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Schema di decreto legislativo recante: "Norme in materia ambientale" (n. 572)

Parere al Ministro per i rapporti con il Parlamento, ai sensi dell'articolo 1, comma 5, della legge 15 dicembre 2004, n. 308. Seguito e conclusione dell'esame. Parere favorevole con osservazioni

SENATO DELLA REPUBBLICA - XIV LEGISLATURA

COMMISSIONE TERRITORIO, AMBIENTE, BENI AMBIENTALI (13ª)

GIOVEDÌ 12 GENNAIO 2006
472ª Seduta

Presidenza del Presidente
NOVI

Prosegue l'esame dello schema di decreto in titolo, sospeso nella seduta pomeridiana di ieri.

Il presidente NOVI fa presente che nella giornata di ieri il Ministro per i rapporti con il Parlamento ha inviato al Presidente del Senato una lettera nella quale lo si informa che la Conferenza unificata Stato-Regioni ha fatto inutilmente decorrere il termine per l'espressione del proprio parere sullo schema di decreto in esame. A nome del Governo, pertanto, lo stesso Ministro ha chiesto al Presidente del Senato che le competenti Commissioni parlamentari esprimano al più presto il proprio parere, onde consentire la prosecuzione dell'iter di approvazione del provvedimento.
Il Presidente del Senato, a sua volta, in virtù della comunicazione resa dal Ministro per i rapporti con il Parlamento ha inoltrato, nella serata di ieri, alle Commissioni parlamentari una lettera con la quale si intende caduta la riserva con cui l'atto in titolo è stato deferito, per l'acquisizione del parere parlamentare, alle competenti Commissioni.
Avverte, quindi, che rinunciando il Rappresentante del Governo a svolgere l'intervento di replica, si passa alle repliche da parte dei relatori.

Il senatore MONCADA (UDC), relatore sulle parti prima e quinta dello schema di decreto, rileva anzitutto come la Commissione, nonostante la ristrettezza dei tempi a disposizione per l'esame, abbia compiuto un'attenta analisi dello schema, dando altresì atto al Rappresentante del Governo dell'impegno nel seguire i lavori.
Propone quindi l'approvazione di un parere favorevole con osservazioni sullo schema di decreto, specificando che le stesse tengono conto anche delle indicazioni derivanti dalle audizioni delle categorie interessate svolte preliminarmente all'esame dello schema, nonché dei rilievi emersi nel corso della discussione.
In particolare, tra le osservazioni che dovrebbero corredare il parere, per la parte prima sulle disposizioni comuni, segnala quelle relative, sotto il profilo dell'efficacia dei controlli, all'articolo 31, comma 4, del decreto, che in tema di VIA sembra non soddisfare pienamente l'esigenza di definire i poteri esercitabili dalle amministrazioni preposte al controllo, nell'ipotesi di difformità dei progetti rispetto alle prescrizioni impartite in sede di valutazione di compatibilità ambientale. Inoltre, perplessità desta anche la scelta, in materia di sanzioni per l'inquinamento del suolo, di restringere con l'articolo 257 l'ambito di punibilità, eliminando il pericolo di inquinamento quale causa di punibilità. Suscita poi riserve, sotto il profilo della compatibilità con la normativa comunitaria di riferimento, la scelta di sottrarre i fanghi in agricoltura alla sfera di operatività delle disposizioni relative al formulario di identificazione del rifiuto.
Va segnalata pure la necessità che con il decreto in esame venga data attuazione, in materia di VIA, anche alle disposizioni comunitarie (articolo 10-bis della direttiva 85/337/CEE) relative alle procedure di ricorso amministrativo e giurisdizionale per contestare la legittimità di decisioni soggette alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico.
Appare opportuno che il Governo tenga costantemente presente l'esigenza di non definire il rapporto Stato-Regioni-Enti locali secondo un modello di reciproco isolamento nelle rispettive sfere di attribuzioni e di attuare, invece, i principi di corresponsabilità, di collaborazione e di concorrenza fra i diversi livelli territoriali della Governance ambientale. Ciò anche al fine di scongiurare il rischio del prodursi di un contenzioso dinanzi alla Corte costituzionale, che tra l'altro rischierebbe di annullare le finalità del decreto in esame, che hanno come obiettivo quello di conferire finalmente e stabilmente organicità, razionalità e certezza alla normativa ambientale italiana. Il Governo potrebbe valutare la possibilità di prevedere che i regolamenti di modifica ed integrazione delle norme tecniche in materia ambientale siano adottati, sentito il Consiglio economico e sociale per le politiche ambientali (CESPA).
Con riferimento, poi, alla parte quinta dello schema in titolo, si dovrebbero inserire talune osservazioni: in riferimento all'articolo 269, che determina in 15 anni la durata dell'autorizzazione alle emissioni in atmosfera, va rilevata l'opportunità sia di coordinare meglio il disposto con la normativa europea (che prevede una durata variabile da 5 a 8 anni per l'autorizzazione ambientale integrata), sia di prevedere una durata diversa dell'autorizzazione a seconda che si tratti o meno di stabilimenti registrati EMAS o ISO 14001 (come accade appunto nella normativa europea).
Per quanto riguarda, poi, la procedura di aggiornamento dell'autorizzazione, diversamente da quanto previsto dal decreto legislativo n. 59 del 2005 per l'autorizzazione ambientale integrata in caso di modifica sostanziale, l'aggiornamento dell'autorizzazione non comporta l'avvio di una nuova validità quindicennale. Anche qui si dovrebbe valutare attentamente l'opportunità di un coordinamento fra le due discipline.
Va segnalata l'esigenza che il Governo verifichi la compatibilità del comma 4 dell'articolo 270 con la direttiva 96/61/CE (relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento), attuata con il decreto legislativo n. 59 del 2005, e con la direttiva 2001/81/CE (relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici), attuata con il decreto legislativo n. 171 del 2004.
Sul rapporto tra l'Allegato 1 (articolo 271) e il successivo intervento di integrazione a mezzo di decreto interministeriale, appare opportuna una riflessione che tenga nella dovuta considerazione la necessità di prevedere un regime transitorio, di inserire un riferimento alle migliori tecniche disponibili e di distinguere in modo coerente e consequenziale il regime degli impianti nuovi (in quanto tali progettati sulla base di tecnologie più avanzate) da quello degli impianti anteriori al 1988. Appare opportuno, altresì, coordinare il disposto del comma 6 dell'articolo 271 con quello dell'articolo 269, giacché al momento l'articolo 271, al comma 6, stabilisce i contenuti dell'autorizzazione per gli impianti per i quali è presentata domanda ai sensi dell'articolo 269. Quest'ultimo però non si riferisce a tutti gli impianti che producono emissioni, bensì solo agli impianti nuovi e a quelli oggetto di una delocalizzazione. Una riflessione aggiuntiva andrebbe probabilmente svolta per quanto concerne la scelta di fare riferimento a limiti fissati in un Allegato che riproduce i contenuti di previsioni risalenti al 1990.
Per quanto riguarda l'articolo 280, che abroga varie disposizioni vigenti, evidenti ragioni di certezza giuridica e di buona tecnica legislativa inducono, peraltro, a ritenere preferibile una espressa e puntuale indicazione di tutte le disposizioni abrogate. In riferimento all'articolo 281, che al comma 9 prevede l'istituzione di una Commissione per la raccolta, l'elaborazione e la diffusione dei dati e delle informazioni rilevanti ai fini dell'applicazione della parte quinta dello schema di decreto e per la valutazione delle migliori tecniche disponibili (MTD), si segnala l'opportunità di coordinare le disposizioni di detto comma 9 con quelle previste dall'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 59 del 2005 (di attuazione della direttiva IPPC), visto che una commissione analoga per l'individuazione delle MTD è già funzionante sulla base delle disposizioni ivi contenute.
Con riferimento al Titolo II che disciplina le emissioni degli impianti termici civili, ed in particolare con riferimento all'articolo 282, dovrebbe essere valutata l'opportunità di coordinare la normativa recata dal Titolo in esame con quella recentemente introdotta, con riferimento agli impianti termici civili, dal decreto legislativo n. 192 del 2005, che recepisce la direttiva comunitaria 2002/91/CE sul rendimento energetico nell'edilizia.
Va segnalata, altresì, l'esigenza di favorire l'impiego del biodiesel e del biogas negli impianti termici civili ed industriali. Poiché nell'articolo 290 appare una particolare norma secondo cui i regolamenti edilizi comunali possono imporre in determinati casi l'installazione di impianti termici civili centralizzati, sembra conveniente riflettere sulla compatibilità di quest'ultima previsione con il riparto costituzionale delle competenze fra Stato e regioni, potendo sussistere il rischio di un'invasione della sfera delle attribuzioni regionali.

