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Audizioni sui traffici illeciti di rifiuti pericolosi: Antonio Menga, comandante del Gruppo Roma tutela ambiente, e Pasquale Starace, comandante del Servizio operativo centrale.

Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività ad esso connesse

Seduta del 27/7/2005

Audizione di Antonio Menga, comandante del Gruppo Roma tutela ambiente, e di Pasquale Starace, comandante del Servizio operativo centrale.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del comandante del Gruppo Roma tutela ambiente, tenente colonnello Antonio Menga, e del comandante del Servizio operativo centrale, tenente Pasquale Starace, in merito alle indagini relative ai presunti traffici illeciti di rifiuti speciali pericolosi, avvenuti in diverse aree del territorio nazionale.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, do subito la parola al tenente colonnello Menga e al tenente Storace, accompagnati dal maggiore Roberto Masi del comando tutela ambiente.
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente. Le due attività concluse recentemente con la procura di Alessandria e con la procura di Viterbo sono le ultime di una lunga serie di attività investigative che ci hanno portato ad individuare una rete delle organizzazioni che svolgono attività organizzate di traffico illecito di rifiuti. Naturalmente, tutte le attività degli ultimi anni sono state originate da altre attività investigative, non da dichiarazioni di pentiti o da confidenze. Quindi, vi è stata una lunga catena, che naturalmente non si conclude con queste ultime due attività investigative.
Sono alla tutela ambiente da circa sei anni e la prima indagine che abbiamo svolto (nel '99) è stata la "Cassiopea", una grossa indagine che ormai tutti conoscono, che ci ha dato già una buona dote di informazioni rivelatesi utilissime nel momento in cui è entrato in vigore l'articolo 53-bis. Quindi, siamo stati in grado di aggredire localmente sia le organizzazioni che erano emerse durante quell'attività sia quelle emerse successivamente, a seguito di ulteriori sviluppi investigativi.
Ricordo che, nell'ambito della prima indagine svolta dopo l'entrata in vigore dell'articolo 53-bis, la "Murgia violata" - una indagine che noi abbiamo condotto in Puglia con la procura di Bari e il dottor Nitti -, i due soggetti principali dell'organizzazione erano emersi proprio durante l'attività investigativa denominata "Cassiopea" (svolta con la procura di Santa Maria Capua Vetere). Successivamente, sono emersi ulteriori sviluppi investigativi che ci hanno portato nel Lazio e a Venezia, dove abbiamo condotto una attività investigativa molto importante - una delle più importanti -, denominata "Houdini"; in quel caso abbiamo affrontato la problematica dei centri di stoccaggio che svolgono attività illecita, che non sono altro che dei grossi contenitori all'interno dei quali vanno a finire le varie tipologie di rifiuti pericolosi (si tratta di centri di stoccaggio autorizzati anche ai sensi degli articoli 27-28 del decreto Ronchi).
Nell'indagine di Venezia abbiamo rilevato una particolarità: per la prima volta (anche se già durante le attività pregresse era emerso il problema delle bonifiche) c'era proprio il coinvolgimento diretto dei titolari della società che svolgeva attività di smaltimento di rifiuti - il centro di stoccaggio -, che erano allo stesso tempo titolari di una società che svolgeva attività di bonifica. Quindi, questi stessi soggetti acquisivano a prezzi stracciati le terre e rocce provenienti dalle bonifiche, sapendo benissimo che avrebbero speso anche molto poco per lo smaltimento successivo (il grosso contenitore riceveva così tantissimi rifiuti quotidianamente).
È stato molto difficile ricostruire questi giri, nonostante fossimo all'interno dell'azienda e effettuassimo le intercettazioni telefoniche (un'enorme quantità di rifiuti entrava e contemporaneamente usciva da questa azienda, grazie all'utilizzo di centinaia di camion). Questa attività investigativa ci ha dato anche la possibilità di individuare numerosi altri siti che, a livello nazionale, ricevevano i rifiuti smaltiti illecitamente, proseguendo una catena che ha dato origine ad indagini come quella denominata Mosca...
