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PREMESSA
Di "JAMM' MÓ" si
è sempre detto che è stata una rivolta borghese. Sin dal suo esplodere, la stampa
italiana, che si è largamente occupata del caso, qualificò il moto popolare del 2 e 3
febbraio del 1957 inchiodandogli addosso l'etichetta "borghese". E stata ed è,
questa, la presentazione strumentale e superficiale di una realtà molto più complessa e
mai sottoposta ad un'analisi severa ed approfondita. La "rivolta popolare di
Sulmona", come anche e contraddittoriamente è stata chiamata, alla luce
dell'indagine che qui di seguito si espone, risulta essere invece il prodotto della
miscela di alcuni elementi essenziali della realtà sociale e politica cittadina di allora
con altri collegati alla realtà nazionale. Da una parte va considerato lo stato di
miseria endemica dell'economia locale; dall'altra va dato il giusto rilievo, senza cadere
in facili quanto sterili illazioni propagandistiche, alla lotta esasperata condotta dal
gruppo, dirigente della locale Democrazia Cristiana contro gli organi centrali e
parlamentari del proprio partito per ottenere nella Valle Peligna un centro di potere
politico ed economico, sostenuto, presso l'esecutivo o presso il Parlamento, da un patrono
locale. |
Anche l'arroganza
dell'organo provinciale di emanazione governativa, e cioè il Prefetto, inoltre deve
essere presa in considerazione al fine di poter intendere sino in fondo il
"fatto" di JAMM' MÓ. Infatti la "calata" da L'Aquila a Sulmona da
parte del Prefetto per ripristinare l'autorità istituzionale, scomparsa con le dimissioni
del consiglio comunale, seguite al trasferimento del Distretto nel capoluogo di provincia
- effettuato nottetempo e manu militari -, deve essere considerata l'elemento che ha
innescato la rivolta vera e propria. |
Su tutto questo, però,
campeggia un altro elemento di carattere nazionale che permea di sé tutti gli episodi
dell'intera vicenda e la rende comprensibile in ogni suo aspetto; la genesi cioè di
quella che verrà poi definita dalla letteratura economica, politica e giuridica degli
anni successivi, "la borghesia di stato". |
Con questa denominazione si
indica una realtà istituzionale, politica ed economica che tocca nel suo ventre molle il
costituirsi in Italia di quella che la dottrina giuridica chiama la 'costituzione
materiale', di quel complesso di regole non scritte, cioè, che, spesso in contrasto con
quelle scritte della Carta Costituzionale, di fatto caratterizza il modo di essere della
democrazia delle istituzioni e del loro funzionamento in Italia. In un eccesso di
schematizzazione e mutuando dal linguaggio politico corrente, la "borghesia di
stato" può essere definita come quel gruppo di uomini politici italiani che ha
piegato ai propri interessi di partito gli organi della Repubblica e le funzioni loro
proprie al fine di assicurarsi la permanenza ai vertici dello Stato per controllarne
"ad libitum" l'azione politica attraverso la manovra ed il controllo di vasti
settori della finanza pubblica. Questa, per molti versi, è una definizione che presta il
fianco a molte obiezioni, non ultima quella che le definizioni in questa materia sono
pericolose. Tuttavia, al di là delle inesattezze che possono essere colte nella
definizione appena data della "borghesia di stato", è certo che molto della
realtà 'storica' di quegli anni, ed anche degli attuali, è in essa racchiusa; infine la
definizione data scaturisce dalla necessità di fissare un punto, di riferimento
all'indagine che si presenta, ed è il risultato di una riflessione critica non prodotta
da chi scrive, bensì nata e divenuta patrimonio di larghissime correnti di pensiero
economiche e po1itiche, le quali godono di ben altra autorità che non quella, dell'autore
di queste note. |
Tornando al rapporto
intercorrente tra la particolare cultura politica e il ruolo svolto dalla borghesia di
stato nella vicenda di "Jamm' mò", si può dire che esso ha rivestito un
