LA MARCILIANA

Il tradizionale mercantile veneto

Era un tipo importante di nave scomparsa ai primi dell’Ottocento. Era la preda preferita dei pirati ed era spesso vittima di tempesta. Aveva la proibizione di navigare nel Mediterraneo.

Di Mario Marzari

 

La marciliana, marsiliana o anche marziliana è stata l’imbarcazione d'origine veneziana che, sempre presente nei documenti relativi alla navigazione e ai traffici in Adriatico, ha caratterizzato – tra il XVI e il XVII secolo – quella che lo storico J. C. Hoquet definisce l’”epoca della marciliana”.

Il suo utilizzo è sempre stato mercantile e dalle indicazioni relative ai traffici, possiamo notare come sia stata impiegata su rotte di volta in volta più lunghe. Inizialmente la troviamo impegnata nei collegamenti con l’Istria, la Romagna e le Marche; dal XVI secolo le rotte si allungarono e divenne l’imbarcazione preferita per il trasporto di merci tra Venezia e i porti della Puglia, di Spalato, Ragusa e Durazzo e verso le isole Ionie. Raggiunto un più consistente tonnellaggio prolungò i viaggi fino in Sicilia, le coste della Morea e verso Creta ed il Levante.

Le merci trasportate furono molteplici: grano, segala, olio, vino, biscotto, formaggio, noci, mandorle, valonia (corteccia di quercia e buccia di ghiande utilizzata per la concia delle pelli) zibibbo, uva passa, arance, legna da ardere, legname, biave (mangime per animali), pelli, tessuti, sapone, il prezioso sale e anche il bestiame.

L’origine del termine marciliana – già presente nel latino medioevale dell’anno 1261 – ha destato la fantasia di molti ricercatori, ma sua etimologia è incerta. Chi ha ipotizzato la derivazione da S. Marco, per devozione verso il patrono – col significato di legni di S. Marco -, o dal porto francese di Marsiglia, con cui i veneziani nel XII secolo avevano un grande traffico, ma dove non risulta sia mai giunta una di queste imbarcazioni, che per la forma del suo scafo ha suggerito anche l’ipotesi di una derivazione da marsione, col significato di porco marino, quindi marsiane e poi marsiliane; l’etimologia più attendibile sembra essere quella legata al trasporto delle merci a cui era destinata: marciliana, ossia nave “merciaja, quasi dir volesse nave per mercanzia, portatrice di merci”.

Non vi sono dati sufficienti per determinare con esattezza le forme del suo scafo tra il XIII ed il XIV secolo; possiamo solo ipotizzare che si trattasse di una piccola imbarcazione dalle forme piuttosto piatte, munita di coperta, attrezzata con un albero armato con vela latina, e dotata a poppa di due timoni laterali.

Tra il XV e il XVI secolo si ebbe nel Mediterraneo un largo sviluppo delle imbarcazioni di minor stazza a scapito dei grossi velieri e mentre verso l’oceano e il Mediterraneo vi fu il trionfo della caravella, in Adriatico si diffuse sempre più la marciliana, che aveva raggiunto ormai dimensi notevoli, in grado però sempre di risalire le foci dei grandi fiumi dato il suo minimo pescaggio.

Subito dopo la seconda metà del XVI secolo c’era stata una forte ripresa delle costruzioni navali di grosso  tonnellaggio che riuscì a dare ancora impulso alla costruzione di questo tipo di nave.

La marciliana presentava però l’inconveniente di non essere una nave armata – sia per l’economicità della realizzazione, sia per la scarsità dell’equipaggio – e non risultava adatta al combattimento anche per la sua forma poco idonea a questo tipo di manovra; era perciò molto vulnerabile agli assalti dei corsari e dei pirati, che infierivano notevolmente in Mediterraneo e lungo la costa dalmata. Venezia pertanto non vedeva di buon occhio il suo incontrollato proliferare, unito all’aumento delle dimensioni a scapito della sicurezza, che bloccava la costruzione delle “navi armate”, di cui la flotta veneta aveva estremo bisogno per garantire i traffici e per imporre la propria supremazia sui mari ed in particolare nel suo “Golfo”. Un altro grosso inconveniente si verificava a bordo delle marciliane, che trasportavano solitamente merci non preziose, riservate alle “navi atte” ed alle galere; i mercanti veneziani, che volevano raggiungere sempre maggiori utili, cercavano di caricare più merce possibile anche in coperta creando spesso un falso ponte aggiunto, il tutto a scapito della stabilità della nave stessa. La marciliana è stata l’imbarcazione dell’epoca più soggetta ad essere preda dei corsari o vittima di naufragi e sicuramente molti dei suoi relitti giacciono sul fondo dell’Adriatico. Il Senato cercò di porre rimedio a questi intollerabili sovraccarichi con l’ordinanza del 4 novembre 1589 in cui si proibiva di aggiungere “altra coperta che le due con le quali sono fabbricate”, ma senza concreti risultati. I Pregadi (cittadini che, facendo parte del Senato, venivano consultati dal Doge sulle questioni più gravi, n.d.r.) intervennero perciò drasticamente cercando di limitarne il raggio d’azione e nel 1602 proibirono alle marciliane di spingersi oltre l’isola di Zante e di navigare nel Mediterraneo.

