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LA BEFFA DEL KOMMANDO
NOTTURNO
Le elezioni amministrative
del maggio '56 comportano il cambio a Palazzo San Francesco: sulla cattedra del sindaco al
democristiano Tirone succede il liberale Mazara, marchese e gentiluomo, eletto dalla lista
civica Campanile e Cupola. I dirigenti democristiani locali, siamo nel pieno degli anni
50, affidano la summa del potere locale ad un laico, eppure nessuno avrebbe avuto nulla da
dire se la carica fosse rimasta nelle mani di un DC. Vero è che in quella tornata
elettorale la Democrazia Cristiana subì un rovescio nemmeno lontanamente paragonabile a
quello subito nel 75-76: dal 1951 con 5.300 voti, pari al 46.12% e con 18
consiglieri, maggioranza ampiamente assoluta, passa nel maggio '56 a 3.310 voti, 27.9%,
con 9 consiglieri. Ciò si spiega con la nascita dal fianco della DC locale del gruppo
'Coltivatori Diretti La Vanga' che le strappa 3 consiglieri e del gruppo Coltivatori
Diretti Indipendenti con un seggio; inoltre entrano in consiglio per la prima volta le
destre con i 2 seggi del Movimento Sociale, mentre la lista civica 'Campanile e Cupola' da
un solo seggio ne conquista tre. Scompaiono altre liste locali, il Partito Comunista passa
da 3 a 4 seggi ed il Partito Socialista da 4 a 7. Questo terremoto si spiega
essenzialmente con il crollo verticale della Democrazia Cristiana, dovuto alla lotta
intestina e all'andamento delle crisi del '54 e '55 relative alla lotta interna sottesa a
quella della soppressione del Distretto. Questi due fattori in realtà sono riconducibili,
per quanto già detto nell'introduzione, ad un unica causa: la mancanza, all'interno della
Democrazia Cristiana di Sulmona, di un leader indiscusso che avesse raccolto attorno a
sé, come era accaduto per L'Aquila e Pescara, la maggioranza degli 'amici'. Questo per un
verso avrebbe significato avere un rappresentare in Parlamento, con tutto quel che segue
quanto ai finanziamenti pubblici e, per l'altro, avrebbe impedito grossi conflitti interni
capaci di smembrare la forza elettorale locale della DC. |
Anche così malridotta la
Democrazia Cristiana avrebbe potuto chiedere per sé il Sindaco. L'integralismo di questo
partito all'epoca viveva una stagione floridissima e la sua egemonia nei confronti dei
suoi ,alleati minori era un fatto indiscusso. Ma viene eletto sindaco il Marchese Mazara,
un gentiluomo non compromesso da giuochi di potere, al di sopra delle parti, ma
soprattutto liberale, e quindi non democristiano. Questa qualità, lapalissianamente
enunciata, è risultata alla luce dei fatti successivi, eminentemente utile proprio alla
Democrazia Cristiana, tanto che può sorgere fondato il sospetto che la scelta di
affidargli la prima carica cittadina non sia scaturita dalla logica dei risultati
elettorali, bensì da un preciso disegno del gruppo dirigente locale della Democrazia
Cristiana. |
Del Distretto Militare di
Sulmona il nuovo Sindaco Panfilo Mazara si occupa ufficialmente nella seduta segreta del
consiglio comunale convocata per il 15 dicembre del 1956. |
Nell'autunno del '56,
discretamente, le autorità militari sulmonesi, per il tramite del colonnello Sessich,
comandante del 46° reggimento di Fanteria, offrono al governo cittadino, come
contropartita per la perdita del Distretto, l'insediamento in loco degli uffici del
magazzino del reggimento. L'offerta viene ribadita al Sindaco Mazara dai generali Cassini
e Mellani nella cornice mondana della festa del reggimento, tenuta il 17 dicembre. Il
primo cittadino di Sulmona respinge l'offerta anche su precedente mano dato del Consiglio
comunale che nella seduta dei due giorni antecedenti l'aveva esaminata e respinta. Non
ottengono nessun risultato neppure le richieste di benevolo interessamento avanzate dal
Sindaco, nella stessa occasione, al Capo di Stato Maggiore del Comiliter di Roma,
intervenuto anch'egli alla festa del reggimento. E questo sembra l'ultimo tentativo di
comporre bonariamente la questione compiuto dal Governo Nazionale. Tentativo compiuto per
interposta persona attraverso le Autorità Militari. |
Il 1957 comincia con un
cattivo auspicio: un amico, infiltrato nel Palazzo Romano, come la talpa del '55, in
"linea riservatissima" annuncia al Sindaco Mazara che "qualcosa di grave si
sta tramando circa la soppressione del Distretto Militare di Sulmona". Di nuovo,
sull'esempio di quanto già compiuto nella precedente evenienza dal Sindaco Tirone,
vengono inviati telegrammi a Taviani e al Comiliter nei quali, con una certa disperazione,
si chiedono smentite ed interventi atti a rivitalizzare l'ormai agonizzante struttura
militare sulmonese, senza comandante dal maggio del '55. Come nelle precedenti crisi viene
riattivato il Comitato di Difesa Cittadina ed alla sua testa viene posta un'altra figura
discendente dai Jombi nobiliari di una vecchia casata sulmonese, qualificata ulteriormente
dal fatto di essere un alto ufficiale a riposo: il colonnello Francesco Sardi De Letto. |
Sotto la sua guida il
Comitato adotta una strategia di sapore decisamente militare, tatticamente frazionata in
tre tempi e di intensità proporzionalmente crescente: il primo tempo è quello già
sperimentato nelle precedenti occasioni. Si ricorre direttamente agli organi competenti
dello Stato cercando di "impietosirli" attraverso l'esibizione delle precarie
condizioni economico-sociali della popolazione peligna e del circondario della Vallata; di
fronte all'insuccesso di tale azione si accede al secondo tempo, passando all'azione
popolare consistente in una mobilitazione massiccia delle masse della città e del
circondario in uno sciopero generale; e quando anche tale stadio della lotta non avesse
condotto a risultati positivi, allora si sarebbe dato il via al terzo tempo, alla forma di
lotta più dura che un "borghese" avrebbe mai potuto concepire, cioè la
disobbedienza civile radicalizzata all'estremo: dimissione da tutte le cariche pubbliche,
elettive e rappresentative, ricoperte a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione, da
