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Schema di decreto legislativo recante norme in materia ambientale. (Atto n. 572).

CAMERA DEI DEPUTATI - XIV LEGISLATURA

Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici

Giovedì 12 gennaio 2006

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

La VIII Commissione,
esaminato lo schema di decreto legislativo recante norme in materia ambientale (Atto n. 572);
rilevato preliminarmente che:
data la ampiezza della materia, i commi 14 e 15 dell'articolo 1 della legge n. 308 del 2004 avrebbero potuto trovare una più adeguata interpretazione, arricchendo la fase preparatoria del contributo propositivo dei soggetti coinvolti a vario titolo nella disciplina interessata;
la partecipazione di tali soggetti è stata avvertita dalla VIII Commissione come una necessità imprescindibile, tanto che le audizioni promosse congiuntamente alla 13a Commissione del Senato, nonché i contributi scritti depositati (tutti attentamente esaminati), hanno consentito di ampliare in misura significativa la partecipazione alle attività preparatorie;
il riordino operato dal Governo con lo schema di decreto legislativo, di dimensioni considerevoli, può rappresentare una tappa di grande rilievo ai fini della certezza e conoscibilità del diritto e della migliore tutela giuridica dell'ambiente; pertanto, nonostante tale sforzo sia da considerare ancora non ultimato, in quanto non sono state comprese nel riordino alcune materie - fra le quali la disciplina delle aree protette e il procedimento di autorizzazione ambientale integrata - sembrerebbe opportuno denominare il decreto legislativo "codice dell'ambiente";
dati gli ambiti materiali investiti dal corpo normativo in oggetto e l'articolazione dei soggetti pubblici coinvolti, particolare attenzione è stata riservata, durante l'esame dello schema di decreto svolto dalla VIII Commissione, alle disposizioni di raccordo fra competenze e poteri di amministrazioni centrali, regioni ed enti locali e alla valorizzazione del sistema delle agenzie ambientali; a tali aspetti sono riferite numerose delle condizioni e delle osservazioni di seguito elencate;
occorre, altresì, prendere atto dei rilievi formulati dalla V Commissione sulle conseguenze di carattere finanziario, raccomandandone pertanto l'accoglimento ai fini del mantenimento degli equilibri di finanza pubblica;
data la complessità del testo e al fine di dare piena attuazione alle norme costituzionali sulla delegazione legislativa e alle previsioni di cui all'articolo 1, comma 5, della legge n. 308 del 2004, risulta opportuno che il parere sia dettagliato e articolato sulle sei parti dello schema di decreto, indicando, per ciascuna di esse, alcune premesse e alcune specifiche proposte modificative e integrative;
premesso, conseguentemente, che:
in merito alla Parte Prima,
andrebbe valutato il possibile inserimento di una norma di natura generale, che disponga che ogni successivo intervento normativo nelle materie oggetto del decreto sia formulato come novella al decreto stesso, al duplice fine di valorizzare a pieno la centralità che la tutela dell'ambiente ha assunto nel nostro ordinamento giuridico e di dare rilievo al diritto dei cittadini ad accedere alle norme vigenti attraverso un unico testo e quindi in modo più chiaro e certo;
in merito alla Parte Seconda,
si introduce - per la prima volta - una disciplina legislativa della VIA; tale risultato rappresenta un indubbio potenziamento della forza prescrittiva di un procedimento fondamentale per la tutela dell'ambiente, e dovrebbe essere considerato il punto di arrivo di un lungo percorso condiviso da rappresentanti del mondo scientifico, dalle associazioni ambientaliste, dalle forze politiche e parlamentari;
si amplia il campo di applicazione della VIA rispetto agli stessi obblighi comunitari (tutti i progetti, di cui ai due allegati della direttiva, diventano in Italia obbligatori, laddove la direttiva prescrive l'obbligatorietà solamente per quelli dell'Allegato I) e si adottano le soglie più basse per alcune tipologie progettuali (vedi Elenco A dell'Allegato III dello schema di decreto);
si recepisce la direttiva sulla VAS (2001/42/CE), su cui l'Italia è in ritardo e su cui è stata conseguentemente aperta una procedura di infrazione; si crea un'unica Commissione VIA a livello centrale, con conseguente crescita del potenziale tecnico-scientifico della Commissione stessa; si valorizza il ruolo di regioni ed enti locali in campo ambientale, superando il criterio centralistico di ripartizione fra VIA statale e regionale, causa - fra l'altro - di sovrapposizioni e duplicazioni burocratiche; si adotta un nuovo criterio basato sull'autorità competente al rilascio dell'autorizzazione alla costruzione/esercizio dell'impianto (articolo 25), maggiormente rispettoso delle esigenze di celerità e certezza del procedimento amministrativo e delle prerogative regionali;
si arricchisce e approfondisce la disciplina vigente, in quanto vengono introdotti due nuovi subprocedimenti nella fase introduttiva della procedura di VIA (sia statale che regionale, laddove la normativa vigente li prevedeva solo per la VIA regionale): il primo - denominato "fase preliminare" - finalizzato ad una migliore individuazione dei contenuti del SIA (articolo 27, comma 2); il secondo - denominato "verifica preventiva" - volto a valutare l'opportunità di sottoporre alcune categorie progettuali a VIA (articolo 32);
si opera un maggiore coinvolgimento di regioni ed enti locali anche nella procedura di VIA statale, attraverso l'introduzione di un obbligo (oggi non previsto) di trasmissione anche a tali enti della documentazione e della connessa facoltà di espressione di un parere (articolo 36); si estende la procedura di inchiesta pubblica anche alle opere finora sottoposte a VIA statale, per le quali l'inchiesta non era prevista; si introducono opportune norme di coordinamento fra VIA, VAS e IPPC, la cui necessità è prevista da numerose disposizioni comunitarie; si prevede - per la VIA statale - una procedura vincolante di verifica di conformità fra progetto preliminare con VIA favorevole e successivo progetto definitivo (articolo 37);
sostanzialmente si ampliano - in questa parte dello schema di decreto - le competenze regionali, legislative e amministrative, prevedendosi un congruo periodo di tempo per l'adeguamento anche delle normative regionali al nuovo quadro delle competenze (articolo 52); vengono opportunamente previste e fatte salve competenze di regioni ed enti locali ad integrare le normative sostanziali e procedurali per i piani e i progetti da valutare in sede regionale e provinciale;
si sono invece riscontrate alcune incongruenze del testo, segnatamente nelle norme procedurali di chiusura relative alla valutazione d'impatto ambientale, nonché alcune inadeguatezze sul piano del recepimento della normativa comunitaria (particolarmente in materia di pubblicità) e alcune difformità rispetto ai criteri di delega; in merito alla Parte Terza,
si opera una riorganizzazione e unificazione di normative che risultavano disperse in tre differenti filoni (difesa del suolo, inquinamento delle acque, servizi idrici), mirando a valorizzare - sul piano dell'ordinamento giuridico - il bene "acqua", unitariamente inteso, quale risorsa strategica per la tutela complessiva dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile; tale unificazione è, peraltro, uno degli obiettivi del più recente diritto comunitario, che integra la disciplina sulla tutela dall'inquinamento delle acque con quella della tutela del territorio dalla siccità e dalle inondazioni;
si introduce (articolo 54) una definizione legislativa di "difesa del suolo", che mancava nell'ordinamento italiano e che potrà fornire un orientamento unitario alla legislazione regionale in materie concorrenti;
si recepisce la direttiva 2000/60/CE (cosiddetta "direttiva acque"), in merito alla quale l'Italia sta subendo una procedura di infrazione, e si creano, conseguentemente, i distretti idrografici e le corrispondenti Autorità di bacino distrettuali (Titolo II della Parte Terza), dando vita ad una riorganizzazione amministrativa imposta dalla direttiva, che non deriva certamente da una scelta "centralistica" del legislatore delegato; infatti, nel recepire tale direttiva, oltre ad adempiere ad un obbligo giuridico, si dà concreta attuazione ad uno dei principali indirizzi politici emersi nel corso dell'indagine conoscitiva svolta dalle Commissioni parlamentari competenti nel corso della XIII legislatura, laddove si evidenziava che la suddivisione fra bacini nazionali, interregionali e regionali accentua "diseguaglianze e squilibri" e permette "diversi livelli di protezione dal rischio e di utilizzazione delle risorse naturali tra le diverse aree del Paese" (documento conclusivo approvato dalla 13a Commissione del Senato), e che "la distinzione fra vari livelli di bacini (nazionali, interregionali e regionali) non sembra avere validi motivi di permanere" (documento conclusivo della VIII Commissione della Camera dei deputati);
si riscontrano - invece - alcune contraddizioni nelle norme di raccordo fra vari livelli istituzionali in materia di difesa del suolo, settore in cui le esigenze di raccordo sono notevoli, come sottolineato più volte dalla Corte costituzionale e come verificato nel corso della recente indagine conoscitiva sulle opere idrauliche svolta dalla stessa VIII Commissione; molte norme sono - infatti - opportunamente mirate a coordinare l'azione di tutti i poteri pubblici: gran parte di questo riordino consiste in un necessario adeguamento di normative di settore emanate negli anni '80 e nei primi anni '90 con i criteri e le linee attuative del "federalismo amministrativo" tracciati dal decreto legislativo n. 112 del 1998; inoltre, si attribuiscono (in particolare all'articolo 59) nuove funzioni alla Conferenza Stato-Regioni (oggi non previste dalle leggi), per importanti atti di natura tecnica da emanarsi con successivi decreti ministeriali si prevede la previa intesa con la Conferenza, e si introducono norme, oggi inesistenti, che prescrivono la previa intesa o il parere di regioni ed enti locali ai fini dell'emanazione di discipline statali (ad esempio, all'articolo 168, in materia di utilizzazione delle acque destinate ad uso idroelettrico); si introducono passaggi procedurali in conferenza di servizi, con il fine di meglio coordinare le funzioni amministrative dei vari organi operanti sul territorio, e si opera correttamente una ridefinizione delle competenze regionali all'articolo 61: in parallelo al superamento della distinzione dei bacini idrografici di rilievo nazionale, regionale ed interregionale e al contestuale affermarsi della figura unica del distretto idrografico, si chiamano le regioni a svolgere attività di collaborazione rispetto all'elaborazione dei piani di bacino dei distretti idrografici;
i descritti miglioramenti rischiano, tuttavia, di essere vanificati dalle carenze riscontrabili all'articolo 63, in merito al sistema istituzionale ivi delineato, che possono determinare un indebolimento del coordinamento e della cooperazione fra i diversi livelli istituzionali, necessari ai fini di una efficace politica di difesa del suolo;
