leggi e sentenze
28 gennaio 2004

Con la recentissima ordinanza del 15 gennaio 2004 la terza sezione della Corte di Giustizia Europea, investita dalla magistratura italiana relativamente alla esclusione dalla nozione di rifiuto del sottoprodotto di raffinazione denominato pet-coke operata dal nostro Governo con apposita modifica legislativa, si è pronunciata definitivamente sulle questioni sollevate sostenendo che "il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE."

Il dispositivo merita di essere analizzato nelle sue parti principali in quanto in più di una conclusione è destinato a sollevare obiezioni e rimettere in discussione certezze (più o meno) acquisite.

Per un breve riassunto delle puntate precedenti è sufficiente ricordare che il pet-coke, secondo la definizione industriale è il prodotto che si ottiene dal processo di condensazione per piroscissione di residui petroliferi pesanti e oleosi fino ad ottenere un residuo di consistenza diversa, spugnosa o compatta (petroleum coke o pet coke). Nel processo di coking si realizza un craking termico spinto che dà origine, attraverso reazioni di piroscissione, a frazioni liquide e a coke, costituito per il 90-95% da carbonio. Il coke è costituito da idrocarburi aromatici policiclici ad alto peso molecolare e presenta un elevato tenore di carbonio e basso contenuto di ceneri.

Questo sottoprodotto, per l’elevato potere calorico ancora presente, è utilizzato da anni come combustibile nelle centrali termiche della raffineria AGIP di Gela. Il fatto tuttavia di utilizzare pet-coke al posto di un combustibile convenzionale era stato valutato nel marzo del 2002 da un perito di parte incaricato dalla locale Procura della Repubblica come una violazione alle normative ambientali in materia di emissioni e di rifiuti. Questo perché AGIP non si era preoccupata di richiedere le necessarie autorizzazioni. A ciò era seguito un clamoroso sequestro degli impianti comportante pesanti riflessi sotto il profilo sociale e dell’occupazione, tanto da richiedere un intervento urgente da parte del Governo che si era espresso per una modifica all’art.8 del D.Lvo 22/98, c.d Ronchi, modifica con la quale si finiva per escludere il pet-coke dal campo di applicazione della normativa rifiuti. Il Pubblico Ministero allora poneva fine al sequestro, ma il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Gela presentava domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea, a norma dell’art.234 CE, con ordinanza del 19 giugno 2002, sottoponendo le seguenti questioni:

1) Se il coke da petrolio rientri nella nozione di rifiuto fornita dall'art. 1 della direttiva 75/442;

2) se il suo utilizzo come combustibile costituisca attività di recupero a norma dell'art. 1 della direttiva 75/442;

3) se il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo rientri tra le categorie di rifiuti escludibili da uno Stato membro dall'applicazione della normativa comunitaria sui rifiuti, previa specifica regolamentazione a norma dell'art. 2 della direttiva 75/442;

4) se la sua utilizzabilità nel luogo di produzione anche nei processi di combustione mirati a produrre energia elettrica o termica con finalità non funzionali ai processi propri della raffineria, purché le emissioni rientrino nei limiti stabiliti dalle disposizioni in materia, anche se il suo contenuto di zolfo superi il 3% in massa, rappresenti una misura necessaria e sufficiente per assicurare che tale rifiuto sia recuperato senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente a norma dell'art. 4 della direttiva 75/442.

La pronuncia della terza sezione della Corte si è tutta incentrata sulla prima questione, ritenendo che le altre rimangano assorbite dalla prima.

Per quanto riguarda il campo di applicazione della nozione di rifiuto la Corte sostiene che "l'esecuzione di un'operazione menzionata negli allegati II A o II B della direttiva 75/442 non permette, di per sé, di qualificare una sostanza o un oggetto come rifiuto e che, inversamente, la nozione di rifiuto non esclude le sostanze ed oggetti suscettibili di riutilizzo economico. Il sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva 75/442 dev'essere infatti applicato a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, recupero o riutilizzo (v., in particolare, sentenza 18 aprile 2002, causa C-9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I-3533, punti 22, 27 e 29; in prosieguo: la "sentenza Palin Granit")."

Tuttavia la discussione ruota sul significato che si vuole dare a quel "disfarsi" utilizzato all'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Secondo la Corte un indizio utile a circoscrivere il termine e a provarlo nel concreto è se la sostanza utilizzata è un residuo di produzione, cioè un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale (sentenza 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e C-419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I-4475, punto 84).

Prendendo spunto sempre dalla sentenza Palin Granit, nella quale la Corte seppur precisando che "detriti derivanti dalla coltivazione di una cava di granito, che non si configurano come la produzione principale ricercata dall'esercente, costituiscono, in linea di principio, rifiuti", ha ritenuto di escluderli dal campo di applicazione della normativa in quanto il fatto dimostrabile che gli stessi detriti siano accantonati per il successivo riempimento delle gallerie, senza necessità di una trasformazione preliminare, costituisce la prova che non vi è la volontà di disfarsene da parte di chi li produce, anche la terza sezione ha seguito un percorso logico-deduttivo per arrivare a conclusioni analoghe.

