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LA BEFFA DEL ‘KOMMANDO’ NOTTURNO

 

Le elezioni amministrative del maggio '56 comportano il cambio a Palazzo San Francesco: sulla cattedra del sindaco al democristiano Tirone succede il liberale Mazara, marchese e gentiluomo, eletto dalla lista civica Campanile e Cupola. I dirigenti democristiani locali, siamo nel pieno degli anni 50, affidano la summa del potere locale ad un laico, eppure nessuno avrebbe avuto nulla da dire se la carica fosse rimasta nelle mani di un DC. Vero è che in quella tornata elettorale la Democrazia Cristiana subì un rovescio nemmeno lontanamente paragonabile a quello subito nel 75-76: dal 1951 con 5.300 voti, pari al 46.12% e con 18 consiglieri, maggioranza ampiamente assoluta, passa nel maggio '56 a 3.310 voti, 27.9%, con 9 consiglieri. Ciò si spiega con la nascita dal fianco della DC locale del gruppo 'Coltivatori Diretti La Vanga' che le strappa 3 consiglieri e del gruppo Coltivatori Diretti Indipendenti con un seggio; inoltre entrano in consiglio per la prima volta le destre con i 2 seggi del Movimento Sociale, mentre la lista civica 'Campanile e Cupola' da un solo seggio ne conquista tre. Scompaiono altre liste locali, il Partito Comunista passa da 3 a 4 seggi ed il Partito Socialista da 4 a 7. Questo terremoto si spiega essenzialmente con il crollo verticale della Democrazia Cristiana, dovuto alla lotta intestina e all'andamento delle crisi del '54 e '55 relative alla lotta interna sottesa a quella della soppressione del Distretto. Questi due fattori in realtà sono riconducibili, per quanto già detto nell'introduzione, ad un unica causa: la mancanza, all'interno della Democrazia Cristiana di Sulmona, di un leader indiscusso che avesse raccolto attorno a sé, come era accaduto per L'Aquila e Pescara, la maggioranza degli 'amici'. Questo per un verso avrebbe significato avere un rappresentare in Parlamento, con tutto quel che segue quanto ai finanziamenti pubblici e, per l'altro, avrebbe impedito grossi conflitti interni capaci di smembrare la forza elettorale locale della DC.

Anche così malridotta la Democrazia Cristiana avrebbe potuto chiedere per sé il Sindaco. L'integralismo di questo partito all'epoca viveva una stagione floridissima e la sua egemonia nei confronti dei suoi ,alleati minori era un fatto indiscusso. Ma viene eletto sindaco il Marchese Mazara, un gentiluomo non compromesso da giuochi di potere, al di sopra delle parti, ma soprattutto liberale, e quindi non democristiano. Questa qualità, lapalissianamente enunciata, è risultata alla luce dei fatti successivi, eminentemente utile proprio alla Democrazia Cristiana, tanto che può sorgere fondato il sospetto che la scelta di affidargli la prima carica cittadina non sia scaturita dalla logica dei risultati elettorali, bensì da un preciso disegno del gruppo dirigente locale della Democrazia Cristiana.

Del Distretto Militare di Sulmona il nuovo Sindaco Panfilo Mazara si occupa ufficialmente nella seduta segreta del consiglio comunale convocata per il 15 dicembre del 1956.

Nell'autunno del '56, discretamente, le autorità militari sulmonesi, per il tramite del colonnello Sessich, comandante del 46° reggimento di Fanteria, offrono al governo cittadino, come contropartita per la perdita del Distretto, l'insediamento in loco degli uffici del magazzino del reggimento. L'offerta viene ribadita al Sindaco Mazara dai generali Cassini e Mellani nella cornice mondana della festa del reggimento, tenuta il 17 dicembre. Il primo cittadino di Sulmona respinge l'offerta anche su precedente mano dato del Consiglio comunale che nella seduta dei due giorni antecedenti l'aveva esaminata e respinta. Non ottengono nessun risultato neppure le richieste di benevolo interessamento avanzate dal Sindaco, nella stessa occasione, al Capo di Stato Maggiore del Comiliter di Roma, intervenuto anch'egli alla festa del reggimento. E questo sembra l'ultimo tentativo di comporre bonariamente la questione compiuto dal Governo Nazionale. Tentativo compiuto per interposta persona attraverso le Autorità Militari.

Il 1957 comincia con un cattivo auspicio: un amico, infiltrato nel Palazzo Romano, come la talpa del '55, in "linea riservatissima" annuncia al Sindaco Mazara che "qualcosa di grave si sta tramando circa la soppressione del Distretto Militare di Sulmona". Di nuovo, sull'esempio di quanto già compiuto nella precedente evenienza dal Sindaco Tirone, vengono inviati telegrammi a Taviani e al Comiliter nei quali, con una certa disperazione, si chiedono smentite ed interventi atti a rivitalizzare l'ormai agonizzante struttura militare sulmonese, senza comandante dal maggio del '55. Come nelle precedenti crisi viene riattivato il Comitato di Difesa Cittadina ed alla sua testa viene posta un'altra figura discendente dai Jombi nobiliari di una vecchia casata sulmonese, qualificata ulteriormente dal fatto di essere un alto ufficiale a riposo: il colonnello Francesco Sardi De Letto.

Sotto la sua guida il Comitato adotta una strategia di sapore decisamente militare, tatticamente frazionata in tre tempi e di intensità proporzionalmente crescente: il primo tempo è quello già sperimentato nelle precedenti occasioni. Si ricorre direttamente agli organi competenti dello Stato cercando di "impietosirli" attraverso l'esibizione delle precarie condizioni economico-sociali della popolazione peligna e del circondario della Vallata; di fronte all'insuccesso di tale azione si accede al secondo tempo, passando all'azione popolare consistente in una mobilitazione massiccia delle masse della città e del circondario in uno sciopero generale; e quando anche tale stadio della lotta non avesse condotto a risultati positivi, allora si sarebbe dato il via al terzo tempo, alla forma di lotta più dura che un "borghese" avrebbe mai potuto concepire, cioè la disobbedienza civile radicalizzata all'estremo: dimissione da tutte le cariche pubbliche, elettive e rappresentative, ricoperte a qualsiasi titolo e per qualsiasi ragione, da cittadini sulmonesi; non ripresentazione delle liste elettorali ed infine rifiuto di pagare le tasse.

Forte della precedente esperienza, ed elaborata tenendo conto proprio dei fallimenti di quella, la strategia dei tre tempi viene aperta con le solite 'petizioni' alle autorità dello Stato. Come al solito non si ottiene nulla, anzi si acquisiscono maggiori certezze sulla prossima soppressione del Distretto. Il Comitato di Difesa Cittadina viene a conoscenza di una circolare ministeriale attuativa della soppressione del Distretto che sarebbe stata addirittura firmata direttamente dal Ministro in data 15 gennaio 1957.