il ruolo di regioni ed enti locali nel governo complessivo del territorio deve risultare valorizzato dall'importante riordino normativo operato e qualunque arretramento su questo piano, rispetto alla normativa vigente, sarebbe, fra l'altro, non conforme alla legge di delega - sia alla previsione generale di cui al comma 8 dell'articolo 1, sia al criterio specifico di cui all'articolo 1, comma 9, lettera c), ove è stato espressamente prescritto al legislatore delegato di "valorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale";
si definiscono opportunamente specifici poteri sostitutivi del Governo centrale (e conseguenti responsabilità) nel caso di inattività da parte delle regioni e degli enti locali nell'adempimento delle rispettive competenze, qualora da tali inadempimenti possano derivare violazioni di obblighi comunitari (articolo 75, comma 2), e si introducono strumenti nuovi, quali il piano di gestione per ciascun distretto idrografico, e il registro delle aree protette individuato dalle Autorità di bacino;
prendendo a modello l'esperienza positiva già realizzata dalla Regione Emilia-Romagna (legge n. 25 del 1999, come modificata dalla legge n. 1 del 2003), si istituisce una unica Autorità per le risorse idriche e i rifiuti, senza nuovi oneri per la finanza pubblica e fondendo l'attuale Comitato per la vigilanza sull'uso delle risorse idriche con l'attuale Osservatorio sui rifiuti;
si introducono norme relative agli affidamenti del servizio idrico integrato, che mirano a dare impulso all'attuazione della legge n. 36 del 1994, da un lato modulando meglio le disposizioni relative a realtà particolari quali quelle dei piccoli comuni montani (articolo 148, comma 5), dall'altro promuovendo lo sviluppo della concorrenza e quindi l'industrializzazione del sistema e lo sviluppo degli investimenti infrastrutturali (articolo 150);
alcune disposizioni contenute nella Parte Terza presentano, tuttavia, aspetti di incongruità, inadeguato recepimento di direttive comunitarie e non piena coerenza con i principi e criteri direttivi della delega;
in merito alla Parte Quarta,
si prosegue nella attività di manutenzione normativa della disciplina dei rifiuti iniziata già all'indomani dell'approvazione del decreto legislativo n. 22 del 1997 e praticamente mai interrotta dal Parlamento e dai governi che si sono da allora succeduti, pervenendo ad un risultato che non sarà certo definitivo, vista la natura oggettiva della materia, ma che raccoglie in modo sufficientemente organico esigenze largamente diffuse ed emerse ripetutamente anche nei lavori parlamentari;
in particolare si porta a compimento un complesso intervento di manutenzione normativa sulla definizione di rifiuto, dettando una chiarificazione della nozione di "materia prima secondaria", intervento necessario e fortemente sentito da numerose realtà produttive, in continuità con il tentativo avviato, già nel corso della XIII legislatura, con un progetto di legge approvato dal Senato e giunto alla Camera (A.C. 6316) ad una formulazione condivisa dall'apposito comitato ristretto, il quale non è stato approvato solo per il sopraggiunto scioglimento delle Camere;
si fornisce maggiore chiarezza alla definizione di alcuni rifiuti speciali, colmando lacune normative relative - in alcuni casi - ad attività che possono favorire la tutela ambientale riducendo il ricorso a fonti di energia non rinnovabili (quali le disposizioni relative al combustibile da rifiuti); si introducono norme che mirano ad una maggiore diffusione della termovalorizzazione dei rifiuti, che può rappresentare una fonte rilevante di recupero (e quindi di risparmio) energetico;
si procede ad una generale semplificazione amministrativa, rafforzando lo strumento degli accordi di programma (articolo 181), già previsti dalle norme vigenti e dalle norme comunitarie, e si introducono parallelamente disposizioni volte a garantire la pubblicità, il perseguimento degli interessi pubblici nella fase preparatoria e nella stipula degli accordi e la loro piena conformità alle norme comunitarie e nazionali; vengono semplificate, in particolare, le procedure relative ai rifiuti non pericolosi maggiormente utilizzati nei processi produttivi (Capo V), soprattutto laddove vengono effettuate operazioni di recupero (articolo 216);
pur con alcuni problemi di coordinamento con le norme vigenti, sui quali appaiono opportuni interventi modificativi, si riorganizzano l'assetto degli ambiti territoriali ottimali e le procedure di affidamento dei servizi, introducendo norme che favoriscono la concorrenza e quindi l'industrializzazione del settore (articolo 202);
vengono introdotte novità relativamente alla disciplina degli imballaggi, la maggior parte delle quali ha la finalità di adeguare la disciplina italiana in materia di imballaggi alla direttiva 94/62/CE e alla direttiva 2004/12/CE, che ha apportato modifiche alla citata direttiva 94/62;
sia pure con alcune incongruenze, cui appare opportuno rimediare, si riforma la disciplina dei consorzi, favorendo - anche in questo caso - il principio della concorrenza;
si introduce una nuova procedura preventiva alla bonifica dei siti basata sull'analisi di rischio, sottraendo la normativa a meccanismi meramente tabellari che - per quanto formalmente severi - non hanno finora consentito di sviluppare in Italia una efficace e diffusa politica di bonifica dei siti inquinati;
in merito alla Parte Quinta,
in una materia tradizionalmente frammentata e complessa sul piano tecnico-giuridico, lo schema di decreto accorpa in un unico testo - di rango primario - una serie ampia di norme che oggi hanno sia rango primario che secondario, andando incontro alle richieste degli operatori dei vari settori interessati e degli operatori del diritto ambientale, che hanno sempre denunciato una estrema frammentazione della normativa in materia di emissioni in atmosfera;
il riordino operato nella Parte Quinta ha in gran parte carattere compilativo e le innovazioni introdotte risultano in gran parte migliorative della tutela ambientale o volte a chiarire dubbi interpretativi che avevano prodotto e continuano a produrre contenzioso;
si opera il recepimento della direttiva 2001/80/CE sui grandi impianti di combustione e si chiarisce il regime normativo delle attività agricole e zootecniche, colmando una lacuna dell'ordinamento (Parte I dell'allegato 4);
all'articolo 269 si introduce - ai fini del rilascio dell'autorizzazione - una procedura che garantirà semplificazione amministrativa, tempi certi e partecipazione di tutti gli enti locali (ad esempio coinvolgendo le province, sinora non considerate);
si introduce una durata fissa (15 anni) per le autorizzazioni, mentre la normativa vigente non dispone un termine, e si fissano soglie di potenza, stabilite in funzione del combustibile utilizzato, introducendo un elemento di certezza ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile agli impianti termici civili (quella recata dal titolo I ovvero dal titolo II);
in merito alla Parte Sesta,
la disciplina italiana sulla tutela del danno ambientale è, ad oggi, costituita da poche disposizioni frammentarie e di carattere generico e, soprattutto, da un numero considerevole di sentenze contrastanti fra di loro, tanto da non assicurare più nessuna certezza e uniformità del diritto;
l'articolo 18 della legge n. 349 del 1986 - in particolare - rappresenta una delle norme dell'intero diritto ambientale italiano sulle quali si registra la più ampia varietà di giurisprudenza, con conseguente incertezza e arbitrarietà, a tutto svantaggio dei cittadini, e senza positivi effetti sui livelli di tutela ambientale;
tale situazione deriva da una vera e propria rinuncia sinora operata dal legislatore ad esercitare il ruolo insostituibile di bilanciamento e interpretazione dei numerosi interessi contrapposti sulla base di un diritto valido per tutti, che ha, di fatto, attribuito alla magistratura compiti impropri: quantificazione del danno, scelta discrezionale sull'applicazione di un sistema di responsabilità oggettiva ovvero basato su colpa o dolo, scelta discrezionale in merito all'estensione stessa della nozione di danno ambientale e, addirittura, applicazione discrezionale (e quindi non uniforme) del principio di irretroattività della legge;
uno dei più validi risultati dell'operazione complessiva di riordino è rappresentato dall'abrogazione dell'articolo 18 della citata legge n. 349 del 1986 e dalla sua sostituzione con un complesso normativo, certamente migliorabile, ma sicuramente più adeguato all'importanza del tema e alla sussistenza di interessi soggettivi meritevoli di tutela e di uniformità di trattamento; le linee adottate dalle norme recate dalla Parte Sesta innovano profondamente il sistema italiano, in quanto riproducono sostanzialmente quelle della direttiva europea 2004/35/CE; l'abrogazione del citato articolo 18 costituisce, infatti, un corollario della attuazione della direttiva, con cui quelle disposizioni appaiono in contrasto; le norme recate dallo schema di decreto sono invero più severe di quelle recate dalla direttiva in merito alla natura della responsabilità che - ai sensi degli articoli 304 e 305 - assume la natura di responsabilità oggettiva per tutti gli operatori e non solo per quelli che svolgono attività pericolose, come invece disposto dall'articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/35/CE;
oltre al recepimento della direttiva, i diciannove articoli compresi nella Parte Sesta hanno la finalità di definire norme procedurali - azioni, ricorsi, procedura risarcitoria - necessarie a fare esercitare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio le funzioni e le responsabilità che devono appartenergli in un sistema moderno di tutela risarcitoria del danno ambientale, come peraltro richiesto dalla direttiva che fa esplicito e ripetuto riferimento ad un'autorità nazionale che promuova l'azione per il risarcimento del danno;
lo schema di decreto pone rimedio, inoltre, ad alcune vere e proprie lacune normative, tra cui assume particolare rilievo l'assenza di una definizione normativa del ripristino ambientale;
esprime:


PARERE FAVOREVOLE
con le seguenti condizioni:

in merito alla Parte Seconda,
a) poiché in relazione alla procedura di VIA le numerose disposizioni contenute nel testo del decreto prevedono - in linea generale - la VIA sul progetto definitivo, tranne i casi in cui le leggi di settore dispongano altrimenti (articolo 5, comma 1, lettera e), mentre la specifica formulazione della legge di delega prevedeva di "anticipare le procedure di VIA alla prima presentazione del progetto dell'intervento da valutare" (articolo 1, comma 9, lettera f), con procedure di verifica di conformità fra il preliminare e il definitivo, appare necessario rispettare pienamente il criterio di delega, anche al fine di superare eventuali rilievi comunitari (di cui alla procedura di infrazione dell'aprile 2004), proponendosi, pertanto, di adottare la nuova formulazione dell'articolo 20, comma 5, del decreto legislativo n. 190 del 2002, introdotta dalla legge n. 62 del 2005, e di disporre che - in linea generale - la VIA si applichi ai progetti preliminari, lasciando in via residuale alle normative di settore la possibilità di prevedere discipline diverse;