Il senatore SPECCHIA (AN), relatore sulle parti quarta e sesta dello schema di decreto, rileva in premessa come la Commissione abbia proceduto all'esame dello schema con analiticità, pur nei limitati tempi a disposizione. Riconosce altresì ai senatori dei Gruppi di opposizione di aver svolto un ruolo di critica, sollecitazione e proposta, caratterizzato peraltro da valutazioni di ordine complessivo più che da proposte tecniche puntuali, le quali ultime sono state in parte recepite nella proposta di parere favorevole con osservazioni, unitamente a talune valutazioni svolte dai soggetti auditi nel corso dell'esame dello schema.
Dopo aver espresso l'auspicio che il lavoro svolto dalla Commissione trovi positivo accoglimento da parte del Governo in sede di approvazione del decreto legislativo delegato, si sofferma sulle osservazioni da inserire nel parere favorevole, ad iniziare dalla parte quarta dello schema in titolo. In essa, in relazione all'articolo 181, comma 6, auspica si valuti l'opportunità di aggiungere dopo le parole "decreto ministeriale 5 febbraio 1998" le seguenti "decreto ministeriale 12 giugno 2002, n. 161 e successive modificazioni". La disciplina sul recupero agevolato dei rifiuti pericolosi verrebbe di fatto vanificata, poiché per essa non sarebbe prevista alcuna disciplina e periodo transitorio. Sempre in merito all'articolo 181, appare opportuno prevedere la partecipazione delle Agenzie regionali e provinciali di protezione ambientale sin dalle fasi procedurali che precedono la stipula degli accordi di programma. All'articolo 182 (Smaltimento dei rifiuti), si segnala l'opportunità di aggiungere il seguente comma 9: "Il comma 3 dell'articolo 14 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 è soppresso. Il comma 4 dell'articolo 14 del medesimo decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 è così riformulato: "Le garanzie di cui ai commi 1 e 2 devono essere prestate per un periodo pari alla durata della gestione successiva alla chiusura della discarica come autorizzato ai sensi dell'articolo 10, comma 3, lett. I), del presente decreto". All'articolo 183 (Definizione di smaltimento e di recupero), le definizioni comunitarie delle due nozioni fanno riferimento esclusivamente alle operazioni contenute negli Allegati B e C, mentre lo schema di decreto amplia tali definizioni. All'articolo 185, comma 1, lettera b), la formulazione appare inidonea. Sarebbe più opportuno sostituire l'espressione "rifiuti allo stato liquido" con quella, conforme alle definizioni contenute nel decreto legislativo n. 152 del 1999 e trasfuse nella parte terza dello schema di decreto, di "rifiuti liquidi costituiti da acque reflue".
In relazione all'articolo 186 (Terre e rocce da scavo), si osserva che la disposizione reca una disciplina soddisfacente in merito allo smaltimento di terre e rocce da scavo provenienti da grandi cantieri. Tale disciplina risulta invece inadeguata rispetto ad attività di piccoli cantieri e, pertanto, sembrerebbe opportuno introdurre disposizioni specifiche. Inoltre, al comma 3 del medesimo articolo si valuti l'opportunità di sostituire il periodo: "Il rispetto dei limiti di cui al comma 1 può essere verificato anche mediante accertamenti sui siti di destinazione in alternativa agli accertamenti sul sito di produzione "con il seguente: "Il rispetto dei limiti di cui al comma 1 può essere verificato, in alternativa agli accertamenti sul sito di produzione, anche mediante accertamenti sui siti di deposito, in caso di impossibilità di immediato utilizzo, ovvero sui siti di produzione, in caso di immediato utilizzo". Nell'articolo 192, al comma 3 andrebbero sostituite le parole "colpa grave" con la parola "colpa". Tale modifica eviterebbe alla collettività di sobbarcarsi i pesantissimi oneri del ripristino ambientale con un impatto rilevante sulle finanze pubbliche.
Con riguardo all'articolo 193, nel comma 8, in merito al formulario di identificazione dei rifiuti ai fanghi in agricoltura, si segnala che l'esclusione rischia di introdurre una norma incompatibile con il regolamento comunitario n. 259 del 1993 che riguarda il trasporto di rifiuti all'interno della Comunità europea e che si applica a tutti i rifiuti. Al comma 9 del medesimo articolo, in merito al fatto che non si considera trasporto il movimento di rifiuti all'interno di aree private, bisognerebbe approfondire se viene rispettato il regolamento comunitario 259/93.
Nell'articolo 204, al comma 4, occorre chiarire se la restituzione dei beni agli enti locali riguarda anche i beni dei concessionari. Nell'articolo 213 (Autorizzazioni Integrate Ambientali), al comma 1, dopo le parole "ai sensi del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59", si valuti la possibilità di aggiungere le seguenti: "a tutti gli impianti di cui all'Allegato I del decreto legislativo n. 59 del 2005 ad eccezione di quelle di gestione dei rifiuti di cui al punto 5 dello stesso allegato che, se svolte in procedura semplificata, sono escluse dall'AIA". Viene inoltre disciplinato un assorbimento "anomalo" delle procedure semplificate che non trova corrispondenza per le specifiche attività di gestione di rifiuti (le cui procedure semplificate ai sensi dell'Allegato I, punto 5, del decreto legislativo n. 59 del 2005, sono espressamente escluse dal legislatore dal campo di applicazione dell'AIA), ma solo per gli impianti produttivi che operano anche facendo ricorso alle procedure semplificate sulla base di quanto previsto dall'Allegato II, punto 8 del decreto legislativo n. 59 del 2005.
Nell'articolo 218 (Definizioni), sono contenute alcune nuove definizioni come "imballaggio riutilizzabile", "filiera", "ritiro", e "ripresa" che non sono presenti nelle direttive della Comunità europea. In merito all'articolo 227 (Rifiuti elettrici, elettronici, rifiuti sanitari, veicoli fuori uso e prodotti contenenti amianto), per i veicoli fuori uso la procedura di infrazione avviata il 19 novembre 2003 contro il decreto legislativo n. 209/2003 dalla Commissione U.E. contesta all'Italia diversi punti di non conformità alla direttiva 2000/53/CE. Di questo non c'è traccia nel testo in particolare per quanto riguarda la questione dei costi. Nell'articolo 229 (Combustibile derivante da rifiuti di qualità elevata), si osserva che la completa esclusione dalla nozione di rifiuto si pone in contrasto con la lettera di messa in mora inviata il 5 luglio 2005 dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione n. 2005/4051. Nell'articolo 231, si registra una formulazione inidonea, poiché il riferimento normativo indicato al comma 1 non appare corretto in quanto l'Allegato III parte A della direttiva citata non reca alcun riferimento ai veicoli a motore.
In merito all'articolo 234, si valuti l'opportunità di sopprimere il comma 2, in quanto si tratta di una previsione normativa non riscontrabile per gli altri consorzi e pertanto l'attuale testo rappresenta una disparità di trattamento. Nell'articolo 240 (Definizioni), si sottolinea che le definizioni riportate in tale articolo sono profondamente diverse da quelle presenti oggi nella normativa di settore (decreto ministeriale n. 471 del 1999). In relazione all'articolo 242, comma 1, si sottolinea che, date le importanti funzioni in materia ambientale, è necessario che anche le province siano comprese fra gli enti a cui va trasmessa la comunicazione dovuta al verificarsi di un evento di contaminazione.
In merito all'articolo 246 (Accordi di programma in materia di bonifica dei siti contaminati), si osserva che la disposizione prevede che i soggetti interessati hanno diritto di stipulare accordi di programma al fine di definire modalità e tempi di esecuzione degli interventi. Non è previsto un termine per la stipula di tali accordi. Ciò contraddice la disciplina recata dall'articolo 242 dello stesso schema di decreto, che prevede un procedimento scandito da fasi con termini precisi. Più in particolare, è previsto che, qualora a seguito dell'analisi di rischio specifica si sia verificato il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (CSC), il soggetto responsabile dell'inquinamento sottopone alla regione entro sei mesi il progetto di bonifica. Sarebbe quindi opportuno specificare se gli accordi di programma devono intervenire entro i sei mesi o possono intervenire anche successivamente.
Nell'articolo 264 (Abrogazioni), appare opportuno aggiungere all'elenco delle abrogazioni anche il comma 29 della legge n. 308 del 2004, in quanto le norme sui combustibili da rifiuti - ivi contenute - sono sostanzialmente riprodotte integralmente nello schema di decreto (articolo 229). In merito all'articolo 265 (Norme transitorie per i consorzi nazionali), si fa presente che quanto previsto dagli articoli 221, 223, 224, 233, 234, 235, 236 della parte quarta, ed in particolare le modifiche all'attuale assetto normativo con riferimento al passaggio dal regime obbligatorio a quello volontario e alla possibilità che vengano costituiti più consorzi per ciascun materiale d'imballaggio, non è condivisibile in quanto il sistema deve ancora crescere per poter poi essere completamente "liberalizzato". Si propone pertanto di modificare gli articoli in questione o di confermarli, aggiungendo però una norma transitoria che preveda la continuità dell'attuale assetto normativo e l'entrata in vigore delle nuove norme a partire dal 2009, anche per evitare momenti di incertezza operativa. La norma transitoria potrebbe essere inserita nell'articolo 265, aggiungendo in esso il seguente comma 7. "Gli articoli 38, 40, 41, 47, 48 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, le disposizioni di cui all'articolo 9 quinquies decreto legge 9 settembre 1988, n. 397 come convertito dalla legge 9 novembre 1988, n. 475 e successive modifiche ed integrazioni restano in vigore per un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2008 e conseguentemente gli articoli 221, 223, 224, 233, 234, 235, 236 della parte quarta del presente articolo non sono applicabili fino al compimento del detto periodo transitorio".
Con riferimento all'Allegato 5, Tabella 1, in materia di bonifiche, si fa presente quanto segue: in primo luogo, sotto la voce "Aromatici policiclici" vi è riportata una sostanza inesistente e precisamente il dibenzo (a) pirene. I Di benzopireni sono quattro: Dibenzo (a,e) pirene; Dibenzo (a,l) pirene; Dibenzo (a,i) pirene; Dibenzo (a,h) pirene. Pertanto dovrebbe essere cancellata la voce 31 e sostituita con le quattro sostanze sopra riportate, per ciascuna delle quali si propone una concentrazione limite di 0.1 mg/kg per i suoli ad uso industriale e commerciale.
In secondo luogo, sotto la voce "Idrocarburi" sono ricompresse due famiglie di sostanze, in funzione del numero di atomi di Carbonio. Nella definizione della prima famiglia (voce 91) andrebbe aggiunto anche il simbolo di "uguale" e precisamente la definizione dovrebbe essere: "Idrocarburi leggeri C inferiore o uguale 12". In assenza di tale modifica viene escluso il composto con u numero di atomi di Carbonio pari a 12. In terzo luogo, sotto la voce "Amianto" viene riportata la dicitura "Fibre libere", si ritiene che essa non sia corretta in quanto la contaminazione del suolo da amianto può avvenire anche quando l'amianto è presente in forma legata (cemento-amianto, amianto inglobato in matrici polimeriche plastiche, ecc), a seguito di processi disgregativi. Pertanto si propone che la voce 93 faccia riferimento semplicemente all'"Amianto", senza riportare tra parentesi la frase "fibre libere", la concentrazione limite riportata attualmente in Tabella 1 appare idonea anche se riferita all'amianto nelle varie forme in cui si può presentare (legato o non). Infine, nella Tabella 1 viene riportato un valore per i PCB nei suoli ad uso ricreativo/abitativo troppo basso e non rispondente al valore che oggi è ritenibile come valore del fondo antropizzato. Si propone di alzare detto valore e porlo pari a 0.06 mg/kg in analogia con quanto definito dall'EPA statunitense.
In merito all'analisi di rischio sanitario, che svolge nello schema di decreto legislativo un ruolo fondamentale, si sottolinea che sarebbe opportuno fare riferimento ai "Criteri metodologici per l'applicazione dell'analisi di rischio ai siti contaminati" sviluppati da APAT, ARPA, ISS, ISPESL e ICRAM (giugno 2005), in quanto in essi si riportano modalità finalizzate ad una applicazione univoca dei vari software utilizzati per l'analisi di rischio. Nel testo, invece, si fa riferimento unicamente al Manuale UNICHIM 196/1 del 2002, che oltre ad essere datato, si limita a riportare un quadro delle procedure esistenti a livello internazionale, senza operare alcuna scelta. L'applicazione di tale Manuale porterebbe a risultati diversificati sul territorio nazionale , in quanto è affetta da troppa soggettività. Il documento APAT, ARPA, ISS, ISPEL e ICRAM riporta, invece, dei puntuali criteri di scelta e selezione dei parametri di input, al fine di ottenere una maggiore omogeneità di applicazione dei software di analisi di rischio.
Con riferimento alla parte sesta dello schema di decreto in titolo, si invita il Governo a chiarire la formulazione letterale dell'articolo 311, comma 1, dello schema di decreto legislativo, con specifico riferimento all'azione del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio per il risarcimento del danno ambientale.
Si sottopone altresì all'attenzione del Governo l'opportunità di modificare la previsione dell'integrale abrogazione dell'articolo 18 della legge n. 349 del 1986, di cui all'articolo 318, comma 2, dello schema di decreto legislativo, al fine di mantenere in vigore la regolamentazione delle possibilità di tutela giudiziale da parte delle associazioni di protezione ambientale.