Il giudice osserva preliminarmente che "non vi è alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni della direttiva 75/442, che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti".

In pratica si tratta di esaminare caso per caso e accertare se vi siano le condizioni per un riutilizzo di sostanze che, pur incidentalmente prodotte durante un processo industriale, hanno ancora la dignità di materia prima o di prodotto, indipendentemente da qualsiasi trasformazione. Bisogna cioè conseguire la certezza che il sottoprodotto sia effettivamente utile nell’ambito del processo che l’ha generato. A questo primo criterio si aggiunge quello dell’elevato grado di probabilità nel riutilizzo qualora "il detentore consegua un vantaggio economico nel farlo". Non di meno aiuta anche l’esistenza di una legislazione in concorrenza con la normativa rifiuti, alla quale assoggettare tali prodotti nell’ambito dello stesso processo.

Qualora sia invece previsto un trattamento si rende necessario valutare se questo costituisce una modalità corrente di trattamento dei rifiuti. Oppure se l’utilizzo del sottoprodotto ne comporta la scomparsa o richiede speciali precauzioni per la protezione dell’ambiente. Tuttavia quest’ultimi sono considerati criteri che soccombono ai primi in quanto ad importanza.

Quindi riassumendo:

  1. la sostanza è stata ricercata in quanto tale nell’ambito del processo industriale;
  2. ne è dimostrata l’effettiva riutilizzabilità senza ulteriori trasformazioni nello stesso processo;
  3. ne è dimostrata la convenienza economica e quindi è il riutilizzo è ancora più probabile;
  4. è già sottoposta ad una regolamentazione speciale per quel tipo di prodotto;
  5. se sottoposta ad una trasformazione non vi sono analogie con i trattamenti correnti dei rifiuti;
  6. il trattamento non provoca la scomparsa della sostanza in questione;
  7. non sono necessarie particolari precauzioni in aggiunta a quelle già presenti per la tutela dell’ambiente.

L’applicazione dei criteri suesposti nel caso pet-coke porta la Corte a osservare quanto segue.

"Il coke da petrolio, composto di carbone solido e di quantità variabili di impurità, che costituisce una delle numerose sostanze derivanti dal processo di raffinazione del petrolio, è, secondo le osservazioni presentate, volontariamente prodotto nella raffineria di Gela, tenuto conto delle caratteristiche del petrolio grezzo che vi è trattato." Primo motivo per non considerarlo un rifiuto.

Una conferma sulla riutilizzabilità del pet-coke come prodotto, e non come rifiuto, viene peraltro dal documento di riferimento (BREF) del settore petrolifero predisposto dal work technical group incaricato dalla UE, nell’ambito del processo di Siviglia, di redigere le Migliori Tecnologie Disponibili per l’applicazione della direttiva in materia di prevenzione e controllo integrati dell’inquinamento (IPPC). In questo documento si legge che "il coke da petrolio viene ampiamente utilizzato come combustibile nei cementifici ed in siderurgia. Esso può essere anche utilizzato come combustibile nelle centrali elettriche se il suo contenuto di zolfo è sufficientemente basso. Il coke è utilizzabile anche in altri modi, come materia prima per la fabbricazione di prodotti a base di carbone e di grafite".

Le indicazioni del BREF sono tradotte in concreto nella realtà della raffineria di Gela perché l’uso del pet-coke è proprio quello di combustibile nelle centrali di produzione energia. In questo modo vi è indubbiamente un vantaggio economico nell’utilizzarlo al posto di combustibile convenzionale il cui costo è verosimilmente più alto. Inoltre "anche se il coke da petrolio in questione è il risultato automatico di una tecnica che genera in parallelo altre sostanze petrolifere, il cui ottenimento costituirebbe l'obiettivo prioritario della direzione, occorre tenere conto che, poiché l'utilizzo dell'insieme della produzione di coke è certo ed effettuato essenzialmente per gli stessi tipi di uso di quelli di tali altre sostanze, il detto coke da petrolio è a sua volta un prodotto petrolifero fabbricato in quanto tale e non un residuo di produzione."

Il fatto poi che le modalità di trattamento ricordino operazioni correnti di trattamento dei rifiuti (incenerimento) non viene giudicato rilevante, "poiché lo scopo di una raffineria è precisamente quello di produrre diversi tipi di combustibile a partire dal petrolio grezzo."

"Inoltre, non sono rilevanti nemmeno gli eventuali indizi collegati, da un lato, all'assenza di un utilizzo diverso da quello comportante la scomparsa della sostanza in questione (indizio in questo caso non confermato, poiché il coke da petrolio può essere utilizzato come materia prima per la fabbricazione di prodotti a base di carbone e di grafite) e, dall'altro, alla circostanza che il suo impiego debba avvenire in particolari condizioni di precauzione per l'ambiente (indizio confermato nella fattispecie), poiché tali indizi si applicano ai residui di produzione e il coke da petrolio prodotto ed utilizzato alle condizioni precedentemente indicate non corrisponde a tale qualificazione, come risulta dal punto precedente della presente ordinanza."

Tutto ciò premesso "occorre quindi rispondere alla prima questione dichiarando che il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie, non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442."