b) all'articolo 12, comma 2, e all'articolo 31, comma 2, appare opportuno rivedere la soluzione adottata in merito alla "norma di chiusura" del procedimento: il modello preferibile - e più conforme al diritto comunitario - sembra infatti essere quello basato sul principio del silenzio-rifiuto, in quanto il silenzio-assenso lascia aperta la possibilità che la procedura si concluda in senso favorevole senza una esplicita pronuncia dell'Autorità competente, laddove la normativa comunitaria appare invece imperniata su un obbligo di valutazione e di decisione da parte dell'Autorità competente (paragrafo 1 dell'articolo 2 della direttiva 85/337/CEE). Tale soluzione andrebbe adottata almeno per i procedimenti di competenza statale, rinviando eventualmente alle discipline regionali la definizione della norma di chiusura applicabile ai procedimenti di rispettiva competenza. Pertanto - in merito alla VAS - si propone di separare in un distinto comma (comma 3) il contenuto dell'ultimo periodo del comma 2 dell'articolo 12, premettendo l'espressione: "Per i piani e i programmi sottoposti a valutazione ambientale in sede statale", di modificare la parola "favorevole" con la parola "contrario" e di aggiungere dopo tale comma un ulteriore comma nel quale si prevede che per i piani e programmi sottoposti a valutazione ambientale in sede non statale "si applicano le disposizioni del comma precedente fino alla entrata in vigore di apposite norme regionali". In merito alla VIA - analogamente alla soluzione adottata per la VAS - si propone di premettere al primo periodo del comma 2 dell'articolo 31, l'espressione "Per i progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale in sede statale", di sostituire la parola "favorevole" con la parola "contrario" e di aggiungere, dopo il comma 2, un comma in cui per i progetti sottoposti a VIA regionale si fa rinvio al criterio adottato al comma precedente, ma con norma cedevole rispetto alla legislazione regionale;
c) all'articolo 13, si sottolinea l'esigenza che sia più propriamente recepito il contenuto dell'articolo 9 della direttiva 2001/42/CE, che prevede che, dopo l'adozione della decisione, le autorità e la popolazione consultate siano informate dei relativi esiti, ma anche che siano messi a loro disposizione il piano o programma adottato, una dichiarazione di sintesi in cui si illustra in che modo le considerazioni ambientali sono state integrate nel piano o nel programma e come si è tenuto conto del rapporto, dei pareri espressi, dei risultati delle consultazioni, nonché le ragioni perché sia stato scelto il piano o il programma adottato alla luce delle alternative possibili che erano state individuate ed, infine, le misure adottate in merito al monitoraggio;
d) all'articolo 24, per una migliore aderenza alle norme comunitarie, l'elenco di cui al comma 1 dovrebbe essere arricchito con uno degli scopi introdotti nella procedura di VIA dalla direttiva 97/11/CE, cioè la valutazione comparativa delle alternative, che consente di scegliere quella a minore impatto ambientale, sociale ed economico, peraltro presente nell'Allegato V dello schema di decreto in esame;
e) pur apprezzando l'ampliamento operato dall'articolo 29 della procedura di inchiesta pubblica a tutte le procedure di VIA (laddove oggi tale procedura è limitata alla sola VIA regionale, mentre per le opere sottoposte a VIA statale è limitata alle centrali termoelettriche superiori a 300Mw), si segnala l'opportunità - al comma 1 - di non abbreviare il termine oggi previsto (45 giorni) entro il quale il soggetto interessato può presentare all'autorità competente osservazioni scritte sul progetto;
f) all'articolo 29, risulterebbe utile inserire un comma che rechi un rinvio ad eventuali norme delle regioni e province autonome che integrino quelle statali in materia di partecipazione al procedimento;
g) all'articolo 39, comma 4, si osserva che nella disposizione comunitaria contenuta nel paragrafo 5 dell'articolo 7 della direttiva di riferimento è presente un inciso (introdotto dall'ultima direttiva 2003/35/CE), che fa comunque salve condizioni adeguate di partecipazione del pubblico alle procedure decisionali;
in merito alla Parte Terza,
h) all'articolo 63, comma 2, al fine di preservare un elemento fondamentale di raccordo fra autorità centrali e autorità territoriali, rappresentato ad oggi dal comitato istituzionale delle Autorità di bacino di rilievo nazionale e dalla presenza, in tale organo, dei Presidenti delle giunte delle regioni il cui territorio è interessato dal bacino idrografico, occorre dare piena attuazione al criterio di delega di cui all'articolo 1, comma 9, lettera c), della legge n. 308 del 2004, garantendo il raccordo con le diffuse competenze regionali in materia di governo del territorio e assicurando la piena collaborazione fra tutti i livelli di governo nelle funzioni legislative e amministrative connesse alla difesa del suolo, e, dunque, prevedendo fra gli organi delle future Autorità di bacino distrettuali una conferenza istituzionale permanente, della quale facciano parte anche i Presidenti delle regioni interessate e che abbia - fra le altre - anche la competenza a nominare il Segretario generale;
i) al comma 4 del medesimo articolo 63, occorre modificare la previsione dell'approvazione del piano di bacino da parte di una conferenza di servizi, che non risulta appropriata, in quanto la conferenza di servizi è un organo di semplificazione amministrativa e non una sede alla quale possano essere delegare funzioni di indirizzo e di approvazione definitiva di piani territoriali; tali funzioni dovrebbero essere, invece, assunte da un organo misto permanente, dotato di rappresentatività politica e adeguata investitura istituzionale, quale la conferenza istituzionale di cui al punto precedente, apportando le conseguenti modifiche alle altre parti del testo, fra cui si segnalano, in particolare, gli articoli 66, 69, 70 e 71;
j) all'articolo 64, comma 3, ai fini di una effettiva coerenza con le nuove disposizioni recate dal Titolo V della Costituzione, sembra oltremodo opportuno - nel passaggio decisivo da un sistema nel quale i bacini idrografici sono identificati per legge (articoli 14 e 15 della legge n. 183 del 1989) ad un sistema nel quale la individuazione dei distretti è rinviata ad un atto di normazione secondaria - che la Conferenza Stato-Regioni non sia chiamata ad esprimere un semplice parere, ma piuttosto partecipi a tale definizione attraverso una intesa, ovvero, in alternativa, sia effettuata la individuazione ed elencazione dei distretti direttamente nel testo stesso del decreto legislativo, in continuità con la disciplina oggi vigente in materia di bacini idrografici di interesse nazionale;
k) all'articolo 65, comma 2, è necessario prevedere che il piano di bacino sia redatto in conformità agli indirizzi, metodi e criteri fissati dall'organo misto di cui al precedente punto c);
l) all'articolo 66, relativo all'informazione e consultazione pubblica nella procedura di approvazione dei piani di gestione dei bacini idrografici, sembra essenziale recepire il contenuto dell'articolo 14 della direttiva 2000/60/CE, che prevede forme puntuali di informazione e consultazione pubblica nella procedura di elaborazione, riesame e aggiornamento dei piani di gestione dei bacini idrografici;
m) all'articolo 121, che disciplina i Piani di tutela delle acque, si osserva che tali strumenti di pianificazione, già previsti dalla normativa vigente (articolo 44 del decreto legislativo n. 152 del 1999), rischiano di essere ormai superati a seguito del recepimento dell'articolo 13 della direttiva 2000/60/CE e, quindi, della previsione di un piano di gestione (articolo 117 dello schema di decreto), i cui contenuti risultano assorbenti rispetto a quelli del piano di tutela; sul punto, pertanto, poiché una semplice "giustapposizione" fra norme vigenti e norme di recepimento della direttiva produrrebbe duplicazioni, occorre provvedere ad una effettiva revisione, prevedendo: di modificare il testo nelle parti in cui definisce entrambe i piani (di gestione e di tutela delle acque) quali stralci del piano di bacino (articolo 65, comma 3); di mantenere la suddetta qualificazione di piano stralcio al solo piano di gestione, che fra l'altro può rappresentare effettivamente uno stralcio del piano di bacino in quanto è adottato dallo stesso soggetto e con le stesse modalità del piano di bacino stesso; di assegnare ai piani regionali di tutela delle acque una funzione integrativa e di dettaglio rispetto alla pianificazione operata dall'Autorità di bacino;
in merito alla Parte Quarta,
n) all'articolo 181, appare opportuno prevedere la partecipazione delle Agenzie regionali e provinciali di protezione ambientale sin dalle fasi procedurali che precedono la stipula degli accordi di programma;
o) si segnala che l'articolo 186, pur recando una disciplina soddisfacente in merito allo smaltimento di terre e rocce da scavo provenienti da grandi cantieri, potrebbe invece risultare inadeguato rispetto ad attività di piccoli cantieri, per i quali sembrerebbe opportuno introdurre disposizioni specifiche, anche mediante un rinvio a un successivo decreto ministeriale, ma specificando nella disposizione legislativa una soglia di riferimento;
p) all'articolo 194, comma 3, in materia di spedizioni transfrontaliere, al fine di dare piena attuazione ai principi comunitari sullo smaltimento dei rifiuti - e in particolare al principio di prossimità - appare opportuno aggiungere un'ulteriore voce all'elencazione dei contenuti del decreto ministeriale, relativa a "modalità di verifica di applicazione dei principi di prossimità per i rifiuti destinati a smaltimento";
q) all'articolo 201, comma 1, si rileva l'opportunità di disporre un termine più adeguato per la disciplina delle "forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito territoriale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorità d'ambito". Il termine di sei mesi appare poco realistico e rischia di indebolire una norma che invece appare particolarmente qualificante: si propone di estendere il suddetto termine fino a dodici mesi;
r) all'articolo 201, comma 5, lettera b), appare opportuno mitigare la rigidità di una disposizione che, nell'attuale formulazione, rischia di non essere adeguata ad ambiti che comprendono un numero limitato di abitanti; la norma (che prescrive la presenza in ogni ambito di "almeno un impianto di trattamento a tecnologia complessa, compresa una discarica di servizio") dovrebbe essere integrata con la previsione di una facoltà - per non più di due ambiti contigui - di pervenire ad un accordo ai fini dell'adempimento del suddetto obbligo;