cittadini sulmonesi; non ripresentazione delle liste elettorali ed infine rifiuto di
pagare le tasse. |
Forte della precedente
esperienza, ed elaborata tenendo conto proprio dei fallimenti di quella, la strategia dei
tre tempi viene aperta con le solite 'petizioni' alle autorità dello Stato. Come al
solito non si ottiene nulla, anzi si acquisiscono maggiori certezze sulla prossima
soppressione del Distretto. Il Comitato di Difesa Cittadina viene a conoscenza di una
circolare ministeriale attuativa della soppressione del Distretto che sarebbe stata
addirittura firmata direttamente dal Ministro in data 15 gennaio 1957. |
Nello stesso giorno in cui
si viene a conoscenza di questa circolare, il Comitato di Difesa Cittadina, riunito
d'urgenza, approva un ordine del giorno che nella sua parte finale così recita: "Il
Comitato di Difesa Cittadina (
) protesta nel modo più fiero per questa nuova ed
ingiusta minaccia di spoliazione, in palese dispregio degli interessi nazionali e locali,
INVITA le popolazioni dei centri interessati ad esprimere la loro indignazione ed
affiancare questo Comitato nella attività che andrà a svolgere in difesa del comune
interesse e del comune prestigio, e tutti i partiti ad operare sollecitamente ed
efficacemente affinché mobilitino le proprie forze in difesa di questa giusta causa e
PONE IN ATTO i legittimi movimenti per salvaguardare il prestigio e l'esistenza di Sulmona
e del suo vasto territorio". |
È il primo tempo della
strategia patrocinata da Sardi De Letto. Viene richiesto l'intervento del Vescovo, Luciano
Marcante, del Prefetto di L'Aquila, dottor Ugo Morosi, ed infine dei deputati abruzzesi di
tutti i partiti. Ma il vecchio prelato sulmonese, ricordando la penosa ed umiliante
anticamera subita nel '54 dinanzi alla porta di Taviani, più che l'assenso, la
solidarietà alla causa ed una benedizione, non può offrire; il Prefetto manifesta chiari
segni di fastidio alle, per lui, petulanti richieste dei notabili sulmonesi, ed i
parlamentari abruzzesi, quelli che contano, perché gli altri non manovrano nella stanza
dei bottoni al Palazzo, alla fin fine sono stati eletti in altri collegi e non
intervengono certo a favorire Sulmona per produrre un danno ad. interessi consolidati e
tutelati nei loro terreni di caccia. |
Il clima percepito dai
componenti del Comitato di Difesa Cittadina nello svolgere questo primo tempo della
mobilitazione ha un che di minaccioso e, senza por tempo in mezzo, in anticipo rispetto
alla scaletta dell'azione, si passa al secondo tempo della strategia. |
Il 18 gennaio, mentre da una
parte il Comitato di Difesa Cittadina convoca per le 17 del giorno successivo un pubblico
comizio di protesta da tenersi, data la stagione, presso il Teatro Comunale, quasi
contestualmente alla convocazione il Sindaco Mazara riceve dal Prefetto Morosi la diffida
a concedere la struttura pubblica agli organizzatori della agitazione. La diffida trovava
appiglio nel regolamento interno sull'uso del Teatro che non prevedeva la concessione
dello stesso per manifestazioni del genere. Il Sindaco non se ne dà per inteso, concede
l'uso del Teatro al Comitato di Difesa Cittadina e convoca, in seduta straordinaria, il
Consiglio Comunale alle 19 dell'indomani per discutere gli ultimi eventi. |
È ormai guerra aperta se
non dichiarata. Proprio perché ormai questo dato è entrato nella coscienza di tutti i
protagonisti, il Comitato di Difesa Cittadina non si limita a convocare il comizio, ma
lancia la parola d'ordine dello sciopero generale ad oltranza indicandone tutte le
modalità di svolgimento. Riassumendo, dal documento del Comitato si evince che devono
scendere in sciopero "tutte le categorie, FINO A NUOVO ORDINE, con l'esclusione dei
sanitari, degli ospedalieri, dei farmacisti, dei panificatori e dei ferrovieri"; da
queste categorie, però, si attendono ugualmente le rispettive adesioni per mezzo di
dichiarazioni scritte"; per i gestori di esercizi di vendita al dettaglio di generi
alimentari si adotta la formula dello sciopero a singhiozzi: l'intera giornata lavorativa
per il 21 e, nei giorni successivi, solo due ore di apertura per consentire alla
popolazione in sciopero di approvvigionarsi. |
È una forma di sciopero
molto dura, come si può constatare, ma molto diversa da altre forme di lotta attuate in
quegli anni, quali l'occupazione delle terre, non molto conosciuta nella Valle Peligna, o
lo sciopero "alla rovescia" (esecuzione di un lavoro ritenuto di pubblica
utilità, con la richiesta di un salario all'autorità competente alla progettazione,
finanziamento ed esecuzione del lavoro). |
Il Prefetto, intanto, visto
frustrato il suo tentativo di precludere l'uso del Teatro al Comitato ed ai manifestanti,
avvia immediatamente un'indagine amministrativa sulle spese telegrafiche effettuate
dall'amministrazione durante il primo tempo della mobilitazione. Indignato, il Marchese
Mazara telegrafa al massimo funzionario governativo della provincia che le comunicazioni
telegrafiche sono avvenute tutte a proprie spese. |
La diffida ad usare il
teatro e l'indagine amministrativa promossa nei confronti del Sindaco, pur essendo episodi
di minor conto nell'ambito dell'intera vicenda del Distretto, divengono immediatamente di
pubblico dominio e vengono interpretate quali ennesime vessazioni nei confronti non tanto
dell'amministrazione, quanto invece dei cittadini di Sulmona e della loro dignità. |
Il 19 gennaio, alle 17,
viene aperto il comizio di protesta all'interno del Teatro Comunale. Il Colonnello Sardi
De Letto illustra, in apertura, uno studio lucido quanto appassionato sui motivi che
avrebbero dovuto indurre il Ministero della Difesa a far rimanere il Distretto Militare a
Sulmona; dà, inoltre, conto di una lettera inviata al Presidente della Repubblica
Giovanni Gronchi. Nel corso della manifestazione viene quindi illustrato il calendario
delle iniziative raggruppate sotto l'etichetta 'secondo tempo' della difesa del Distretto.
