leggi e sentenze
24 gennaio 2005

Ancora una sentenza che farà discutere. La Cassazione torna ad esprimersi sui fanghi provenienti dal lavaggio di inerti (n° 42966/05). Nella vicenda descritta si tratta in realtà di una cava di pietra il cui giacimento presenta intrusioni di ofioliti, una roccia che contiene naturalmente amianto. Il sequestro della cava convalidato dal magistrato nasce dalla considerazione che i fanghi derivanti dalle operazioni di lavaggio possano contenere amianto e pertanto la loro gestione dovesse essere ricondotta alla normativa sui rifiuti per diversi motivi, non ultimo verificare se le modalità di eliminazione comportino rischi ambientali. In effetti i fanghi vengono stesi sull'aia dove sono fatti asciugare e quindi sono trasportati altrove per la loro riutilizzazione a ripristino morfologico di un invaso. In condizioni normali presumibilmente non ci sarebbe niente da ridire, con la presenza scomoda dell'amianto esiste invece il timore che si abbia un rilascio della pericolosa fibra.

In prima istanza il ricorso della ditta di escavazioni presentato contro il sequestro ha la meglio, per cui il pubblico ministero si rivolge alla Suprema Corte per avere riconosciuta la propria ragione. In effetti dalle analisi la presenza di amianto viene accertata, tuttavia il primo giudice conclude che le metodiche analitiche non siano corrette o che il fango non sia quindi contaminato oltre il limite di tollerabilità. Sin qui la cosa può starci in quanto la metodologia di indagine può in effetti prestarsi a letture del dato non sempre coerenti, serve una buona specializzazione in materia, pertanto è facile concludere che la vertenza si discuterà sulle perizie delle controparti.

Tuttavia i motivi di rigetto del seqeustro sono anche altri: il primo giudice sostiene che la legge regionale ligure 21 giugno 1999 n. 18 esclude tali materiali dal novero dei rifiuti. Così è, come di seguito riportato:

In conformità alle disposizioni dell'articolo 8 del d.lgs. 22/1997 sono esclusi dal campo di applicazione del presente Capo:

a) i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave;

Rientrano nella definizione di cui al comma 1, lettera a) i rifiuti derivanti dalle attività di lavorazione primaria dei materiali di cava quali frantumazione, taglio e lavaggio, disciplinati ai sensi della legge regionale 10 aprile 1979 n. 12 (norme sulla disciplina di cave e torbiere) e della legge regionale 30 dicembre 1993 n. 63 (disposizioni relative al rilascio di permesso di ricerca e all'esercizio dell'attività di cava e torbiera. Modificazioni ed integrazioni alla l.r. 10 aprile 1979 n. 12.).

E' peraltro singolare che in un giudice si affidi ad una legge regionale per esprimersi sulla natura di rifiuto di un materiale, ma tant'è. Ancora motivazioni: i fanghi di lavaggio non sono rifiuti secondo l'interpretazione autentica dell'art14 L.178/02 perché "riutilizzati per ripristinare fronti di cava senza arrecare danno all'ambiente"..

La Cassazione pertanto esamina gli atti e si esprime sul ricorso con riferimento al significato della esclusione stabilita all'art.8 lettera b) del D.Lvo 22/97. Sono esclusi dalla disciplina generale i materiali "risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave".

Il termine "sfruttamento" deve essere inteso come estrazione del materiale di cava da considerarsi secondo il codice civile (art.820 C.C.) un "frutto naturale" della stessa; le espressioni "trattamento ed ammasso" devono essere collegate alle "risorse naturali" e non alla intera attività conseguente allo sfruttamento della cava (Cass. Sentenza 9333/96). Pertanto la deroga in oggetto è limitata ai prodotti derivanti dall'attività estrattiva i quali restano disciplinati dalle leggi speciali in materia di miniere, cave e torbiere. Più precisamente sono esclusi dalla normativa del D.Lvo 22/97 solo i materiali derivati dallo sfruttamento delle cave quando restino entro il ciclo dell'estrazione e connessa pulitura. L'attività di sfruttamento della cava non può confondersi con la lavorazione successiva dei materiali. Se si esula dal ciclo estrattivo gli inerti sono da considerarsi rifiuti ed il loro ammasso, deposito e discarica è regolato dalla disciplina generale (Cass.sentenza 11538/94)

Le conclusioni della Corte sono pertanto favorevoli alla ditta di escavazione grazie ad una liason che ha fatto rientrare la pulitura tra le operazioni costituenti il ciclo produttivo. Secondo la Corte è un'operazione connessa all'estrazione che si distingue dalle lavorazioni successive. Su quale criterio si basi questa connessione non è chiaro tuttavia. Potremmo essere in una condizione in cui, nello stesso luogo di produzione, siano compresenti sia operazioni connesse che distinte: per es. il lavaggio si, la separazione gravimetrica no.

Inoltre sulla destinazione finale dei fanghi si apre un crocevia di riflessioni: il riutilizzo su un fronte di escavazione non costituisce una delle operazioni descritte in allegato B o C del decreto (recupero ambientale)? Che differenza esiste tra il riutilizzo all'interno dello stesso sito di produzione o all'esterno? E se il ciclo produttivo dell'azienda fosse rappresentato da più siti ubicati diversamente si tratterebbe di riutilizzazione interna o esterna?

Come già visto a più riprese non ci si può attendere che sia un organo giudicante a delineare le regole per l'applicazione di una norma confusa e contradditoria. Bisogna riscrivere la norma.

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FANGHI DI LAVAGGIO INERTI ANCORA UNA SENTENZA