s) si rileva che gli articoli 235, 236 e 237, nonché l'articolo 264, comma 3, per le parti consequenziali, prevedono il passaggio da un sistema di obbligatorietà ad uno di volontarietà per i consorzi aventi ad oggetto il recupero di batterie e oli usati, con un'innovazione normativa che non appare necessaria, in quanto le norme vigenti già prevedono, per i due Consorzi COBAT e COOU, un regime concorrenziale, avendo peraltro essi già raggiunto livelli altamente apprezzabili nella percentuale di raccolta di rifiuti (fra l'altro aventi carattere di pericolosità);
t) all'articolo 242, comma 1, in tema di procedure per le bonifiche, date le importanti funzioni in materia ambientale, appare necessario che anche le province siano comprese fra gli enti a cui va trasmessa la comunicazione dovuta al verificarsi di un evento di contaminazione;
in merito alla Parte Sesta,
u) si rileva che il comma 1 dell'articolo 310, nel recepire il contenuto dell'articolo 13 della direttiva 2004/35/CE, prevede la legittimazione ad agire - da parte del soggetto interessato - solo contro atti o provvedimenti dell'autorità competente, e non contro comportamenti omissivi della stessa (come esplicitamente previsto dalla direttiva);
e con le seguenti osservazioni:
in merito alla Parte Prima,
1) appare opportuno introdurre un articolo aggiuntivo, che disponga in merito ai successivi interventi normativi di rango primario, integrativi o modificativi delle discipline contenute nel decreto legislativo, prescrivendo che essi siano formulati come novelle al decreto stesso;
in merito alla Parte Seconda,
2) si ritiene opportuno valutare l'ipotesi di una riconsiderazione della scelta, adottata con il testo in esame, di introdurre solo alcune disposizioni di coordinamento in materia di IPPC (articoli 34 e 37, commi 8 e seguenti), in quanto la relativa disciplina sarebbe ormai contenuta nel decreto legislativo n. 59 del 2005, che non viene compreso nella codificazione operata dallo schema di decreto; la materia del decreto legislativo n. 59 del 2005 rientra, infatti, a pieno titolo nell'ambito normativo che si intende complessivamente riordinare e, dunque, andrebbe inserita nello schema di decreto;
3) poiché non risulta rispettato il criterio della legge di delega che recava (lettera f) del comma 9 dell'articolo 1) una previsione volta ad introdurre una positiva riforma dell'intero sistema delle autorizzazioni ambientali di settore (vale a dire quelle in materia di emissioni atmosferiche, scarichi idrici, gestione dei rifiuti, e simili) nel senso di "accorpare in un unico provvedimento di autorizzazione le diverse autorizzazioni ambientali, nel caso di impianti non rientranti nel campo di applicazione della direttiva 96/61/CE (IPPC), ma sottoposti a più di un'autorizzazione ambientale settoriale", sembrerebbe invece opportuno introdurre una norma in questo senso, sia pure di principio, facendo eventualmente rinvio ad un successivo decreto attuativo;
4) all'articolo 4, comma 1, lettera b), n. 3), si osserva che il termine di "configurazione definitiva" non è riscontrabile nelle tipologie della progettazione, preliminare, definitiva ed esecutiva, indicate dall'articolo 16 della legge n. 109 del 1994 e non fa chiarezza in merito alla fase della progettazione su cui deve intervenire la VIA;
5) all'articolo 5, comma 1, lettera l), si rileva che la definizione sintetica di cosa dovrebbe contenere un SIA appare lacunosa rispetto a quella recata dall'articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 85/337/CEE, come sostituito dalla direttiva 97/11/CE, ove il SIA deve contenere anche "una descrizione del progetto con informazioni relative alla sua ubicazione, concezione e dimensioni";
6) all'articolo 7, comma 2, lettera b), pur apprezzandosi e valutandosi conformi alla delega le norme che prevedono un'estensione dell'ambito di applicazione della VAS rispetto all'ambito previsto obbligatoriamente dalla direttiva (articolo 7, commi 3 e 4), si segnala l'opportunità di sopprimere l'ultimo inciso, che esclude dall'ambito di applicazione della VAS i piani e i programmi direttamente connessi e necessari alla gestione dei siti designati come zone di protezione speciali, in quanto tale esclusione non è prevista dall'articolo 3 della direttiva 2001/42/CE;
7) appare opportuno inserire all'articolo 8, recante le disposizioni comuni in materia di VAS, un rinvio alla possibilità - per le regioni e le province autonome - di individuare specifiche forme di integrazione della valutazione ambientale nei procedimenti di pianificazione;
8) all'articolo 10, si segnala che il termine indicato (comma 4) di trenta giorni, per presentare eventuali osservazioni, potrebbe risultare troppo ristretto dato che i piani/programmi riguardano un complesso di opere e interventi con ricadute molteplici sul territorio, sull'ambiente, sui beni culturali e naturalistici;
9) all'articolo 16, comma 2, ultimo periodo, sembrerebbe opportuno specificare che i documenti da trasmettere alle regioni sono la proposta di piano programma e il rapporto ambientale, che rappresentano due distinti documenti, anche ai sensi della direttiva comunitaria (articolo 6 della direttiva 2001/42/CE);
10) all'articolo 28, comma 2, lettera b), e all'articolo 43, comma 4, si rileva che il testo fa rinvio ad un regolamento (di cui all'articolo 10) i cui riferimenti non sembrano appropriati, in quanto, detto regolamento può riguardare solo le forme di pubblicità della VAS;
11) si segnala, inoltre, la mancata trasposizione - nel testo dello schema di decreto - dell'articolo 10-bis della direttiva 85/337/CEE, introdotto dalla direttiva 2003/35/CE, relativo alle procedure di ricorso amministrativo e giurisdizionale "per contestare la legittimità sostanziale o procedurale di decisioni, atti od omissioni soggetti alle disposizioni sulla partecipazione del pubblico stabilite dalla presente direttiva";
12) anche al fine di ottemperare ad un criterio di delega, si valuti la possibilità di prevedere uno specifico sistema di monitoraggio per la VIA in generale, in quanto l'articolo 31 non dispone nulla in merito (mentre, per la sola VIA statale, l'articolo 41 prevede forme di controllo);
13) all'articolo 32, comma 3, poiché la disposizione non chiarisce in merito alla ipotesi di mancata pronuncia da parte dell'autorità competente entro il termine previsto, ai fini di una non ambigua applicazione della norma sembra opportuno chiarire se la mancata pronuncia equivale ad una esclusione dalla procedura di VIA, ovvero alla necessità di una sottoposizione alla procedura stessa;
14) all'articolo 34, comma 1, si osserva che, ai fini di una più efficace semplificazione burocratica, sarebbe più opportuno prefigurare - attraverso una adeguata formulazione - un vero e proprio diritto dell'interessato alla unificazione dei procedimenti di VIA e di IPPC;
15) all'articolo 37, le norme contenute nei commi da 8 a 11 recano una serie di disposizioni specifiche per gli impianti di produzione di energia elettrica di potenza superiore a 300 MW termici che prevedono che la procedura di VIA venga integrata nel procedimento per il rilascio dell'IPPC (o AIA): si rileva l'esigenza, anche in considerazione dell'estraneità di tali disposizioni rispetto alla rubrica dell'articolo, di una più appropriata collocazione delle stesse nell'ambito dell'articolo 34 del decreto, dedicato alle relazioni tra VIA e IPPC;
in merito alla Parte Terza,
16) all'articolo 61, per non creare incertezze interpretative derivanti dal venir meno dei bacini idrografici di rilievo nazionale, appare opportuno specificare - in coerenza con le previsioni degli articoli 88 e 89 del decreto legislativo n. 112 del 1998 - che rimangono attribuite alle regioni le funzioni amministrative relative alla difesa delle coste; si ricorda, infatti, che le norme attuali (articolo 10, comma 7, della legge n. 183 del 1989) prevedono che siano delegate alle regioni - nel rispetto degli indirizzi generali e dei criteri definiti dallo Stato - le funzioni amministrative statali relative alla difesa delle coste, "con esclusione delle zone comprese nei bacini di rilievo nazionale, nonché delle aree di preminente interesse nazionale per la sicurezza dello Stato e della navigazione marittima". Sembra pertanto opportuno confermare in via generale la competenza regionale, limitando l'eccezione alle sole aree di preminente interesse nazionale per la sicurezza dello Stato e della navigazione marittima;
17) all'articolo 61, comma 6, anche se una tale disposizione di carattere generale può implicitamente ricavarsi dall'insieme delle norme della Parte Terza, appare comunque opportuno richiamare esplicitamente e fare salve - ovunque necessario - non solo le competenze amministrative già delegate o trasferite alle regioni, ma anche quelle subdelegate da queste ultime agli enti locali;
18) all'articolo 62, appare opportuno ripristinare il riferimento ai bacini imbriferi montani fra i soggetti partecipanti all'esercizio delle funzioni regionali in materia di difesa del suolo, già contenuto nelle norme vigenti;
19) all'articolo 65, comma 3, lettre g) - nell'indicare tra i contenuti necessari dei piani anche il proseguimento ed il completamento delle opere qualora siano già state intraprese con stanziamenti disposti da leggi speciali, da leggi ordinarie, oppure a seguito dell'approvazione dei relativi atti di programmazione - appare opportuno non sopprimere (rispetto alla attuale norma della legge n. 183 del 1989) il riferimento anche alle leggi di bilancio;
20) dopo l'articolo 68, appare opportuno inserire una disposizione transitoria che esplicitamente faccia comunque salve le prescrizioni degli atti di pianificazione già emanati dalle autorità di bacino oggi esistenti;
21) all'articolo 74, per i problemi interpretativi che potrebbe creare la nuova nozione - più generica - recata dalla lettera aa) del comma 1, si potrebbe valutare l'ipotesi di ripristinare la più puntuale definizione, oggi vigente, della lettera bb) del comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 152 del 1999, che individua lo "scarico" come "qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione";
22) all'articolo 93, comma 1, il relativo riferimento normativo andrebbe corretto, in quanto la norma richiamata deve essere l'articolo 5, comma 21 del decreto legislativo n. 194 del 1995;
23) all'articolo 96, comma 6, si segnala l'esigenza che sia attentamente valutata la compatibilità comunitaria della disposizione, nella parte in cui sembra escludere che in relazione alla domanda di concessione in sanatoria possano essere presentate domande concorrenti da parte di eventuali terzi interessati;
24) all'articolo 101, comma 7, la disposizione recata dalla lettera c) riproduce quanto oggi disposto dall'articolo 28 del decreto legislativo n. 152 del 1999, mentre appare opportuno modificare tale definizione, adeguandola alla nozione di impresa agricola introdotta dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, specificando - in particolare - che per attività connesse devono intendersi quelle di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti "prevalentemente" dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali;