Ora, come detto all’inizio, c’è da attendersi un certo numero di interventi favorevoli o contrari agli enunciati e alle massime tradibili dall’ordinanza pet-coke. Lasciamo ai giuristi e agli specialisti in diritto ambientale tutto lo spazio per confutare i contenuti della complicata trama ordita dal giudice comunitario. Se interessa, il punto di vista di chi scrive, in qualità di tecnico che esercita compiti e funzioni di ispezione e controllo dell’applicazione di leggi e regolamenti nella materia ambientale, è il seguente.

Il criterio della "volontarietà" riguardo alla produzione di una sostanza che potrebbe rientrare nella nozione di rifiuto nel caso di specie è, in generale, aleatorio. Si possono portare diversi esempi. Il più immediato è proprio quello portato nel caso trattato, la formazione cioè di uno scarto potenzialmente riutilizzabile per produrre energia. Chiunque può sostenere di essere interessato alla utilizzabilità della sostanze in un ciclo energetico e quindi di riconoscere il processo che le genera come parte integrante delle operazioni primarie che si stanno conducendo.

La dimostrazione dell’effettiva riutilizzabilità è più semplice a dirsi che a farsi. Occorrerebbe raccogliere dal vivo queste dimostrazioni e non è detto che sia sempre possibile tecnicamente o non è scontato che l’effettivo utilizzo cessi non appena si riduca l’attenzione. In ogni caso non può essere considerata prova a supporto il fatto che da qualche parte, con qualche successo, qualcuno sta concretamente sfruttando le potenzialità delle sostanze di scarto di cui si discute. Le condizioni perchè ciò avvenga non sono sempre riproducibili in ogni contesto.

Sulla convenienza economica si può discutere a lungo. E’ sufficiente tuttavia osservare anche in questo caso che, in un’ottica costi - benefici, non c’è alcuna convenienza a smaltire i rifiuti, è un onere che si vorrebbe evitare.

Riguardo alla presenza di una regolamentazione che comunque copra il ciclo di vita del non-rifiuto, garantendo una pari garanzia in termini di protezione ambientale non si può che condividere. Anzi, proprio in questo sito, è stato più volte sostenuto come tutto il dibattito rifiuto-non rifiuto rischi di fossilizzarsi in una difesa ad oltranza di principi informatori senza tenere conto di quello che è il problema reale di tutta la vicenda: se si esclude una sostanza dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti non c’è alcuna tutela alternativa rispetto ai danni che possono essere causati da una sua cattiva gestione. Quello che serve è una regolamentazione anche dei non-rifiuti, in tutti i casi in cui questi non-rifiuti possono rappresentare un rischio per la collettività. Per fare l’esempio della sentenza Palin Granit i rifiuti minerari la cui produzione, per alcuni aspetti, può comportare conseguenze sotto il profilo ambientale, sono ragionevolmente da escludere dal campo di applicazione della normativa rifiuti se, e solo se, siano oggetto di una speciale regolamentazione che, prevedendone gli obblighi, garantisca un pari grado di tutela.

Rispetto agli altri criteri è singolare osservare come la stessa Corte li consideri meno significativi. Il mettere in evidenza come siano necessarie particolari precauzioni in aggiunta a quelle già presenti per la tutela dell’ambiente è invece una considerazione da sviluppare appieno. E’ proprio il fatto che certe operazioni costituiscono una modifica sostanziale dell’impatto generato da una determinata attività la spia in grado di dimostrare come questo elemento di novità non debba rimanere sotto silenzio. Serve cioè entrare più nel concreto e creare gli strumenti tecnico-legali sulla base dei quali far apparire le differenze tra la gestione ordinaria di un processo di produzione beni e servizi e quella che se ne discosta sensibilmente.

 

Letture correlate:

 

L’Ordinanza pet-coke è disponibile sul sito della Corte di Giustizia Europea dal quale è stata estratta e qui pubblicata, previa citazione della fonte.

 

ORDINANZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

15 gennaio 2004

"Art. 104, n. 3, del regolamento di procedura - Direttive 75/442/CEE e 91/156/CEE - Gestione dei rifiuti - Nozione di rifiuto - Coke da petrolio"

Nel procedimento C-235/02,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell'art. 234 CE, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gela nel procedimento penale dinanzi ad esso pendente contro

Marco Antonio Saetti

e

Andrea Frediani,

domanda vertente sull'interpretazione degli artt. 1, lett. a) ed f), 2, n. 2, lett. b), e 4 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32),

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig. C. Gulmann, facente funzione di presidente della Terza Sezione, dal sig. J.-P. Puissochet (relatore) e dalla sig.ra F. Macken, giudici,

avvocato generale: sig.ra Kokott

cancelliere: sig. R. Grass

informato il giudice del rinvio dell'intenzione della Corte di statuire con ordinanza motivata in conformità all'art. 104, n. 3, del regolamento di procedura,

invitati gli interessati di cui all'art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia a presentare le loro eventuali osservazioni in merito,

sentito l'avvocato generale,

ha emesso la seguente

Ordinanza

1.