Terminato il Comizio, l'attenzione si sposta a Palazzo San Francesco dove, con perfetto
sincronismo, sta per iniziare la seduta straordinaria del Consiglio Comunale. |
Il Marchese Mazara introduce
il dibattito riferendo sullo stato delle iniziative volte a salvaguardare il Distretto
Militare. La discussione si avvia, però, su una nota stonata: alla proposta di inviare
una ennesima delegazione a Roma per ottenere un colloquio con i parlamentari abruzzesi e,
a questo fine, interessare l'onorevole Spataro, democristiano, il cavalier Nicola
Serafini, compianto esponente di rilievo nel Partito Socialista, risponde ponendo la
questione se l'incontro avverrà, correttamente, con tutti i parlamentari abruzzesi, o con
i soli democristiani. La questione non è, come si vedrà, infondata ed un velo di
tensione si alza tra i consiglieri. Tutto, però, viene risolto impegnandosi ciascun
gruppo consiliare ad interessare le istanze centrali del proprio partito per
l'organizzazione dell'incontro unitario della delegazione con i parlamentari abruzzesi. |
Risolta in questi termini la
questione preliminare, chiede ed ottiene la parola il capogruppo comunista Claudio Di
Girolamo. Le sue parole sono molto dure. Apre il discorso ringraziando il Colonnello Sardi
De Letto per l'esposizione, effettuata durante il Comizio al Teatro, relativa allo studio
sul Distretto Militare, ed il Sindaco e la Giunta per aver concesso al Comitato di Difesa
Cittadina l'uso del Teatro, ma chiede ragione al Sindaco del suo silenzio sugli episodi di
arroganza del Prefetto, di cui il Sindaco stesso è rimasto vittima. Propone
successivamente di impegnare il Parlamento a che una sua commissione paritetica venga a
rendersi conto, in prima persona, della ragioni dei sulmonesi sollevate a difesa del
Distretto Militare. Per rafforzare la richiesta della costituzione della Commissione
Parlamentare, continua il capogruppo comunista, e per dotare di maggior forza contrattuale
la delegazione che dovrà recarsi a Roma ad incontrare i parlamentari abruzzesi, i
consiglieri comunali dovrebbero immediatamente dimettersi minacciando ulteriormente, in
caso di esiti negativi ai tentativi messi in atto per salvare il distretto, la non
ripresentazione delle liste elettorali. All'intervento di Di Girolamo segue quello di un
altro illustre esponente comunista, il barone Annibale Luigi Corvi, che alle parole dure
del suo compagno di partito aggiunge il crisma di una corposa motivazione politica:
bisogna impedire questa ennesima amputazione, anche se marginale, dell'economia cittadina
e dell'ancora più misero entroterra che attorno ad essa gravita, e di qui partire per
chiedere l'intervento dello Stato per un decollo economico della zona. |
È la volta dell'avvocato
Vincenzo Masci del Movimento Sociale Italiano. Il suo è un intervento colorito ed
appassionato: esibisce la certezza che il Distretto sta per essere sottratto a Sulmona non
per motivazioni d'ordine tecnico o amministrativo, bensì per ragioni di potere politico.
Ricorda come nel '54 tutti ebbero la sensazione di quanto ora si va palesando con sempre
maggiore chiarezza: i deputati vengono a Sulmona solo a promettere ed a raccogliere voti;
Taviani rimanda l'esecuzione del provvedimento di soppressione del Distretto solo per
scegliere il momento più opportuno e discreto; il Consiglio Provinciale tace per
implicita solidarietà a L'Aquila ed il Prefetto, con le sue ultime prodezze della diffida
a concedere il Teatro e dell'indagine amministrativa sulle spese telegrafiche effettuate
dal Sindaco, ha fatto la sua scelta di campo. "Dobbiamo iniziare da oggi - afferma
testualmente l'avvocato Masci - una linea di legale sabotaggio, dico legale sabotaggio;
dobbiamo adottare un comportamento di decisa e legale ribellione". È in queste
parole tutto il senso di quella che venne definita dalla stampa la rivolta borghese di
Sulmona. L'avvocato Masci conclude invitando alle dimissioni tutti i consiglieri comunali
e gli altri degli enti da questo emanati, senza badare all'epoca delle dimissioni: attuali
o future che siano, esse devono corrispondere al momento nel quale si acquisisce la
certezza che il Distretto è perso irrimediabilmente. "In questa disgraziata ipotesi,
anzi, non si dovranno nemmeno più presentare le liste elettorali di tutti i
partiti". |
Mentre viene costituita una
commissione paritetica per la formulazione di un ordine del giorno, seguono gli interventi
di altri consiglieri che, con articolazioni diverse da quelle precedenti, ne seguono la
sostanza. |
Gli ordini del giorno che
vengono proposti all'assemblea sono due: nel primo si vota la proposta di inviare a Roma
una delegazione che si incontri con i parlamentari abruzzesi, stabilendo ancora che
successivamente ai risultati conseguiti nell'incontro si potranno avere a disposizione gli
elementi per valutare se dimettersi o meno. Qui si verifica, però, un incidente di
percorso: un emendamento presentato dal gruppo comunista viene votato da tutti, tranne che
dal Consigliere della Democrazia Cristiana Incani, quello stesso del quale si disse nel
'54, che se ne fuggì in quel di Pescara per non dimettersi dalla carica di consigliere
provinciale (5). |
Con il secondo ordine del
giorno, che viene votato all'unanimità, il Consiglio Comunale di Sulmona chiede "la
nomina di una commissione tecnico-parlamentare perché venga nella nostra provincia (sottolineatura
d.r.) per rendersi conto delle imprescindibili necessità sotto tutti gli aspetti che il
Distretto Militare di Sulmona venga conservato e rafforzato, e questa necessità prospetti
al Governo ed in particolare al Ministro della Difesa". |
Il Consiglio Comunale viene
chiuso nella tarda serata e l'indomani il Marchese Mazara si premura di avvertire
privatamente l'onorevole Spataro di quanto deciso dal Consiglio Comunale. Nella lettera
che invia al notabile democristiano il sindaco liberale afferma: "Non avendo titolo
per ostacolare la richiesta dell'intero consesso, ho dovuto aderire alla volontà espressa
dai consiglieri e mi affretto a comunicarlo alla E.V.". Dalla lettera si può
tranquillamente argomentare che il Consiglio Comunale ha deciso di fare qualcosa che, non
possiamo dire né come né perché, dispiace all'onorevole, e che il Sindaco per causa di
forza maggiore ha dovuto seguire una determinata condotta di cui sembra quasi scusarsi con
un suo dirigente politico; ma l'uno è democristiano e l'altro è liberale. Di fronte a
segnali così espliciti, a posteriori, possiamo essere autorizzati a ritenere che le cose
stavano, in quel momento, prendendo la mano ai loro autori. |
Nella mattinata del 21,
puntuale, inizia lo sciopero ad oltranza: "Alle 11 - riferisce il "Popolo"
in pagina locale - un corteo al quale si è unita tutta la cittadinanza si è mosso dal
Comune con il labaro in testa (più che labaro, gonfalone; al corrispondente è scappata
dalla penna una piccola nostalgia 'imperiale') per raggiungere il monumento ai Caduti ove
è stata deposta una corona di alloro. Il corteo ha fatto poi ritorno al Comune, si è
portato all'Aula Magna di Palazzo San Francesco ove il Presidente del Comitato Cittadino,
commendator Sardi De Letto e l'avvocato Autiero hanno tenuto applauditi discorsi, dopo di
che si è sciolto con il massimo ordine nella speranza che la commissione che si recherà
martedì prossimo a Roma possa ottenere i risultati desiderati dal popolo di Sulmona, che
sta vivendo ore di ansia e trepidazione". |
Nella stessa giornata al
Sindaco di Sulmona cominciano a pervenire attestazioni di solidarietà da organizzazioni
di categoria e di forze politiche di Avezzano; giungono anche, tardive, forse sollecitate
e senz'altro strumentali, le attestazioni di solidarietà del Presidente del Consiglio
Provinciale aquilano, Santucci. |
Nella giornata del 22 si
viene a conoscenza di un fatto nuovo, imprevisto dal ben architettato copione dei tre
tempi: viene narrato dal corrispondente de "Il Popolo" che lo introduce
adottando i classici ed ormai consunti schemi giornalistici usati per segnalare eventi
d'eccezione: "Apprendiamo all'ultima ora che il Segretario della Democrazia
Cristiana, professor Michele Critani, i consiglieri provinciali Tirone e Bolino, ed il
Sindaco si sono recati presso la Prefettura di L'Aquila per una riunione ivi indetta per
l'esame della situazione della città in rapporto alla questione del Distretto". Su
questo avvenimento, nei giorni successivi, cala il silenzio stampa; né sono stati
rinvenuti documenti che avrebbero potuto chiarire quanto si è detto in quella riunione.