25) all'articolo 101, comma 7, lettera d), appare opportuno specificare - anche al fine di evitare difformi interpretazioni da parte delle amministrazioni locali - che gli impianti di acquicoltura e piscicoltura che non rientrano nella definizione recata dalla stessa lettera d) devono comunque rispettare i valori limite di emissione indicati dalla tabella 3 dell'Allegato V della parte terza dello schema di decreto;
26) all'articolo 107, comma 3, si rileva che la norma sugli apparecchi trituratori, che sta trovando una crescente applicazione con buoni effetti di tutela ambientale, potrebbe essere migliorata integrando alcune disposizioni, peraltro già contenute in circolari applicative, ma la cui assenza dal testo del decreto può produrre differenti applicazioni sul territorio nazionale, proponendosi, in particolare, di specificare che gli impianti non sono necessariamente di tipo domestico, sopprimendo la parola "domestiche" dopo la parola acque, e inserendo nella norma la previsione di una comunicazione circa l'installazione dell'impianto al soggetto gestore del servizio, nonché prevedendo che l'ente gestore possa mettere a disposizione degli utenti gli impianti in comodato d'uso, riducendo in tal modo i costi per i cittadini;
27) si osserva che il titolo della Sezione Terza è "Gestione delle risorse idriche", mentre - dato il suo contenuto, fra l'altro espressamente dichiarato al comma 1 dell'articolo 141 - sarebbe più appropriata l'espressione "gestione dei servizi idrici";
28) si sottolinea l'opportunità di verificare se l'articolo 116 non recepisca in modo incompleto l'articolo 11 della direttiva 2000/60/CE, in quanto fa rinvio all'Allegato 11 al decreto per l'elenco degli elementi che devono entrare a far parte dei programmi di misure, mentre nel testo attuale dello stesso Allegato si rinviene solamente l'elenco delle eventuali misure supplementari (Parte B);
29) all'articolo 133, comma 5, essendo errato il rinvio in esso contenuto, appare verosimile che esso debba intendersi riferito piuttosto all'articolo 170, comma 7, dello stesso schema di decreto;
30) all'articolo 150, comma 2, in tema di gare per l'affidamento del servizio idrico integrato - anche al fine di recepire i contenuti della sentenza n. 272 del 2004 della Corte costituzionale - si rileva l'opportunità di rinviare non solo ai "criteri di cui all'articolo 113, comma 7", ma anche a ulteriori criteri dettati da apposite norme regionali;
31) all'articolo 154, comma 2, con riferimento alla determinazione delle componenti di costo per la tariffa dei servizi idrici, in ottemperanza al criterio generale di delega relativo alle competenze di regioni ed enti locali (comma 8 dell'articolo 1 della legge di delegazione) e in continuità con la normativa vigente, si renderebbe opportuno prevedere il parere della Conferenza Stato-Regioni ai fini dell'emanazione del decreto ministeriale che dovrà sostituire il DM 1o agosto 1996, relativo alla definizione delle componenti di costo e alla determinazione della tariffa di riferimento del servizio idrico integrato costituenti il "metodo normalizzato";
32) all'articolo 159, comma 6, non appare opportuno prevedere un periodo transitorio esteso all'intero mandato settennale dell'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti, date le diverse funzioni della nuova Autorità, i diversi profili di competenza richiesti e i diversi criteri di nomina, ritenendosi preferibile disporre un periodo transitorio (comunque necessario) non superiore a tre anni dalla data di entrata in vigore della Parte Terza del decreto legislativo;
33) all'articolo 160, comma 2, lettera o), appare superfluo il rinvio ad un successivo decreto ministeriale;
34) all'articolo 161, anche se la relazione tecnica specifica che nei nuovi organismi previsti vengono a confluire gli organici esistenti nelle Commissioni già operanti in precedenza, sembra opportuno ripetere esplicitamente la clausola di invarianza della spesa recata dal comma 6 dell'articolo 159;
35) all'articolo 172, comma 5, appare opportuno coordinare le norme ivi recate - relative al trasferimento in concessione d'uso degli impianti di acquedotto, fognatura e depurazione - con la disciplina dei consorzi per le aree e i nuclei di sviluppo industriale di cui all'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218, considerando - in particolare - che la gestione di tali impianti costituisce, in molti casi, il principale servizio fornito dai suddetti consorzi alle imprese collocate nel loro territorio;
36) si rileva che l' Allegato II della direttiva 2000/60/CE non sembra essere stato recepito fra gli allegati dello Schema di decreto;
in merito alla Parte Quarta,
37) all'articolo 183, si rileva che le definizioni comunitarie delle nozioni di smaltimento e di recupero fanno riferimento esclusivamente alle operazioni contenute negli Allegati B e C, mentre lo schema di decreto amplia tali definizioni; allo stesso articolo, al comma 1, lettera v), si segnala l'opportunità di chiarire la definizione di "gestore di rifiuti e di bonifica dei siti", e in particolare dell'espressione "prodotti anche da terzi", che può determinare incertezze applicative;
38) all'articolo 185, comma 1, lettera b), appare più opportuno sostituire l'espressione "rifiuti allo stato liquido" con quella, conforme alle definizioni contenute nel decreto legislativo n. 152 del 1999 e trasfuse nella Parte Terza dello schema di decreto, di "rifiuti liquidi costituiti da acque reflue";
39) all'articolo 188, comma 2, si osserva che la lettera d) configura non già una modalità di assolvimento dei propri obblighi da parte del produttore di rifiuti speciali, ma piuttosto una mera modalità di trasporto: appare pertanto opportuno espungere tale disposizione dal corpo del testo;
40) all'articolo 189, comma 3 - al fine di evitare duplicazioni - appare opportuno escludere le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi dall'obbligo di informazione al catasto dei rifiuti, in quanto tali informazioni sono già fornite dai soggetti che effettuano attività di trasporto e gestione dei rifiuti;
41) anche al fine di dare immediata vigenza ad una norma di semplificazione già approvata dalla Camera, ma ancora all'esame del Senato (AS 3533), appare opportuno inserire, dopo il comma 6 dell'articolo 190, una disposizione volta a chiarire che gli obblighi connessi alla tenuta dei registri di carico e scarico si intendono correttamente adempiuti anche qualora sia utilizzata carta formato A4, numerata e vidimata;
42) all'articolo 193, comma 8, in tema di fanghi in agricoltura, si osserva che la prevista esclusione rischia di introdurre una norma incompatibile con il regolamento comunitario n. 259 del 1993, che riguarda il trasporto di rifiuti all'interno della Comunità europea e che si applica a tutti i rifiuti;
43) all'articolo 193, comma 13, il vincolo del mezzo ferroviario per tutti i trasporti di rifiuti eccedenti i duecento chilometri, appare una misura non opportuna ed esposta anche a rischi di violazione dei principio della libera concorrenza; tale norma andrebbe pertanto abrogata, ovvero - in subordine - mitigata, aumentando la soglia suddetta almeno fino a 350 chilometri;
44) all'articolo 195, comma 1, lettera m), in merito alla determinazione dei criteri generali per la elaborazione dei piani regionali di cui al successivo articolo 199, appare opportuno specificare che tali criteri dovranno essere distintamente elaborati per i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, anche al fine di evitare la impropria estensione anche ai rifiuti da attività produttive dei principi che governano la gestione dei rifiuti urbani (cosiddetta "bacinizzazione");
45) all'articolo 195, comma 5, si segnala che nella più recente formulazione del testo è venuto meno - rispetto a versioni precedenti - l'opportuno riferimento alle funzioni del Corpo delle Capitanerie di Porto nelle attività di accertamento degli illeciti in violazione della normativa sui rifiuti e di repressione degli smaltimenti illegali;
46) all'articolo 197, comma 2, appare opportuno esplicitare un riferimento alla facoltà delle province di avvalersi, nello svolgimento delle proprie funzioni, anche del sistema delle agenzie ambientali, dando rilievo - in tal modo - ad una esperienza che si ha dato positivi risultati in gran parte del territorio;
47) all'articolo 199, ogni qualvolta si fa riferimento alle Autorità d'ambito, occorre specificare che tale riferimento è limitato alla gestione dei soli rifiuti urbani, al fine di evitare confusioni con la gestione dei rifiuti speciali; inoltre, allo stesso articolo, appare opportuno introdurre un comma aggiuntivo che riproduca le disposizioni recate dal comma 11 dell'articolo 22 del decreto legislativo n. 22 del 1997, relativo alla realizzazione di attività di recupero di rifiuti urbani non previste dalla pianificazione regionale;
48) agli articoli 200 e 201, appare opportuno specificare, all'interno delle relative rubriche, che le disposizioni riguardano i rifiuti urbani;
49) all'articolo 202, comma 1, in merito alle gare per l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti - anche al fine di recepire i contenuti della sentenza n. 272 del 2004 della Corte costituzionale - si segnala l'opportunità di rinviare non solo ai "criteri di cui all'articolo 113, comma 7", ma anche a ulteriori criteri dettati da apposite norme regionali;
50) all'articolo 208, comma 15, appare opportuno verificare se la formulazione del testo consente una interpretazione che esclude dall'applicazione del regime autorizzatorio "gli impianti mobili che effettuano la disidratazione dei fanghi generati da impianti di depurazione e re-immettono l'acqua in testa al processo depurativo presso il quale operano" - come risulterebbe da circolari e prassi interpretative del Ministero che non hanno però trovato uniforme applicazione - altrimenti appare opportuno esplicitare nel testo stesso della norma tale esclusione;
51) all'articolo 212, comma 2, lettera i), al fine di assicurare, in senno all'Albo nazionale gestori ambientali, un coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, e al fine di bilanciare l'attuale formulazione che fa espressamente riferimento ai rappresentanti degli autotrasportatori, appare opportuno prevedere espressamente la presenza nell'organo direttivo anche di almeno due rappresentanti delle associazioni che rappresentano i gestori dei rifiuti;
52) all'articolo 228, si propone di integrare la disciplina relativa al trattamento dei pneumatici fuori uso specificando, in particolare, che obiettivo primario della disciplina è ridurre - mediante la ricostruzione di pneumatici usati - la formazione di pneumatici fuori uso e che i pneumatici ricostruiti sono comunque esenti dal contributo di cui all'ultimo periodo del comma 2;
53) all'articolo 229, si segnala che la completa esclusione del combustibile derivante da rifiuti di qualità elevata dalla nozione di rifiuto potrebbe contrastare con gli orientamenti che emergono a livello comunitario;
54) all'articolo 230, sembra opportuno inserire una apposita disciplina delle attività di pulizia manutentiva delle fognature, precisando che i relativi rifiuti sono prodotti dal soggetto che esercita l'attività manutentiva, al fine di superare la attuale incertezza normativa;