Con ordinanza 19 giugno 2002, pervenuta in cancelleria il 26 giugno seguente, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gela ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art. 234 CE, quattro questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 1, lett. a) ed f), 2, n. 2, lett. b), e 4 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la "direttiva 75/442").

2.

Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un procedimento penale a carico dei sigg. Saetti e Frediani, rispettivamente direttore ed ex direttore della raffineria di petrolio di Gela gestita dall'AGIP Petroli SpA, accusati in particolare di non avere rispettato la legislazione italiana in materia di rifiuti.

Ambito giuridico

La normativa comunitaria

3.

L'art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442 definisce il rifiuto come "qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi".

4.

L'allegato I della direttiva 75/442, intitolato "Categorie di rifiuti", menziona in particolare, al suo punto Q 8, i "[r]esidui di processi industriali (ad esempio scorie, residui di distillazione, ecc.)" e, al suo punto Q 16, "[q]ualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate".

5.

L'art. 1, lett. a), secondo comma, della direttiva 75/442 affida alla Commissione delle Comunità europee il compito di compilare "un elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all'allegato I". Tale è l'oggetto della decisione della Commissione 3 maggio 2000, 2000/532/CE, che sostituisce la decisione 94/3/CE che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442 e la decisione 94/904/CE del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/CEE del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi (GU L 226, pag. 3). Tale elenco è stato modificato dalle decisioni della Commissione 16 e 22 gennaio 2001 e del Consiglio 23 luglio 2001, rispettivamente 2001/118/CE, 2001/119/CE e 2001/573/CE (GU L 47, pagg. 1 e 32, e L 203, pag. 18), ed è entrato in vigore il 1° gennaio 2002. Vi figurano, al capitolo 05, sezione 01, i "rifiuti della raffinazione del petrolio". La detta sezione enumera diversi tipi di rifiuti ed include una posizione 05 01 99 intitolata "rifiuti non specificati altrimenti". La nota preliminare dell'elenco precisa che si tratta di un elenco armonizzato che verrà rivisto periodicamente, ma che, tuttavia, "l'inclusione di un determinato materiale nell'elenco non significa che tale materiale sia un rifiuto in ogni circostanza. La classificazione del materiale come rifiuto si applica solo se il materiale risponde alla definizione di cui all'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442".

6.

L'art. 1, lett. c), della direttiva 75/442 definisce il "detentore" come il "produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene".

7.

L'art. 1, lett. d), della detta direttiva definisce la "gestione" dei rifiuti come "la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni nonché il controllo delle discariche dopo la loro chiusura".

8.

L'art. 1, lett. e) ed f), della direttiva 75/442 definisce lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti come tutte le operazioni previste, rispettivamente, nei suoi allegato II A e II B. Tali allegati sono stati adattati al progresso scientifico e tecnico dalla decisione della Commissione 24 maggio 1996, 96/350/CE (GU L 135, pag. 32). Tra le operazioni di recupero enumerate all'allegato II B figura, al punto R 1, l'"[u]tilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia".

9.

L'art. 2 della direttiva 75/442 così dispone:

"1. Sono esclusi dal campo di applicazione della presente direttiva:

a) gli effluenti gassosi emessi nell'atmosfera;

b) qualora già contemplati da altra normativa:

(...)

ii) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;

(...)

2. Disposizioni specifiche particolari o complementari a quelle della presente direttiva per disciplinare la gestione di determinate categorie di rifiuti possono essere fissate da direttive particolari".

10.

L'art. 3, n. 1, della direttiva 75/442 dispone in particolare che gli Stati membri adottano le misure appropriate per promuovere il recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo o ogni altra azione intesa a ottenere materie prime secondarie. L'art. 4 della stessa direttiva precisa che gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e in particolare senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora, e senza danneggiare il paesaggio.

11.

Gli artt. 9 e 10 della direttiva 75/442 precisano che tutti gli stabilimenti o imprese che effettuano operazioni di smaltimento dei rifiuti od operazioni dirette ad un possibile recupero dei rifiuti devono ottenere un'autorizzazione dall'autorità competente.

12.

Una dispensa dall'autorizzazione è tuttavia prevista, a determinate condizioni, dall'art. 11 della direttiva 75/442.

La normativa nazionale

13.

La direttiva 75/442 è stata recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recante attuazione delle direttive 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio (GURI 15 febbraio 1997, Supplemento ordinario, n. 38), ulteriormente modificato dal decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389 (GURI 8 novembre 1997, n. 261; in prosieguo: il "decreto legislativo n. 22/97").

14.

Il decreto legislativo n. 22/97 definisce i rifiuti in maniera identica alla direttiva 75/442. Per la gestione di certi tipi di rifiuti esso esige un'autorizzazione amministrativa. In certi casi, la mancanza di autorizzazione è sanzionata penalmente.

15.

Dopo l'avvio dei procedimenti oggetto della causa principale, è intervenuto il decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, recante disposizioni urgenti per l'individuazione della disciplina relativa all'utilizzazione del coke da petrolio (pet-coke) negli impianti di combustione (GURI 8 marzo 2002, n. 57). Tale testo, da un lato, ha escluso il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso industriale dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 22/97 e, dall'altro, ha disciplinato il suo utilizzo negli impianti di combustione secondo le modalità seguenti:

"1. Negli impianti di combustione con potenza termica nominale, per singolo focolare, uguale o superiore a 50 MW, è consentito l'uso del coke da petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 3 per cento in massa.

