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9 ottobre 2005

Due recenti sentenze della Corte di Giustizia Europea che dirimono il dubbio sull’applicazione della nozione di rifiuto ai liquami zootecnici sono l’occasione per una breve riflessione a proposito di quel che accade anche nel nostro paese. Come forse molti già sanno le poche sane convinzioni che rimangono in materia ambientale corrono il rischio di soccombere quando si profila all’orizzonte una minima affinità con la definizione di rifiuto: prima o poi la rotta si inverte e le barriere crollano di fronte ad un arrembaggio di pronunce sostenute da manifeste dimostrazioni di prova.

In particolare in un tema così "antico" come quello dello scarico di liquami zootecnici la prima e più efficace dimostrazione a contrario riguarda la stessa definizione di scarico: per poter essere riutilizzati come fertilizzanti agricoli i liquami sono raccolti per il tempo della maturazione in ampi contenitori e quindi prelevati da carribotte per essere sparsi sui terreni. Con l’interruzione del collegamento costituito da una "condotta" viene a mancare il nesso con la disciplina in materia, il D.Lvo 152/99, e quindi, automaticamente, si ricade nella legge di governo dei rifiuti.

Senonchè il passato da cui veniamo alza ancora le barricate, pronto ad una strenua resistenza. C’è innanzitutto un’eredità da difendere: la normativa sull’utilizzazione agronomica dei liquami zootecnici trova i suoi natali nella prima legge sull’inquinamento delle acque, l’ottuagenaria (si fa per dire) Legge Merli n°319/76. Secondo la L.319 gli scarichi da insediamenti zootecnici erano da assimilare a scarichi provenienti da insediamenti civili se veniva mantenuto il giusto rapporto tra peso vivo e terreno a disposizione. In pratica l’assimilazione comportava che del liquame se ne facesse un utilizzo fertirrigativo. Con il ritorno del liquame alla terra si chiude il ciclo "virtuoso" dell’azienda agricola e lo scarico non costituiva più un serio pericolo come quello che poteva essere rappresentato dai reflui di un’industria.

Senonchè l’assimilazione, frutto evidente dell’iniziativa delle lobbies agricole, finiva per lasciare gli scarichi di imprese agricole in un stato di sospensione che solo l’azione regolamentare delle Regioni avrebbe dovuto rimettere con i piedi per terra. Alle Regioni veniva infatti delegata la competenza a legiferare in materia di scarichi civili e quindi, volenti o nolenti, anche a dettare le disposizioni per quanto riguardava la gestione dei liquami di origine zootecnica. Compito al quale le sole Regioni "virtuose" hanno in questi anni dedicato i loro sforzi partorendo leggi incentrate sul tema dello "spandimento" e quindi costruendo un codice del tutto speciale, assistito da sanzioni di tipo amministrativo.

Fatto sta che, invece, nelle altre, questo ordinamento non è mai stata dettato e quindi, solo in questo caso, si può parlare di deregolamentazione, almeno fino all’adozione del Decreto Legislativo n° 152 dell’11 maggio 1999 e della sua successiva modifica Decreto Legislativo n° 258 del 4 agosto 2000.

Con il recepimento delle vecchie direttive comunitarie, la direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991 concernente il trattamento delle acque reflue urbane e la direttiva 91/676/CEE del Consiglio del 12 dicembre 1991 relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, il tema si ripropone in ben due versioni.

La prima all’art.28, comma 7, dove si ribadisce l’assimilazione degli scarichi da impresa agricola a quelli costituiti da "acque domestiche", la seconda all’art.38 dove invece si stabilisce che "Le Regioni disciplinano le attività di utilizzazione agronomica sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con decreto del ministro delle politiche agricole e forestali di concerto con i ministri dell'ambiente, dell'industria, del commercio e dell'artigianato, della sanità e dei lavori pubblici, di intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del predetto decreto, garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente interessati e in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità di cui al presente decreto."

Quindi anche l’utilizzazione agronomica, che comunque costituisce una fattispecie del tutto nuova rispetto alle considerazioni relative agli scarichi da impresa agricola, continua a muoversi nel solco dell’inquinamento idrico, nonostante l’evidente contraddizione con quanto si definisce come scarico all’art.2 dello stesso decreto.

Infine con l’art.38 si finisce per riconoscere la validità di una disciplina speciale quale quella introdotta prima del giugno 1999 nelle diverse regioni recuperandone i capisaldi e definendo un campo di applicazione che, con un sistema sanzionatorio dedicato, non ha più niente a che fare con i vecchi concetti.

Naturalmente, come avviene al solito nel nostro paese, il decreto lo stiamo ancora aspettando, dopo 5 anni, e quindi le cose funzionano come funzionano anche per questi motivi.

Nel frattempo tuttavia è uscito quello che possiamo considerare un anticipo dell’orientamento si avrà in materia: è il D.M. 6 luglio 2005 sull’utilizzo agronomico delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari.