carattere paradigmatico, è stato un esempio di come il partito di maggioranza relativa,
pur in una dialettica interna spesso degenerata in veri e propri scontri tra fazioni, è
riuscito a gestire alcuni momenti critici della realtà economica e sociale italiana per
costruire un proprio sistema di potere che, lungi dal corrispondere agli interessi della
collettività, rispondeva alle esigenze, della più varia natura, proprie e dei propri
leader. |
Entrando nel particolare
della vicenda di " Jamm' mò " si può affermare, anticipando i risultati della
indagine, che, sebbene resti fermo il carattere di protesta popolare delle due giornate
della rivolta, chi ne trasse i maggiori benefici non fu certo il 'popolo' di Sulmona,
bensì 'i borghesi' del partito di maggioranza relativa che riuscirono a far tornare in
proprio vantaggio gli effetti della stessa. Anzi si può tranquillamente affermare che
senza le due giornate di rivolta popolare 'la borghesia di stato sulmonese' non avrebbe
ottenuto nulla nei confronti di quella emergente e ben più potente di L'Aquila. |
Il gioco tra le due
componenti territoriali abruzzesi del partito di maggioranza relativa, al 30 gennaio del
'57, si era infatti concluso con la sconfitta campale della Democrazia Cristiana
sulmonese: il Distretto era stato trasferito a L'Aquila in una maniera arrogante e, nello
stesso tempo, maramalda, dimostrando come tutte le istituzioni dello Stato si fossero
mobilitate al fianco dei boss aquilani per annichilire le petulanti richieste dei piccoli
notabili sulmonesi. Il futuro di questi, senza il sommovimento delle due giornate, sarebbe
stato ben misero: essi avrebbero dovuto legarsi inesorabilmente al carro dei leader
aquilani ed accontentarsi di svolgere, anche nella casa propria, il ruolo di comprimari. |
La rivolta popolare rimise,
però, tutto in gioco. Le prime pagine dei maggiori quotidiani del paese, dal Nord al Sud,
dovettero occuparsi di Sulmona, il Parlamento dovette discuterne ed alla fine votare un
ordine del giorno unitario avente come primi firmatari insieme, addirittura, un
democristiano ed un comunista. Ciò che non aveva ottenuto in tre anni, di scioperi
generali, delegazioni di protesta, manovre sottobanco, la borghesia di stato sulmonese
l'ottenne proprio grazie a quei due giorni. Mentre tutta la popolazione protestava violentemente
contro la violenza ottusa di un Governo "ch' fà dà manganellate allu
povere affamate", come ebbe modo di dire un anonimo verseggiatore in vernacolo,
venivano compiendosi i disegni dei 'borghesi' che dal '54 avevano tentato invano di
ottenere un posto alla tavola che la Democrazia Cristiana, attraverso la Cassa per il
Mezzogiorno, andava imbandendosi. Fu così che agli inizi degli anni '60 a Sulmona venne
paracadutata la germanica Siemens Elettra sotto le mentite spoglie dell'Adriatica
Componenti Elettronici, e, fino al 70, il Nucleo Industriale ed infine la FIAT. |
Al termine di questa
introduzione, una nota metodologica. Nella ricostruzione dei fatti delle due giornate del
febbraio del '57, e degli antecedenti, si è privilegiata la testimonianza documentale
diretta, sia d'archivio che di cronaca giornalistica, utilizzando la testimonianza dei
protagonisti solo se suffragata da raffronti documentali o solo in mancanza di altre
fonti. |
Si ringraziano il professor
Antonio Trotta, Sindaco del Comune di Sulmona all'epoca delle ricerche relative a questa
indagine, che ha consentito a chi scrive l'accesso ai documenti dell'Archivio Municipale;
l'avvocato Giovanni Autiero, per la sua preziosa ed insostituibile opera di consulenza; il
dottor Gaetano Stucchi, Direttore del settore Programmi della sede regionale di Pescara
della RAI, per proposta del quale questa indagine è stata avviata; ed infine quanti hanno
cortesemente prestato la propria collaborazione nella raccolta dei dati necessari alla
stesura di questo dossier. |
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