2. L'uso del coke da petrolio nel luogo di produzione è consentito (...) [anche se il tenore di zolfo è superiore al 3%].

3. Negli impianti in cui durante il processo produttivo i composti dello zolfo siano fissati o combinati in percentuale non inferiore al 60 per cento con il prodotto ottenuto è consentito l'uso del coke da petrolio con contenuto di zolfo non superiore al 6 per cento in massa.

4. E' in ogni caso vietato l'utilizzo del coke da petrolio nei forni per la produzione della calce impiegata nell'industria alimentare".

16.

Lo stesso decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, è stato modificato dalla legge 6 maggio 2002, n. 82, recante conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, recante disposizioni urgenti per l'individuazione della disciplina relativa all'utilizzazione del coke da petrolio (pet-coke) negli impianti di combustione (GURI 7 maggio 2002, n. 105). In tale occasione, è stato precisato che il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo era escluso dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 22/97. L'art. 2, secondo comma, del detto decreto legge, citato al punto precedente della presente ordinanza, è stato completato come segue:

"[L]'uso del coke da petrolio è consentito nel luogo di produzione anche per processi di combustione mirati a produrre energia elettrica o termica con finalità non funzionali ai processi propri della raffineria, purché le emissioni rientrino nei limiti stabiliti dalle disposizioni in materia".

Controversia principale e questioni pregiudiziali

17.

In seguito a denunce riguardanti l'attività della raffineria di petrolio di Gela, il pubblico ministero presso il Tribunale di Gela ha disposto una perizia tecnica nello stabilimento. Detta perizia tecnica ha accertato che la raffineria utilizzava il coke da petrolio, risultante dalla raffinazione del petrolio grezzo, come combustibile per la centrale di cogenerazione di vapore e di elettricità, in cui la maggior parte dell'energia prodotta è utilizzata per la stessa raffineria, ma le cui eccedenze di produzione elettrica vengono vendute ad altre industrie o alla società elettrica ENEL SpA.

18.

Il pubblico ministero ha ritenuto che il coke da petrolio costituisse un rifiuto soggetto al decreto legislativo n. 22/97 e, poiché questo era depositato ed utilizzato senza l'autorizzazione amministrativa prescritta da tale norma, ha accusato i sigg. Saetti e Frediani del reato di inosservanza delle prescrizioni relative a tale autorizzazione. Per di più, il pubblico ministero ha ottenuto dal Giudice per le indagini preliminari il sequestro dei due depositi di coke da petrolio che alimentano la centrale di cogenerazione della raffineria.

19.

Poiché, dopo l'entrata in vigore del decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, menzionato al punto 15 della presente ordinanza, l'utilizzo del coke da petrolio è autorizzato a determinate condizioni dalla nuova normativa italiana, il pubblico ministero ha posto fine al sequestro.

20.

Per quanto riguarda la conduzione dei procedimenti dopo l'entrata in vigore del detto decreto legge e della legge 6 maggio 2002, n. 82, menzionata al punto 16 della presente ordinanza, il Giudice per le indagini preliminari si chiede, in sostanza, se le autorità italiane avessero il potere di escludere dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 22/97 il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso industriale e per l'attività delle raffinerie di petrolio, tenuto conto della direttiva 75/442. Il Giudice per le indagini preliminari è particolarmente incline a pensare che il coke da petrolio costituisca un rifiuto ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442 e che, in assenza di una normativa comunitaria relativa al coke da petrolio, quale quella prevista dall'art. 2, n. 1, lett. b), della detta direttiva, le autorità nazionali non potessero escluderlo dal campo di applicazione del decreto legislativo n. 22/97, adottato per il recepimento della detta direttiva.

21.

Alla luce di queste circostanze il Giudice per le indagini preliminari ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

"1) Se il coke da petrolio rientri nella nozione di rifiuto fornita dall'art. 1 della direttiva 75/442;

2) se il suo utilizzo come combustibile costituisca attività di recupero a norma dell'art. 1 della direttiva 75/442;

3) se il coke da petrolio utilizzato come combustibile per uso produttivo rientri tra le categorie di rifiuti escludibili da uno Stato membro dall'applicazione della normativa comunitaria sui rifiuti, previa specifica regolamentazione a norma dell'art. 2 della direttiva 75/442;

4) se la sua utilizzabilità nel luogo di produzione anche nei processi di combustione mirati a produrre energia elettrica o termica con finalità non funzionali ai processi propri della raffineria, purché le emissioni rientrino nei limiti stabiliti dalle disposizioni in materia, anche se il suo contenuto di zolfo superi il 3% in massa, rappresenti una misura necessaria e sufficiente per assicurare che tale rifiuto sia recuperato senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente a norma dell'art. 4 della direttiva 75/442".

Sulla ricevibilità

22.