Nello stesso giorno in cui si viene a conoscenza di questa circolare, il Comitato di Difesa Cittadina, riunito d'urgenza, approva un ordine del giorno che nella sua parte finale così recita: "Il Comitato di Difesa Cittadina ( …) protesta nel modo più fiero per questa nuova ed ingiusta minaccia di spoliazione, in palese dispregio degli interessi nazionali e locali, INVITA le popolazioni dei centri interessati ad esprimere la loro indignazione ed affiancare questo Comitato nella attività che andrà a svolgere in difesa del comune interesse e del comune prestigio, e tutti i partiti ad operare sollecitamente ed efficacemente affinché mobilitino le proprie forze in difesa di questa giusta causa e PONE IN ATTO i legittimi movimenti per salvaguardare il prestigio e l'esistenza di Sulmona e del suo vasto territorio".

È il primo tempo della strategia patrocinata da Sardi De Letto. Viene richiesto l'intervento del Vescovo, Luciano Marcante, del Prefetto di L'Aquila, dottor Ugo Morosi, ed infine dei deputati abruzzesi di tutti i partiti. Ma il vecchio prelato sulmonese, ricordando la penosa ed umiliante anticamera subita nel '54 dinanzi alla porta di Taviani, più che l'assenso, la solidarietà alla causa ed una benedizione, non può offrire; il Prefetto manifesta chiari segni di fastidio alle, per lui, petulanti richieste dei notabili sulmonesi, ed i parlamentari abruzzesi, quelli che contano, perché gli altri non manovrano nella stanza dei bottoni al Palazzo, alla fin fine sono stati eletti in altri collegi e non intervengono certo a favorire Sulmona per produrre un danno ad. interessi consolidati e tutelati nei loro terreni di caccia.

Il clima percepito dai componenti del Comitato di Difesa Cittadina nello svolgere questo primo tempo della mobilitazione ha un che di minaccioso e, senza por tempo in mezzo, in anticipo rispetto alla scaletta dell'azione, si passa al secondo tempo della strategia.

Il 18 gennaio, mentre da una parte il Comitato di Difesa Cittadina convoca per le 17 del giorno successivo un pubblico comizio di protesta da tenersi, data la stagione, presso il Teatro Comunale, quasi contestualmente alla convocazione il Sindaco Mazara riceve dal Prefetto Morosi la diffida a concedere la struttura pubblica agli organizzatori della agitazione. La diffida trovava appiglio nel regolamento interno sull'uso del Teatro che non prevedeva la concessione dello stesso per manifestazioni del genere. Il Sindaco non se ne dà per inteso, concede l'uso del Teatro al Comitato di Difesa Cittadina e convoca, in seduta straordinaria, il Consiglio Comunale alle 19 dell'indomani per discutere gli ultimi eventi.

È ormai guerra aperta se non dichiarata. Proprio perché ormai questo dato è entrato nella coscienza di tutti i protagonisti, il Comitato di Difesa Cittadina non si limita a convocare il comizio, ma lancia la parola d'ordine dello sciopero generale ad oltranza indicandone tutte le modalità di svolgimento. Riassumendo, dal documento del Comitato si evince che devono scendere in sciopero "tutte le categorie, FINO A NUOVO ORDINE, con l'esclusione dei sanitari, degli ospedalieri, dei farmacisti, dei panificatori e dei ferrovieri"; da queste categorie, però, si attendono ugualmente le rispettive adesioni per mezzo di dichiarazioni scritte"; per i gestori di esercizi di vendita al dettaglio di generi alimentari si adotta la formula dello sciopero a singhiozzi: l'intera giornata lavorativa per il 21 e, nei giorni successivi, solo due ore di apertura per consentire alla popolazione in sciopero di approvvigionarsi.

È una forma di sciopero molto dura, come si può constatare, ma molto diversa da altre forme di lotta attuate in quegli anni, quali l'occupazione delle terre, non molto conosciuta nella Valle Peligna, o lo sciopero "alla rovescia" (esecuzione di un lavoro ritenuto di pubblica utilità, con la richiesta di un salario all'autorità competente alla progettazione, finanziamento ed esecuzione del lavoro).

Il Prefetto, intanto, visto frustrato il suo tentativo di precludere l'uso del Teatro al Comitato ed ai manifestanti, avvia immediatamente un'indagine amministrativa sulle spese telegrafiche effettuate dall'amministrazione durante il primo tempo della mobilitazione. Indignato, il Marchese Mazara telegrafa al massimo funzionario governativo della provincia che le comunicazioni telegrafiche sono avvenute tutte a proprie spese.

La diffida ad usare il teatro e l'indagine amministrativa promossa nei confronti del Sindaco, pur essendo episodi di minor conto nell'ambito dell'intera vicenda del Distretto, divengono immediatamente di pubblico dominio e vengono interpretate quali ennesime vessazioni nei confronti non tanto dell'amministrazione, quanto invece dei cittadini di Sulmona e della loro dignità.

Il 19 gennaio, alle 17, viene aperto il comizio di protesta all'interno del Teatro Comunale. Il Colonnello Sardi De Letto illustra, in apertura, uno studio lucido quanto appassionato sui motivi che avrebbero dovuto indurre il Ministero della Difesa a far rimanere il Distretto Militare a Sulmona; dà, inoltre, conto di una lettera inviata al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Nel corso della manifestazione viene quindi illustrato il calendario delle iniziative raggruppate sotto l'etichetta 'secondo tempo' della difesa del Distretto. Terminato il Comizio, l'attenzione si sposta a Palazzo San Francesco dove, con perfetto sincronismo, sta per iniziare la seduta straordinaria del Consiglio Comunale.

Il Marchese Mazara introduce il dibattito riferendo sullo stato delle iniziative volte a salvaguardare il Distretto Militare. La discussione si avvia, però, su una nota stonata: alla proposta di inviare una ennesima delegazione a Roma per ottenere un colloquio con i parlamentari abruzzesi e, a questo fine, interessare l'onorevole Spataro, democristiano, il cavalier Nicola Serafini, compianto esponente di rilievo nel Partito Socialista, risponde ponendo la questione se l'incontro avverrà, correttamente, con tutti i parlamentari abruzzesi, o con i soli democristiani. La questione non è, come si vedrà, infondata ed un velo di tensione si alza tra i consiglieri. Tutto, però, viene risolto impegnandosi ciascun gruppo consiliare ad interessare le istanze centrali del proprio partito per l'organizzazione dell'incontro unitario della delegazione con i parlamentari abruzzesi.