Il senatore PONZO (FI), relatore sulla parte seconda dello schema di decreto, rileva che il parere favorevole sul provvedimento dovrebbe essere accompagnato da alcune osservazioni. Con riguardo alla procedura di VIA, nella fase di attivazione occorre chiarire rispetto a quale fase progettuale essa va attivata; infatti sulle disposizioni contenute nel testo del decreto legislativo non è specificato se la procedura va attivata nella fase di progetto preliminare o nella fase di progetto definitivo o esecutivo. Tale problematica che peraltro ha dato luogo a confusione e contrasti con la normativa comunitaria e ad una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia (articolo 17, comma 2 e articolo 20, comma 5 del decreto legislativo n. 190 del 2002) poi sanata con la legge comunitaria 2004 (articolo 24 della legge 18 aprile 2005, n. 62), non sembra possa essere risolta con la dizione "prima configurazione definitiva". Tale terminologia non trova riscontro nelle tipologie della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, indicata nell'articolo 16 della legge n. 109 del 1994.
Con riguardo al potere sostitutivo del Consiglio dei Ministri, sia per le procedure di VAS che per le procedure di VIA, è previsto che, nel caso in cui l'autorità competente non emetta il giudizio di compatibilità ambientale, il Consiglio dei Ministri esercita un potere sostitutivo che, se non esercitato, è da considerarsi favorevole. Ne discendono due osservazioni di merito: la prima è che il Consiglio dei Ministri non essendo un organo specialistico non è l'autorità competente prevista dalla normativa comunitaria: la seconda è che il parere favorevole in assenza di pronunciamenti del Consiglio dei Ministri, cosiddetto silenzio-assenso, potrebbe configurarsi come una violazione della disciplina comunitaria che invece sembra incentrata sull'obbligo di esprimere comunque una valutazione e decisione dell'Autorità competente (par. 1, articolo 2 direttiva 85/337/CEE).
In tema di abrogazioni, occorre precisare le norme che sono abrogate in relazione alle procedure di VIA statale sia per ciò che concerne il DPCM 27 dicembre 1988 che il DPCM 10 agosto 1988 n. 377. In particolare, i commi 3 e 4 dell'articolo 51 del DPCM 27 dicembre 1988 che prevedono la vigenza delle attuali norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale SIA in attesa della emanazione di nuove norme tecniche integrative con DPCM.
Circa il recepimento delle direttive comunitarie, pur rilevando che seppure con qualche discrasia, come anche sopra evidenziato, le disposizioni delle direttive comunitarie siano da ritenersi pressoché recepite interamente, si segnala che in relazione alla procedura di VIA non risulta evidenza della disposizione prevista dall'articolo 10-bis della direttiva 85/337/CEE, introdotto dalla direttiva 2003/35/CE, relativo alle procedure di ricorso amministrativo e giurisdizionale per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico. Così come si riscontrano differenze rispetto alle norme comunitarie in relazione alla modalità di pubblicizzazione dei piani/provvedimenti adottati (articolo 13) per ciò che concerne la VAS. Altra questione è quella relativa ai tempi previsti per la partecipazione del pubblico. I trenta giorni potrebbero risultare insufficienti data la complessità delle opere e degli interventi con ricadute molteplici sul territorio.
Nell'articolo 33 (relazione tra VAS e VIA), è opportuno esplicitare che nei casi in cui non vi siano precedenti valutativi si possa procedere con le procedure di VIA in maniera autonoma o comunque in parallelo con le procedure di VAS.