55) all'articolo 231, andrebbe verificata la congruità di taluni riferimenti normativi non corretti;
56) all'articolo 233, comma 15 e all'articolo 234, comma 6 - rispettivamente, in tema di consorzi per gli oli vegetali esausti e per i beni in polietilene - appare opportuno prevedere un congruo periodo transitorio per il passaggio dal regime obbligatorio vigente al regime di adesione volontaria; si propone pertanto di disporre che, sia per i soggetti giuridici di nuova costituzione, sia per quelli già appartenenti ai consorzi, la facoltà di costituire nuovi consorzi possa essere esercitata solo a partire dal termine di ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della Parte Quarta dello schema di decreto;
57) all'articolo 234, anche in ottemperanza agli indirizzi espressi dal Parlamento con la risoluzione 7-00630, appare opportuno inserire una esplicita norma di rango legislativo (comma aggiuntivo dopo il comma 6) che - nel periodo transitorio di cui al punto precedente e nelle more dell'emanazione del decreto di cui al comma 2 dell'articolo 234 - escluda comunque dall'obbligo di adesione a Consorzi per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene, i beni durevoli, fra i quali - in particolare - materiali e tubazioni in polietilene destinati all'edilizia, alle fognature, al trasporto di acqua e gas, specificando altresì che i beni durevoli sopra citati non devono essere considerati assoggettabili ad alcun contributo relativamente alla disciplina prevista per la gestione dei beni in polietilene anche per il periodo di vigenza delle disposizioni del decreto legislativo n. 22 del 1997;
58) all'articolo 238, comma 7, si propone di inserire - oltre alle previsione generale di agevolazioni per utenze domestiche - anche una analoga previsione generale in favore delle utenze non domestiche che certifichino l'avviamento al recupero di rifiuti assimilati;
59) all'articolo 242, in materia di bonifiche dei siti contaminati, appare opportuno inserire una specifica disposizione di rango legislativo - con eventuale rinvio ad atto secondario per il dettaglio normativo - finalizzata ad agevolare la bonifica e il riutilizzo delle aree industriali dimesse attraverso il riconoscimento in capo a soggetti ed enti accreditati dal Ministero dell'ambiente della facoltà di definire le relative procedure tecniche e di rilasciare le necessarie certificazioni in alternativa all'ente pubblico competente;
60) si segnala che l'articolo 246 prevede che i soggetti interessati abbiano diritto di stipulare accordi di programma al fine di definire modalità e tempi di esecuzione degli interventi di bonifica dei siti contaminati, senza che sia fissato un termine per la stipula di tali accordi, con ciò contraddicendo la disciplina recata dall'articolo 242 dello stesso schema di decreto, che prevede un procedimento scandito da fasi con termini precisi;
61) all'articolo 264, appare opportuno aggiungere all'elenco delle abrogazioni anche il comma 29 della legge n. 308 del 2004, in quanto le norme sui combustibili da rifiuti - ivi contenute - sono sostanzialmente riprodotte integralmente nello schema di decreto (articolo 229);
62) all'articolo 269, la dizione riportata dal comma 12 ("attività di lavorazione, trasformazione o conservazione di materiali agricoli, le quali producano emissioni") appare troppo generica e passibile di ricomprendere al proprio interno anche attività agricole che presentano un livello irrilevante di emissioni; appare pertanto opportuno disporre un rinvio ad un successivo atto di rango secondario per la esclusione di tali fattispecie dall'ambito di applicazione della norma;
63) all'articolo 271, comma 16, il mero rinvio ad un generico potere dell'autorità competente di stabilire valori limite e prescrizioni più severi, rischia di vanificare le disposizioni che fissano parametri puntuali ed oggettivi per la loro definizione; appare pertanto opportuno esplicitare che tale facoltà opera solo nei termini e con le modalità disposti dall'articolo 271, comma 4 e 281, comma 10;
in merito alla Parte Quinta,
64) all'articolo 269, commi 7 e 8, si rileva che la nozione di modifica sostanziale di un impianto non viene definita, mentre essa viene di solito equiparata - nella normativa ambientale - all'installazione di un impianto nuovo; poiché ciò dovrebbe determinare una "nuova" autorizzazione e quindi l'apertura di un nuovo termine quindicennale, andrebbe conseguentemente valutato l'ultimo periodo del comma 7, che specifica, contraddittoriamente, che "l'aggiornamento dell'autorizzazione ai sensi del comma 8 non comporta il decorso di un nuovo periodo di quindici anni", sembrando pertanto opportuno definire la modifica sostanziale e la modifica non sostanziale e separarne la disciplina in due distinti commi; tale soluzione consentirebbe anche di chiarire gli obblighi di comunicazione e il regime sanzionatorio (articolo 279, comma 1) propri delle due fattispecie, evitando sia il rischio di prassi applicative che impongano anche al gestore di impianti che opera modifiche non sostanziali un'indebita interruzione prolungata delle attività, sia l'applicazione di una sanzione eccessiva alla ipotesi di mancata comunicazione di una modifica non sostanziale dell'impianto;
65) all'articolo 270, si segnala che il comma 2 reca una disposizione di difficile interpretazione e che appare addirittura contraddittoria nel richiedere il ricorso a tecniche di convogliamento anche "non disponibili"; si segnala inoltre che appare opportuno, nell'attuazione del comma 3, indicare specifiche ipotesi nelle quali richiedere il convogliamento, al fine di evitare la presenza nell'ordinamento di un obbligo generalizzato, di impossibile attuazione; ai commi 5, 6, 7 e 8, dello stesso articolo, in materia di camino unico, si segnala l'opportunità di un approfondimento tecnico volto a valutare gli effettivi benefici ambientali conseguibili, in comparazione, da un lato con i costi che una disposizione di legge di carattere generale potrebbe imporre al sistema produttivo, e dall'altro con ipotesi alternative che garantiscano il medesimo livello di tutela ambientale, senza richiedere preventivamente e in forma generalizzata modifiche agli impianti;
66) all'articolo 271, appare opportuno procedere ad una integrale riformulazione e chiarificazione del contenuto dei commi 1 e 2, al fine di: assoggettare tutti gli impianti (sia nuovi che esistenti) al rispetto dei limiti e delle prescrizioni fissati dall'Allegato I, che riproduce le disposizioni vigenti dettate dal DM 12 luglio 1990, ovvero - in alternativa - prevedere che il decreto interministeriale inserisca un distinto allegato (I-bis) anziché modificare l'Allegato I; prevedere un aggiornamento dei limiti e delle prescrizioni fissati dall'Allegato I basato sulle migliori tecnologie disponibili (MTD);
67) si osserva, inoltre, che lo schema di decreto non reca alcuna disciplina relativa ai valori di riferimento per gli impianti nuovi o anteriori al 2006 nelle more dell'emanazione del decreto di integrazione dell'Allegato I, a differenza di quanto avviene, ai sensi del comma 17, per l'integrazione dell'Allegato VI;
68) all'articolo 271, il comma 7, benché riproduca, nella sostanza, il contenuto dell'articolo 4, comma 1, lettera d), secondo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 1988, appare superfluo;
69) al medesimo articolo 271, al comma 9, lettera b), appare opportuno richiamare anche l'articolo 8 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351, in base al quale possono essere individuate zone di particolare pregio;
70) si osserva, altresì, che all'articolo 272, comma 3, secondo periodo, essendo stata omessa la parola "non" prima della frase "siano rispettati i requisiti previsti dall'autorizzazione generale", il senso della disposizione risulta completamente capovolto;
71) all'articolo 279, comma 1, la disposizione sanzionatoria è formulata in modo da non distinguere tra due fattispecie sostanzialmente differenti: l'ipotesi di mancata comunicazione della modifica sostanziale e l'ipotesi di mancata comunicazione di modifica non sostanziale;
72) all'articolo 281, si segnala che le norme introdotte istituiscono un doppio regime transitorio: uno per gli impianti esistenti prima dell'entrata in vigore della nuova norma e un altro per gli impianti esistenti prima dell'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 1988; dal momento che tutti i tempi di adeguamento da quest'ultimo previsti sono ampiamente scaduti, apparirebbe più opportuno prevedere un solo regime transitorio;
in merito alla Parte Sesta,
73) in linea generale, si sottolinea che lo schema di decreto non recepisce l'importante distinzione, fatta dalla direttiva comunitaria di riferimento, fra danno derivante da attività pericolose e danno derivante da qualsiasi altra attività (articolo 3 della direttiva 2004/35/CE), risultandone, in primo luogo, il venir meno della limitazione del principio di responsabilità oggettiva alle sole attività pericolose voluto dal legislatore comunitario e, in secondo luogo, l'incongruenza del recepimento dell'Allegato III della direttiva (Allegato 5 della Parte Sesta dello schema di decreto);
74) all'articolo 300, comma 2, appare opportuno sopprimere la lettera e), che aggiunge anche il danno all'atmosfera nella nozione di danno ambientale, laddove la direttiva europea 2004/35/CE, non a caso, esclude questa tipologia nella quale il nesso di causalità è particolarmente difficile da ricostruire; conseguentemente, all'articolo 302, comma 9, occorre sopprimere le parole "ed all'atmosfera";
75) si osserva che l'articolo 301, recante la rubrica "Attuazione del principio di precauzione", potrebbe trovare più adeguata collocazione all'interno del Titolo II, ove sono raccolte le norme in materia di "prevenzione e ripristino ambientale";
76) sembrerebbe opportuno coordinare le norme recate dal Titolo II, in cui viene delineata una responsabilità "specifica" (in capo, cioè, ad un operatore, come indicato sia dall'articolo 304 che dall'articolo 305) di carattere oggettivo, con quelle recate dall'articolo 311, che delineano invece un tipo di responsabilità generica (non limitata cioè ai soli "operatori", ma estesa a "chiunque"), ma limitata alle ipotesi di dolo o colpa;
77) si osserva che il comma 3 dell'articolo 308 reca disposizioni estranee al contenuto proprio dell'articolo stesso, in quanto riferite alla quantificazione del risarcimento per equivalente, che è materia trattata nel successivo Titolo III, e in particolare all'articolo 311, rilevandosi, pertanto, l'opportunità di espungere il comma 3 dall'articolo 308 e di riportarne il contenuto all'interno di un comma aggiuntivo dopo il comma 2 dell'articolo 311;
78) si segnala l'opportunità di un coordinamento normativo con l'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo n. 267 del 2000, che - a seguito delle innovazioni introdotte, in particolare, dall'articolo 309 - andrebbe abrogato, così come l'articolo 17, comma 46, della legge 15 maggio 1997, n. 127.