PRESIDENTE. Avete una sorta di mappa geografica di questi siti?
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente.. L'abbiamo avuta nel momento in cui abbiamo fatto questa attività investigativa a Venezia, visto che da lì poi siamo andati a finire in altri posti.
DONATO PIGLIONICA. Mi sembra di capire che vi è una mappa geografica che segue ad una mappa anagrafica e che i soggetti poi siano sempre gli stessi.
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente.. Il nostro know how in merito al traffico illecito di rifiuti è sicuramente di gran lunga superiore a quello di sei anni fa. Sei anni fa avevamo monitorato pochi soggetti di interesse operativo, mentre adesso arriviamo a circa mille soggetti monitorati. Non tutti i soggetti sono molto grandi, anche se il monitoraggio riguarda diverse società.
Questa attività, tra l'altro, è stata da noi utilizzata in un programma di analisi criminale, che ci consente di non perdere nulla; quando noi abbiamo a che fare con un soggetto in una nuova attività investigativa, abbiamo già tutte le informazioni che ci interessano su di lui. Si tratta di un know how che ci è stato molto utile, considerato anche l'aumento dell'organico voluto dal ministro (siamo passati da 170 unità a 400), che ha portato all'inserimento di 230 nuovi ragazzi molto giovani e molto volenterosi, ma senza esperienza del settore. Questi strumenti informatici ci garantiscono che anche queste persone, che hanno una minore esperienza nel settore, indirizzati dai vari comandanti, riescano comunque ad utilizzare questo know how sviluppatosi negli anni, dando luogo a nuove indagini (come l'indagine Mosca nel Molise e le ultime che emergono proprio da conoscenze pregresse).
Per esempio, l'Intecna, società nei confronti della quale abbiamo disposto un sequestro nell'ambito dell'indagine che abbiamo concluso con la procura di Alessandria, riceveva rifiuti dalla Nuova Esa, una società di Venezia che noi abbiamo fatto chiudere a seguito dell'indagine "Houdini" (i rifiuti arrivati all'Intecna furono riportati alla Nuova Esa, ma la società Intecna nel tempo ha continuato a delinquere). Noi abbiano svolto un'attività investigativa mirata su questa società con la procura di Alessandria, che, grazie all'articolo 53-bis, ci ha consentito, in tempi tutto sommato brevi, di giungere ad una conclusione positiva.
Anche i siti nella provincia di Viterbo sono stati individuati proprio grazie ad una quasi pluriennale attività investigativa su Viterbo, in ordine allo smaltimento illecito di rifiuti. Abbiamo operato degli arresti nella provincia di Viterbo, con l'indagine "agricoltura biologica" svoltasi a Rieti, con l'indagine "Mosca", che faceva capo alla procura di Larino. Ai tempi dell'indagine "Houdini" emergevano smaltimenti illeciti di rifiuti nel viterbese e da una delle ultime indagini effettuate, che ritengo la più importante, la "re Mida", coordinata dalla procura di Napoli e dalla dottoressa Ribera, è emersa la completezza del malaffare nel traffico illecito di rifiuti.
A seguito dell'attività investigativa, oltre all'arresto dei trafficanti di rifiuti provenienti da Milano e dalla provincia di Lucca, il tritovagliato, a seguito di successivi passaggi in appositi impianti di stoccaggio, risultava trasformato più volte.
PRESIDENTE. Dov'erano collocati gli impianti?
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente. L'impianto SEV si trovava in Val di Chiana, mentre la VersilAmbiente si trova vicino Roma, a Bagni di Tivoli. Questi rifiuti, partiti da Milano, in giornata si trasformavano anche due volte. Abbiamo svolto dei pedinamenti di questi mezzi che giungevano nei siti e questi rifiuti subivano una trasformazione cartolare, attraverso il giro bolla.