Risolta in questi termini la questione preliminare, chiede ed ottiene la parola il capogruppo comunista Claudio Di Girolamo. Le sue parole sono molto dure. Apre il discorso ringraziando il Colonnello Sardi De Letto per l'esposizione, effettuata durante il Comizio al Teatro, relativa allo studio sul Distretto Militare, ed il Sindaco e la Giunta per aver concesso al Comitato di Difesa Cittadina l'uso del Teatro, ma chiede ragione al Sindaco del suo silenzio sugli episodi di arroganza del Prefetto, di cui il Sindaco stesso è rimasto vittima. Propone successivamente di impegnare il Parlamento a che una sua commissione paritetica venga a rendersi conto, in prima persona, della ragioni dei sulmonesi sollevate a difesa del Distretto Militare. Per rafforzare la richiesta della costituzione della Commissione Parlamentare, continua il capogruppo comunista, e per dotare di maggior forza contrattuale la delegazione che dovrà recarsi a Roma ad incontrare i parlamentari abruzzesi, i consiglieri comunali dovrebbero immediatamente dimettersi minacciando ulteriormente, in caso di esiti negativi ai tentativi messi in atto per salvare il distretto, la non ripresentazione delle liste elettorali. All'intervento di Di Girolamo segue quello di un altro illustre esponente comunista, il barone Annibale Luigi Corvi, che alle parole dure del suo compagno di partito aggiunge il crisma di una corposa motivazione politica: bisogna impedire questa ennesima amputazione, anche se marginale, dell'economia cittadina e dell'ancora più misero entroterra che attorno ad essa gravita, e di qui partire per chiedere l'intervento dello Stato per un decollo economico della zona.

È la volta dell'avvocato Vincenzo Masci del Movimento Sociale Italiano. Il suo è un intervento colorito ed appassionato: esibisce la certezza che il Distretto sta per essere sottratto a Sulmona non per motivazioni d'ordine tecnico o amministrativo, bensì per ragioni di potere politico. Ricorda come nel '54 tutti ebbero la sensazione di quanto ora si va palesando con sempre maggiore chiarezza: i deputati vengono a Sulmona solo a promettere ed a raccogliere voti; Taviani rimanda l'esecuzione del provvedimento di soppressione del Distretto solo per scegliere il momento più opportuno e discreto; il Consiglio Provinciale tace per implicita solidarietà a L'Aquila ed il Prefetto, con le sue ultime prodezze della diffida a concedere il Teatro e dell'indagine amministrativa sulle spese telegrafiche effettuate dal Sindaco, ha fatto la sua scelta di campo. "Dobbiamo iniziare da oggi - afferma testualmente l'avvocato Masci - una linea di legale sabotaggio, dico legale sabotaggio; dobbiamo adottare un comportamento di decisa e legale ribellione". È in queste parole tutto il senso di quella che venne definita dalla stampa la rivolta borghese di Sulmona. L'avvocato Masci conclude invitando alle dimissioni tutti i consiglieri comunali e gli altri degli enti da questo emanati, senza badare all'epoca delle dimissioni: attuali o future che siano, esse devono corrispondere al momento nel quale si acquisisce la certezza che il Distretto è perso irrimediabilmente. "In questa disgraziata ipotesi, anzi, non si dovranno nemmeno più presentare le liste elettorali di tutti i partiti".

Mentre viene costituita una commissione paritetica per la formulazione di un ordine del giorno, seguono gli interventi di altri consiglieri che, con articolazioni diverse da quelle precedenti, ne seguono la sostanza.

Gli ordini del giorno che vengono proposti all'assemblea sono due: nel primo si vota la proposta di inviare a Roma una delegazione che si incontri con i parlamentari abruzzesi, stabilendo ancora che successivamente ai risultati conseguiti nell'incontro si potranno avere a disposizione gli elementi per valutare se dimettersi o meno. Qui si verifica, però, un incidente di percorso: un emendamento presentato dal gruppo comunista viene votato da tutti, tranne che dal Consigliere della Democrazia Cristiana Incani, quello stesso del quale si disse nel '54, che se ne fuggì in quel di Pescara per non dimettersi dalla carica di consigliere provinciale (5).

Con il secondo ordine del giorno, che viene votato all'unanimità, il Consiglio Comunale di Sulmona chiede "la nomina di una commissione tecnico-parlamentare perché venga nella nostra provincia (sottolineatura d.r.) per rendersi conto delle imprescindibili necessità sotto tutti gli aspetti che il Distretto Militare di Sulmona venga conservato e rafforzato, e questa necessità prospetti al Governo ed in particolare al Ministro della Difesa".

Il Consiglio Comunale viene chiuso nella tarda serata e l'indomani il Marchese Mazara si premura di avvertire privatamente l'onorevole Spataro di quanto deciso dal Consiglio Comunale. Nella lettera che invia al notabile democristiano il sindaco liberale afferma: "Non avendo titolo per ostacolare la richiesta dell'intero consesso, ho dovuto aderire alla volontà espressa dai consiglieri e mi affretto a comunicarlo alla E.V.". Dalla lettera si può tranquillamente argomentare che il Consiglio Comunale ha deciso di fare qualcosa che, non possiamo dire né come né perché, dispiace all'onorevole, e che il Sindaco per causa di forza maggiore ha dovuto seguire una determinata condotta di cui sembra quasi scusarsi con un suo dirigente politico; ma l'uno è democristiano e l'altro è liberale. Di fronte a segnali così espliciti, a posteriori, possiamo essere autorizzati a ritenere che le cose stavano, in quel momento, prendendo la mano ai loro autori.

Nella mattinata del 21, puntuale, inizia lo sciopero ad oltranza: "Alle 11 - riferisce il "Popolo" in pagina locale - un corteo al quale si è unita tutta la cittadinanza si è mosso dal Comune con il labaro in testa (più che labaro, gonfalone; al corrispondente è scappata dalla penna una piccola nostalgia 'imperiale') per raggiungere il monumento ai Caduti ove è stata deposta una corona di alloro. Il corteo ha fatto poi ritorno al Comune, si è portato all'Aula Magna di Palazzo San Francesco ove il Presidente del Comitato Cittadino, commendator Sardi De Letto e l'avvocato Autiero hanno tenuto applauditi discorsi, dopo di che si è sciolto con il massimo ordine nella speranza che la commissione che si recherà martedì prossimo a Roma possa ottenere i risultati desiderati dal popolo di Sulmona, che sta vivendo ore di ansia e trepidazione".

Nella stessa giornata al Sindaco di Sulmona cominciano a pervenire attestazioni di solidarietà da organizzazioni di categoria e di forze politiche di Avezzano; giungono anche, tardive, forse sollecitate e senz'altro strumentali, le attestazioni di solidarietà del Presidente del Consiglio Provinciale aquilano, Santucci.