Sulla base della notizia riportata, però, si può rilevare come sia anomalo il fatto che
il Prefetto convochi oltre al Sindaco, per il quale esiste un rapporto di natura
istituzionale (tra le attribuzioni del Sindaco esiste anche quella di funzionario del
governo e perciò, per questo aspetto, è dipendente gerarchicamente dal Prefetto), anche
l'intero staff dirigenziale politico della Democrazia Cristiana. Se questo viene convocato
è certo perché il Prefetto lo considera quale centro motore dal quale dipende l'ordine
pubblico a Sulmona. È questa un'ulteriore prova della vera natura del conflitto in atto
tra i gruppi di potere aquilani, appoggiati dalle strutture statali controllate dalla DC,
ed il gruppo dei notabili democristiani sulmonesi. |
Nella serata del 22 il
Marchese Mazara parte alla volta di Roma. L'incontro della delegazione sulmonese con i
parlamentari abruzzesi è fissato per l'indomani alle 11. Perché mai il Sindaco parte
così in anticipo rispetto alla delegazione? Si può pensare che il Sindaco abbia voluto
avere del tempo a disposizione per svolgere qualche e ben precisa attività diplomatica!;
però di questa ipotesi non esiste alcuna conferma. I componenti della delegazione lo
raggiungono a ,Roma con il rapido delle 10 e 15, puntuali per il colloquio delle 11.
Questo, però, non si svolge secondo le modalità previste. Alle 11 la delegazione
sulmonese riesce a parlare con tutti i parlamentari abruzzesi, fuorché con quelli
democristiani. Questi incontreranno la delegazione nel pomeriggio, alle 17,30. Secondo
quanto affermato in quei giorni, ciò sarebbe avvenuto perché gli onorevoli democristiani
non avevano voluto ricevere la delegazione insieme ai loro colleghi socialisti e
comunisti. Ma è ragionevole supporre che potessero esistere altri motivi oltre quello
presentato quale giustificazione; si può rapidamente supporre, cioè, che i democristiani
avessero tutto l'interesse a trattare in separata sede ,con la delegazione sulmonese per
meglio gestire, anche su questo nuovo versante, la questione del Distretto. |
In ogni caso, nei due
incontri la delegazione sulmonese riesce ad ottenere l'impegno dei Parlamentari abruzzesi
per l'istituzione di una commissione tecnico-conoscitiva per verificare, anche con un
sopralluogo, le ragioni militanti a favore di Sulmona per la permanenza in essa del
Distretto. Si riesce a strappare, inoltre, un incontro con il Ministro della Difesa
Taviani; anzi viene assicurato che il Ministro avrebbe potuto ricevere la delegazione quel
giorno stesso, se non fosse stato impegnato in importanti incontri parlamentari; a causa
di questo semplice inconveniente tecnico, quindi, la delegazione potrà incontrare S.E. il
Ministro il 29 gennaio. |
Alla luce di questi
risultati sembra che il secondo tempo della difesa del Distretto abbia ottenuto dei
risultati positivi e viene, perciò, dato lo stop allo sciopero ad oltranza. In città,
però, tutti rimangono con il fiato sospeso in attesa dell'incontro con il Ministro;
incontro che ormai sembra avere tutte le carte in regola per essere considerato
conclusivo. Interpretando, invece, con il senno del poi, i risultati ottenuti in quei
colloqui romani del 22 gennaio del '57, non si può non pensare al colossale raggiro che
si andava preparando ai danni degli ignari delegati sulmonesi. |
Nei giorni che seguono, da
Sulmona partono e giungono telefonate tese ad acquisire elementi concreti di conoscenza
sull'atteggiamento che il Ministro terrà nel prossimo incontro. Nella giornata del 27
"gli onorevoli Spataro e Nataloi - si cita testualmente da "I Moti di
Sulmona", di un anonimo CIVIS, uscito a Sulmona a cura della Casa Editrice EPI, per i
tipi della tipografia Labor, il 15 febbraio 1957 - confermano l'incontro con il Ministro
Taviani fissato per il 29 ed assicurano che nel frattempo resta sospeso ogni trasferimento
di materiale del Distretto da Sulmona a L'Aquila". |
Sta di fatto che dopo queste
telefonate rassicuranti, nella notte successiva accade esattamente il contrario. |
Nella notte tra il 27 ed il
28 gennaio, il vice questore della Pubblica Sicurezza di L 'Aquila giunge a Sulmona,
circondandone la periferia con la forza ai suoi ordini; nel frattempo "alcuni
autocarri dell'esercito, scortati da due o tre pattuglie di carabinieri"
trasferiscono il carteggio del Distretto Militare di Sulmona in quel di L'Aquila. Questo
si legge nella sentenza della III sezione penale del Tribunale di Roma che ha giudicato
gli imputati per i fatti di "Jamm' mò"; vi si afferma ancora che "nessun
incidente turbava tale operazione". Ed è certo che nessun incidente è avvenuto; ma
il rapporto giudiziario che racconta dell'andamento della operazione ha il solo torto di
provenire da una parte che ha avuto tutto l'interesse ad edulcorarne la brutalità.