I rifiuti subivano una ulteriore trasformazione in provincia di Roma, dove un altro impianto veniva adibito soltanto per il giro bolla e finivano poi nella cava Magest, in provincia di Napoli, oppure in terreni del casertano. La cava Magest si trova a Giugliano ed era una cava di ripristino ambientale. In questi anni purtroppo si ripetono sempre le stesse metodiche, con cave che spesso diventano luoghi per lo smaltimento di rifiuti illeciti.
Nel corso di una di queste attività investigative, l'indagine "Greenland", c'era un'azienda agricola che riceveva dei fanghi, in provincia di Arezzo, e lo scorso anno, nel corso dell'indagine "agricoltura biologica" abbiamo scoperto che la stessa azienda continuava a ricevere i fanghi sempre allo stesso modo. In mancanza di una normativa adeguata, all'epoca l'attività di contrasto è stata inadeguata, mentre l'ultima attività investigativa svolta ci ha portato anche all'arresto del titolare di quell'azienda.
PRESIDENTE. Più volte abbiamo detto che le regioni centrali, anche per ragioni geografiche, rappresentano dei punti di stoccaggio improprio di rifiuti. Vorrei sapere se condivide questa nostra valutazione.

ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente. La Toscana, oltre ad avere dei luoghi di stoccaggio, ha anche buone competenze. Nelle ultime indagini è emersa la figura dell'intermediario, soggetto che non ha nemmeno contatti diretti con le persone interessate.
PRESIDENTE. Se non ricordo male, nel corso degli anni '90, emergeva già in un'indagine della procura di Napoli il coinvolgimento di aziende toscane.
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente. Sì. Si tratta di vecchie indagini. Abbiamo acquisito i risultati di vecchie attività investigative, dalle quali abbiamo assunto dei dati rilevanti.
Il fatto positivo è che, mentre fino a poco tempo fa dalle nostre intercettazioni emergeva una certa spavalderia di questi soggetti nei confronti dell'attività investigativa, al momento abbiamo la certezza dell'allontanamento di alcuni di questi dall'attività di smaltimento illecito dei rifiuti. Questi soggetti comunque hanno acquisito delle conoscenze importanti e ciò li rende attraenti per le aziende che decidono di smaltire illecitamente questi rifiuti.
DONATO PIGLIONICA. Abbiamo visto che la Toscana è anche luogo di produzione di una gran quantità di rifiuti industriali, provenienti soprattutto dalle concerie e dall'industria cartaria della zona di Lucca. Probabilmente, quindi, questi soggetti hanno la necessità di smaltire i rifiuti su altri territori. La Toscana ha una capacità impiantistica che è circa della metà rispetto alla produzione dei rifiuti.
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente. Nel corso delle indagini "Greenland" e "Cassiopea", sono emersi i fanghi conciari come fenomeno quantitativo. Un'altra tipologia di rifiuti molto importante, che coinvolge le zone del Nord, riguarda le polveri di abbattimento fumi. Queste polveri, con la vecchia codificazione, non erano considerate rifiuti pericolosi. La nuova codificazione prevede il codice 100207, che coincide con il rifiuto pericoloso, e il codice 100208, che riguarda i rifiuti non pericolosi. All'epoca esisteva soltanto un codice, il numero 100203, codice generico, che non riguardava i rifiuti non pericolosi.
A seguito delle nostre attività investigative abbiamo dimostrato la pericolosità di quel tipo di rifiuto.
PRESIDENTE. Avete riscontrato collegamenti con la criminalità di stampo mafioso?
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente. Nel corso dell'indagine "re Mida" abbiamo arrestato esponenti appartenenti al clan dei Casalesi. Questi soggetti attuavano una attività di estorsione confronti del principale soggetto che smaltiva illecitamente i rifiuti.
Da ciò che emerge dalle attività investigative questi soggetti della criminalità campana, indirizzano i rifiuti in certe località. Non si può consentire a persone di smaltire illecitamente rifiuti se la criminalità organizzata non ha un guadagno.
PRESIDENTE. Ci sono dei comportamenti che sfuggono alle maglie dell'articolo 53-bis?