Nella giornata del 22 si viene a conoscenza di un fatto nuovo, imprevisto dal ben architettato copione dei tre tempi: viene narrato dal corrispondente de "Il Popolo" che lo introduce adottando i classici ed ormai consunti schemi giornalistici usati per segnalare eventi d'eccezione: "Apprendiamo all'ultima ora che il Segretario della Democrazia Cristiana, professor Michele Critani, i consiglieri provinciali Tirone e Bolino, ed il Sindaco si sono recati presso la Prefettura di L'Aquila per una riunione ivi indetta per l'esame della situazione della città in rapporto alla questione del Distretto". Su questo avvenimento, nei giorni successivi, cala il silenzio stampa; né sono stati rinvenuti documenti che avrebbero potuto chiarire quanto si è detto in quella riunione. Sulla base della notizia riportata, però, si può rilevare come sia anomalo il fatto che il Prefetto convochi oltre al Sindaco, per il quale esiste un rapporto di natura istituzionale (tra le attribuzioni del Sindaco esiste anche quella di funzionario del governo e perciò, per questo aspetto, è dipendente gerarchicamente dal Prefetto), anche l'intero staff dirigenziale politico della Democrazia Cristiana. Se questo viene convocato è certo perché il Prefetto lo considera quale centro motore dal quale dipende l'ordine pubblico a Sulmona. È questa un'ulteriore prova della vera natura del conflitto in atto tra i gruppi di potere aquilani, appoggiati dalle strutture statali controllate dalla DC, ed il gruppo dei notabili democristiani sulmonesi.

Nella serata del 22 il Marchese Mazara parte alla volta di Roma. L'incontro della delegazione sulmonese con i parlamentari abruzzesi è fissato per l'indomani alle 11. Perché mai il Sindaco parte così in anticipo rispetto alla delegazione? Si può pensare che il Sindaco abbia voluto avere del tempo a disposizione per svolgere qualche e ben precisa attività diplomatica!; però di questa ipotesi non esiste alcuna conferma. I componenti della delegazione lo raggiungono a ,Roma con il rapido delle 10 e 15, puntuali per il colloquio delle 11. Questo, però, non si svolge secondo le modalità previste. Alle 11 la delegazione sulmonese riesce a parlare con tutti i parlamentari abruzzesi, fuorché con quelli democristiani. Questi incontreranno la delegazione nel pomeriggio, alle 17,30. Secondo quanto affermato in quei giorni, ciò sarebbe avvenuto perché gli onorevoli democristiani non avevano voluto ricevere la delegazione insieme ai loro colleghi socialisti e comunisti. Ma è ragionevole supporre che potessero esistere altri motivi oltre quello presentato quale giustificazione; si può rapidamente supporre, cioè, che i democristiani avessero tutto l'interesse a trattare in separata sede ,con la delegazione sulmonese per meglio gestire, anche su questo nuovo versante, la questione del Distretto.

In ogni caso, nei due incontri la delegazione sulmonese riesce ad ottenere l'impegno dei Parlamentari abruzzesi per l'istituzione di una commissione tecnico-conoscitiva per verificare, anche con un sopralluogo, le ragioni militanti a favore di Sulmona per la permanenza in essa del Distretto. Si riesce a strappare, inoltre, un incontro con il Ministro della Difesa Taviani; anzi viene assicurato che il Ministro avrebbe potuto ricevere la delegazione quel giorno stesso, se non fosse stato impegnato in importanti incontri parlamentari; a causa di questo semplice inconveniente tecnico, quindi, la delegazione potrà incontrare S.E. il Ministro il 29 gennaio.

Alla luce di questi risultati sembra che il secondo tempo della difesa del Distretto abbia ottenuto dei risultati positivi e viene, perciò, dato lo stop allo sciopero ad oltranza. In città, però, tutti rimangono con il fiato sospeso in attesa dell'incontro con il Ministro; incontro che ormai sembra avere tutte le carte in regola per essere considerato conclusivo. Interpretando, invece, con il senno del poi, i risultati ottenuti in quei colloqui romani del 22 gennaio del '57, non si può non pensare al colossale raggiro che si andava preparando ai danni degli ignari delegati sulmonesi.

Nei giorni che seguono, da Sulmona partono e giungono telefonate tese ad acquisire elementi concreti di conoscenza sull'atteggiamento che il Ministro terrà nel prossimo incontro. Nella giornata del 27 "gli onorevoli Spataro e Nataloi - si cita testualmente da "I Moti di Sulmona", di un anonimo CIVIS, uscito a Sulmona a cura della Casa Editrice EPI, per i tipi della tipografia Labor, il 15 febbraio 1957 - confermano l'incontro con il Ministro Taviani fissato per il 29 ed assicurano che nel frattempo resta sospeso ogni trasferimento di materiale del Distretto da Sulmona a L'Aquila".

Sta di fatto che dopo queste telefonate rassicuranti, nella notte successiva accade esattamente il contrario.

Nella notte tra il 27 ed il 28 gennaio, il vice questore della Pubblica Sicurezza di L 'Aquila giunge a Sulmona, circondandone la periferia con la forza ai suoi ordini; nel frattempo "alcuni autocarri dell'esercito, scortati da due o tre pattuglie di carabinieri" trasferiscono il carteggio del Distretto Militare di Sulmona in quel di L'Aquila. Questo si legge nella sentenza della III sezione penale del Tribunale di Roma che ha giudicato gli imputati per i fatti di "Jamm' mò"; vi si afferma ancora che "nessun incidente turbava tale operazione". Ed è certo che nessun incidente è avvenuto; ma il rapporto giudiziario che racconta dell'andamento della operazione ha il solo torto di provenire da una parte che ha avuto tutto l'interesse ad edulcorarne la brutalità. Infatti mentre i militari si occupano del trasbordo degli incartamenti dagli uffici sui camion, le forze dell'ordine circondano, armi alla mano, l'isolato nel quale si trova il palazzo che ospita il Distretto, bloccandone così tutti gli accessi. Fermano, fino al compimento dell'operazione, i pochissimi passanti notturni ed occasionali, diffidandoli, nel rilasciarli, dall'avvertire le autorità di quanto sta accadendo. Nel frattempo tutti i telefoni di Sulmona sono stati bloccati. Terminato il trasbordo degli incartamenti, mentre i militari scortati dai carabinieri tornano a L'Aquila, la polizia rimane a Sulmona agli ordini del vice questore con l'evidente scopo di prevenire eventuali disordini o sommosse.

La reazione della città, sebbene stupefatta, è pronta.

Il Sindaco invia un telegramma a Taviani che suona in questi termini: "Dopo quanto avvenuto questa notte distretto militare in spregio promesse fatte sottoscritto tramite eccellenza Natali et Prefetto Provincia Aquila permettomi elevare vivissima protesta et esprimere indignazione unanime intera popolazione stop Rinnovole preghiera dare disposizioni che assieme sottoscritto domattina vostra eccellenza riceva intera commissione composta rappresentanti partiti politici seno questo consiglio comunale".