Infatti mentre i militari si occupano del trasbordo degli incartamenti dagli uffici sui
camion, le forze dell'ordine circondano, armi alla mano, l'isolato nel quale si trova il
palazzo che ospita il Distretto, bloccandone così tutti gli accessi. Fermano, fino al
compimento dell'operazione, i pochissimi passanti notturni ed occasionali, diffidandoli,
nel rilasciarli, dall'avvertire le autorità di quanto sta accadendo. Nel frattempo tutti
i telefoni di Sulmona sono stati bloccati. Terminato il trasbordo degli incartamenti,
mentre i militari scortati dai carabinieri tornano a L'Aquila, la polizia rimane a Sulmona
agli ordini del vice questore con l'evidente scopo di prevenire eventuali disordini o
sommosse. |
La reazione della città,
sebbene stupefatta, è pronta. |
Il Sindaco invia un
telegramma a Taviani che suona in questi termini: "Dopo quanto avvenuto questa notte
distretto militare in spregio promesse fatte sottoscritto tramite eccellenza Natali et
Prefetto Provincia Aquila permettomi elevare vivissima protesta et esprimere indignazione
unanime intera popolazione stop Rinnovole preghiera dare disposizioni che assieme
sottoscritto domattina vostra eccellenza riceva intera commissione composta rappresentanti
partiti politici seno questo consiglio comunale". |
Né il Comitato di Difesa
Cittadina rimane con le mani in mano. Il Colonnello Sardi De Letto convoca immediatamente
un comizio e dobbiamo ai rapporti redatti dagli agenti di Pubblica Sicurezza presenti in
platea al Teatro Comunale se abbiamo una narrazione che, più che precisa, è ampiamente
chiarificatrice rispetto agli stati d'animo prevalenti nell'assemblea. E proprio per
consentire di cogliere delle sfumature, lasciamo la parola all'agente di pubblica
sicurezza Michele Avallone ed al marescialilo Etelwardo Sigismondi, così come risulta
dalla sentenza del Tribunale romano: "secondo la cennata relazione, erano state
pronunciate, davanti ad una folla eccitata ammontante a circa 3000 persone, espressioni
oltremodo vivaci; in essa leggesi in particolare tra l'altro: 1) il Sardi De Letto ha
detto che le sue parole non possono manifestare che lo sdegno ed il dolore per il delitto
che si sta compiendo nei riguardi di Sulmona, sdegno irriso dalle autorità
centrali
; non è possibile che si possa beffare una città come Sulmona sarebbe
stato bello e dignitoso da parte delle Autorità asportare il Distretto di giorno, perché
la notte è dei ladri... Chiesto se domani la commissione si deve o meno recare dal
Ministro della Difesa, la maggior parte del pubblico ha detto di sì; per la maggior parte
hanno detto che occorrono i comunisti
(probabilmente perché i rappresentanti della
sinistra venivano sistematicamente esclusi dagli incontri con quelli dell'area
governativa, n.d.r.). Ha aggiunto che, se non avesse famiglia, porrebbe fine ai suoi
giorni
Per la soppressione del Distretto aveva avuto assicurazioni da parlamentari e
da ultimo dal Generale Orioni, comandante della zona militare di L'Aquila, che il
Distretto sarebbe per ora rimasto. Stamattina S.E. il Prefetto, in seguito a telefonata
del Sindato, ha detto che nulla sapeva
A Roma la commissione porterà al Ministro
della Difesa la parola di sdegno per il tradimento perpetrato. Sarà applicato il terzo
tempo nel caso che la commissione dovesse tornare con esito negativo. |
A Sulmona vi saranno le
dimissioni di tutte le cariche e tutti i partiti s'impegneranno a non presentare le liste.
Il Comitato Cittadino resterà in piedi. A Sulmona la sera del 29 si suoneranno le campane
a morto perché l'esito sarà negativo. (...) Sappiano il Prefetto, il Questore ed il
Commissario di Sulmona che in Sulmona vi è la mobilitazione generale. Sulmona non solo
dovrà riavere il Distretto, ma dovrà assurgere a Capoluogo di Provincia e allora si
metterà una barriera tra Sulmona e L'Aquila". |
Sono, come si vede, le
parole di un uomo dominato da una passione mal repressa. Scaldano gli animi senz'altro; e
proprio per queste parole il colonnello Sardi De Letto sarà incriminato insieme agli
altri, che qui di seguito vanno ricordati, per il reato di istigazione a delinquere; in
ogni caso, anche se le parole del colonnello Sardi De Letto hanno riscaldato gli animi,
non sono, tuttavia, riuscite a spingere la popolazione alla rivolta, ché, se quella forza
avessero avuto, avrebbero dovuta scatenarla in quel luogo ed in quel momento; non si
verificò alcun evento rivoltoso. E c'è da dire che sussistevano tutte le condizioni per
la rivolta: la beffa ancora calda, gli animi eccitati che vengono sollecitati ancora di
più dalle parole di fuoco degli oratori. |
Continua il "verbale
dell'agente: 2) l'avvocato Giovanni Autiero, consigliere provinciale del P .L.I. ha detto:
Quello che è stato fatto stanotte è una vigliaccheria, un tradimento. Le parole d'onore
sono cadute
Le autorità debbono una buona volta capire il male che hanno fatto a
Sulmona. La perfidia da parte delle autorità si è dimostrata lampante... Lui e
l'avvocato Giacchesio hanno dato le dimissioni da Consiglieri Provinciali e gli altri si
sono già impegnati a darle. I Sulmonesi sanno soffrire e tacere e sanno ricordare i moti
del 29". Un altro oratore, l'avvocato Masci, sempre secondo quanto riportato nel
verbale, ha detto che "il Ministro della Difesa aveva tradito... Ha ammesso che per
il Distretto non nutre speranza... Egli ha interessato i suoi parlamentari, verso i quali,
però, non ha nemmeno fiducia. Ha criticato la presenza del vice Questore, che 'per caso
si trovava a Sulmona... ' ha invitato tutta la popolazione a rimanere unita e vigilante.
Se ora ci viene tolto il Distretto, in seguito ci verrà tolto anche il Tribunale; ed
allora vogliamo che ci tolgano anche tutti gli uffici finanziari, perché tasse non ne
pagheremo più". |
Nonostante la vivacità
dell'assemblea, non si verifica alcun incidente e se si decide di andare comunque ad
incontrare il Ministro Taviani, lo si fa nell'amara consapevolezza che oramai il Distretto
Militare è perso per Sulmona e che non si passa immediatamente all'attuazione del 30
tempo della proposta - quello che potremmo definire della disobbedienza civile: dimissioni
dei consiglieri in qualsiasi organo amministrativo ed elezione primaria e secondaria, non
ripresentazione delle liste e, eventualmente, rifiuto di pagare le tasse - solo perché si
spera, senza nemmeno confessarlo, di ottenere dal Ministro qualcosa in cambio del
Distretto. |
La delegazione sulmonese il
29 gennaio parte per l'ennesima volta verso Roma; vi fanno parte i rappresentanti di tutti
i partiti locali, anche non rappresentati in seno al Comune, ed è guidata dal colonnello
Sardi De Letto. E mentre a Sulmona si sciopera per un'ora in appoggio alla missione della
delegazione, alle 11,15 il Ministro Taviani dà ordine ad un agente di P.S., che svolge le
funzioni di usciere, di chiamare per il colloquio il Marchese Mazara, il colonnello Sardi
De Letto, i consiglieri provinciali Ricci, Monaco, Ciancarelli ed il senatore Tirabassi,
Sindaco di Avezzano. Donde spuntino questi ultimi signori non si sa; sta di fatto che ogni
volta che una delegazione di Sulmona giunge a Roma, compaiono questi terzi incomodi che si
infilano negli incontri. Non partecipa questa volta all'incontro Natali. Gli altri
componenti della commissione, tra i quali un democristiano, vengono lasciati fuori lo
studio, a fare la consueta anticamera. |
A questa delegazione,
riveduta e corretta secondo la sua volontà, il Ministro dice, secondo quanto il Sindaco
Mazara riporterà al Consiglio Comunale del giorno successivo, che lo Stato Maggiore
dell'Esercito, in uno studio ampio ed accurato, era giunto alla determinazione di
sopprimere 50 Distretti Militari in città non capoluoghi di provincia, oltre a quelli di
Ferrara, Parma, Reggio Emilia e Trapani. A queste argomentazioni risponde il colonnello
Sardi De Letto, armato di tutto punto con piante topografiche e di uno studio fornitogli
dal parlamentare liberale onorevole Colitto, sul ridimensionamento degli enti militari
territoriali in esame. Da questo studio si evince che criteri informatori tenuti a base
del ridimensionamento stesso sono tre, e cioè la funzionalità, l'economia e le
tradizioni storiche. È relativamente facile, per il Sardi De Letto dimostrare, carte alla
mano, che Sulmona possiede in pieno tutti i criteri posti a base del piano di
ridimensionamento. Sulmona e non L'Aquila. |
Ma il Ministro nicchia e si
concede, anzi, una ironia che i membri della delegazione fingono di ignorare o
effettivamente non colgono. Risponde, di fronte all'evidenza dei fatti, di essere un
"patito" per la geografia, ma che non poteva revocare la soppressione del
Distretto Militare di Sulmona perché lo studio dello Stato Maggiore non lo consentiva.
