jamm07.jpg (72476 byte)

LA LOTTA PER NASCERE

La Democrazia Cristiana di Sulmona conosceva bene le condizioni della società civile della zona: disoccupazione, emigrazione, agricoltura povera, livelli di reddito tra i più bassi del Mezzogiorno. Le prospettive, inoltre, erano incerte. Il Governo aveva adottato una politica economica che di fatto penalizzava il Sud, puntando sulla crescita produttiva del Nord cui era stato demandato il compito di rappresentare l'Italia nella competizione economica con gli altri stati europei. Alle popolazioni del Meridione a prescindere dall'emigrazione, non veniva offerta altra prospettiva oltre quella di poter lavorare nei cantieri edili per la realizzazione delle opere pubbliche finanziate dalla Cassa per il Mezzogiorno, o l'altra di poter ottenere il classico "posto statale" o, in alternativa, il posto nelle industrie del Nord. Il tutto però attraverso il filtro delle raccomandazioni paternalistiche e clientelari del parroco del paese o dell'avvocato o del medico democristiano. La ricostruzione del dopoguerra, che pure avrebbe potuto svolgere un'azione trainante per l'economia del paese, alla fine risultò, come è stato già rilevato, più che una manovra di politica economica, un intervento unitario che andava dotando il paese di scuole, ospedali, strade, acquedotti, ponti e reti fognanti, strappandolo così ad un degrado proprio dei paesi del terzo mondo.

La Democrazia Cristiana, aspirante borghesia di stato nella Valle Peligna, alla ricerca di un ruolo che non fosse quello della dipendenza dal più potente gruppo aquilano del proprio partito, risolse di armare la protesta popolare e di gestirla contro i vertici politici che nella gestione dell'intervento finanziario della Cassa per il Mezzogiorno l'avevano esclusa.

Questo meccanismo di pressione nei confronti dei potentati maggiori del proprio partito messo a punto dalla Democrazia Cristiana in occasione della crisi di "Jamm' mò", venne ripescato in altri momenti critici per la storia della politica economica della Valle Peligna, quali ad esempio quello coincidente con le decisioni relative al tracciato per l'autostrada Roma Pescara, l'altro per l'insediamento dell'impianto industriale FIAT nel territorio sulmonese ed infine quello per il casello autostradale di uscita della A 25. Sempre lo stesso meccanismo è utilizzato anche in occasione della scelta dei capoluoghi regionali in Abruzzo ed in Calabria, agli inizi degli anni '70, con le rivolte di L'Aquila e Reggio Calabria.

In tutte le situazioni appena ricordate, è dato riscontrare come si è riprodotto lo schema classico della crisi sulmonese: mancanza di una leadership all'interno del partito di maggioranza relativa che tenesse sotto controllo tutto il territorio regionale; esistenza di più gruppi di potere in lotta tra loro per la conquista di una supremazia; assenza di una efficace risposta delle forze della sinistra agli scontri interni al partito di maggioranza relativa (le forze della sinistra, partiti e sindacati, nelle occasioni citate hanno mostrato sino in fondo la propria incapacità di risolvere a proprio favore le contraddizioni interne al sistema di potere, non tanto nella loro opera di attacco e denuncia di queste contraddizioni, quanto nella loro sostanziale mancanza di idee relativa ad una politica economica alternativa a quella della Democrazia Cristiana); ed infine uno stato di malcontento diffuso nella popolazione per il tenore di vita esistente e per la mancanza assoluta di prospettive in relazione alla crescita civile ed economica della società.

Un altro dato caratterizzante lo schema strutturale delle vicende di "Jamm' mò", ed anche di molti degli altri fatti citati, lo si riscontra nel fatto che l'uso della protesta popolare a fini propri da parte della Democrazia Cristiana ha trovato un momento nel quale l'architettura del disegno è saltata: lo strumento è andato via per proprio conto, sopravanzando le intenzioni di chi lo stava usando; in fin dei conti si trattava di uno strumento pensante. Il dato in questione è quello proprio della collera popolare nel momento in cui diviene padrona di se stessa e spazza via le intenzioni di chi va a stuzzicarla.

Le giornate del 2 e 3 febbraio del '57 furono, quindi, un fatto interamente popolare e non una rivolta pilotata dai borghesi. Il tentativo di linciaggio del Prefetto, la bastonatura del vice questore aquilano, le barricate, gli scontri con le forze dell'ordine non furono certamente guidate da coloro che per tre anni avevano chiamato alla mobilitazione la città con scioperi generali e con le delegazioni al palazzo romano e che di fronte alla sconfitta si erano dimessi da tutte le cariche pubbliche. Ma se non fu pilotata dai borghesi, la rivolta di Sulmona non venne nemmeno guidata dalle sinistre; semplicemente non fu un fatto politico cosciente, un fatto politico in senso stretto. La sinistra sulmonese, sebbene generosa e molto attiva nell'attaccare la Democrazia Cristiana sia dal punto di vista politico che amministrativo, non era capace di contrastarne il disegno di conquista delle leve di comando della politica economica del territorio, perché non conosceva da un punto di vista operativo il disegno della Democrazia Cristiana, né ne possedeva uno proprio sia a livello teorico che a livello pratico di gestione di una qualsiasi politica economica.

Solo con il passare del tempo, prima nel Partito Comunista, ed in seguito nel Partito Socialista, emersero la coscienza e la conoscenza pratica di quanto la Democrazia Cristiana andava facendo per costituire e consolidare una vera e propria area di potere mediante i flussi finanziari dei capitali di Stato manovrati dalla politica economica del Governo.