Né il Comitato di Difesa Cittadina rimane con le mani in mano. Il Colonnello Sardi De Letto convoca immediatamente un comizio e dobbiamo ai rapporti redatti dagli agenti di Pubblica Sicurezza presenti in platea al Teatro Comunale se abbiamo una narrazione che, più che precisa, è ampiamente chiarificatrice rispetto agli stati d'animo prevalenti nell'assemblea. E proprio per consentire di cogliere delle sfumature, lasciamo la parola all'agente di pubblica sicurezza Michele Avallone ed al marescialilo Etelwardo Sigismondi, così come risulta dalla sentenza del Tribunale romano: "secondo la cennata relazione, erano state pronunciate, davanti ad una folla eccitata ammontante a circa 3000 persone, espressioni oltremodo vivaci; in essa leggesi in particolare tra l'altro: 1) il Sardi De Letto ha detto che le sue parole non possono manifestare che lo sdegno ed il dolore per il delitto che si sta compiendo nei riguardi di Sulmona, sdegno irriso dalle autorità centrali…; non è possibile che si possa beffare una città come Sulmona sarebbe stato bello e dignitoso da parte delle Autorità asportare il Distretto di giorno, perché la notte è dei ladri... Chiesto se domani la commissione si deve o meno recare dal Ministro della Difesa, la maggior parte del pubblico ha detto di sì; per la maggior parte hanno detto che occorrono i comunisti… (probabilmente perché i rappresentanti della sinistra venivano sistematicamente esclusi dagli incontri con quelli dell'area governativa, n.d.r.). Ha aggiunto che, se non avesse famiglia, porrebbe fine ai suoi giorni… Per la soppressione del Distretto aveva avuto assicurazioni da parlamentari e da ultimo dal Generale Orioni, comandante della zona militare di L'Aquila, che il Distretto sarebbe per ora rimasto. Stamattina S.E. il Prefetto, in seguito a telefonata del Sindato, ha detto che nulla sapeva… A Roma la commissione porterà al Ministro della Difesa la parola di sdegno per il tradimento perpetrato. Sarà applicato il terzo tempo nel caso che la commissione dovesse tornare con esito negativo.

A Sulmona vi saranno le dimissioni di tutte le cariche e tutti i partiti s'impegneranno a non presentare le liste. Il Comitato Cittadino resterà in piedi. A Sulmona la sera del 29 si suoneranno le campane a morto perché l'esito sarà negativo. (...) Sappiano il Prefetto, il Questore ed il Commissario di Sulmona che in Sulmona vi è la mobilitazione generale. Sulmona non solo dovrà riavere il Distretto, ma dovrà assurgere a Capoluogo di Provincia e allora si metterà una barriera tra Sulmona e L'Aquila".

Sono, come si vede, le parole di un uomo dominato da una passione mal repressa. Scaldano gli animi senz'altro; e proprio per queste parole il colonnello Sardi De Letto sarà incriminato insieme agli altri, che qui di seguito vanno ricordati, per il reato di istigazione a delinquere; in ogni caso, anche se le parole del colonnello Sardi De Letto hanno riscaldato gli animi, non sono, tuttavia, riuscite a spingere la popolazione alla rivolta, ché, se quella forza avessero avuto, avrebbero dovuta scatenarla in quel luogo ed in quel momento; non si verificò alcun evento rivoltoso. E c'è da dire che sussistevano tutte le condizioni per la rivolta: la beffa ancora calda, gli animi eccitati che vengono sollecitati ancora di più dalle parole di fuoco degli oratori.

Continua il "verbale dell'agente: 2) l'avvocato Giovanni Autiero, consigliere provinciale del P .L.I. ha detto: Quello che è stato fatto stanotte è una vigliaccheria, un tradimento. Le parole d'onore sono cadute… Le autorità debbono una buona volta capire il male che hanno fatto a Sulmona. La perfidia da parte delle autorità si è dimostrata lampante... Lui e l'avvocato Giacchesio hanno dato le dimissioni da Consiglieri Provinciali e gli altri si sono già impegnati a darle. I Sulmonesi sanno soffrire e tacere e sanno ricordare i moti del 29". Un altro oratore, l'avvocato Masci, sempre secondo quanto riportato nel verbale, ha detto che "il Ministro della Difesa aveva tradito... Ha ammesso che per il Distretto non nutre speranza... Egli ha interessato i suoi parlamentari, verso i quali, però, non ha nemmeno fiducia. Ha criticato la presenza del vice Questore, che 'per caso si trovava a Sulmona... ' ha invitato tutta la popolazione a rimanere unita e vigilante. Se ora ci viene tolto il Distretto, in seguito ci verrà tolto anche il Tribunale; ed allora vogliamo che ci tolgano anche tutti gli uffici finanziari, perché tasse non ne pagheremo più".

Nonostante la vivacità dell'assemblea, non si verifica alcun incidente e se si decide di andare comunque ad incontrare il Ministro Taviani, lo si fa nell'amara consapevolezza che oramai il Distretto Militare è perso per Sulmona e che non si passa immediatamente all'attuazione del 30 tempo della proposta - quello che potremmo definire della disobbedienza civile: dimissioni dei consiglieri in qualsiasi organo amministrativo ed elezione primaria e secondaria, non ripresentazione delle liste e, eventualmente, rifiuto di pagare le tasse - solo perché si spera, senza nemmeno confessarlo, di ottenere dal Ministro qualcosa in cambio del Distretto.

La delegazione sulmonese il 29 gennaio parte per l'ennesima volta verso Roma; vi fanno parte i rappresentanti di tutti i partiti locali, anche non rappresentati in seno al Comune, ed è guidata dal colonnello Sardi De Letto. E mentre a Sulmona si sciopera per un'ora in appoggio alla missione della delegazione, alle 11,15 il Ministro Taviani dà ordine ad un agente di P.S., che svolge le funzioni di usciere, di chiamare per il colloquio il Marchese Mazara, il colonnello Sardi De Letto, i consiglieri provinciali Ricci, Monaco, Ciancarelli ed il senatore Tirabassi, Sindaco di Avezzano. Donde spuntino questi ultimi signori non si sa; sta di fatto che ogni volta che una delegazione di Sulmona giunge a Roma, compaiono questi terzi incomodi che si infilano negli incontri. Non partecipa questa volta all'incontro Natali. Gli altri componenti della commissione, tra i quali un democristiano, vengono lasciati fuori lo studio, a fare la consueta anticamera.

A questa delegazione, riveduta e corretta secondo la sua volontà, il Ministro dice, secondo quanto il Sindaco Mazara riporterà al Consiglio Comunale del giorno successivo, che lo Stato Maggiore dell'Esercito, in uno studio ampio ed accurato, era giunto alla determinazione di sopprimere 50 Distretti Militari in città non capoluoghi di provincia, oltre a quelli di Ferrara, Parma, Reggio Emilia e Trapani. A queste argomentazioni risponde il colonnello Sardi De Letto, armato di tutto punto con piante topografiche e di uno studio fornitogli dal parlamentare liberale onorevole Colitto, sul ridimensionamento degli enti militari territoriali in esame. Da questo studio si evince che criteri informatori tenuti a base del ridimensionamento stesso sono tre, e cioè la funzionalità, l'economia e le tradizioni storiche. È relativamente facile, per il Sardi De Letto dimostrare, carte alla mano, che Sulmona possiede in pieno tutti i criteri posti a base del piano di ridimensionamento. Sulmona e non L'Aquila.