Il senatore CHINCARINI (LP), relatore sulla parte terza dello schema di decreto, fa presente che nel parere favorevole devono essere inserite alcune osservazioni che riguardano, in particolare, la necessità di procedere nell'armonizzazione della normativa interna con quella di fonte comunitaria e il ruolo da attribuirsi alle autonomie locali. Sarebbe necessario, con riferimento a tale parte dello schema di decreto, che sia preliminarmente verificato che la normativa comunitaria venga rispettata accuratamente onde evitare possibili sanzioni derivanti dalla sua infrazione.
All'articolo 63 si segnala l'esigenza di rafforzare il ruolo delle regioni, concertando con esse l'individuazione dei distretti, idrografici e assegnando alle regioni la nomina del Segretario generale e dei componenti degli organi dell' Autorità di bacino, sentiti gli enti locali interessati. Occorre una più concreta definizione dei rapporti tra Piano stralcio per l'assetto idrogeologico e Piani di gestione dei distretti affinché la pianificazione delle azioni di difesa del suolo sia efficacemente collegata con quella relativa alla gestione delle risorse idriche. Venga valutata la possibilità di prevedere un'adeguata normativa transitoria che regolamenti le fasi di passaggio dalle norme di cui si prevede l'abrogazione a quelle in questione e di passaggio dai piani vigenti a quelli previsti. Con riferimento all'articolo 114 in tema di dighe, occorre specificare che i gestori che abbiano già ottemperato agli obblighi previsti dal decreto ministeriale del 30 giugno del 2004 siano esentati dall'applicazione della nuova disciplina.
All'articolo 126, ove si tratta degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, venga riconosciuto ai comuni sede di tali impianti una adeguata e congrua indennità di disagio da parte delle regioni competenti.
All'articolo 148 sull'operatività della Autorità d'ambito, si preveda per queste la possibilità di accedere al credito locale essendo le stesse soggette alla Tesoreria unica presso la Banca d'Italia. All'articolo 153 sul regime dei beni demaniali si garantisca un ristoro alle amministrazioni locali allorquando i beni in concessione siano stati realizzati mediante fondi propri dei comuni stessi. All'articolo 159 sembra opportuno che nel Consiglio d'autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti possano essere nominati fra i 12 previsti, 2 componenti indicati dai comuni.