Per venire incontro alle aspirazioni di Sulmona avrebbe disposto esperimenti pilota nelle
provincie di L'Aquila, Matera e Potenza; nella provincia aquilana, e precisamente nelle
zone di Sulmona, Avezzano, Tagliacozzo, Castel di Sangro e Castelvecchio Subequo, le
Tenenze dei Carabinieri avrebbero rilasciato il nullaosta di espatrio e certificati vari;
avrebbe inoltre trasferito a Sulmona il deposito del 46° Reggimento di Fanteria, dando
infine assicurazione che tutti gli impiegati civili avventizi del Distretto di Sulmona non
sarebbero stati trasferiti, ma assorbiti dagli uffici del Deposito. Alle richieste,
avanzate in i subordinata ipotesi dalla delegazione, di riattivare lo stabilimento della
Montecatini di Pratola Peligna per la produzione della polvere nera per la dinamite, il
Ministro risponde che sarà ben lieto di fare quanto per lui sarà possibile. |
In margine all'andamento di
questo colloquio, sia per le sue modalità che per il suo contenuto, è lecito supporre
che ,il Sindaco Mazara non abbia riferito tutto al consiglio comunale del giorno
successivo. È lecito supporre, anche in assenza di fonti alternative e dirette, che di
fronte alla circostanziata replica ,del Colonnello Sardi De Letto, Taviani abbia cavato
fuori dal cilindro delle sue argomentazioni, non il proverbiale coniglio, quanto invece la
prevedibilissima ragion di stato, se non ragion di partito. Certo non sbandierandola, ma
facendola senz'altro balenare dinanzi agli occhi della delegazione 'ristretta'. E ciò è
tanto più plausibile quando si tenga presente che nel successivo colloquio che Taviani
concede, "noblesse oblige", al resto della delegazione, altre alla ripetizione
di quanto appena detto in "camera caritatis" afferma, secondo quanto il
capogruppo comunista al Comune, Claudio di Girolamo, riferirà al Consiglio l'indomani,
che la città di L'Aquila deve tradizionalmente considerarsi quale capoluogo di regione e
che per questo il Distretto non può che rimanere lì. Per ben due volte, infine, accenna
al fatto che, nel momento della decisione in merito alla soppressione di uno dei due
Distretti, elementi politici avevano prevalso su quelli militari. Su questo fatto, in
Consiglio Comunale vi fu una polemica serrata tra il Sindaco ed il Capogruppo comunista.
Nel verbale della seduta è riportato testualmente: "il Sindaco interrompe a gran
voce l'oratore per affermare che quanto esposto dal consigliere Di Girolamo circa il
comportamento e le affermazioni del Ministro non risponde a verità. Ma il consigliere
insiste: "Ricordai al Ministro che nel '54 avevo preso parte alla precedente
commissione nominata per difendere le sorti del nostro Distretto e ricordai che allora
generali e colonnelli riconobbero in pieno la priorità di Sulmona su tutte le altre
città abruzzesi per la sede del Distretto. Il Ministro rispose: 'Sono con lei; lei ha
perfettamente ragione, lo Stato Maggiore dal 1954 ad oggi ha mutato opinione ed elementi
politici si sono inframessi per dirottare le decisioni finali. Non credete a coloro che vi
vengono a dire l'opposto di quello che ho detto io in questo momento". |
L'affermazione di Taviani,
così come ci viene proposta dalle parole dell'allora capogruppo comunista, verbalizzate
dal segretario comunale, il dottor Ferri, è categorica; e il Marchese Mazara che, come
abbiamo visto prima, interrompe a gran voce l'oratore attribuendogli sul fatto il
mendacio, questa volta tace ed incassa. |
Quali furono gli elementi
politici che determinarono un mutamento di rotta a 180 gradi nelle opinioni dello Stato
Maggiore?. |
Tornando, comunque, alla
giornata del 29 gennaio del 1957, c'è da registrare subito dopo l'incontro con Taviani un
imprevisto, ma senz'altro accuratamente preordinato, colloquio con alcuni parlamentari
democristiani, tra i quali Spataro e Natali, i quali offrono alla commissione il proprio
interessamento al fine di procurare un incontro nientemeno che con il Presidente del
Consiglio dei Ministri, l'onorevole Antonio Segni. A patto che, però, non si ponga in
essere il terzo tempo della agitazione. |
Non sono stati ritrovati
documenti o testimonianze precise ed affidabili su come andò questa seconda riunione; si
ritiene però che quantomeno i componenti della commissione non se la siano sentita di
dare una qualsiasi risposta, rimandando tutto al Consiglio Comunale fissato per
l'indomani. Il Sindaco Mazara, per il momento, non può far altro che telefonare al
Comitato di Difesa Cittadina e comunicare l'esito negativo della missione. |
A Sulmona, nel tardo
pomeriggio, viene convocato un comizio, di nuovo al Teatro Comunale, e questa volta ad
arringa re la folla intervenuta ci sono soltanto l'avvocato Giacchesio ed il dottor. De
Monte. Nonostante l'amarezza, la rabbia, durante il comizio si giunge persino ad un
momento di ilarità generale quando il dottor De Monte, trascinato dalla sua ben nota
irruenza, invita i cittadini proprietari di automezzi a metterli a disposizione per
effettuare una marcia su Roma. In ogni caso prevalgono gli inviti alla calma pronunciati
dall'avvocato Giacchesio che ricorda, tra l'altro, la seduta del Consiglio Comunale
fissata per l'indomani. |
A sera rientra la
commissione da Roma. Una folla di cittadini acclamanti, esaltati dalla disperazione della
sconfitta, la accoglie. Gli applausi sono tanti che il marchese Mazara si vede costretto a
dire, secondo alcuni testimoni oculari: "non dovete applaudire noi che non siamo
stati capaci di difendere sino in fondo la nostra città, Sulmona ha subito una grave
sconfitta e domani ratificheremo in Consiglio i risultati negativi di queste tristi
giornate". Ma i cittadini si stringono ancora di più attorno ai loro rappresentanti
e li accompagnano in corteo dallo scalo ferroviario alla città, distante alcuni
chilometri. |
Il 30 gennaio è l'ultima
giornata di mobilitazione della rivolta borghese: scatta, infatti, il terzo tempo delle
agitazioni. Si mobilita anche il comprensorio. A Palazzo San Francesco sono presenti anche
i sindaci del territorio su cui insisteva la competenza amministrativa del Distretto
Militare. Una simile riunione era stata convocata il 17 gennaio, ma non aveva potuto
effettuarsi al meglio perché, per una abbondante nevicata, le strade che dall'entroterra
portavano alla Valle Peligna erano impraticabili. Sono presenti una ventina di sindaci su
65; altrettanti hanno fatto pervenire la loro incondizionata adesione, altre verranno nei
giorni successivi. |
L'importanza di questa
riunione che precede quella del Consiglio Comunale risiede nel fatto che in essa si offre
il destro al Colonnello Sardi De Letto per effettuare un intervento in buona parte
rivelatore delle responsabilità politiche sottese alla soppressione del Distretto
Militare di Sulmona. f1 suo intervento segue quello del Sindaco che, al solito, illustra
l'andamento dei fatti degli ultimi giorni, dalla proditoria azione notturna all'incontro
con il Ministro Taviani, alla proposta dei parlamentari democristiani. |
Quando prende la parola il
colonnello Sardi De Letto, un'oratoria più irruente e spigolosa sostituisce quella
accorata e smussata del Sindaco. "Sono un uomo d'ordine e |
liberale - esordisce il
Presidente del Comitato di Difesa Cittadina - e dirò parole altre e diverse da quelle del
Sindaco". E si lancia ad illustrare le origini e le finalità del Comitato che
rappresenta: la difesa degli interessi di Sulmona e del circondario. E ciò perché,
sottolinea l'oratore, la città ed il suo territorio non hanno difensori in Parlamento.