Ma il Ministro nicchia e si concede, anzi, una ironia che i membri della delegazione fingono di ignorare o effettivamente non colgono. Risponde, di fronte all'evidenza dei fatti, di essere un "patito" per la geografia, ma che non poteva revocare la soppressione del Distretto Militare di Sulmona perché lo studio dello Stato Maggiore non lo consentiva. Per venire incontro alle aspirazioni di Sulmona avrebbe disposto esperimenti pilota nelle provincie di L'Aquila, Matera e Potenza; nella provincia aquilana, e precisamente nelle zone di Sulmona, Avezzano, Tagliacozzo, Castel di Sangro e Castelvecchio Subequo, le Tenenze dei Carabinieri avrebbero rilasciato il nullaosta di espatrio e certificati vari; avrebbe inoltre trasferito a Sulmona il deposito del 46° Reggimento di Fanteria, dando infine assicurazione che tutti gli impiegati civili avventizi del Distretto di Sulmona non sarebbero stati trasferiti, ma assorbiti dagli uffici del Deposito. Alle richieste, avanzate in i subordinata ipotesi dalla delegazione, di riattivare lo stabilimento della Montecatini di Pratola Peligna per la produzione della polvere nera per la dinamite, il Ministro risponde che sarà ben lieto di fare quanto per lui sarà possibile.

In margine all'andamento di questo colloquio, sia per le sue modalità che per il suo contenuto, è lecito supporre che ,il Sindaco Mazara non abbia riferito tutto al consiglio comunale del giorno successivo. È lecito supporre, anche in assenza di fonti alternative e dirette, che di fronte alla circostanziata replica ,del Colonnello Sardi De Letto, Taviani abbia cavato fuori dal cilindro delle sue argomentazioni, non il proverbiale coniglio, quanto invece la prevedibilissima ragion di stato, se non ragion di partito. Certo non sbandierandola, ma facendola senz'altro balenare dinanzi agli occhi della delegazione 'ristretta'. E ciò è tanto più plausibile quando si tenga presente che nel successivo colloquio che Taviani concede, "noblesse oblige", al resto della delegazione, altre alla ripetizione di quanto appena detto in "camera caritatis" afferma, secondo quanto il capogruppo comunista al Comune, Claudio di Girolamo, riferirà al Consiglio l'indomani, che la città di L'Aquila deve tradizionalmente considerarsi quale capoluogo di regione e che per questo il Distretto non può che rimanere lì. Per ben due volte, infine, accenna al fatto che, nel momento della decisione in merito alla soppressione di uno dei due Distretti, elementi politici avevano prevalso su quelli militari. Su questo fatto, in Consiglio Comunale vi fu una polemica serrata tra il Sindaco ed il Capogruppo comunista. Nel verbale della seduta è riportato testualmente: "il Sindaco interrompe a gran voce l'oratore per affermare che quanto esposto dal consigliere Di Girolamo circa il comportamento e le affermazioni del Ministro non risponde a verità. Ma il consigliere insiste: "Ricordai al Ministro che nel '54 avevo preso parte alla precedente commissione nominata per difendere le sorti del nostro Distretto e ricordai che allora generali e colonnelli riconobbero in pieno la priorità di Sulmona su tutte le altre città abruzzesi per la sede del Distretto. Il Ministro rispose: 'Sono con lei; lei ha perfettamente ragione, lo Stato Maggiore dal 1954 ad oggi ha mutato opinione ed elementi politici si sono inframessi per dirottare le decisioni finali. Non credete a coloro che vi vengono a dire l'opposto di quello che ho detto io in questo momento".

L'affermazione di Taviani, così come ci viene proposta dalle parole dell'allora capogruppo comunista, verbalizzate dal segretario comunale, il dottor Ferri, è categorica; e il Marchese Mazara che, come abbiamo visto prima, interrompe a gran voce l'oratore attribuendogli sul fatto il mendacio, questa volta tace ed incassa.

Quali furono gli elementi politici che determinarono un mutamento di rotta a 180 gradi nelle opinioni dello Stato Maggiore?.

Tornando, comunque, alla giornata del 29 gennaio del 1957, c'è da registrare subito dopo l'incontro con Taviani un imprevisto, ma senz'altro accuratamente preordinato, colloquio con alcuni parlamentari democristiani, tra i quali Spataro e Natali, i quali offrono alla commissione il proprio interessamento al fine di procurare un incontro nientemeno che con il Presidente del Consiglio dei Ministri, l'onorevole Antonio Segni. A patto che, però, non si ponga in essere il terzo tempo della agitazione.

Non sono stati ritrovati documenti o testimonianze precise ed affidabili su come andò questa seconda riunione; si ritiene però che quantomeno i componenti della commissione non se la siano sentita di dare una qualsiasi risposta, rimandando tutto al Consiglio Comunale fissato per l'indomani. Il Sindaco Mazara, per il momento, non può far altro che telefonare al Comitato di Difesa Cittadina e comunicare l'esito negativo della missione.

A Sulmona, nel tardo pomeriggio, viene convocato un comizio, di nuovo al Teatro Comunale, e questa volta ad arringa re la folla intervenuta ci sono soltanto l'avvocato Giacchesio ed il dottor. De Monte. Nonostante l'amarezza, la rabbia, durante il comizio si giunge persino ad un momento di ilarità generale quando il dottor De Monte, trascinato dalla sua ben nota irruenza, invita i cittadini proprietari di automezzi a metterli a disposizione per effettuare una marcia su Roma. In ogni caso prevalgono gli inviti alla calma pronunciati dall'avvocato Giacchesio che ricorda, tra l'altro, la seduta del Consiglio Comunale fissata per l'indomani.

A sera rientra la commissione da Roma. Una folla di cittadini acclamanti, esaltati dalla disperazione della sconfitta, la accoglie. Gli applausi sono tanti che il marchese Mazara si vede costretto a dire, secondo alcuni testimoni oculari: "non dovete applaudire noi che non siamo stati capaci di difendere sino in fondo la nostra città, Sulmona ha subito una grave sconfitta e domani ratificheremo in Consiglio i risultati negativi di queste tristi giornate". Ma i cittadini si stringono ancora di più attorno ai loro rappresentanti e li accompagnano in corteo dallo scalo ferroviario alla città, distante alcuni chilometri.