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente. Questo articolo sembra proprio attagliato alla metodologia criminale dell'attività di traffico illecito di rifiuti. Ho visto la sua proposta, che ritengo più completa, soprattutto per quel che riguarda i laboratori di analisi. Nelle ultime indagini è emerso il coinvolgimento di un laboratorio di analisi che si prestava comunque a falsificare i risultati. Ritengo quindi che l'articolo 53-bis sia un ottimo strumento per consentire alle forze di polizia una attività di contrasto più concreta.
DONATO PIGLIONICA. C'è stato il caso di un sindaco neo eletto titolare di uno di questi laboratori.
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente Sì, si trattava del sindaco di Grotte di Castro. Ormai spesso non si adotta più un provvedimento restrittivo. Per alcune tipologie professionali, quali i laboratori di analisi, il GIP a volte ha stabilito l'obbligo di firma, provvedimento blando rispetto alla limitazione della libertà personale. C'è sicuramente la costante disponibilità di un laboratorio di analisi compiacente, che si fa pagare poco per fingere di effettuare delle analisi che sicuramente avrebbero un costo più elevato se fossero effettivamente svolte.
La metodica classica è quella che non c'è laboratorio, ma ci sono i computer; quindi, si prendevano vecchi certificati - addirittura in alcuni casi abbiamo visto cambiare la data - e le analisi venivano alterate. Purtroppo la realtà è questa, anche se negli ultimi anni stanno tutti molto più attenti; infatti, anche gli stessi laboratori di analisi che commettevano facilmente questo tipo di attività illecita, adesso, a seguito delle nostre attività investigative, sono più attenti (Commenti).
PRESIDENTE. Noi siamo in contatto con il sostituto; quindi, chiederemo tutti gli atti e i documenti che potremmo agevolmente esaminare nella pausa estiva.
PASQUALE STARACE, Comandante del Servizio operativo centrale. In aggiunta a ciò che ha detto il signor colonnello mi preme sottolineare, avendo operato in tutta Italia (quattro anni solo a Milano), che nessuna regione può essere considerata la maglia nera in materia di traffico illecito di rifiuti; questo, infatti, è diventato un problema nazionale.
Fino a qualche tempo fa, molto semplicisticamente, si diceva che la Campania o le regioni dell'Italia meridionale erano le discariche d'Italia; forse lo sono state, ma adesso questo problema investe tutto il paese. Tutto ciò è dimostrato dai continui traffici che vengono scoperti anche a livello interregionale. Non esiste più la rotta nord-sud, cioè i rifiuti prodotti a nord che vengono a finire al sud. Oggi ci sono le rotte che dal nord-ovest vanno al nord-est, che dal nord arrivano al centro e per assurdo succedono cose che forse un tempo erano inimmaginabili; infatti, nel 2003 abbiamo scoperto rifiuti che da Napoli arrivano a Varese, poi giungevano a Bari, dove finivano per essere smaltiti in una discarica di quella città. Tutto ciò era necessario per declassificare i rifiuti dell'emergenza napoletana; infatti, esiste una norma ben precisa che impone alle regioni di smaltire in loco i propri rifiuti, ma alle regioni in emergenza rifiuti è permesso di stipulare delle convenzioni con altre regioni. È chiaro, quindi, che per inviare dei rifiuti da una regione in emergenza rifiuti (la Campania) ad un'altra regione in emergenza (la Puglia) era necessario che quei rifiuti perdessero la loro origine, cioè non si doveva sapere che provenivano dalla Campania. Ecco, quindi, la necessità di servirsi di tutti questi passaggi fittizi.
Tutto ciò mette in evidenza un ulteriore aspetto su cui riflettere che riguarda i centri di stoccaggio. Questi centri intermedi, nati per facilitare le attività di recupero, si sono trasformati, invece, in una sorta di serbatoio di illegalità; infatti, è inutile nasconderci che tali siti, sulle cui autorizzazioni sarebbe poi da discutere perché questo è un altro aspetto
su cui focalizzare l'attenzione, non hanno un'impiantistica idonea per fare quei trattamenti per cui erano stati autorizzati.