Per quanto riguarda il Distretto, illustra la tattica dei tre tempi ed entrando nel merito
della questione ricorda uno stralcio del colloquio da lui avuto con Taviani: |
"Ieri ho detto al
Ministro: qual' è il servizio essenziale del Distretto? la mobilitazione. Quale è il
punto centrale, veramente centrale della Regione ai fini della mobilitazione? L'Aquila? no
di certo!. La risposta del Ministro: non posso rispondere, è lo Stato Maggiore che è
competente". Il colonnello continua ancora presentando le ragioni di Sulmona di
fronte alla prepotenza subita. "Questa è l'angustia di Sulmona e dei paesi viciniori
- continua - subire il capoluogo che da anni e da decenni ci toglie la nostra vitalità.
Se L'Aquila fosse stata una buona madre, tutti i centri della provincia si troverebbero in
altre condizioni". Sono parole pesanti, ma che non sono dirette alla città di L
'Aquila o alla popolazione; i destinatari di queste parole sono ben altri e nel prosieguo
del suo intervento Sardi De Letto procede con allusioni un po' meno velate delle
precedenti: "le ragioni tecniche che hanno fatto togliere il Distretto a Sulmona non
provengono dallo Stato Maggiore, ma provengono senz'altro da motivazioni politiche. Siamo
ancora sdegnati dal sopruso ladresco che ha subìto Sulmona l'altra notte. Se esiste un
responsabile per quanto accaduto, questo responsabile non lo vedo a Roma, bensì a
L'Aquila. L'azione politica tendente a sminuire di importanza Sulmona ha poi trovato un
comodo alleato nella polizia, vedi la presenza del Vice Questore a Sulmona la mattina dopo
il trasferimento notturno". È un affondo nei confronti dei gruppi democristiani che
utilizzano le strutture amministrative aquilane per il proprio potere. Nomi non se ne
fanno, ma aleggiano senz'altro nella sala, e primo fra tutti quello di Natali. I
'dietrologi' che però possono cogliere le allusive accuse di Sardi De Letto sono pochi e
quanto addebitato ai patroni aquilani è il massimo che poteva essere detto in quel
momento e da quel gruppo politico che tirava le fila della protesta. |
Nel dibattito che segue
l'intervento del Presidente del Comitato di Difesa Cittadina prevale la linea, da parte
dei sindaci del circondario, di non dimettersi. Ragioni tattiche non consentono a questa
linea di venir fuori con chiarezza; i sindaci dribblano la richiesta di dimissioni
avanzando la necessità di discutere la questione in seno ai propri consigli comunali. Il
solo sindaco di Avezzano, il senatore Tirabassi, cerca di sfuggire alla logica obbligata
derivante dalle circostanze, dal clima nel quale si svolge la discussione e tenta, con un
fare accorto e diplomatico, di contestare le dichiarazioni del colonnello; Sardi De Letto
affermando che di manovre politiche non possa parlarsi, quanto invece si deve parlare di
complesso di inferiorità che sia Avezzano che Sulmona soffrono nei confronti del
capoluogo di provincia. Anche in simili frangenti una testa di ponte aquilano riesce ad
entrare nella tana del lupo e cerca di aggiungere al danno anche la beffa. |
Alla fine del dibattito,
l'assemblea approva all'unanimità, senza sforzo eccessivo visto che si tratta di parole e
non di atti concludenti quale il dimettersi, il seguente ordine del giorno: "I
Sindaci del Distretto Militare di Sulmona, riuniti per esaminare il problema relativo alla
soppressione del Distretto stesso, esprimono la piena, incondizionata solidarietà con la
città di Sulmona; invitano i parlamentari della Regione a costituirsi in commissione
permanente onde continuare a svolgere quell'azione tesa ad ottenere la revoca della
soppressione del Distretto. Si riservano di convocare con urgenza i consigli comunali
affinché esprimano più efficacemente gli atteggiamenti da assumere in questa
lotta". La disobbedienza civile del terzo tempo viene così sconfitta in partenza in
quanto i sindaci del circondario sulmonese non accettano, e riescono a farlo mettere per
iscritto, di dimettersi insieme ai propri consigli comunali. Solidarietà, va bene, ma non
autolesionismo; ormai la battaglia è persa e dimettersi è un gesto di autopunizione che
gli amministratori della zona lasciano volentieri a quelli di Sulmona. |
Poco più tardi, infatti,
nell'aula magna di Palazzo San Francesco si raccolgono, insieme ad un grandissimo numero
di cittadini, i Consiglieri Comunali di Sulmona per avviare il terzo tempo della strategia
di lotta per il Distretto. A questo punto, avendo perso su tutta la linea, si tratta di
disobbedire civilmente, di rifiutare la propria collaborazione civica ad uno Stato che,
invece di provvedere al benessere dei suoi cittadini, rende loro problematica l'esistenza
mettendoli gli uni contro gli altri. Il momento è teso, ma non manca della solennità
delle grandi occasioni; perciò a parte la polemica tra il Sindaco ed il capogruppo
comunista, di cui abbiamo già parlato, tutti i protagonisti lo vivono con l'identica
intensità e determinazione. |
Il Sindaco apre la seduta
leggendo l'ordine del giorno votato dai suoi colleghi del circondario e ritessendo la
cronaca degli ultimi giorni. Dà notizia al Consiglio dell'ultimo tentativo che i
parlamentari democristiani hanno effettuato per impedire lo scioglimento del Consiglio
promettendo un incontro con il Primo Ministro. Ma, dopo aver ricordato di essere
attualmente un cittadino fedele a Sulmona e non alla carica di Sindaco, il Marchese Mazara
afferma: "È necessario che ognuno assuma in pieno e senza riserve le proprie
responsabilità per le conseguenze future che, dalla nostra decisione di questa sera,
potranno derivare alla nostra città. Dalla disgrazia capitata ora a Sulmona mi auguro che
possa derivare la unione effettiva di tutti i cittadini, unione di intenti e di spiriti,
rivolta alla tutela degli interessi e alle fortune future ed immancabili del nostro
Comune". E annuncia, così, le sue dimissioni. |
I vari oratori che si
susseguono pronunciano discorsi analoghi a quello del Sindaco. Non rimane altro da
segnalare che la violenza verbale con la quale tutti i consiglieri che intervengono
scagliano contro l'azione notturna del trasferimento. A quel punto non si distingue più