Interviene quindi il senatore TURRONI (Verdi-Un) il quale, dopo aver invitato il relatore Chincarini a non rifarsi alle considerazioni svolte dai Gruppi di opposizione, illustra i contenuti di una proposta di parere contrario a propria firma, sottoscritta altresì dai senatori Vallone, Giovanelli, Rollandin, Tommaso Sodano e Iovene.
Lo schema di decreto in oggetto si compone di 318 articoli e 45 allegati in materia di procedure per la valutazione ambientale (VIA, VAS e IPPC), difesa del suolo, gestione delle risorse idriche, gestione dei rifiuti e bonifiche, tutela dell'aria e danno ambientale, accorpando in un unico schema di decreto tutte le norme relative ai citati comparti di materia oggetto della delega stessa di cui alla legge n. 308 del 2004, eccezion fatta della gestione delle aree protette. Il provvedimento è stato definito senza rispettare le procedure indicate al comma 14 dell'articolo 1, che prevedevano forme di consultazione delle organizzazioni sindacali ed imprenditoriali, delle associazioni ambientaliste e per la tutela dei consumatori; inoltre, esso è stato adottato senza aver acquisito il parere della Conferenza unificata Stato-Regioni-città, non rispettando così quanto previsto al comma 4, articolo 1, della legge delega. Il metodo seguito dal Governo ha rotto l'accordo firmato il 4 ottobre 2001 tra il Ministro Matteoli, le Regioni, l'Anci e l'Upi nel quale le parti avevano concordato di "operare pariteticamente nell'elaborazione legislativa ai fini di conseguire gli obiettivi condivisi e garantire una interlocuzione sistematica con le Regioni e gli enti locali per quanto riguarda i decreti legislativi previsti dal disegno di legge delega", provocando una forte, dura e giusta protesta delle Regioni e degli enti locali per la totale assenza di confronto e di dialogo nella elaborazione dello schema di decreto.
Inoltre, non sono state rispettate neppure le procedure previste dalla legge delega al comma 15 dell'articolo 1, che stabilivano una periodica e dettagliata informazione da parte del Governo verso il Parlamento. In numerosi punti il provvedimento contrasta con la normativa comunitaria vigente e viola per eccesso di delega la stessa legge 308 del 2004 nella quale esso dovrebbe trovare invece la propria fonte normativa e il proprio limite. Non sono stati rispettati i principi e criteri direttivi relativi alle politiche di sostegno per l'adozione delle migliori tecnologie disponibili (articolo 1, comma 8, lettera d) ), per la diffusione dei sistemi di certificazione ambientale per le piccole e medie imprese (articolo 1, comma 8, lettera n)), per lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili (articolo 1, comma 9, lettera g), n. 2 ), per l'uso di veicoli e carburanti in grado di contribuire al miglioramento della qualità dell'aria (articolo 1, comma 9, lettera g), n. 4), non sono stati in alcun modo presi in considerazione.
Lo schema di decreto contiene altresì disposizioni che comprimono o palesemente violano le competenze definite dagli articoli 117 e 118 della Costituzione e dal decreto legislativo 112 del 1998 sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, competenze consolidate peraltro dalla giurisprudenza della Corte costituzionale anche in materia di leale collaborazione tra Stato, Regioni ed enti territoriali. Il testo in esame viola il principio di sussidiarietà indicato dalla legge delega (articolo 1 comma 8) tra i principi fondamentali ai quali i decreti attuativi dovevano ispirarsi poiché riconduce a livello centrale funzioni e compiti già conferiti alle Regioni e da queste agli enti locali. Mentre la legge n. 308 del 2004 delegava il Governo ad emanare uno o più decreti di "riordino, coordinamento o integrazione", lo schema di decreto apporta modifiche sostanziali alla disciplina in materia , incidendo pesantemente sul riparto di competenza tra Stato e Regioni e abbassando il livello complessivo di tutela dell'ambiente.
È pienamente fallito quindi l'obiettivo di semplificare le leggi ambientali, armonizzandole con le più recenti norme comunitarie, per renderle comprensibili ed applicabili da parte degli amministratori e degli operatori economici. E' invece pienamente centrato lo scopo di arrecare un danno senza precedenti ai principi del diritto ambientale ormai consolidati nel nostro ordinamento. Tutte le norme delineate dal decreto convergono verso l'assoluta centralizzazione delle procedure nel Ministro dell'ambiente generando situazioni di alta conflittualità in particolare nei settori dei rifiuti e dei servizi idrici, in un clima di assoluta mancanza di confronto con le istituzioni, con il Parlamento, con le associazioni di categoria (ambientali, imprenditoriali etc.) e con le istituzioni pubbliche che meglio rappresentano gli interessi dei cittadini (regioni, province e comuni).
Il testo proposto, anziché offrire un quadro di regole chiare e certe ai soggetti pubblici e privati, darebbe luogo a molteplici contenziosi sia in sede comunitaria che nel rapporto con le Regioni e finirebbe perciò per creare una situazione di ancora maggior incertezza ed aumentare il rischio di contenzioso amministrativo e giurisdizionale. Inoltre, lo schema di provvedimento, anziché riordinare la normativa per renderla più efficace ed al tempo stesso più facile da applicare attraverso una necessaria ed auspicata semplificazione delle procedure, finirebbe per rendere invece ancora più complicata e confusa la normativa in campo ambientale, con conseguenti appesantimenti burocratici. Le disposizioni in esame presentano lacune e carenze talmente gravi che difficilmente potranno essere sanate anche dalla più attenta e puntuale revisione e per molti versi, lo stesso impianto dello schema si presenta inemendabile.
Lo schema di decreto delinea una procedura di VAS assimilata impropriamente a quella di VIA, senza tenere in alcuna considerazione le differenze sostanziali dei due processi decisionali chiaramente espressa dalle direttive comunitarie. Con riferimento alla procedura di VIA, non risultano corrette le deviazioni rispetto alla normativa comunitaria (iter semplificato e accelerato sulle infrastrutture strategiche) introdotte con il decreto legislativo n. 190 del 2002, che hanno portato ad una procedura d'infrazione contro l'Italia. Secondo la Direttiva 2001/42, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente, il processo di valutazione degli effetti ambientali di un piano/programma deve essere compreso nella procedura stessa di stesura dello strumento pianificatorio, mentre nella bozza di decreto si prevede che gli effetti ambientali siano valutati solo a valle della presentazione del piano/programma, essendo quindi la valutazione ambientale una fase successiva a quella di adozione dello stesso. Le consultazioni sono considerate come un mero aspetto procedurale, per le quali tra l'altro sono previste limitazioni arbitrarie rispetto ai tempi e con riguardo alle informazioni da rendere disponibili per il pubblico, mentre l'articolo 6 della Direttiva 2001/42 le considera come una fase essenziale necessaria ai fini della stessa stesura del piano definitivo. Mentre la Direttiva stabilisce che i piani ed i programmi di valenza ambientale siano soggetti ad una valutazione ambientale prima della loro adozione e che le conseguenti delibere di adozione rendano conto dell'iter di valutazione degli effetti sull'ambiente, il decreto considera la valutazione ambientale una mera verifica da fare successivamente all'approvazione del piano/programma.
Il testo in esame stabilisce una possibile connessione tra VAS e VIA, stabilendo l'acquisizione nella procedura VIA di elementi positivamente esaminati in ordine alla VAS, mentre le due procedure sono chiaramente autonome e distinte nella Direttiva 2001/42. Per quanto riguarda la VIA emergono numerosi elementi di confusione e di contrasto con la normativa comunitaria che hanno portato alla procedura di infrazione nei confronti dell'Italia riguardo alla fase di progettazione (preliminare e definitiva) in cui si deve espletare la VIA (estensione del principio di silenzio/assenso). Si evidenzia, inoltre, l'assenza tra gli obiettivi dell'integrazione della procedura di valutazione di impatto ambientale con le procedure esistenti di autorizzazione dei progetti, esplicitamente richiamato dalla direttiva 85/337/CEE, al pari del coordinamento con la procedura inerente l'IPPC.
Il decreto dispone l'esclusione dall'ambito d'applicazione della VIA dei progetti relativi ad opere ed interventi disposti in situazioni di necessità e d'urgenza a scopi di salvaguardia dell'incolumità delle persone da un pericolo imminente o a seguito di calamità, in contrasto con le disposizioni comunitarie, esclusione che sarebbe possibile solo per progetti riguardanti interventi relativi alla difesa nazionale. Nei casi di necessità e d'urgenza, in accordo con la normativa comunitaria, si potrebbe ovviare mediante atto legislativo nazionale specifico, sempre che siano fatti salvi gli obiettivi della direttiva VIA (Direttiva 85/337 e successive modificazioni). Non è nemmeno possibile l'esclusione dei progetti relativi ad opere di carattere temporaneo o rientranti nell'ambito di interventi di bonifica, ancorché già autorizzati, elencate nell'allegato I alla Direttiva 85/337.
Viene prevista l'istituzione di una fase pre-VIA extraprocedimentale che coinvolge solo le amministrazioni pubbliche interessate (regioni ed enti locali), che si apre con la consegna dello Studio di Impatto Ambientale e si conclude con un giudizio preliminare di compatibilità ambientale, eludendo qualsiasi principio comunitario oltre che sulla VIA anche sull'accesso agli atti e alla partecipazione (dalla Convenzione di Aahrus alla Direttiva comunitaria 90/313/CE sulle informazioni in campo ambientale). L'autonomia della procedura VIA è compromessa poiché il giudizio di compatibilità ambientale può essere espresso anche in mancanza del parere esplicito da parte dell'autorità ambientale competente, sostituita nelle sue funzioni dal Consiglio dei Ministri, trascorso il termine di 60 giorni. Si legittima, quindi, una valutazione del tutto politica, che può essere innescata anche su istanza della parti interessate, cioè dei proponenti che hanno elaborato il progetto sottoposto a VIA . Alla conclusione positiva delle procedure di VAS o di VIA si può giungere con il concorso di un silenzio assenso del Consiglio dei Ministri nei casi in cui questo sia chiamato ad intervenire per inadempienza del soggetto tenuto a condurre la valutazioni nei tempi assegnati. La chiamata in causa del Consiglio dei Ministri diventerà sempre più frequente visti i ridotti tempi di espletamento passati dagli attuali 150 giorni ai 90 prevista dal testo unico. I nuovi termini non sono compatibili con il coordinamento delle procedure autorizzative, disciplinate dalle leggi regionali, che prevedono un termine di 150 giorni. La prospettiva delineata dagli articoli 12, 31 e 33, che di fatto può portare al silenzio assenso per la VAS e per la VIA, non consentirebbe neanche la formulazione di prescrizioni e condizioni, normalmente previste in sede di pronuncia.
Nell'allegato III risultano escluse numerose tipologie di progetti previsti nell'allegato II della Direttiva 85/337, come aggiornata dalla Direttiva 97/11. L'applicazione delle norme tecniche vigenti in Italia (DPCM 27 dicembre 1988), completamente ignorate nelle premesse, all'art. 24 e nell'Allegato 5. Con ciò si consente al proponente/progettista un ampio margine di discrezionalità sugli standard di qualità, da adottare per la stesura del principale documento tecnico posto a valutazione.