Nelle ultime indagini riguardanti sia Viterbo sia Alessandria un altro aspetto che è balzato agli occhi è rappresentato dal fatto che le analisi di questi centri di ripristino, dove i rifiuti venivano smaltiti, presentavano dei valori palesemente alterati. Ci siamo accorti di ciò facendo delle analisi normalissime che, messe a confronto con quelle in possesso dei centri di ripristino, facevano subito balzare agli occhi l'alterazione. È possibile che in tutti questi anni questa semplice attività di riscontro l'abbiamo fatta solo noi? Non è stato mai effettuato nessun controllo presso questi ripristini? A questo punto le ipotesi sono due: se non è stato mai fatto nessun controllo, c'è stata negligenza, se, invece, è stato effettuato e non ci si è accorti di nulla, siamo allora di fronte a qualcosa di più grave.
Prima si parlava della Toscana ed effettivamente non bisogna assolutamente criminalizzare quella regione, ma è vera l'affermazione riguardante le cartiere. La cartiera Lucchese è stata coinvolta nell'attività di indagine della procura di Viterbo riguardante i fanghi di cartiera che presentavano un valore superiore di COD - uno dei parametri essenziali previsti dal decreto ministeriale del 5 febbraio del 1998 - rispetto ai limiti stabiliti; infatti, il COD per i fanghi di cartiera che superava tali limiti veniva smaltito alterando le analisi. La cartiera di Lucca, insieme alla Burgo e all'Areno dei Medici, nel milanese, usavano questi metodi.
L'indagine di Alessandria ha posto in evidenza un aspetto importantissimo riguardante le bonifiche sia a livello regionale sia a livello nazionale. Proprio da Firenze partiva una bonifica di rifiuti pericolosi che, sempre attraverso questi centri di stoccaggio, arrivavano a Verona per poi essere smaltiti di nuovo a Viterbo o a Treviso; quindi, ritengo che sia necessario porre l'attenzione sulle bonifiche. In Italia ce ne sono tante, però - a mio parere - si dovrebbero tenere sotto controllo maggiormente quelle regionali, più piccole e meno controllate, rispetto a quelle di interesse nazionale, che sono sempre sotto il monitoraggio degli organi di controllo; infatti, nelle ultime indagini svolte abbiamo avuto modo di notare che si prestano maggiormente alle attività di traffico illecito di rifiuti.
L'importanza di questo reparto, con competenza nazionale, consente appunto di avere un quadro generalizzato della situazione e dei flussi a livello nazionale. Ad esempio adesso che ogni regione è idonea a smaltire i rifiuti, quando si trova un buco, una cava, un ripristino o qualsiasi altra cosa la regione interessata viene subito informata.
Paradossalmente, le regioni dell'Italia meridionale, essendo sempre state nel mirino degli organi di controllo, sono quasi del tutto escluse dagli intermediari che hanno un certo timore ad avvalersi di siti ubicati nel Mezzogiorno. Oggi sono alla ricerca di siti collocati un po' in tutto il resto d'Italia, cioè sia nel centro, sia soprattutto nel nord, che forse appare come una zona esente e meno contaminata, mentre invece ciò non corrisponde a verità; infatti, la maggior parte delle indagini condotte dalle procure del nord (Busto Arsizio, Alessandria, Milano) hanno dimostrato esattamente il contrario. Questa è soltanto una conferma del problema del traffico illecito dei rifiuti a livello nazionale.