I sigg. Saetti e Frediani sostengono innanzi tutto che il procedimento nell'ambito del quale è intervenuto il Giudice per le indagini preliminari non è un procedimento di carattere giurisdizionale che permetta il rinvio alla Corte in via pregiudiziale ai sensi dell'art. 234 CE. Secondo loro, il procedimento penale ha tale carattere solo a partire dal rinvio a giudizio, salvo casi particolari non rilevanti nella fattispecie.

23.

Tale argomento va respinto. La Corte ha giudicato in maniera costante che il giudice istruttore penale o il magistrato che esercita l'attività di istruzione penale costituiscono giurisdizioni ai sensi dell'art. 234 CE, chiamate a statuire in maniera indipendente e secondo diritto sulle cause per le quali la legge attribuisce loro la competenza, nell'ambito di un procedimento destinato a terminare con una decisione di carattere giurisdizionale (v., in particolare, sentenze 24 aprile 1980, causa 65/79, Chatain, Racc. pag. 1345, e 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò/X, Racc. pag. 2545, punto 7).

24.

I sigg. Saetti e Frediani fanno valere, in secondo luogo, che l'interpretazione del diritto comunitario richiesta alla Corte è inutile in quanto, dopo l'intervento del decreto legge 7 marzo 2002, n. 22, e della legge 6 maggio 2002, n. 82, essi non sono più penalmente perseguibili secondo il diritto nazionale per i fatti che hanno dato luogo al procedimento principale. Orbene, qualunque possa essere l'interpretazione del diritto comunitario, la direttiva 75/442 non sarebbe opponibile in quanto tale a un soggetto e non potrebbe, di per sé, servire da fondamento diretto a procedimenti penali. Questi dovrebbero quindi, in ogni caso, essere archiviati e l'interpretazione della direttiva non avrebbe alcuna incidenza. Anche per tale ragione il rinvio alla Corte sarebbe irricevibile.

25.

Tale argomento va ugualmente respinto. E' vero che una direttiva di per sé non può creare obblighi a carico di un soggetto e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti dello stesso (v., in particolare, sentenza 14 settembre 2000, causa C-343/98, Collino e Chiappero, Racc. pag. I-6659, punto 20). Allo stesso modo, una direttiva non può avere l'effetto, di per sé ed indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni (v., in particolare, sentenze 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen, Racc. pag. 3969, punto 13, e 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro, Racc. pag. I-4705, punto 37).

26.

Nella fattispecie, da un lato, è tuttavia pacifico che, all'epoca dell'accertamento dei fatti all'origine dei procedimenti penali a carico dei sigg. Saetti e Frediani, tali fatti potevano, eventualmente, costituire reati punibili penalmente. Orbene, non spetta alla Corte interpretare o applicare il diritto nazionale al fine di determinare le conseguenze dell'intervento posteriore di norme nazionali in forza delle quali tali fatti non costituiscono più reati (v., in tal senso, sentenza 25 giugno 1997, cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-224/95, Tombesi e a., Racc. pag. I-3561, punti 42 e 43).

27.

D'altro lato, dall'ordinanza di rinvio risulta che, secondo l'interpretazione che la Corte darà della direttiva 75/442, i procedimenti in causa potrebbero portare incidentalmente ad un rinvio dinanzi alla Corte costituzionale, finalizzato ad un giudizio di legittimità sulle norme nazionali.

28.

A tale proposito occorre ricordare che spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità della decisione giurisdizionale da pronunciare, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale al fine di poter pronunciare la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull'interpretazione del diritto comunitario, la Corte, in linea di principio, è tenuta a statuire (v. sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, Racc. pag. I-4921, punto 59).

29.

Benché la Corte abbia anche giudicato che, in ipotesi eccezionali, le spetta esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza, essa ha precisato che può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale solo qualora risulti manifestamente che l'interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcuna relazione con la realtà o con l'oggetto della causa principale, oppure qualora il problema sia di natura teorica, oppure nel caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (v. sentenza 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I-2099, punto 39). Tale caso non ricorre nella fattispecie.

30.

Le questioni pregiudiziali sono pertanto ricevibili.

Sulle questioni pregiudiziali

31.

In considerazione del fatto che la risposta alle questioni proposte può essere facilmente dedotta dalla giurisprudenza, la Corte, in conformità all'art. 104, n. 3, del suo regolamento di procedura, ha informato il giudice del rinvio circa la sua intenzione di pronunciarsi con ordinanza motivata e ha invitato gli interessati indicati dall'art. 23 dello Statuto della Corte di giustizia a presentare le loro eventuali osservazioni in merito. I sigg. Saetti e Frediani, i governi italiano e svedese nonché la Commissione hanno dichiarato di non riscontrare inconvenienti nel ricorso a tale procedura.

Sulla prima questione

32.

Con tale questione il giudice del rinvio chiede se il coke da petrolio costituisca un rifiuto ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442.

33.

Il campo di applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significato del termine "disfarsi", utilizzato all'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. La Corte ha precisato che l'esecuzione di un'operazione menzionata negli allegati II A o II B della direttiva 75/442 non permette, di per sé, di qualificare una sostanza o un oggetto come rifiuto e che, inversamente, la nozione di rifiuto non esclude le sostanze ed oggetti suscettibili di riutilizzo economico. Il sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva 75/442 dev'essere infatti applicato a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, recupero o riutilizzo (v., in particolare, sentenza 18 aprile 2002, causa C-9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I-3533, punti 22, 27 e 29; in prosieguo: la "sentenza Palin Granit").