Questo disciplina l'intero ciclo (produzione, raccolta, stoccaggio, trasporto e spandimento) dell'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari.

Già nel primo articolo, comma 3, mette in chiaro le cose come stanno:

3. L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide disciplinata dalla legge n. 574 del 1996 e dal presente decreto è esclusa ai sensi dell'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo.

Sebbene questa indicazione risulti indigesta per le immaginabili conseguenze che potrebbe avere, il rischio che si tratti di una mera deregolamentazione di un intero settore (come per es. è successo nel caso dei rottami ferrosi) è, per ora, scongiurato. Infatti, in linea con le pronunce della Corte di Giustizia Europea, l’esclusione non è fine a sé stessa, ma è resa ammissibile dalla sussistenza di un’altra disposizione che costituisce un’alternativa equivalente alla prima in termini di protezione dell’ambiente. In effetti il decreto norma le fasi più importanti della gestione delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari, così come farebbe il Decreto Legislativo 22/97, e cioè lo stoccaggio, il trasporto e lo spandimento sul campo: le Regioni dovranno disciplinare le modalità per la sua concreta applicazione, rispettandone i principali punti fissi. Vediamoli rapidamente.

Per lo stoccaggio:

Art.5

6. Il fondo e le pareti dei contenitori di stoccaggio delle acque di vegetazione devono essere impermeabilizzati mediante materiale naturale o artificiale; nel caso di contenitori in terra, gli stessi devono essere dotati, attorno al piede esterno dell'argine, di un fosso di guardia perimetrale adeguatamente dimensionato e isolato idraulicamente dalla normale rete scolante e, qualora il suolo che li delimita presenti un coefficiente di permeabilità K>1*10-7cm/s, il fondo e le pareti devono essere impermeabilizzati con manto artificiale posto su un adeguato strato di argilla di riporto.
……

8. I contenitori di stoccaggio delle acque di vegetazione esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto devono essere adeguati alle disposizioni di cui ai precedenti commi entro due anni. Per i frantoi collocati in aree urbanizzate le Regioni possono prevedere termini diversi di adeguamento comunque non superiori a tre anni.

Per il trasporto:

Art.5

9. Le Regioni definiscono con propri provvedimenti, entro i termini previsti dall'articolo 38, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 1999, gli adempimenti concernenti il trasporto necessari a garantire un adeguato controllo sulla movimentazione delle acque di vegetazione, prevedendo almeno che vengano fornite le seguenti informazioni:

a) gli estremi identificativi del frantoio da cui originano le acque di vegetazione trasportate e del legale rappresentate dello stesso;

b) la quantità delle acque trasportate;

c) la identificazione del mezzo di trasporto;

d) gli estremi identificativi del destinatario e l'ubicazione del sito di spandimento;

e) gli estremi della comunicazione redatta dal legale rappresentante del frantoio da cui originano le acque trasportate.

Allegato 1

Notizie e dati da inserire nella comunicazione

….

B. Trasporto e spandimento

1.1 Denominazione, indirizzo, tel., fax della ditta che eseguirà il trasporto.

1.2 Denominazione, indirizzo, tel., fax della ditta che eseguirà lo spandimento per l'utilizzo agronomico.

1.3 Capacità e tipologia del contenitore che si prevede di utilizzare per il trasporto.

1.4 Modalità di spandimento

Per lo spandimento:

Art.4

3. Il criterio guida nella scelta dei terreni su cui spandere di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 5 della legge n. 574 del 1996, deve fare riferimento a condizioni di sicurezza delle falde soggiacenti in rapporto al carico idraulico consentito, consistente, ai sensi dell'articolo 2, comma 1 della legge n. 574 del 1996, in cinquanta ovvero ottanta metri cubi di acqua per ettaro rispettivamente per le provenienze da frantoi a ciclo tradizionale e da frantoi a ciclo continuo.

Allegato 1

C. Dati relativi ai siti di spandimento

C.1 Periodo entro il quale si prevede di effettuare lo spandimento.

C.2 Quantità totali di acque di vegetazione e di sanse umide espresse in m3 che si prevede di spandere nel sito.

C.3 Nominativo ed indirizzo del titolare del sito di spandimento.

C.4 Superficie agricola utilizzata per lo spandimento (espressa in ettari ed are) ubicazione e attestazione del relativo titolo d'uso.

C.5 Numero di anni per i quali è previsto l'utilizzo del sito

Allegato 2

A. Sito oggetto dello spandimento

Titolare del sito di spandimento.

Identificazione catastale (foglio di mappa e particelle).

Superficie totale e superficie utilizzata per lo spandimento.

1. Pedologia.

1.1 pH.

1.2 Stima della capacità di accettazione delle piogge (fare riferimento alla "Guida alla descrizione dei suoli in campagna e alla definizione delle loro qualita" dell'Istituto sperimentale per lo studio e la difesa del suolo di Firenze, escludendo le classi "bassa" e "molto bassa").