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Schema di decreto legislativo recante norme in materia ambientale. (Atto n. 572).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAI DEPUTATI
VIGNI ED ALTRI


La VIII Commissione,
esaminato lo schema di decreto legislativo predisposto in attuazione della legge delega in materia ambientale (legge n. 308 del 2004);
premesso che:
già la legge delega in materia ambientale, approvata tra l'altro con il ricorso a ripetuti voti di fiducia, aveva ingenerato forti dubbi sia in relazione alla sua ampiezza ed alla genericità dei criteri direttivi in contrasto con i limiti previsti dalla Costituzione per l'esercizio della delega, sia in relazione al contrasto con i principi e gli obiettivi delle direttive da recepire;
considerato che:
lo schema di decreto legislativo è stato definito senza rispettare le procedure indicate al comma 14 dell'articolo 1, che prevedevano forme di consultazione delle organizzazioni sindacali ed imprenditoriali, delle associazioni ambientaliste e per la tutela dei consumatori;
lo schema di decreto è stato adottato senza aver acquisito il parere della Conferenza unificata Stato-Regioni-città, non rispettando così quanto previsto al comma 4, articolo 1, della legge delega;
il metodo seguito dal governo ha provocato la rottura dell'accordo firmato il 4 ottobre 2001 tra il Ministro Matteoli, le Regioni, l'ANCI e l'UPI nel quale le parti avevano concordato di "operare pariteticamente nell'elaborazione legislativa ai fini di conseguire gli obiettivi condivisi e garantire una interlocuzione sistematica con le Regioni e gli enti locali per quanto riguarda i decreti legislativi previsti dal disegno di legge delega", provocando una forte, dura e giusta protesta delle Regioni e degli enti locali per la totale assenza di confronto e di dialogo nella elaborazione dello schema di decreto;
non sono state rispettate neppure le procedure indicate dalla legge delega al comma 15 dell'articolo 1, che prevedevano una periodica e dettagliata informazione al Parlamento da parte del Governo;
tutto ciò evidenzia gravi, ripetute ed inaccettabili violazioni delle procedure previste dalla legge delega, nonché la totale assenza di trasparenza, di correttezza istituzionale e di disponibilità al confronto manifestata da parte del governo;
rilevato che:
sullo schema di decreto delegato la quasi totalità delle istituzioni e dei soggetti interessati - Regioni ed enti locali, associazioni ambientaliste e aziende che gestiscono servizi ambientali, associazioni delle imprese e organizzazioni sindacali - hanno espresso forti critiche e contrarietà, come è emerso nel corso delle audizioni parlamentari; analoghe critiche e preoccupazioni sono state espresse da numerosi esponenti della comunità scientifica e culturale;
premesso che:
il testo proposto contrasta con diverse direttive comunitarie; per questa ragione, anziché risolvere le numerose procedure di infrazione già aperte verso l'Italia, esso rischia di aumentare ancor più problemi di coerenza della legislazione italiana con i principi comunitari in materia ambientale;
il testo proposto viola, per eccesso di delega, la stessa legge 308/2004, poiché in più parti si può rilevare una palese esorbitanza rispetto ai principi e criteri direttivi in essa contenuti; per questa ragione il decreto delegato presenta rilevanti profili di incostituzionalità;
altri principi e criteri direttivi indicati nella legge delega, quali ad esempio quelli relativi alle politiche di sostegno per l'adozione delle migliori tecnologie disponibili (articolo 1, comma 8, lettera d) ), per la diffusione dei sistemi di certificazione ambientale per le piccole e medie imprese (articolo 1, comma 8, lettera n) ), per lo sviluppo della produzione di energia da fonti rinnovabili (articolo 1, comma 9, lettera g), n.2), per l'uso di veicoli e carburanti in grado di contribuire al miglioramento della qualità dell'aria (articolo 1, comma 9, lettera g), n.4), non sono stati in alcun modo presi in considerazione;
così come, d'altro canto, non sono stati presi in considerazione quelli relativi alla previsione di riordino della normativa sulle aree protette che, senza motivazione alcuna, il governo ha completamente ignorato;
il testo proposto non rispetta gli articoli 117 e 118 della Costituzione e la ripartizione delle competenze istituzionali tra Stato, Regioni ed enti locali definita dal decreto legislativo 112/1998, così come consolidata e precisata dalle pronunce della Corte Costituzionale;
lo schema di decreto è infatti caratterizzato da una forte connotazione centralista, che ignora sia il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni indicato dalla Corte Costituzionale sia la necessità di integrare le politiche di tutela dell'ambiente con quelle di governo del territorio;
esso non tiene conto dell'esperienza legislativa ed operativa delle Regioni, specialmente di quelle che presentano le esperienze più evolute, che nel tempo hanno compiuto scelte importanti orientate al criterio della prevenzione ed a quello della sostenibilità dello sviluppo, in stretta connessione con le politiche settoriali e di governo del territorio;
esso comprime le competenze delle istituzioni regionali e locali, in contrasto con il principio di sussidiarietà;
proprio il principio di sussidiarietà era indicato dalla legge delega (articolo 1, comma 8) tra i principi fondamentali ai quali i decreti attuativi dovevano ispirarsi: tale indicazione è stata invece totalmente elusa, poiché il testo proposto addirittura riconduce a livello centrale funzioni e compiti già conferiti alle Regioni e da queste agli enti locali;
si spostano competenze dalle istituzioni periferiche a quelle centrali, si sovrappongono confusamente funzioni e atti di pianificazione, si separano politiche settoriali che al contrario avrebbero bisogno da tempo di maggiore integrazione, finendo così per indebolire l'efficacia delle politiche ambientali e per aumentare l'incertezza degli operatori pubblici e privati;
lo schema di decreto delegato non risponde perciò ai principi ed ai criteri previsti dalla stessa legge delega, che indicava esplicitamente la necessità di rispettare le attribuzioni delle Regioni e degli enti locali come definite dall'articolo 117 della Costituzione e dal decreto legislativo 112 del 1998;
anche da questo punto di vista il testo proposto presenta dunque numerosi ed evidenti profili di incostituzionalità, ed è chiaro che ciò spingerebbe le Regioni, come già preannunciato, ad attivare ricorsi per illegittimità costituzionale delle disposizioni del decreto;
considerato che:
il testo proposto non si limita a "riordinare, coordinare ed integrare" la normativa vigente nei vari settori ambientali, come previsto dalla legge delega, ma ne stravolge sostanzialmente l'assetto, ponendosi in netto contrasto con l'attuale impianto normativo, con il quadro costituzionale vigente e con gli orientamenti comunitari;
il testo proposto si configura non come un vero, coerente ed efficace testo unico in materia ambientale, ma al contrario come un mero assemblaggio, per di più confuso e pasticciato, di singoli testi pensati separatamente, come risulta evidente dall'assenza di disposizioni di principio comuni alle diverse discipline settoriali;
il testo proposto, anziché offrire un quadro di regole chiare e certe ai soggetti pubblici e privati, darebbe luogo a molteplici contenziosi sia in sede comunitaria che nel rapporto con le Regioni e finirebbe perciò per creare una situazione di ancora maggiore incertezza;
il testo proposto, anziché riordinare la normativa per renderla più efficace ed al tempo stesso più facile da applicare attraverso una necessaria ed auspicata semplificazione delle procedure, finirebbe per rendere invece ancora più complicata e confusa la normativa in campo ambientale, con conseguenti appesantimenti burocratici ed aumenti dei costi delle procedure e dei servizi ambientali per i cittadini e per le imprese;
il testo proposto comporta forti difficoltà interpretative destinate a condizionare sia il lavoro degli enti pubblici che l'operare delle imprese, ed a aumentare il rischio di contenzioso amministrativo e giurisdizionale;
sottolineato con estrema preoccupazione che:
se definitivamente approvato, il decreto delegato produrrebbe non una riforma, ma una vera e propria opera di smantellamento della legislazione ambientale italiana, che allontanerebbe l'Italia dagli standard europei ed indebolirebbe sia le politiche di tutela delle risorse naturali e di preservazione degli equilibri ecologici che le politiche di sostenibilità dello sviluppo;
da questo punto di vista il testo proposto appare come il frutto di una visione vecchia, miope e sbagliata che continua a considerare l'ambiente come un fastidioso vincolo che intralcia la crescita economica, anziché come un prezioso bene pubblico da salvaguardare, quale elemento indispensabile per la tutela della qualità della vita e della salute, ed al tempo stesso come una condizione necessaria per garantire ad un paese come l'Italia uno sviluppo economico sostenibile, ad elevata qualità sociale ed ambientale, e come una opportunità di maggiore innovazione e competitività per le imprese;
considerato che, ad esempio, per quanto riguarda il settore dei rifiuti:
il testo proposto non solo non risolve i problemi ancora esistenti in materia di rifiuti, ma modifica la normativa proprio in molte parti che sono state applicate con buoni risultati;
le competenze regionali e locali sono compresse al punto che le regioni e gli enti locali possono essere espropriati delle decisioni relative alla realizzazione degli impianti di smaltimento più rilevanti; e in contrasto con la legge delega, che non prevede alcuna possibilità di incidere sull'attribuzione della privativa per la gestione dei rifiuti urbani ad un soggetto diverso dai comuni, la privativa viene invece affidata all'autorità d'ambito territoriale;
si prevede l'istituzione di una Autorità di vigilanza sui rifiuti e sull'acqua che appare non solo immotivata sul piano sostanziale, ed invasiva di funzioni proprie degli enti locali, ma anche frutto di un palese eccesso di delega su quello formale; ciò produrrà, tra l'altro, un aumento di costi per la finanza pubblica;
sebbene con atto formale si abroghi il "famigerato" articolo 14 della legge 178 sulla "definizione di rifiuto", si conservano inalterati i contenuti di questo articolo con il mantenimento in vita delle "norme immediatamente applicabili" previste dalla legge 308/2004, commi 25 e 26 per i quali, tra l'altro, la Commissione Europea ha avviato una nuova procedura d'infrazione, dopo quella che ha già portato ad una prima condanna dell'Italia, proprio per l'articolo 14;
anche attraverso questo meccanismo, tra l'altro, si tenta di mascherare l'operazione di voler restringere l'ambito di applicazione della normativa, in tal modo sottraendo quantitativi notevoli di rifiuti ad ogni forma di controllo e di verifica;
con lo stesso obiettivo, viene reintrodotta la categoria delle cosiddette "materie prime-seconde" riproponendo il vecchio sistema attraverso il quale tutto ciò che può essere fatto rientrare in tale categoria viene escluso dall'ambito di applicazione della normativa e, ad aumentare ulteriormente la confusione giuridica si introduce anche la categoria dei "sottoprodotti" anch'essi, naturalmente, sottratti alla disciplina;
la normativa potrà inoltre essere aggirata attraverso la stipula di accordi di programma tra il ministero e soggetti privati, poiché si prevede, esorbitando sia rispetto al mandato della legge delega che rispetto ai limiti propri dell'istituto, che gli accordi di programma siano sostitutivi dell'attività normativa;