Tale coscienza venne resa esplicita dal Partito Comunista di Sulmona in occasione di un altro periodo di forte tensione politica cittadina causata da vicende di politica economica: l'insediamento dello stabilimento FIAT nel territorio del Consorzio per il Nucleo Industriale di Sulmona. Fu quello un periodo caratterizzato da scioperi generali, cortei e, per la prima volta nella storia di Sulmona, dall'occupazione di Palazzo San Francesco, sede del Municipio. Venne ricreato il clima degli anni '54-'55-'56: quello della mobilitazione generale in difesa del Distretto. Si registrò però una deviazione rilevante dallo schema di azione messo in atto in quegli anni: i partiti politici non erano unanimi nel richiedere l'insediamento FIAT. I comunisti in consiglio comunale, pure in presenza di una grave frattura interna che avrebbe determinato l'uscita del partito di uno dei suoi membri più autorevoli, il professor Claudio Di Girolamo, votarono contro l'insediamento, denunciando il disegno della Democrazia Cristiana. Le motivazioni addotte per quel no, infatti, furono oltre quelle di natura politico-economica (che indicavano nel legame con le risorse disponibili nella zona il fondamento di un solido decollo economico della stessa), anche le altre relative all'accrescimento della dipendenza della società civile peligna dal gruppo di potere democristiano che nel frattempo si era andato concretando nel controllo diretto dell'ente locale e di tutte le sue articolazioni, del Consorzio per il Nucleo di Sviluppo Industriale e del credito locale.

Il Partito Socialista sulmonese, dal suo canto, verificò l'esistenza del complessivo disegno della Democrazia Cristiana frequentandola nei governi amministrativi cittadini del centro sinistra che durarono fino al 75. Terminato il quinquennio amministrativo in un clima di forte polemica tra i partiti, ed in presenza di un'ulteriore profonda lacerazione all'interno della Democrazia Cristiana, il partito Socialista, insieme al partito Comunista, prese l'amministrazione ed in collegamento alle tematiche della linea politica nazionale cercò di sostituirsi alla Democrazia Cristiana, arricchendo però l'azione politico-amministrativa dei caratteri dell'imprenditorialità e dell'efficienza, e collegandosi ai cosiddetti ceti impreditoriali emergenti della industria e dell'edilizia, contro il parassitismo e la gestione burocratica ed improduttiva della cosa pubblica.

Tuttavia la carenza di fondo della politica delle sinistre in alternativa a quella della Democrazia Cristiana è riscontrabile sia oggi, sia, e a maggior ragione, durante le crisi di "Jamm' mò" e nelle successive, è necessario ribadirlo nella incapacità di proporre un governo del territorio e della sua economia che, senza fermarsi alle sole enunci azioni politiche generali, scenda nella prassi a misurarsi con i problemi e le esigenze della società civile; di tutta la società civile e non di qualche suo settore soltanto.

In questa situazione la Democrazia Cristiana ha sempre avuto buon gioco. In mancanza di termini di raffronto diretti, il partito di maggioranza relativa a Sulmona ha sempre potuto proporre il proprio disegno di gestione della società civile come il risultato dell'impegno dei suoi uomini verso una crescita economica e sociale della zona. Se, quindi, la Democrazia Cristiana protesta per la sottrazione notturna del distretto, lo fa solo ed esclusivamente per la dignità offesa della città e della zona; se la OC riesce ad ottenere il consorzio per il nucleo industriale e ne mena vanto, ciò accade perché i suoi uomini sono convinti e si mobilitano in vista della necessità di procurare un lavoro agli uomini e alle donne di Sulmona e della Valle Peligna; se si proclama l'agitazione della città sulla questione dell'Autostrada, è perché "la dorsale appenninica, in fatto di rete viaria e di sistema di comunicazioni, intersecherà la direttiva adriatica" favorendo lo sviluppo dei rapporti commerciali e del turismo del comprensorio sulmonese e dell'Altopiano del Sangro.

Si potrebbe continuare "ironizzando" ulteriormente su molti aspetti dello sviluppo economico e sociale di Sulmona e della sua regione, così come voluto dal partito di maggioranza relativa. Ma, per chiudere su questo argomento e guardando allo sviluppo così come è andato articolandosi in questi ultimi venti anni in tutta la regione, non si può non rilevare come abbia avuto un andamento schizoide, dovuto, in concomitanza con altre cause, ad una forza centrifuga operante negli interventi dello Stato per effetto della divisione della Pubblica Amministrazione in due o più centri di potere: l'autostrada A 24, poi ramificatasi nella A 25, le facoltà universitarie distribuite a manciate tra i capoluoghi di provincia, il capoluogo regionale insediato a L'Aquila, ma con molte dependances a Pescara, sono gli esempi più eloquenti di quanto appena affermato.

E alla luce dell'analisi appena compiuta, si comprende come il gruppo democristiano sulmonese non avesse avuto, in occasione della manovra realizzata con la crisi di "Jamm' mò", la benché minima possibilità di strappare una fetta di potere agli agguerriti ed affamati clan di borghesi di stato che andavano formandosi a L 'Aquila e a Pescara. E di fatto vennero sonoramente battuti. Era il 30 gennaio del 1957. Ma dovevano ancora venire le giornate del 2 e 3 febbraio.

 

CAPITOLO 6

JAMM' MÒ

CAPITOLO 8