1.3 Stima della conducibilità idraulica satura (stesso riferimento e stesse esclusioni del punto precedente).

2. Geomorfologia.

2.1 Specificare se il terreno è in pendenza o pianeggiante e descrivere dettagliatamente le relative sistemazioni idraulico-agrarie, riportando, ove presenti, le dimensioni dei terrazzamenti.

3. Idrologia.

3.1 Ove presente falda temporanea specificare la sua profondità.

3.2 Profondità della prima falda permanente.

3.3 Ove presenti corpi idrici lungo i confini dell'appezzamento indicazione della loro denominazione.

3.4 Bacino idrografico di riferimento.

4. Agroambiente.

4.1 Se coltura in atto indicarne la specie. Nel caso di colture erbacee, specificare se si adottano rotazioni o avvicendamenti colturali.

4.2 Nel caso di terreno non coltivato specificare le motivazioni.

Da quanto visto si può tranquillamente affermare come le condizioni alle quali sarà assoggettato il titolare dell’allevamento sono analoghe a quelle che si sarebbero avute con l’assoggettamento alla normativa sui rifiuti, anzi, per quanto riguarda lo spandimento, che il D.Lvo 22/97 fa rientrare nell’operazione di recupero R10, sono molto più severe di quanto prevede il Ronchi stesso…. cioè il nulla (semmai si potrebbe obiettare sull’uso di terreni non coltivati).

Lo stesso sistema sanzionatorio non è da meno: il non ottemperare alle disposizioni del decreto una volta regolamentato dalle Regioni continua a rappresentare un reato penalmente perseguibile ai sensi dell’art.59, comma 11 ter, del Decreto Legislativo n°152/99.

Da ultimo viene affrontato anche l’allarme "ecomafia": si mette in primo piano il possibile utilizzo delle acque di vegetazione come copertura di traffici illeciti di rifiuti e quindi si vietano le miscelazioni, senza ammettere alcuna deroga.

Art.5

1. Nelle fasi di stoccaggio e trasporto delle acque di vegetazione è vietata la miscelazione delle stesse con effluenti zootecnici, agroindustriali o con i rifiuti di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997.

Certo con ciò non si vuol dire che il problema degli scarichi abusivi di acque di vegetazione o frantoi oleari sarà finalmente risolto, molto dipenderà, come in tutte le cose, da come si applicherà il decreto a livello locale, in particolare quali controlli preventivi e periodici si effettueranno, e quali provvedimenti si prenderanno nei confronti di chi non adempie. E rimane sempre il rischio che le Regioni si dimostrino latitanti nell’adempiere alla delega ricevuta. Non è quindi la norma in difetto, ma semmai la sua esecuzione.

Questo per quanto riguarda le novità interne. A livello comuntario la Corte di Giustizia ha sentenziato nei confronti di due ricorsi della Commissione contro il Regno di Spagna reo di non aver regolamentato lo spandimento dei liquami zootecnici come fossero rifiuti e di non aver garantito la protezione delle acque sotterranee dalla percolazione nel terreno di acque usate o di rifiuti. La Corte ha dato torto alla Commissione così motivando:

"Per quanto riguarda in primo luogo il colaticcio prodotto dall’allevamento risulta che tale colaticcio viene utilizzato come fertilizzante agricolo e applicato a tal fine a terreni ben individuati. La persona che dirige lo stabilimento non cerca quindi di disfarsene, cosicchè tale colaticcio non costituisce un rifiuto ai sensi della Direttiva 75/442".

"Occorre osservare che, da un lato, l’utilizzo del liquame come fertilizzante è un’operazione che risponde nella maggioranza a corrette pratiche agricole e che non costituisce pertanto una delle operazioni di eliminazione o deposito ai fini dell’eliminazione di dette sostanze ai sensi dell’art.5 della direttiva 80/68. D’altro lato, anche supponendo che lo spargimento del liquame abbia un’incidenza sul sapore e/o sull’odore delle acque sotterranee e che possa essere all’origine di un inquinamento delle acque, il regime di protezione delle acque contro l’inquinamento derivante dagli effluenti d’allevamento non è basato, a livello comunitario, sulla direttiva 80/68, ma sulla direttiva 91/676 relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole. Quest’ultima direttiva ha, in effetti, l’oggetto specifico di contrastare l’inquinamento delle acque derivante dallo spargimento o dallo scarico delle deiezioni animali nonché dell’eccessivo utlizzo di concime. Il regime di protezione che essa prevede comporta misure precise di gestione che gli Stati membri devono imporre agli agricoltori, le quali tengono conto della maggiore o minore vulnerabilità dell’ambiente che riceve tali effluenti."

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I LIQUAMI ZOOTECNICI NON SONO RIFIUTI