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente. Visto il cambiamento delle rotte dei traffici, che stanno diventando regionali o interregionali, un esempio molto positivo è l'iniziativa adottata dalla regione Umbria. In particolare, dopo l'indagine "Greenland", nella quale era emerso che questi siti operavano nel settore in regime di procedura semplificata, e considerato l'aumento esponenziale delle richieste di procedure semplificate, con alcuni funzionari della provincia di Perugia abbiamo cercato di ragionare sulle cause. Sono stati adottati dei provvedimenti legislativi e la regione Umbria ha introdotto nuove disposizioni che rendono difficoltoso il ricorso alle procedure semplificate perché si chiedono molte più notizie soprattutto sulla capacità degli impianti di operare in procedura. A mio avviso, in Italia l'enorme problema deriva dalla situazione molto diversificata. Quindi, in alcune regioni o province abbiamo affrontato diversi problemi perché, ad esempio, abbiamo trovato la richiesta di procedura semplificata in un armadio senza nemmeno il registro dove tali procedure dovevano essere annotate.
Recentemente la regione Umbria ha attuato un importante provvedimento, stabilendo la proporzionalità tra una fideiussione - quindi, una garanzia finanziaria - e i quantitativi di rifiuti trattati. Di conseguenza, se non vogliono pagare cifre molto elevate, anche coloro che si avvalevano delle procedure semplificate prima dell'entrata in vigore di questa legge regionale adesso sono costretti a diminuire i quantitativi dei rifiuti gestiti. Questo sta portando ad una diminuzione delle società che chiedono di operare in regime di procedura semplificata, ad un maggiore controllo e, quindi, ad una minore quantità di rifiuti che a livello locale arriva nelle regioni e nelle province che attuano una migliore attività di controllo.
PRESIDENTE. Quale esperienza avete misurato e consolidato sulle piccole bonifiche, per esempio quelle delle stazioni di servizio carburanti?
ANTONIO MENGA, Comandante del Gruppo Roma tutela ambiente. Questo è il classico esempio emerso durante le ultime attività investigative. Proprio nell'indagine "Houdini", la società di bonifica che era riconducibile agli stessi soggetti titolari della Nuova Esa prendeva bonifiche in tutta Italia. Ricordo la bonifica avvenuta a Mottola, in provincia di Taranto, dove si era riversato un camion di gasolio e, di conseguenza, il contenuto di 50 camion di terra e rocce è stato contaminato dagli idrocarburi. Chiaramente, i 50 in camion sono andati a finire nel grosso contenitore di cui parlavo prima, cioè nel centro di stoccaggio e trattamento, che in realtà non trattava niente perché i rifiuti venivano miscelati con altre tipologie di rifiuti e, poi, andavano a finire nei ripristini ambientali. Infatti, la terra e le rocce contaminate dagli idrocarburi, classificate 170503, miracolosamente si trasformavano in terra e rocce non contaminate, classificate 170504, e quindi potevano andare anche nei ripristini ambientali.
Si tratta di un problema enorme perché già dei tempi dell'inchiesta "Cassiopea" alcune bonifiche di una certa entità avevano, più o meno, lo stesso trattamento. Come diceva il tenente, più che la grossa bonifica, seguiamo con particolare attenzione, anche facendo un monitoraggio dei movimenti dei rifiuti, le migliaia di bonifiche dovute alla perdita di carburante dal distributore, dal camion che si ribalta o di qualsiasi altro materiale che fuoriesce nei grossi siti industriali. Quindi, oltre a svolgere un'attività sulle società e sui soggetti, facciamo un monitoraggio su alcune tipologie di codice CER che sono a maggior rischio e che sono emerse dall'attività investigativa degli ultimi anni.
PASQUALE STARACE, Comandante del Servizio operativo centrale. A conferma di ciò, proprio nell'ultima indagine di Alessandria sono state cinque le bonifiche da cui partivano dei flussi illegali di rifiuti. In tutte le bonifiche di Firenze, della società Italgas, della IP e della Shell - tre partivano dalla zona di Genova e una da Firenze - sono stati riscontrati dei connotati di illegalità in relazione allo smaltimento dei terreni provenienti dalle bonifiche.
PRESIDENTE. Mi permetto di ringraziare gli ufficiali del gruppo Tutela ambiente dell'Arma dei carabinieri per la squisita e consolidata collaborazione. Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 15,30.

 

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