34.

Talune circostanze possono costituire indizi del fatto che il detentore di una sostanza o di un oggetto se ne disfa ovvero ha deciso o ha l'obbligo di disfarsene ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442. Ciò si verifica in particolare se la sostanza utilizzata è un residuo di produzione, cioè un prodotto che non è stato ricercato in quanto tale (sentenza 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e C-419/97, ARCO Chemie Nederland e a., Racc. pag. I-4475, punto 84). La Corte ha così precisato che detriti derivanti dalla coltivazione di una cava di granito, che non si configurano come la produzione principale ricercata dall'esercente, costituiscono, in linea di principio, rifiuti (sentenza Palin Granit, punti 32 e 33).

35.

Può essere pertanto ammessa un'analisi secondo la quale un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale l'impresa non ha intenzione di "disfarsi" ai sensi dell'art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o mettere in commercio a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari. Un'analisi del genere non contrasta infatti con le finalità della direttiva 75/442, poiché non vi è alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni di quest'ultima, che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti (sentenza Palin Granit, punti 34 e 35).

36.

Tuttavia, tenuto conto dell'obbligo di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, al fine di limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere il ricorso a tale argomentazione relativa ai sottoprodotti alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nell'ambito del processo di produzione (sentenza Palin Granit, punto 36).

37.

Con il criterio del riconoscimento o meno della natura di residuo di produzione riguardo ad una certa sostanza, il grado di probabilità di riutilizzo di tale sostanza, senza operazioni di trasformazione preliminare, costituisce quindi un secondo criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Se, oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale riutilizzo è alta. In un'ipotesi del genere la sostanza in questione non può più essere considerata un ingombro di cui il detentore cerchi di "disfarsi", bensì un autentico prodotto (sentenza Palin Granit, punto 37).

38.

E' così che la Corte ha giudicato che detriti costituenti residui derivanti dallo sfruttamento di una miniera, utilizzati legalmente senza trasformazione preliminare nel processo di produzione per assicurare un necessario riempimento delle gallerie della miniera, non possono essere considerati come sostanze di cui il gestore si disfi o abbia intenzione di disfarsi poiché, invece, esso ne ha bisogno per la sua attività principale, a condizione tuttavia che fornisca garanzie sufficienti sull'identificazione e sull'utilizzazione effettiva delle dette sostanze (sentenza 11 settembre 2003, causa C-114/01, AvestaPolarit Chrome, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 36-39 e 43).

39.

Altri indizi dell'esistenza di un rifiuto, ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442, risultano eventualmente dal fatto che il metodo di trattamento della sostanza di cui trattasi costituisce una modalità corrente di trattamento dei rifiuti o che la società considera la detta sostanza un rifiuto e dal fatto che, ove si tratti di un residuo di produzione, questo può essere sottoposto solo ad un utilizzo che comporti la sua scomparsa o dev'essere utilizzato nel rispetto di particolari condizioni di precauzione per l'ambiente (sentenza ARCO Chemie Nederland e a., cit., punti 69-72, 86 e 87).

40.

Tali elementi non sono tuttavia necessariamente determinanti e l'esistenza effettiva di un rifiuto va accertata alla luce dell'insieme delle circostanze, tenendo conto delle finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia (sentenza ARCO Chemie Nederland e a., cit., punto 88).

41.

Trattandosi di coke da petrolio prodotto ed utilizzato in una raffineria di petrolio, occorre tenere conto delle indicazioni provenienti dal documento pubblicato dalla Commissione in attuazione dell'art. 16, n. 2, della direttiva del Consiglio 24 settembre 1996, 96/61/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (GU L 257, pag. 26), che riguarda lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e le industrie interessate sulle migliori tecniche disponibili di sfruttamento per raggiungere un livello generale elevato di protezione dell'ambiente nel suo complesso, sulle relative prescrizioni in materia di controllo e sui relativi sviluppi nel campo della raffinazione del petrolio e del gas, documento comunemente designato con il nome di BREF, nonché dell'insieme delle condizioni esistenti nella raffineria interessata, la cui verifica spetta eventualmente al giudice al quale è stata sottoposta la controversia.

42.

Il coke da petrolio, composto di carbone solido e di quantità variabili di impurità, che costituisce una delle numerose sostanze derivanti dal processo di raffinazione del petrolio, è, secondo le osservazioni presentate dai sigg. Saetti e Frediani, volontariamente prodotto nella raffineria di Gela, tenuto conto delle caratteristiche del petrolio grezzo che vi è trattato. Da parte sua, il BREF indica, in particolare, che "il coke da petrolio viene ampiamente utilizzato come combustibile nei cementifici ed in siderurgia. Esso può essere anche utilizzato come combustibile nelle centrali elettriche se il suo contenuto di zolfo è sufficientemente basso. Il coke è utilizzabile anche in altri modi, come materia prima per la fabbricazione di prodotti a base di carbone e di grafite".