Il testo proposto contrasta in maniera nettissima con gli obiettivi della semplificazione e del coordinamento normativo previsti dalla legge delega. Non viene superata la separazione dei diversi aspetti del ciclo della risorsa acqua, anzi la sezione dello schema è a sua volta suddivisa in tre parti (difesa del suolo, desertificazione, tutela dall'inquinamento e gestione risorse idriche). Il testo non è conforme alla Direttiva 2000/60/CE dal momento che, senza prevedere una idonea fase di transizione, modifica il sistema di gestione della difesa del suolo e della tutela delle acque ( legge 183/89 ) del servizio idrico di cui alla legge 36/94 proponendone uno nuovo, con spiccate tendenze centralistiche, incapace di coordinare sinergicamente competenze, ruoli, responsabilità e poteri decisionali delle istituzioni interessate nonché di armonizzare criteri, contenuti, modalità di approvazione, di applicazione e di aggiornamento dei diversi strumenti di pianificazione. In particolare, manca l'indispensabile integrazione nella gestione della risorsa idrica rilanciata con forza dalla direttiva attraverso il governo unitario per bacini idrografici e attraverso la graduale copertura dei costi degli utilizzi delle acque; non sono rispettate le modalità previste dalla direttiva per la redazione dei piani di gestione di bacino, soprattutto per quanto riguarda la "partecipazione attiva" espressamente richiesta all'articolo 14 della direttiva e completamente ignorata nel testo dello schema presentato. Il piano di bacino, di cui il piano di gestione ed il piano di tutela costituiscono stralci, viene redatto dall'Autorità di Bacino secondo criteri e metodi dettati dalla Conferenza di Servizi presieduta dal Ministro dell'Ambiente; tale Conferenza di Servizi (organo tecnico a carattere non permanente), si sostituisce nelle attività di pianificazione e di adozione del piano di bacino al Comitato Istituzionale (organo politico a carattere permanente) cui nell'attuale contesto è affidata la collaborazione tra Stato e Regioni in un settore, come quello territoriale, di indiscussa competenza di entrambe le istituzioni; ne consegue la difficoltà di individuazione del soggetto su cui far ricadere la responsabilità politica delle scelte adottate. Con riferimento a Piano di Gestione e Piani di Tutela , che debbono ricomporsi nel Piano di Bacino, la loro approvazione indipendente non vi è la certezza che siano garantite le necessarie compatibilità e sinergie tra i piani stralcio e tra essi ed il Piano di Bacino dagli stessi sono generati. Inoltre la definizione del Piano di Bacino non comprende i contenuti previsti per il Piano di Gestione e per i Piani di Tutela che appaiono scoordinati tra loro. Il tema delle concessioni è affrontato senza considerare il problema della modifica/aggiornamento delle stesse in conseguenza del manifestarsi di situazioni temporanee di crisi (siccità) o di permanenti modifiche della disponibilità netta di risorse, conseguenti anche a modifiche del regime climatico.
Le norme sulla organizzazione e gestione del Servizio Idrico Integrato sono, in vari casi, non conformi alla Costituzione e comunque eccedenti l'oggetto della delega e rappresentano una palese "invasione" dello Stato sia su competenze regionali, non limitandosi a stabilire principi, ma stabilendo regole e attribuendosi poteri sostitutivi su argomenti di pertinenza degli enti locali, sia sugli enti gestori fissando soluzioni organizzative obbligatorie che potrebbero condizionare l'efficacia delle prestazioni.
Per quanto riguarda gli aspetti più specificatamente tecnici, alcune criticità del testo lo rendono fortemente carente ai fini della successiva applicazione delle norme e in taluni casi neppure in linea con norme recentemente emanate. Il mancato inserimento delle disposizioni di cui all'allegato II della Direttiva che definiscono con chiarezza il modello da seguire per la caratterizzazione dei corpi idrici determina l'impossibilità di caratterizzare i corpi idrici in "tipi", al fine di stabilire le condizioni di riferimento e di definire i rapporti di qualità ecologica (EQR) attraverso i quali è possibile valutare lo scostamento delle condizioni di un corpo idrico rispetto alle condizioni di riferimento. Non viene fatta alcuna menzione del processo di intercalibrazione che dovrebbe garantire la comparabilità fra i diversi stati membri delle classi ecologiche definite in accordo ai criteri espressi nell'All. 1 della Direttiva. Non viene definito chiaramente il tema delle sostanze pericolose e di quelle prioritarie, sulla base delle quali si stabilisce lo stato di qualità chimico delle acque. Non viene armonizzata la normativa di riferimento internazionale e nazionale (Articolo 16 della WFD, Decisione n° 2455/2001/CE che stabilisce l'elenco delle sostanze prioritarie, Decreto 367/2003 riguardante gli standard di qualità per le sostanze pericolose), mentre vengono pesantemente modificati standard di qualità recentemente stabiliti, risultando essere generalmente più elevati (in alcuni casi fino a 1.000 volte) rispetto a quelli recentemente emanati con il citato decreto ministeriale; inoltre, poiché quest'ultimo non risulta tra quelli abrogati dall'articolo 122, non è chiaro quindi quali saranno gli standard da conseguire. Vengono riproposte alcune norme esistenti senza tenere conto di quanto di nuovo è avvenuto nel panorama tecnico e scientifico di riferimento. Ne è un esempio l'Allegato 2 in cui sono indicati metodi analitici in alcuni casi superati invece di fare riferimento ai metodi Apat-Irsa attualmente in vigore o in cui sono riportati alcuni limiti stabiliti dalla preesistente norma, che si discostano da quelli previsti dalla bozza per la buona qualità ecologica. La tabella 1/A (sostanze pericolose) dell'allegato riporta limiti completamente diversi e molto meno restrittivi del decreto ministeriale 397/03, con evidentissimi rischi di peggioramento dei livelli di protezione delle acque dall'inquinamento; né ci si preoccupa (come del resto in altre parti del decreto) di realizzare un moderno sistema di controlli ambientali, in cooperazione tra i vari enti competenti. Vengono , infine, abrogate le disposizioni della legge n. 183 del 1989, senza sostituirle con una nuova normativa organica, coerente ed efficace, dando vita ad un sistema di norme pasticciato, confuso ed inapplicabile, incapace di coordinare competenze, ruoli, responsabilità delle istituzioni interessate, nonché di armonizzare contenuti e modalità di applicazione dei diversi strumenti di pianificazione; un sistema di norme che a parole dichiara di recepire la direttiva 2000/60, ma si muove in direzione opposta.
In materia di rifiuti e bonifiche le disposizioni in esame si caratterizzano da un lato per una generalizzata tendenza a semplificare l'attuale assetto normativo attraverso norme che appaiono chiaramente in contrasto con la normativa comunitaria, e dall'altro ad abbassare, ove possibile, gli standard di qualità esistenti a tutela dell'ambiente, con particolare riferimento al bilanciamento delle competenze tra Stato, Regioni ed Enti locali, alle materie prime secondarie e ai sottoprodotti, all'istituto degli Accordi di programma, alla nuova definizione di raccolta differenziata, alla classificazione delle terre e rocce da scavo, ed infine alla bonifica dei siti contaminati. Nel riparto delle competenze tra Stato, Regioni ed Enti locali vi è un generale accentramento verso lo Stato, in violazione della delega e delle competenze consolidate. Il decreto ripropone formulazioni legislative già oggetto di procedure d'infrazione comunitaria, non risolte o già decise dalla Corte di Giustizia in senso non conforme alle scelte contenute nello schema di decreto relativamente a materie prime secondarie e sottoprodotti, che sarebbero esclusi dall'ambito d'applicazione del decreto.
Si prevede l'istituzione di una Autorità di vigilanza sui rifiuti e sull'acqua che appare non solo immotivata sul piano sostanziale, ed invasiva di funzioni proprie degli enti locali, ma anche frutto di un palese eccesso di delega su quello formale. Il testo in esame prevede, all'articolo 264, comma 1, lettera n) l'abrogazione della norma istituitiva del tributo provinciale per l'esercizio di funzioni di tutela, protezione e igiene dell'ambiente, senza che venga prevista una forma di compensazione. La previsione di un inceneritore in ogni ambito territoriale ottimale (ATO) (sugli articoli 182 e 201 dello schema di decreto in oggetto, provocherebbe la costruzione di nuovi impianti senza che ciò sia riconducibile ad una pianificazione regionale fatta sulla base di criteri di efficacia, efficienza ed economicità. Il concetto di "sottoprodotto" di cui all'articolo 183 dello schema di decreto in titolo non trova riscontro nella legislazione comunitaria ne' viene chiarito quale sia l'autorità competente ad effettuare i relativi controlli. Con l'articolo 189 viene eliminato l'obbligo per i produttori di rifiuti speciali non pericolosi di presentare il MUD, mentre come è noto il catasto dei rifiuti ha come obiettivo quello di avere un quadro conoscitivo completo e aggiornato che così perderebbe ogni senso.
Gli accordi di programma potrebbero surrogare l'ottenimento dell'autorizzazione nel caso essi riguardino operazioni di recupero, in violazione della direttiva 91/156, che prevede che "tutti gli stabilimenti che effettuano le operazioni elencate nell'allegato II B (operazioni di recupero dei rifiuti) devono ottenere un'autorizzazione a tal fine". La deroga, prevista dal decreto al sistema autorizzativo e l'esclusione dalla prestazione delle garanzie finanziarie a favore dei soggetti, che concludono accordi di programma, sono anche in contrasto con i principi di generalità e astrattezza delle norme. La nuova definizione di "raccolta differenziata" farebbe rientrare in questa fattispecie anche la raccolta multi materiale con conseguente scarsa qualità dei materiali raccolti . La inclusione nella definizione di "raccolta differenziata" anche della frazione organica umida (che proviene non da operazioni di raccolta ma da impianti di trattamento del rifiuto urbano indiffenziato) incrementerebbe in maniera artificiosa le percentuali di raccolta differenziata e disincentiverebbe, di fatto, la raccolta differenziata reale.
Per le terre e rocce da scavo è prevista in pratica la loro derubricazione dai rifiuti, quando le concentrazioni degli inquinanti si collochino fra i limiti per la destinazione residenziale e quelli per la destinazione d'uso commerciale/industriale (D.M. 471/99). Questa fattispecie consentirebbe il riutilizzo dei terreni indipendentemente dalla destinazione d'uso determinando perciò situazioni di potenziale e pericolosa circolazione d'inquinanti. Vi è da osservare, inoltre, che i controlli da effettuare sono previsti direttamente sui siti di destinazione e pertanto non può essere esclusa la possibilità che tali terreni siano utilizzati anche quando le concentrazioni siano superiori ai limiti per la destinazione commerciale/industriale. Sono, inoltre, compresi fra terre e rocce da scavo anche i residui della lavorazione della pietra.
