versante, quello dell’eutrofizzazione dei nostri mari, lasciando nella pressoché totale indifferenza il passaggio relativo alle acque di scarico, come se non fossero in diretta relazione.

Si tratta purtroppo della seconda proroga. La prima era già stata approvata, sempre in regime vacanziero, con legge 1 agosto 2003 n° 200. Il differimento riguarda l’art.62, comma 11, del Decreto Legislativo 152/99.

Per comprendere la gravità di questi provvedimenti basti pensare che, con la scadenza in esame, si pone finalmente mano alla regolamentazione degli scarichi industriali preesistenti alla data del 13 giugno 1999, dopo 23 anni dalle prime disposizioni emanate con L.319/76. Forse non tutti sanno che molte imprese, attive fin da quegli anni, una volta ottenuta la prima autorizzazione allo scarico non hanno più dovuto chiedere alcun rinnovo nonostante le direttive comunitarie sulle acque prevedessero che questo avvenisse ogni quattro anni. Il nostro Paese ha subito una condanna dalla UE a questo proposito.

Il rinnovo ha una funzione ben precisa: la pubblica amministrazione coglie questa occasione per rivedere i contenuti dell’autorizzazione sia alla luce di eventuali modifiche normative intervenute sia di nuove tecnologie per il contenimento delle emissioni idriche. L’aver ignorato l’adempimento ha finito per premiare la stasi dei processi produttivi più inquinanti per i quali, in forza di autorizzazioni dai contenuti pressoché nulli sotto il profilo tecnico, nessun miglioramento è stato introdotto nel tempo.

A quanto detto si aggiunga che, con la precedente disposizione di proroga, era già stato annullato il rigore che, nelle intenzioni del legislatore del 1999, aveva ispirato la definizione di scarico industriale esistente, nella quale poteva rientrare solo quello scarico per il quale il titolare dell’attività aveva ottenuto un’autorizzazione espressa.

Con la formula dell’art.10 bis della L.200 la definizione è stata stravolta da un "ancorché non autorizzati" grazie al quale i titolari di scarichi esistenti, ma inadempienti, si sono ritrovati per le mani un utile salvacondotto.

Meno preoccupante dal punto di vista qualitativo, ma altrettanto significativo dal punto di vista quantitativo, il problema degli scarichi domestici. Accanto al più generale problema della depurazione collettiva, aggravata oltre che dai ritardi di anni anche dall’attuale pessimo stato delle finanze comunali, esiste quello delle case sparse, non collettate alle reti fognarie pubbliche. Quante sono le case sparse? Centinaia di migliaia. Come sono trattati gli scarichi provenienti da insediamenti di questo tipo? E’ l’incognita che si ripromette(va) di risolvere l’art.62 del decreto.

In effetti l’originaria L.319/76 non ne disponeva l’autorizzazione, ma rimandava alle Regioni il compito di regolamentare con apposita disciplina gli scarichi da insediamenti civili, con il risultato che, senza una norma unificatrice, ogni territorio ha sviluppato le sue abitudini e costumi. Con l’art.62 del D.Lvo 152/99 si rimette almeno il sistema nelle condizioni di funzionare, semprechè non si continui a rinviarne il momento dell’accensione.

In conclusione: ancora una brutta pagina.

 

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