Ad un certo punto la costruzione di questa imbarcazione divenne interessante economicamente perché troppo costosa, specialmente nelle dimensioni massime, e a Venezia le 78 marciliane del 1602 scesero a 38 nel 1619. Per impedirne la scomparsa, nel 1634 si concesse alle marciliane – con capacità di carico superiore – di poter navigare fino all’isola di Candia (Creta). La marciliana divenne nuovamente importante nella flotta mercantile veneziana per tutto il XVII secolo, arrivando a 78 unità nel 1698, grazie alla sua estrema funzionalità.

Pantero Pantera, nel 1614, ci fornisce una descrizione della particolare attrezzatura velica costituita da “sette vele; sei quadre, et una latina”; mentre da un inventario del 1657 trascrittoci dallo storico J. Luetic possiamo vedere come la marciliana fosse dotata di tre alberi. Risale al 1686 il prezioso manoscritto di Staffano de Zanne de Michel, proto dei marangoni dell’Arsenale, che descrive e fornisce i disegni di massima delle principali imbarcazioni veneziane, egli ci da tutte le dimensioni necessarie per costruire lo scafo di una marciliana della metà del Seicento, ben specificando come ormai “sono fabbriche che non hanno ne regola ne ragion precisa, ma ben si tute differenti”, dato che ogni capitano voleva modificarla a seconda della propria convenienza.

Grazie a questi dati ed alle sue informazioni è possibile realizzare la ricostruzione di una marciliana dell’epoca, tenendo però sempre conto che poteva avere forme e dimensioni anche molto diverse.

Per quest’epoca disponiamo di un’iconografia piuttosto ricca, che ci permette di vedere come le marciliane avessero un’attrezzatura velica mista, costituita da quattro a sette vele, quadre e latine. Troviamo sempre la vela latina a poppa, come era d’uso per manovrare meglio il timone, qualche volta rinforzata superiormente con una piccola vela quadra. L’albero di maestra solitamente veniva attrezzato con due o tre vele quadre, ma qualche volta al posto della vela di maestra c’era una grande vela latina. Su questo albero si nota sempre una grande coffa e in caso di vela latina vi era poi una sola vela di gabbia quadra: certamente la manovra della vela latina non era troppo semplice. Caratteristico era l’albero di trinchetto, fortemente inclinato in avanti, così da sembrare un lungo bompresso, con il compito di stabilire la rotonda e imponente prua in mare. A seconda dello scafo il trinchetto era attrezzato con una o due piccole vele quadre.

Lo scafo è sempre ben delineato: la prua è alta e rotonda molto simile a quella che conosciamo dei trabaccoli più antichi, così come la poppa che si stringe verso l’asta con linee rotonde ma filanti. Si distinguono bene il balador a prua ed il castello di poppa, spesso protetto da una tettoia, non sempre il castello è chiuso a poppa dallo specchio, qualche volta sembra un semplice naturale rialzo dello scafo, come è sempre per il balador a prua.

All’inizio del Settecento brigantini, checche, polacche e tartane si contrapposero con successo all’impegno della marciliana in Mediterraneo, costringendola ad operare solo in Adriatico, dove però si erano sviluppate nuove tipologie di natanti, più agili, ridotti nelle dimensioni più economici: i trabaccoli, i pièleghi e le brazzere. La situazione politico-economica sviluppatasi nel Settecento in Adriatico, con i nuovi porti franchi di Trieste, Fiume e Ancona, favorì l’intenso interscambio tra i porti delle due sponde, riducendo di molto le esigenze di natanti di grande capacità di carico. La marciliana subì così una spietata concorrenza anche sulle rotte adriatiche tradizionalmente battute, e il suo declino – iniziato nei primi anni del secolo – divenne inarrestabile, giungendo alla sua totale scomparsa in non molti decenni senza che di tale imbarcazione rimanesse alcuna traccia.

Il progressivo disuso della marciliana ha quindi fatto in modo che essa non sopravvivesse alla caduta delle secolari Repubbliche di Venezia e Ragusa e alle guerre napoleoniche: si può infatti ipotizzare come il 1780-1790 il decennio relativo alla scomparsa. All’inizio dell’Ottocento risulta la presenza, specialmente nei documenti chioggiotti, della marciliana denominata vascello da chebba a manzera, dalle caratteristiche che fanno intravedere il suo possibile passaggio al trabaccolo svoltosi nel Settecento, per poi confondersi con questa tipologia.

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