Si restringe l'ambito di applicazione della normativa, con il rischio di sottrarre quantitativi notevoli di rifiuti ad ogni forma di controllo e di verifica, riproponendo situazioni già oggetto di procedure di infrazione europea; la normativa potrà inoltre essere aggirata attraverso la stipula di accordi di programma tra il ministero e soggetti privati, poiché si prevede, esorbitando sia rispetto al mandato della legge delega che rispetto ai limiti propri dell'istituto, che gli accordi di programma siano sostitutivi dell'attività normativa. La previsione del passaggio dal regime obbligatorio al regime volontario per l'adesione ai consorzi di filiera degli imballaggi e per il recupero di particolari tipologie di rifiuti, mette in discussione i positivi risultati raggiunti dall'Italia in questi settori. In materia di bonifica dei siti contaminati, scompare dall'ordinamento la tutela anticipata: sarà sanzionabile chi cagiona l'inquinamento solo dopo il superamento delle condizioni di rischio. Il superamento delle soglie di contaminazione non produrrà immediatamente l'obbligo di bonifica; bisognerà attendere le successive indagini ed analisi che determineranno l'esistenza o meno del danno ambientale. Viene eliminato il privilegio generale mobiliare nei confronti del responsabile dell'inquinamento e modificata l'applicabilità dell'onere reale sulle aree, indebolendo sensibilmente la posizione della pubblica amministrazione nel momento in cui essa debba recuperare le somme spese per la realizzazione in danno degli interventi. Non sarà più responsabile, per le bonifiche, chi cagiona l'inquinamento anche accidentalmente, ma se ne dovrà provare il dolo o la colpa (il che non accadrà quasi mai in tempi rapidi); le bonifiche potranno essere finalizzate non più alla "rimozione" del fattore inquinante ma anche solo alla riduzione dell'inquinamento; peraltro non sarà più punibile l'inquinatore che bonifica, neppure ai sensi degli altri illeciti ambientali (essendo questi "assorbiti"dalla bonifica) . Il rischio pratico è che un soggetto che ad, esempio, abbia inquinato sotto, sottosuolo e una falda acquifera non autorizzata, possa bonificare i primi due e sanare così l'inquinamento della falda. Il testo in titolo prevede altresì che, in molti casi, il privato possa concludere la procedura con la sola autocertificazione che nel sito non siano state superate le condizioni di rischio. Vi sarà solo un periodo di 15 giorni entro il quale svolgere i controlli sulla veridicità o meno di tali dichiarazioni, ma Arpa e province effettueranno controlli solo sulla conformità degli interventi ai progetti approvati e non sono più previsti controlli quantitativi. I controlli saranno quindi diretti solo a confermare che i privati hanno svolto gli interventi nel modo in cui li hanno dichiarati. Le attività in esercizio nel sito non potranno essere sospese durante la bonifica . In pratica con l'espediente della "messa in sicurezza operativa" la bonifica potrà essere agevolmente rimandata a data da destinarsi, almeno fino a quando le attività in corso saranno dimesse. Le aziende potranno inquinare le aree su cui sono installate limitandosi a controllare che tale inquinamento non causi problemi sanitari agli operatori e non si propaghi all'esterno, rinviando la bonifica.
In materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera il testo in titolo, che avrebbe dovuto affrontare anche il problema della qualità dell'aria e non solo della riduzione delle emissioni, comprendendo ed armonizzando gli aspetti fondamentali del risanamento atmosferico, peraltro già in parte inclusi nella normativa nazionale del decreto legislativo n. 171 del 2004 e n. 59 del 2005, in recepimento delle direttive 2001/81 e 1996/62, fa riferimento esclusivo alle emissioni in atmosfera di impianti industriali e civili e agli aspetti dei processi autorizzatori, sono previsti limiti di emissione massimi e minimi riprendendo la formulazione della normativa pregressa, vecchia di circa 15 anni, che riguardava l'adeguamento degli impianti in intervalli temporali definiti, ormai ampiamente superati. Si prevede che le emissioni di un grande stabilimento aventi più impianti con caratteristiche tecniche e costruttive simili possano essere considerate come prodotte da un unico punto d'emissione con ciò mediando le caratteristiche delle singole emissioni, spesso campionate in tempi diversi, e sfruttando ampiamente la diluizione, nonostante il fatto che ciò sia previsto dalla normativa europea (direttiva 2001/80) solo per le raffinerie e con riferimento al solo parametro SO2. Si osserva che negli allegati della bozza di decreto è dettagliatamente trattata la regolamentazione delle operazioni di deposito, di trasporto e degli impianti di distribuzione di benzina, che non risulta omogenea con quella delle altre tipologie impiantistiche trattate. In contrasto con quanto previsto da altre normative di settore (articolo 8 del decreto legislativo n. 59 del 2005), il testo si caratterizza per una limitazione dei poteri oggi in capo alle regioni. E' prevista, infatti, ripetutamente la necessità di un'intesa con il Ministero dell'ambiente per la fissazione di limiti più restrittivi da parte della Regione in contrasto con l'approccio regolatore, che dovrebbe permeare i processi autorizzativi previsti dall'autorizzazione integrata ambientale (IPPC). Non è stato fatto alcuno sforzo per tentare di porre in relazione in modo sinergico le direttive NEC, LCP E IPPC ed il sistema di autorizzazioni delle emissioni in atmosfera, in un'ottica di pianificazione per la tutela ed il miglioramento della risorsa "aria". Le disposizioni in esame non si applicano gli impianti soggetti ad IPPC, agli impianti recentemente normati come gli inceneritori, per i quali si rimanda alla norma vigente del decreto legislativo n. 133 del 2005) e sono esclusi anche gli impianti termici, di ricerca, di prova, per la difesa nazionale, sfiati da ambienti di lavoro. Per tutti gli altri impianti che hanno emissioni in atmosfera il rilascio dell'autorizzazione ha una durata di 15 anni, in contrasto con il quadro generale della normativa europea sull'ambiente, dal momento che le autorizzazioni integrate ambientali (direttiva 1996/62 e decreti attuativi) sono rilasciate per 8 anni nel caso di stabilimenti registrati EMAS, per 6 anni per quelli registrati ISO 14001, e per 5 anni in tutti gli altri casi. La stessa cosa vale per le discariche e per gli scarichi idrici, per i quali nei casi ordinari tutte le autorizzazioni valgono per 5 e 4 anni, rispettivamente. con riferimento al titolo relativo agli impianti termici, la materia continua ad essere oggetto di molteplici normative tra loro non coerenti, nonostante la necessità evidenziata in diverse sedi di razionalizzare le disposizioni in un'ottica di semplificazione e certezza normativa. Inoltre, le disposizioni contenute in questo titolo non tengono conto di quanto previsto dal decreto attuativo della direttiva 91/2002/CE in materia di rendimento energetico degli edifici. Le regioni non potranno mantenere le discipline specifiche introdotte in questi anni, spesso più restrittive di quelle previste dalla legge delega.
In materia di danno ambientale lo schema di decreto abroga totalmente l'articolo 18 della legge n. 349 del 1986, che disciplina il danno ambientale e che definisce i soggetti titolari dell'azione di danno ambientale la responsabilità ed il risarcimento da danno ambientale, senza sostituirlo con nuove norme più adeguate all'evoluzione giurisprudenziale degli ultimi 20 anni né alle norme comunitarie, e ne riduce fortemente il contenuto ed il campo di applicazione. Il testo definisce una nuova procedura per le azioni di risarcimento del danno ambientale limitative rispetto alle norme ora in vigore. Alcune norme sono scritte in maniera non chiara, e si prestano quindi a difficili e non univoche applicazioni ed interpretazioni. Si definisce un ruolo del Ministro dell'ambiente che interferisce e riduce sostanzialmente quello delle regioni e delle amministrazioni locali. Il Ministero avrà la mera facoltà, ma non un obbligo di collaborare con regioni ed enti locali. Le modalità di attuazione della direttiva europea sulla "responsabilità ambientale" (direttiva 2004/35/CE) non tengono conto del fatto che la stessa norma comunitaria prevede che determinati soggetti, tra cui le associazioni ambientali, sono titolari della c.d. "richiesta di azione" e possano adire un Tribunale o altra autorità pubblica avverso le determinazioni ritenute lesive per l'ambiente. Tutto questo senza andare ad intaccare il sistema di accesso alla giustizia degli stati membri ("La presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni nazionali che disciplinano l'accesso alla giustizia".) Lo schema di decreto legislativo ha invece radicalmente mutato le attuali disposizioni legislative in materia di accesso alla giustizia. Ciò in evidente eccesso di delega e, si ripete, non certo in attuazione della direttiva comunitaria.
Con evidente eccesso di delega, abrogando l'articolo 20 della legge 349/86 si elimina la possibilità per regioni, province, comuni e associazioni ambientaliste ad essere legittimati ad adire al giudice ordinario se non attraverso il Ministro dell'ambiente . Di fatto , con la nuova norma, solo il Ministro appare titolato ad agire per il risarcimento del danno ambientale.
Cade l'obbligo di ripristino del sito, facendosi invece ricorso al risarcimento dell'equivalente patrimoniale. L'articolo 18 della legge n. 349 del 1986 viene espressamente abrogato e sostituito da articoli che fanno scomparire la legittimazione ad agire innanzi al giudice ordinario delle Regioni, delle Province e dei Comuni e la legittimazione di intervento in giudizio delle associazioni di protezione ambientale. Tutto ciò, peraltro, avviene mediante la più totale statalizzazione della tutela dal danno ambientale in uno Stato che, dopo le recenti riforme costituzionali, dovrebbe, invece, ispirarsi al principio di sussidiarietà, orizzontale e verticale. E' giusto che l'ambiente abbia come garante supremo lo Stato, ma, alla luce dell'ormai consolidato principio costituzionale che intende l'ambiente come valore e non come mera materia, sarebbe stato opportuno garantire ad esso diversi livelli di tutela, ossia quello centrale e quello periferico. Si ritiene inoltre inaccettabile che venga del tutto annullato il ruolo di impulso e di intervento delle associazioni di protezione ambientale nei giudizi per danno ambientale e più in generale nei procedimenti aventi ad oggetto i "reati ambientali", così come è messa in dubbio, vista la poca chiarezza della norma, la possibilità di ricorrere ai giudici amministrativi per l'annullamento di atti illegittimi della pubblica amministrazione aventi effetti negativi sull'ambiente.
Tutto ciò premesso e considerato, rileva che viene più volte violato il dettato costituzionale, con particolare riferimento all'eccesso di delega; viene generalmente diminuito il livello di protezione dell'ambiente, con pregiudizio per la salute; viene sostanzialmente smantellato l'assetto sanzionatorio per violazione delle leggi ambientali; viene disegnato un sistema di governo di carattere spiccatamente centralistico anche in campi di competenza costituzionalmente definita concorrente; viene scardinato l'attuale sistema di controllo e gestione, gradualmente e faticosamente costituito nel passato attraverso numerose leggi; vengono disattese importanti specifiche normative comunitarie, anche in settori nei quali sono tuttora in corso procedure di infrazione; vengono sostanzialmente ignorati i risultati del lavoro di Commissioni di inchiesta parlamentari, a cui si è pervenuti con ampia condivisione.
Sullo schema di decreto delegato la quasi totalità delle istituzioni e dei soggetti interessati - regioni e enti locali, associazioni ambientaliste e aziende che gestiscono servizi ambientali, associazioni delle imprese e organizzazioni sindacali - hanno espresso forti critiche e contrarietà, come è emerso nel corso delle audizioni parlamentari; analoghe critiche e preoccupazioni sono state espresse da numerosi esponenti della comunità scientifica e culturale.
Se definitivamente approvato, il decreto delegato produrrebbe non una riforma, ma una vera e propria opera di smantellamento della legislazione ambientale italiana, che allontanerebbe l'Italia dagli standard europei ed indebolirebbe sia le politiche di tutela delle risorse naturali e di preservazione degli equilibri ecologici che le politiche di sostenibilità dello sviluppo.