le modalità ed i tempi indicati per l'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti, esclusivamente tramite gara, non tengono conto delle specificità locali e determinerebbero in ogni caso seri problemi in molte parti del territorio nazionale;
desta preoccupazione la previsione del passaggio dal regime obbligatorio al regime volontario per l'adesione ai consorzi di filiera degli imballaggi e per il recupero di particolari tipologie di rifiuti, perché ciò potrebbe mettere in discussione i positivi risultati raggiunti dall'Italia in questi settori;
la inclusione della frazione organica umida (che proviene non da operazioni di raccolta ma da impianti di trattamento del rifiuto urbano indifferenziato) nella definizione di "raccolta differenziata", falsificherebbe al rialzo, in maniera assolutamente artificiosa, le percentuali di quest'ultima, disincentivandone l'utilizzo quale metodologia di gestione dei rifiuti;
attraverso la disciplina della bonifica che viene introdotta si rilascia, di fatto, una vera e propria licenza per inquinare in evidente contrasto con normativa comunitaria da recepire. La direttiva comunitaria 2004/35/CE, infatti, detta una disciplina unitaria della riparazione del danno ambientale che stabilisce il principio del ripristino degli habitat, delle acque superficiali e sotterranee danneggiati o inquinati, e, in via di eccezione a questo principio, prevede l'analisi di rischio solo per il terreno, quando non siano interessati habitat e risorse idriche; il decreto delegato, invece, esclude sempre il ripristino dello stato dei luoghi antecedente alla contaminazione ed anche per l'inquinamento che interessa le acque sotterranee prevede solo un abbattimento delle soglie di contaminazione fino ai valori indicati dall'analisi del rischio del sito specifico. In tal modo, anche per azioni od omissioni che saranno poste in essere in futuro in violazione delle norme di tutela ambientale, viene di fatto consentito di poter alterare mediante contaminazione lo stato dei luoghi e delle matrici ambientali, senza che questo di per sé rappresenti un obbligo di ripristino al termine delle attività in capo al soggetto che ha causato l'inquinamento. Inoltre, il decreto delegato, sottopone a due distinti regime giuridici e procedimentali la bonifica dei siti, che riguarda la matrice terreno e le acque sotterranee, e il danno ambientale, che riguarda l'inquinamento delle acque superficiali e i danni agli habitat; viola perciò sia la direttiva comunitaria 2004/ 35/CE, che stabilisce una disciplina unitaria per la riparazione del danno ambientale, anche quando questo consista nell'inquinamento di un sito, sia i criteri di delega che prevedono il riordino, il coordinamento e la semplificazione della normativa vigente;
per quanto attiene al sistema sanzionatorio, anziché contemplare un inasprimento delle sanzioni attualmente previste, se non l'introduzione del "delitto ambientale" così come da più parti auspicato, sia in funzione di deterrente sia in funzione di supporto all'impegno degli Organi preposti al controllo e alla repressione dei reati ambientali, il decreto lascia inalterate le sanzioni contravvenzionali previste dalla normativa vigente e, addirittura nella fattispecie prevista per il reato di abbandono dei rifiuti, viene limitata la portata delle sanzioni accessorie, richiedendosi per la loro applicazione la "colpa grave" e non più la "colpa";
si prevede, tra l'altro, un meccanismo abrogativo "a tappe" delle norme precedenti che appare essere una vera e propria "innovazione giuridica", in funzione del fatto che non sono indicate le cadenze temporali cui è connesso l'effetto abrogativo delle norme precedenti; tale situazione altro non produrrà che una continua confusione normativa tra il vecchio e il nuovo, lasciando gli operatori del settore, le amministrazioni pubbliche e i cittadini tutti nella più totale incertezza del diritto;
considerato che, ad esempio, per quanto riguarda la difesa del suolo e la tutela delle acque:
lo schema di decreto apparentemente unifica i temi connessi alla difesa del suolo, alla tutela delle acque dall'inquinamento ed alla gestione delle risorse idriche, ma di fatto ripropone, aggravandola, l'attuale separatezza dei tre settori, e non fornisce risposte adeguate alla necessità di efficaci politiche ambientali che richiederebbero una visione unitaria anche sotto il profilo delle responsabilità e degli strumenti;
si prevede un forte accentramento di competenze e di funzioni già trasferite alle Regioni ed alle Autorità di bacino dalla legge 183/89; si introducono i distretti idrografici e le relative "autorità" abbandonando la logica del bacino idrografico quale unità di riferimento per la pianificazione e la programmazione degli interventi e sostituendo le attuali Autorità di bacino di rilievo nazionale, interregionale e regionale con nuovi organismi di totale emanazione ministeriale; in tal modo si riaccentrano funzioni di pianificazione attribuite alle Autorità di bacino a composizione mista statale e regionale (che nei principi della legge delega si intendeva invece valorizzare, come previsto dall'articolo 1, comma 9, lettera c) ) e si separano, assurdamente, le funzioni in materia di difesa del suolo da quelle in materia di governo del territorio affidate alle regioni ed agli enti locali; si genera confusione nelle competenze per la pianificazione, programmazione e gestione degli interventi nei settori della difesa del suolo, della tutela delle acque e della gestione delle risorse idriche; ciò rischia di mettere in crisi gli atti di pianificazione già definiti ed avviati, e gli sforzi delle Regioni che hanno già adottato il piano di tutela delle acque o che stanno per farlo;
le Regioni, pur avendo competenza concorrente in materia di governo del territorio, saranno di fatto esautorate, poiché le Autorità di bacino distrettuale si configurano come organismi puramente burocratici del ministero dell'ambiente, con una centralizzazione delle competenze e della gestione delle risorse finanziarie; vengono così liquidate esperienze di governo dell'acqua e del suolo, costruite sulla cooperazione difficile ma indispensabile tra le Regioni, e tra queste e lo Stato;
vengono abrogate la legge 183 ed il DL 180, senza sostituirle con una nuova normativa organica, coerente ed efficace, dando vita ad un sistema di norme pasticciato, confuso ed inapplicabile, incapace di coordinare competenze, ruoli, responsabilità delle istituzioni interessate, nonché di armonizzare contenuti e modalità di applicazione dei diversi strumenti di pianificazione; un sistema di norme che a parole dichiara di recepire la direttiva 2000/60, ma si muove in direzione opposta;
per quanto riguarda la tutela delle acque dagli inquinamenti si rileva un utilizzo di definizioni e nomenclature superate con l'entrata in vigore del decreto legislativo 152/99, che rischia di ingenerare confusione e problemi interpretativi, con alta probabilità di contenzioso; mentre la tabella 1/A (sostanze pericolose) dell'allegato riporta limiti completamente diversi e molto meno restrittivi del DM 397/03, con evidenti rischi di peggioramento dei livelli di protezione delle acque dall'inquinamento; né ci si preoccupa (come del resto in altre parti del decreto) di realizzare un moderno sistema di controlli ambientali, in cooperazione tra i vari enti competenti;
considerato, ad esempio, che per quanto riguarda le procedure per la Valutazione di Impatto Ambientale e per la Valutazione Ambientale Strategica:
va sottolineata l'erronea assimilazione della disciplina relativa alla Valutazione Ambientale Strategica su piani e programmi a quella relativa alla Valutazione di Impatto Ambientale su progetti di opere ed interventi; tale erronea assimilazione configura un incompleto ed incongruo recepimento della direttiva europea 2001/42;
sotto il profilo della semplificazione il decreto si preoccupa esclusivamente di tagliare i tempi delle procedure, senza distinguere tra opere diverse per tipologia e complessità, con una burocratizzazione non funzionale di tutti i passaggi e con un complessivo appesantimento procedurale, e con un restringimento degli spazi di informazione e partecipazione che finiscono per degradare ad elementi solo formali del procedimento;
le norme proposte confermano ed estendono disposizioni che già sono oggetto di procedure di infrazione comunitaria, quali quelle introdotte dal D.lgs 190/2002, relative alla fase di progettazione (preliminare e definitiva) in cui si deve espletare la VIA, e quelle relative alla possibilità del silenzio-assenso;
considerato che, ad esempio, per quanto riguarda la tutela dell'aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera:
non sono stati rispettati i principi ed i criteri direttivi della legge delega, in quanto lo schema di decreto si occupa esclusivamente alle emissioni in atmosfera di impianti industriali e civili, con particolare riferimento agli aspetti autorizzatori, ed in tale ambito la preoccupazione prevalente sembra essere quella di limitare il potere delle Regioni di fissare limiti più restrittivi; in questo ambito la durata di 15 anni per le autorizzazioni appare assolutamente sproporzionata in relazione sia rispetto ai processi di adeguamento degli impianti alle nuove esigenze ambientali sia in confronto alla durata, molto più breve, di altre autorizzazioni ambientali;
lo schema di decreto non tratta affatto di tutti gli altri aspetti relativi alla qualità dell'aria ed alla sua tutela, comprendendo ed armonizzando le norme relative al risanamento atmosferico, peraltro già in parte incluse nei D.lgs. 171/2004 e 59/2005, in recepimento delle direttive 2001/81 e 1996/62; né si è fatto alcuno sforzo per porre in relazione in modo sinergico le direttive NEC, LCP e IPPC ed il sistema delle autorizzazioni delle emissioni in atmosfera, in un'ottica di pianificazione per la tutela ed il miglioramento della qualità dell'aria; vengono ignorate, per fare solo due esempi, questioni rilevantissime come quelle relative alla qualità dell'aria nelle aree urbane (ad es per le polveri sottili) e delle emissioni di gas serra;
considerato, ad esempio, che in materia di danno ambientale:
lo schema di decreto abroga l'articolo 18 della legge 349/86 senza sostituirlo con nuove norme più adeguate all'evoluzione giurisprudenziale né alle norme comunitarie (non vengono infatti recepiti aspetti rilevanti della direttiva 2004/35 in materia di azione preventiva e risarcimento del danno ambientale);
il testo proposto prevede una fortissima ed esasperata centralizzazione riducendo anche sotto questo profilo le funzioni delle regioni e degli enti locali, e riducendo in tal modo l'efficacia della normativa;
la disciplina della riparazione dei danni ambientali conseguenti ad inquinamento delle acque sotterranee e dei terreni è sottoposto ad un regime diverso e distinto da quello previsto per la riparazione dei danni agli habitat e da inquinamento delle acque superficiali, in violazione della direttiva 2004/35/CE, sia sotto un profilo procedimentale, sia sotto il profilo dei principi , criteri e obiettivi della disciplina comunitaria;
rilevato che:
lo schema di decreto delegato - per il metodo usato e per il suo impianto complessivamente sbagliato, confuso, dannoso - è tale da non rendere possibile, né in ogni caso sufficiente, un suo miglioramento attraverso alcune limitate e parziali modifiche;
appare, dunque, necessario che il governo ritiri lo schema di decreto delegato, in modo che possa avviarsi su basi nuove e diverse la definizione di un nuovo testo;
esprime
PARERE CONTRARIO
"Vigni, Realacci, Lion, Folena, Abbondanzieri, Bandoli, Chianale, Dameri, Raffaella Mariani, Piglionica, Sandri, Vianello, Zunino, Banti, Iannuzzi, Reduzzi, Villari, Pappaterra".

 

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