tra gruppi di potere e popolazione aquilana, tutto ciò che ha che fare con il capoluogo
di provincia viene gratificato di parole, a dire il meno, poco edificanti. In parallelo a
questa aggressione verbale nei confronti di L'Aquila viene costantemente avanzata
l'ipotesi di rivendicare la dignità di capolouogo di una nuova provincia. |
La seduta prosegue e, mentre
sul banco del Segretario Comunale cominciano a raccogliersi le lettere di dimissione dei
consiglieri, si presenta in aula, accolto dagli applausi della folla, il consiglio di
amministrazione della Casa Santa dell'Annunziata al completo. I membri di questo
importante ente locale che gestisce un patrimonio vastissimo, e tra l'altro anche
l'ospedale cittadino, vengono in comune a rassegnare le proprie dimissioni nelle mani del
Sindaco. Seguono le dimissioni dei consiglieri dell'Ente Comunale di assistenza e del
Comitato della Commissione Comunale dei Tributi. A conclusione della seduta l'assemblea
comunale vota un ordine del giorno: 'Il Consiglio Comunale, riunitosi in seduta
straordinaria il 30 gennaio 1957, mentre prende atto, plaudendo, delle decisioni dei
Comuni della Circoscrizione Distrettuale, che si sono uniti alla lotta in atto per la
permanenza del Distretto Militare di Sulmona, considerato che le Autorità direttamente
responsabili hanno deciso, in aperta violenza di ogni diritto e di ogni giustizia, la
soppressione del Distretto medesimo, stigmatizza la ingiuriosa e deplorevole spoliazione
consumata nottetempo ai danni di una vastissima zona e delibera in segno di viva protesta
e di vivissimo sdegno di rassegnare, come in effetti rassegna, le dimissioni, auspicando
che tutte le commissioni cittadine, i consiglieri provinciali, nonché gli Amministratori
dei Comuni compresi nella circoscrizione del Distretto, agiscano in conformità; sollecita
infine tutti i cittadini dall'astenersi dall'esercizio di tutti i diritti democratici fino
a quando non sarà resa giustizia alla città di Sulmona e all'intera zona'. |
Mentre viene approvato
questo ordine del giorno, il segretario comunale raccoglie le ultime lettere di
dimissioni. L'avvocato Masci suggerisce di votare l'esecutività delle stesse solo quando
la notizia abbia raggiunto le competenti autorità e ciò allo scopo, come dichiara, non
solo di esternare la protesta, ma anche di intimidire. Si alza, però, il cavalier
Serafini e ribatte: "Abbiamo detto a sufficienza che intendiamo creare il caos
amministrativo e pertanto dobbiamo prendere atto subito delle dimissioni presentate per
renderle immediatamente irrevocabili". Si compie, quindi, quest'ultimo atto formale e
all'unanimità, per appello nominale, il Consiglio delibera sulla immediata esecutività
delle dimissioni appena presentate. |
A conclusione del verbale,
il Segretario Comunale, il dottor Ferri, annota tra parentesi "E per dare più
solennità alla presa d'atto delle rassegnate dimissioni, l'intero consiglio, con il
Sindaco alla testa ed accompagnato da un migliaio di persone, si reca al Monumento dei
Caduti in guerra". Sul monumento è ancora fresca la corona d'alloro postavi durante
una precedente manifestazione del Comitato di Difesa Cittadina, con su scritte le parole:
"I Sulmonesi ai loro gloriosi caduti perché trattengano presso il luogo natio il
Distretto, testimonianza eroica del loro sacrificio". |
E con questo omaggio
retorico e patetico ai Caduti si chiude questa fase dei fatti di "Jamm' mò".
Finora non si è fatto altro che parlare di marchesi, baroni, colonnelli, avvocati,
cavalieri, ministri e parlamentari. Sia come registi, che come attori protagonisti, questi
personaggi avevano condotto un'azione tesa a creare, come è stato affermato
nell'introduzione, oltre che nell'area più vasta della provincia, una 'borghesia di
stato' anche a Sulmona. E a questo fine si cercò di usare la soppressione del Distretto,
che nulla toglieva, sia dal punto di vista economico, sia da quello del prestigio, alla
città di Sulmona ed al suo Circondario. Tuttavia la soppressione di questo ufficio
militare molto significava relativamente alla volontà della corrente dominante della
Democrazia Cristiana di L'Aquila: significava, cioè, creare nello stesso territorio della
provincia un secondo centro di potere che avrebbe sottratto forza e capacità di governo a
quello aquilano. La gestione delle risorse finanziarie provenienti dallo Stato, ai fini
della creazione di un unico centro di potere escludeva che esse fossero spese anche per la
zona di Sulmona, che ottenne la misera cifra di 70 mi1ioni per il proprio acquedotto a
fronte, per esempio, dei tre miliardi che la provincia di L'Aquila ottenne, in quello
stesso periodo, dal Ministero dell'Agricoltura e Foreste per un piano di rimboschimento.
Essendo già in moto un meccanismo tutto teso a rafforzare clientelarmente il gruppo
aquilano capeggiato da Natali, è lecito immaginare che questo gruppo sarebbe intervenuto,
persino contro gli interessi dello stesso partito in una altra zona, di fronte
all'eventualità che il Governo Centrale potesse sottrarre qualche strumento di contronto
clientelare e politico destinandolo a quello che poteva divenire un pericoloso
concorrente. |
Di qui la durissima reazione
del gruppo democristiano di Sulmona che, da dietro le quinte e con fortissime
contraddizioni interne che lo decimarono, mise in piedi una protesta che, quale sua
estrema ratio, aveva individuato la disobbedienza civile. 'Le dimissioni di tutti gli
organi amministrativi della città erano state date nella convinzione di infliggere un
grave danno allo Stato. Si sperava, che di fronte al suicidio civico di Sulmona, le
manovre di sottogoverno avrebbero ceduto il passo ad interventi finanziari consistenti
anche per Sulmona. Si attendeva perciò la contromossa dello Stato; e questa, tempo due
giorni, viene effettuata, ma non nella direzione sperata. |
Note:
(5) E' un episodio margina1e, ma che
testimonia della presenza anche a Sulmona di uomini legati a correnti favorevoli alla
soppressione del Distretto, anche se non in maniera esplicita; a correnti cioè esterne. |
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