Il presidente NOVI avverte che si passa quindi alle dichiarazioni di voto sul mandato ai relatori Moncada, Specchia, Ponzo e Chincarini a redigere un parere favorevole con osservazioni sullo schema di decreto in esame.

Il senatore ROLLANDIN (Aut) preannuncia il voto contrario esprimendo un giudizio fortemente critico sullo schema di decreto, in quanto recante significative limitazioni dei poteri delle regioni tanto a statuto ordinario quanto ad autonomia speciale, mediante misure sulla cui legittimità manifesta fondati dubbi. Rileva altresì negativamente come un intervento normativo di tale portata sia stato predisposto nell'imminenza dello scadere della legislatura, impedendo di fatto alle Commissioni parlamentari di svolgere un serio approfondimento sulle vaste e complesse tematiche sottese al provvedimento in titolo.

Il senatore TURRONI (Verdi-Un), nel ribadire talune considerazioni già svolte nel proprio intervento in discussione di ieri, precisa, in via preliminare, che la problematica della disciplina della bonifica dei siti inquinati è caratterizzata dall'esigenza di prevenire e reprimere comportamenti illegali e collusioni tra il settore produttivo e i soggetti istituzionali coinvolti. Richiama, in tal senso, l'attenzione del Rappresentante del Governo su episodi connessi a bonifiche di siti inquinati di dubbia legalità, se non di vero e proprio malaffare, in varie parti d'Italia, tra cui la Campania e Venezia, nonché sulle vicende che hanno interessato l'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ICRAM), quale soggetto deputato alla caratterizzazione delle zone costiere oggetto di bonifiche. Ribadisce l'esigenza di una decisa azione a tutela della legalità nel settore delle bonifiche dei siti inquinati, riconoscendo l'impegno profuso dal presidente Novi in tale ambito. Più in generale, appare evidente, a suo avviso, che dietro alla forzatura con la quale si sta procedendo all'esame di questo provvedimento, si agitano interessi economici rilevanti e poco chiari dei quali in qualche modo si sono fatti interpreti il Capo di gabinetto del Ministro dell'ambiente, nonché il Vice Presidente di Confindustria per l'impresa e il territorio.
Con riferimento specifico all'esame del provvedimento in titolo, rileva poi criticamente come sui contenuti dello schema di decreto non vi siano stati interventi in discussione da parte di esponenti della maggioranza diversi dai relatori, non consentendo in questo modo di conoscere le opinioni in merito di tali forze politiche.
Sottolinea inoltre la forzatura costituita dall'intenzione di una sollecita conclusione dell'esame dello schema in assenza del parere della Conferenza unificata Stato-Regioni, senza peraltro aver ancora avuto cognizione della comunicazione - cui ha fatto cenno il Presidente Novi in apertura di seduta - da parte della Presidenza del Senato che modifica i termini della lettera di assegnazione dello schema alla Commissione. Inoltre, sempre sul punto vertente la possibilità per le Commissioni parlamentari di concludere i propri lavori anche in mancanza del prescritto parere della Conferenza unificata Stato-Regioni, giudica non condivisibile l'interpretazione sostenuta dal Ministro per i rapporti con il Parlamento che ha sottolineato l'inutile decorso del termine per l'espressione di detto parere e quindi la possibilità per la Commissione di esprimere al più presto il proprio parere.
Fa altresì presente che in una lettera inviata dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio al Presidente del Consiglio dei Ministri si fa esplicito riferimento al collegamento tra il decorso del termine per il parere della Conferenza unificata Stato-Regioni e il contenuto dello schema di decreto legislativo che reca anche il recepimento di direttive comunitarie; a tale riguardo, osserva che la legge delega n. 308 del 2004 non contiene alcuna specifica delega per il recepimento di direttive comunitarie, non potendosi interpretare in tal senso il disposto del comma 8 dell'articolo 1, laddove si prescrive che i decreti legislativi delegati debbano rispettare i principi e le norme comunitarie. Osserva inoltre che nella giornata di ieri è stato diffuso un ordine del giorno relativo allo schema di decreto, approvato dalla Conferenza dei Presidenti dell'Assemblea, dei Consigli regionali e delle province autonome e che tale documento non può certamente ritenersi equiparabile al parere, non ancora espresso, della Conferenza permanente Stato-Regioni.
Evidenzia quindi come dalle audizioni svolte preliminarmente all'esame allo schema sia emersa una serie di coerenti rilievi critici da parte di tutti i soggetti interpellati, i quali hanno valutato negativamente numerosi profili dello schema. Alla luce di tali valutazioni inerenti sia gli aspetti di metodo che il merito del provvedimento, ribadendo i contenuti dello schema di parere di minoranza in precedenza illustrato, esprime il proprio giudizio fortemente negativo sul provvedimento in titolo.
In conclusione, tuttavia, ribadisce che l'esame dello schema non può, a proprio avviso, essere concluso prima dell'espressione del parere da parte della Conferenza unificata Stato-Regioni, richiamando quanto affermato dalla Presidenza del Senato nel corso della seduta antimeridiana di ieri dell'Assemblea, nel senso di una conferma dell'assegnazione del provvedimento con riserva, e facendo notare che da parte della Presidenza del Senato non sono sinora pervenute alla Commissione indicazioni di diverso tenore.

Il senatore MONCADA (UDC) reputa le affermazioni del senatore Turroni sulle presunte collusioni verificatesi tra settore imprenditoriale e politico nell'ambito della gestione della bonifica dei siti ambientali inquinati estremamente gravi, comportando le stesse una denuncia all'autorità giudiziaria, ove fondate.

Il senatore Antonio BATTAGLIA (AN) , nell'associarsi a quanto testé affermato dal senatore Moncada, ritiene anch'egli gravi le affermazioni del senatore Turroni, anche in quanto formulate in una sede parlamentare, coinvolgendo, di conseguenza, possibili profili attinenti l'immunità connessa alla carica elettiva.

Il senatore SPECCHIA (AN), nell'annunciare il voto favorevole della propria parte politica, coglie l'occasione per esprimere la massima fiducia nella correttezza della procedura prospettata dal presidente Novi.

Il presidente NOVI, in via incidentale, ribadisce di aver ricevuto notizia dell'invio di una lettera datata 11 gennaio 2006 da parte della Presidenza del Senato con la quale si autorizzano le Commissioni parlamentari a concludere i propri lavori anche in assenza del parere della Conferenza unificata Stato-Regioni. Rileva altresì come, nel corso dell'esame dello schema, sia stata consentita ai Gruppi di opposizione un'ampia facoltà di intervento e come, nell'imminenza della materiale trasmissione della comunicazione della Presidenza del Senato di cui già si conoscono i contenuti, si possa procedere alla conclusione dello schema in titolo.

Il senatore TURRONI (Verdi-Un) sottolinea, a sua volta incidentalmente, la necessità di conoscere il preciso contenuto della comunicazione della Presidenza del Senato prima che la Commissione esprima un parere sullo schema di decreto, procedendosi altrimenti ad una indebita accelerazione dei lavori al solo fine di assecondare le volontà dell'Esecutivo e, per converso, delle categorie principalmente beneficiate dalla norme recate dallo schema.

Il presidente NOVI non condivide i rilievi formulati dal senatore Turroni e ribadisce la correttezza e l'imparzialità dell'operato proprio e dell'Esecutivo in materia di tutela ambientale, senza privilegiare gli interessi di talune categorie imprenditoriali riguardate dal provvedimento a scapito dell'interesse della collettività.

Verificata la presenza del numero legale per deliberare, il presidente NOVI pone quindi in votazione il conferimento del mandato ai relatori a redigere un parere favorevole con le osservazioni in precedenza illustrate, che risulta approvato a maggioranza.

Risulta quindi preclusa la votazione dello schema di parere contrario di minoranza, presentato dai Gruppi di opposizione ed illustrato dal senatore Turroni.

 

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