Il 30 gennaio è l'ultima giornata di mobilitazione della rivolta borghese: scatta, infatti, il terzo tempo delle agitazioni. Si mobilita anche il comprensorio. A Palazzo San Francesco sono presenti anche i sindaci del territorio su cui insisteva la competenza amministrativa del Distretto Militare. Una simile riunione era stata convocata il 17 gennaio, ma non aveva potuto effettuarsi al meglio perché, per una abbondante nevicata, le strade che dall'entroterra portavano alla Valle Peligna erano impraticabili. Sono presenti una ventina di sindaci su 65; altrettanti hanno fatto pervenire la loro incondizionata adesione, altre verranno nei giorni successivi.

L'importanza di questa riunione che precede quella del Consiglio Comunale risiede nel fatto che in essa si offre il destro al Colonnello Sardi De Letto per effettuare un intervento in buona parte rivelatore delle responsabilità politiche sottese alla soppressione del Distretto Militare di Sulmona. f1 suo intervento segue quello del Sindaco che, al solito, illustra l'andamento dei fatti degli ultimi giorni, dalla proditoria azione notturna all'incontro con il Ministro Taviani, alla proposta dei parlamentari democristiani.

Quando prende la parola il colonnello Sardi De Letto, un'oratoria più irruente e spigolosa sostituisce quella accorata e smussata del Sindaco. "Sono un uomo d'ordine e

liberale - esordisce il Presidente del Comitato di Difesa Cittadina - e dirò parole altre e diverse da quelle del Sindaco". E si lancia ad illustrare le origini e le finalità del Comitato che rappresenta: la difesa degli interessi di Sulmona e del circondario. E ciò perché, sottolinea l'oratore, la città ed il suo territorio non hanno difensori in Parlamento. Per quanto riguarda il Distretto, illustra la tattica dei tre tempi ed entrando nel merito della questione ricorda uno stralcio del colloquio da lui avuto con Taviani:

"Ieri ho detto al Ministro: qual' è il servizio essenziale del Distretto? la mobilitazione. Quale è il punto centrale, veramente centrale della Regione ai fini della mobilitazione? L'Aquila? no di certo!. La risposta del Ministro: non posso rispondere, è lo Stato Maggiore che è competente". Il colonnello continua ancora presentando le ragioni di Sulmona di fronte alla prepotenza subita. "Questa è l'angustia di Sulmona e dei paesi viciniori - continua - subire il capoluogo che da anni e da decenni ci toglie la nostra vitalità. Se L'Aquila fosse stata una buona madre, tutti i centri della provincia si troverebbero in altre condizioni". Sono parole pesanti, ma che non sono dirette alla città di L 'Aquila o alla popolazione; i destinatari di queste parole sono ben altri e nel prosieguo del suo intervento Sardi De Letto procede con allusioni un po' meno velate delle precedenti: "le ragioni tecniche che hanno fatto togliere il Distretto a Sulmona non provengono dallo Stato Maggiore, ma provengono senz'altro da motivazioni politiche. Siamo ancora sdegnati dal sopruso ladresco che ha subìto Sulmona l'altra notte. Se esiste un responsabile per quanto accaduto, questo responsabile non lo vedo a Roma, bensì a L'Aquila. L'azione politica tendente a sminuire di importanza Sulmona ha poi trovato un comodo alleato nella polizia, vedi la presenza del Vice Questore a Sulmona la mattina dopo il trasferimento notturno". È un affondo nei confronti dei gruppi democristiani che utilizzano le strutture amministrative aquilane per il proprio potere. Nomi non se ne fanno, ma aleggiano senz'altro nella sala, e primo fra tutti quello di Natali. I 'dietrologi' che però possono cogliere le allusive accuse di Sardi De Letto sono pochi e quanto addebitato ai patroni aquilani è il massimo che poteva essere detto in quel momento e da quel gruppo politico che tirava le fila della protesta.

Nel dibattito che segue l'intervento del Presidente del Comitato di Difesa Cittadina prevale la linea, da parte dei sindaci del circondario, di non dimettersi. Ragioni tattiche non consentono a questa linea di venir fuori con chiarezza; i sindaci dribblano la richiesta di dimissioni avanzando la necessità di discutere la questione in seno ai propri consigli comunali. Il solo sindaco di Avezzano, il senatore Tirabassi, cerca di sfuggire alla logica obbligata derivante dalle circostanze, dal clima nel quale si svolge la discussione e tenta, con un fare accorto e diplomatico, di contestare le dichiarazioni del colonnello; Sardi De Letto affermando che di manovre politiche non possa parlarsi, quanto invece si deve parlare di complesso di inferiorità che sia Avezzano che Sulmona soffrono nei confronti del capoluogo di provincia. Anche in simili frangenti una testa di ponte aquilano riesce ad entrare nella tana del lupo e cerca di aggiungere al danno anche la beffa.

Alla fine del dibattito, l'assemblea approva all'unanimità, senza sforzo eccessivo visto che si tratta di parole e non di atti concludenti quale il dimettersi, il seguente ordine del giorno: "I Sindaci del Distretto Militare di Sulmona, riuniti per esaminare il problema relativo alla soppressione del Distretto stesso, esprimono la piena, incondizionata solidarietà con la città di Sulmona; invitano i parlamentari della Regione a costituirsi in commissione permanente onde continuare a svolgere quell'azione tesa ad ottenere la revoca della soppressione del Distretto. Si riservano di convocare con urgenza i consigli comunali affinché esprimano più efficacemente gli atteggiamenti da assumere in questa lotta". La disobbedienza civile del terzo tempo viene così sconfitta in partenza in quanto i sindaci del circondario sulmonese non accettano, e riescono a farlo mettere per iscritto, di dimettersi insieme ai propri consigli comunali. Solidarietà, va bene, ma non autolesionismo; ormai la battaglia è persa e dimettersi è un gesto di autopunizione che gli amministratori della zona lasciano volentieri a quelli di Sulmona.

Poco più tardi, infatti, nell'aula magna di Palazzo San Francesco si raccolgono, insieme ad un grandissimo numero di cittadini, i Consiglieri Comunali di Sulmona per avviare il terzo tempo della strategia di lotta per il Distretto. A questo punto, avendo perso su tutta la linea, si tratta di disobbedire civilmente, di rifiutare la propria collaborazione civica ad uno Stato che, invece di provvedere al benessere dei suoi cittadini, rende loro problematica l'esistenza mettendoli gli uni contro gli altri. Il momento è teso, ma non manca della solennità delle grandi occasioni; perciò a parte la polemica tra il Sindaco ed il capogruppo comunista, di cui abbiamo già parlato, tutti i protagonisti lo vivono con l'identica intensità e determinazione.

Il Sindaco apre la seduta leggendo l'ordine del giorno votato dai suoi colleghi del circondario e ritessendo la cronaca degli ultimi giorni. Dà notizia al Consiglio dell'ultimo tentativo che i parlamentari democristiani hanno effettuato per impedire lo scioglimento del Consiglio promettendo un incontro con il Primo Ministro. Ma, dopo aver ricordato di essere attualmente un cittadino fedele a Sulmona e non alla carica di Sindaco, il Marchese Mazara afferma: "È necessario che ognuno assuma in pieno e senza riserve le proprie responsabilità per le conseguenze future che, dalla nostra decisione di questa sera, potranno derivare alla nostra città. Dalla disgrazia capitata ora a Sulmona mi auguro che possa derivare la unione effettiva di tutti i cittadini, unione di intenti e di spiriti, rivolta alla tutela degli interessi e alle fortune future ed immancabili del nostro Comune". E annuncia, così, le sue dimissioni.