43.

Risulta peraltro dagli atti che il coke da petrolio viene utilizzato a Gela come componente principale del combustibile usato per far funzionare la centrale integrata di cogenerazione che soddisfa il fabbisogno di vapore e di elettricità della raffineria. Poiché l'elettricità generata è superiore al consumo della raffineria, tenuto conto del volume di vapore prodotto simultaneamente, l'eccedenza viene venduta ad altre industrie o ad una società elettrica.

44.

Tali condizioni di produzione e di utilizzo, se risultano presenti, permettono di escludere la definizione di rifiuto, ai sensi dell'art. 1, lett. a), della direttiva 75/442.

45.

In primo luogo, in presenza delle dette condizioni, il coke da petrolio non può essere qualificato come residuo di produzione, nel senso di cui al punto 34 della presente ordinanza. Infatti, la produzione di coke appare allora come il risultato di una scelta tecnica (il coke da petrolio non sarebbe necessariamente prodotto nelle operazioni di raffinazione) in vista del ricorso ad un preciso combustibile, il cui costo di produzione è verosimilmente meno elevato del costo di altri combustibili che potrebbero venire usati per la generazione di vapore e di elettricità in misura corrispondente al fabbisogno della raffineria. Anche se, così come sostiene una controparte dei sigg. Saetti e Frediani nel procedimento principale, il coke da petrolio in questione è il risultato automatico di una tecnica che genera in parallelo altre sostanze petrolifere, il cui ottenimento costituirebbe l'obiettivo prioritario della direzione, occorre tenere conto che, poiché l'utilizzo dell'insieme della produzione di coke è certo ed effettuato essenzialmente per gli stessi tipi di uso di quelli di tali altre sostanze, il detto coke da petrolio è a sua volta un prodotto petrolifero fabbricato in quanto tale e non un residuo di produzione. A tale proposito, nella causa principale, sembra pacifico in base agli atti trasmessi alla Corte che il coke da petrolio è integralmente utilizzato in maniera certa come combustibile nel processo di produzione, in quanto le eccedenze di energia elettrica che ne risultano vengono esse stesse integralmente vendute.

46.

In secondo luogo, relativamente agli elementi addotti al punto 39 della presente ordinanza, il fatto che il coke da petrolio venga utilizzato come combustibile per la produzione di energia, utilizzo che corrisponde ad una modalità corrente di recupero dei rifiuti, non può essere rilevante, poiché lo scopo di una raffineria è precisamente quello di produrre diversi tipi di combustibile a partire dal petrolio grezzo. Inoltre, non sono rilevanti nemmeno gli eventuali indizi collegati, da un lato, all'assenza di un utilizzo diverso da quello comportante la scomparsa della sostanza in questione (indizio in questo caso non confermato, poiché il coke da petrolio può essere utilizzato come materia prima per la fabbricazione di prodotti a base di carbone e di grafite) e, dall'altro, alla circostanza che il suo impiego debba avvenire in particolari condizioni di precauzione per l'ambiente (indizio confermato nella fattispecie), poiché tali indizi si applicano ai residui di produzione e il coke da petrolio prodotto ed utilizzato alle condizioni precedentemente indicate non corrisponde a tale qualificazione, come risulta dal punto precedente della presente ordinanza. Relativamente all'indizio che sarebbe collegato al fatto che la società considera il coke da petrolio un rifiuto, anche ipotizzando che risulti accertato, esso sarebbe insufficiente, da solo, tenuto conto delle altre circostanze addotte fin qui, per dedurne che il coke da petrolio in questione sia un rifiuto. La conclusione sarebbe diversa solo se, accogliendo la richiesta dell'opinione pubblica, la direzione della raffineria rinunciasse all'utilizzo del coke da petrolio o vi fosse obbligata da un provvedimento legale. In una tale ipotesi, si dovrebbe infatti ritenere che il detentore del coke da petrolio se ne disfarebbe o avrebbe l'intenzione o l'obbligo di disfarsene.

47.

Occorre quindi rispondere alla prima questione dichiarando che il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie, non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442.

Sulla seconda, terza e quarta questione

48.

Al giudice del rinvio sarebbero utili le risposte a tali questioni solo se il coke da petrolio di cui trattasi nella causa principale dovesse considerarsi un rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. Orbene, ciò non risulta essere il caso, tenuto conto delle indicazioni fornite dall'ordinanza di rinvio e delle osservazioni sottoposte alla Corte, che hanno condotto alla risposta alla prima questione. Non occorre dunque rispondere alla seconda, terza e quarta questione.

Sulle spese

49.

Le spese sostenute dai governi italiano, austriaco e svedese, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Terza Sezione),

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gela con ordinanza 19 giugno 2002, dichiara:

Il coke da petrolio prodotto volontariamente, o risultante dalla produzione simultanea di altre sostanze combustibili petrolifere, in una raffineria di petrolio ed utilizzato con certezza come combustibile per il fabbisogno di energia della raffineria e di altre industrie non costituisce un rifiuto ai sensi della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE.

Lussemburgo, 15 gennaio 2004

Il cancelliere

Il presidente della Terza Sezione

R. Grass

C. Gulmann

 

 

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