I vari oratori che si susseguono pronunciano discorsi analoghi a quello del Sindaco. Non rimane altro da segnalare che la violenza verbale con la quale tutti i consiglieri che intervengono scagliano contro l'azione notturna del trasferimento. A quel punto non si distingue più tra gruppi di potere e popolazione aquilana, tutto ciò che ha che fare con il capoluogo di provincia viene gratificato di parole, a dire il meno, poco edificanti. In parallelo a questa aggressione verbale nei confronti di L'Aquila viene costantemente avanzata l'ipotesi di rivendicare la dignità di capolouogo di una nuova provincia.

La seduta prosegue e, mentre sul banco del Segretario Comunale cominciano a raccogliersi le lettere di dimissione dei consiglieri, si presenta in aula, accolto dagli applausi della folla, il consiglio di amministrazione della Casa Santa dell'Annunziata al completo. I membri di questo importante ente locale che gestisce un patrimonio vastissimo, e tra l'altro anche l'ospedale cittadino, vengono in comune a rassegnare le proprie dimissioni nelle mani del Sindaco. Seguono le dimissioni dei consiglieri dell'Ente Comunale di assistenza e del Comitato della Commissione Comunale dei Tributi. A conclusione della seduta l'assemblea comunale vota un ordine del giorno: 'Il Consiglio Comunale, riunitosi in seduta straordinaria il 30 gennaio 1957, mentre prende atto, plaudendo, delle decisioni dei Comuni della Circoscrizione Distrettuale, che si sono uniti alla lotta in atto per la permanenza del Distretto Militare di Sulmona, considerato che le Autorità direttamente responsabili hanno deciso, in aperta violenza di ogni diritto e di ogni giustizia, la soppressione del Distretto medesimo, stigmatizza la ingiuriosa e deplorevole spoliazione consumata nottetempo ai danni di una vastissima zona e delibera in segno di viva protesta e di vivissimo sdegno di rassegnare, come in effetti rassegna, le dimissioni, auspicando che tutte le commissioni cittadine, i consiglieri provinciali, nonché gli Amministratori dei Comuni compresi nella circoscrizione del Distretto, agiscano in conformità; sollecita infine tutti i cittadini dall'astenersi dall'esercizio di tutti i diritti democratici fino a quando non sarà resa giustizia alla città di Sulmona e all'intera zona'.

Mentre viene approvato questo ordine del giorno, il segretario comunale raccoglie le ultime lettere di dimissioni. L'avvocato Masci suggerisce di votare l'esecutività delle stesse solo quando la notizia abbia raggiunto le competenti autorità e ciò allo scopo, come dichiara, non solo di esternare la protesta, ma anche di intimidire. Si alza, però, il cavalier Serafini e ribatte: "Abbiamo detto a sufficienza che intendiamo creare il caos amministrativo e pertanto dobbiamo prendere atto subito delle dimissioni presentate per renderle immediatamente irrevocabili". Si compie, quindi, quest'ultimo atto formale e all'unanimità, per appello nominale, il Consiglio delibera sulla immediata esecutività delle dimissioni appena presentate.

A conclusione del verbale, il Segretario Comunale, il dottor Ferri, annota tra parentesi "E per dare più solennità alla presa d'atto delle rassegnate dimissioni, l'intero consiglio, con il Sindaco alla testa ed accompagnato da un migliaio di persone, si reca al Monumento dei Caduti in guerra". Sul monumento è ancora fresca la corona d'alloro postavi durante una precedente manifestazione del Comitato di Difesa Cittadina, con su scritte le parole: "I Sulmonesi ai loro gloriosi caduti perché trattengano presso il luogo natio il Distretto, testimonianza eroica del loro sacrificio".

E con questo omaggio retorico e patetico ai Caduti si chiude questa fase dei fatti di "Jamm' mò". Finora non si è fatto altro che parlare di marchesi, baroni, colonnelli, avvocati, cavalieri, ministri e parlamentari. Sia come registi, che come attori protagonisti, questi personaggi avevano condotto un'azione tesa a creare, come è stato affermato nell'introduzione, oltre che nell'area più vasta della provincia, una 'borghesia di stato' anche a Sulmona. E a questo fine si cercò di usare la soppressione del Distretto, che nulla toglieva, sia dal punto di vista economico, sia da quello del prestigio, alla città di Sulmona ed al suo Circondario. Tuttavia la soppressione di questo ufficio militare molto significava relativamente alla volontà della corrente dominante della Democrazia Cristiana di L'Aquila: significava, cioè, creare nello stesso territorio della provincia un secondo centro di potere che avrebbe sottratto forza e capacità di governo a quello aquilano. La gestione delle risorse finanziarie provenienti dallo Stato, ai fini della creazione di un unico centro di potere escludeva che esse fossero spese anche per la zona di Sulmona, che ottenne la misera cifra di 70 mi1ioni per il proprio acquedotto a fronte, per esempio, dei tre miliardi che la provincia di L'Aquila ottenne, in quello stesso periodo, dal Ministero dell'Agricoltura e Foreste per un piano di rimboschimento. Essendo già in moto un meccanismo tutto teso a rafforzare clientelarmente il gruppo aquilano capeggiato da Natali, è lecito immaginare che questo gruppo sarebbe intervenuto, persino contro gli interessi dello stesso partito in una altra zona, di fronte all'eventualità che il Governo Centrale potesse sottrarre qualche strumento di contronto clientelare e politico destinandolo a quello che poteva divenire un pericoloso concorrente.

Di qui la durissima reazione del gruppo democristiano di Sulmona che, da dietro le quinte e con fortissime contraddizioni interne che lo decimarono, mise in piedi una protesta che, quale sua estrema ratio, aveva individuato la disobbedienza civile. 'Le dimissioni di tutti gli organi amministrativi della città erano state date nella convinzione di infliggere un grave danno allo Stato. Si sperava, che di fronte al suicidio civico di Sulmona, le manovre di sottogoverno avrebbero ceduto il passo ad interventi finanziari consistenti anche per Sulmona. Si attendeva perciò la contromossa dello Stato; e questa, tempo due giorni, viene effettuata, ma non nella direzione sperata.

Note:

(5) E' un episodio margina1e, ma che testimonia della presenza anche a Sulmona di uomini legati a correnti favorevoli alla soppressione del Distretto, anche se non in maniera esplicita; a correnti cioè esterne.

 

CAPITOLO 3

JAMM' MÒ

CAPITOLO 5