INTERVISTA A CLAUDIO DI GIROLAMO (novembre 1980)

 

 

- Cosa ha rappresentato il Distretto Militare a Sulmona?

- Le dico spassionatamente che il Distretto in sé non rappresentava proprio niente o, al limite, costituiva una entità trascurabile per l'economia cittadina.

Forse rappresentava qualcosa per la categoria dei commercianti perché provocava un certo movimento di giovani, che andavano soldati, soprattutto per i negozi, trattorie, locande e simili. Il Distretto poi dava lavoro agli impiegati.

Ma in realtà era cosa ben poca. Voglio far rilevare questo, ed anche altri l'hanno detto, e cioè che il Distretto era stato l'ultimo elemento che ha spinto la popolazione sulmonese, che era alla disperazione, a fare quei moti. E per mentalità piccolo-borghese, si interpretò la vicenda del distretto come spoliazione che Sulmona subì, dopo la ristrutturazione amministrativa successiva al parlamento.

- Non le sembra che, in presenza di un'economia così misera (lei ha appena affermato che i Sulmonesi erano alla disperazione), le ragioni per protestare fossero ben altre che non quelle relative alla "spoliazione amministrativa"?.

- Ahah... sì, capisco..., bisogna dire questo, che a Sulmona, dal '45 in poi, sono state fatte molte lotte promosse da organizzazioni sindacali e contadine. Ma queste lotte non hanno sortito mai un effetto positivo; cioè non sono mai state così forti da far intervenire le Autorità.

- Formulando in maniera più esplicita la precedente domanda le chiedo: è evidente la sproporzione tra l'impegno di lotta, in presenza di una situazione economica addirittura disperata, ed il suo obiettivo, tutto sommato "cosa ben poca", come lei ha sottolineato. La permanenza del Distretto in città non avrebbe certo risollevato l'economia della zona; allora perché quelle due giornate di protesta così violenta?

- In sostanza la lotta non fu fatta per il Distretto in sé e per sé. La lotta fu fatta per richiamare l'attenzione delle Autorità - più che locali, ché queste conoscevano bene la situazione, centrali - sulla situazione in cui viveva questa plaga dell'Abruzzo.

Anche le pressioni che compivano le autorità locali democristiane come quelle nazionali, non sortivano alcun effetto. Allora si faceva una politica di paternalismo, c'era una situazione di prepotere e non di potere. Prepotere democristiano. E questo prepotere non concedeva assolutamente nulla neanche ai richiami di questi dirigenti democristiani locali.

- E quale era il motivo per cui accadeva questo secondo lei?

- Mah! i motivi possono essere tanti; forse perché in questa zona nemmeno i democristiani riuscivano ad esprimere un elemento che potesse prevalere dal punto di vista elettorale e politico. E se ciò vale per la democrazia cristiana, figuriamoci per gli altri partiti.

Perciò, oltre alla depressione economica, anche quella politica, per cui i dirigenti provinciali, come quelli nazionali, non tenevano in alcun conto questa zona.

- In quel periodo, di fronte alla crisi, qual' è stata la linea politica del PCI?

- Anche in quella circostanza la linea del partito comunista fu quella di realizzare le più vaste alleanze. Contadini, sottoproletariato, ceto medio, commercianti, artigiani. Ed è questa la politica fatta dal PCI che convogliò, anche obtorto collo - come direbbero gli avvocati - la Democrazia Cristiana a far parte di quel Comitato di Difesa Cittadina, che guidò le successive lotte. Il Partito Comunista operava all'interno di questo Comitato e dall'altro operava all'esterno collegandosi direttamente alla cittadinanza. E se uno sviluppo di questa organizzazione politica c'è stato, ciò è stato possibile appunto grazie all'attività svolta durante quel periodo di lotta. Per la verità debbo dire, e non perché in quel momento dirigevo io il PCI, che in quelle lotte, e quando si trattava di fare riunioni, e quando si trattava di stare sulla piazza, il Partito Comunista è stato sempre presente in forze.

- E perché mai la Democrazia Cristiana, nelle successive elezioni politiche avanzò tanto, che alle Botteghe Oscure si disse che a Sulmona i comunisti erano "pazzi" ?

Quello che dice non è in tutto esatto, perché il Partito Comunista nelle elezioni quasi raddoppiò i voti elettorali di quell'epoca. Anzi, le dirò che mi trovavo proprio alle Botteghe Oscure in quei giorni delle elezioni e, sarà un aneddoto, ma si disse "meno male che a Sulmona si sono raddoppiati i voti, altrimenti non avremmo saputo cosa mettere nei titoli di testa dell'Unità" in quanto nelle elezioni di altri comuni il Partito Comunista Italiano non aveva registrato alcun progresso. Inoltre lei deve tener presente un'altra questione, e cioè che qui a Sulmona per le elezioni si precipitarono tutti i ministri a promettere mari e monti per la città, tant'è vero che, a chiusura della campagna elettorale della Democrazia Cristiana, venne il sottosegretario Campilli a promettere, nella maniera più sviscerata, al Teatro Comunale gremito fino all'inverosimile, una industria, e disse "State attenti a come votate. Non vi fate sfuggire questa industria votando male". Si capisce che la popolazione, già ridotta in miseria, con la prospettiva di questa industria che poi mai venne, - tant'è che quelle promesse non mantenute furono chiamate " campillate " - poi votò come votò.

Si esercitò quindi una pressione enorme sulla popolazione e, tornando ai risultati elettorali, se può sembrare che vinse la DC a prima vista, effettivamente non fu così, perché anche il PCI andò innanzi nonostante le fortissime pressioni.

Date ad un affamato un tozzo di pane e quello si arrende.

Questo accadde, penso, ai cittadini di Sulmona.

- Abbiamo considerato la linea del PCI e della DC. E gli altri partiti, per esempio il PSI?

- Non mi sembra che il Partito Socialista di Sulmona si caratterizzasse con proprie iniziative politiche; per lo più si muoveva a rimorchio del PCI, anche se aveva qualche dirigente, come Nicola Serafini, capogruppo dei consiglieri comunali socialisti, che si dava molto da fare. Ma il suo, più che un reale collegamento con le masse, era un lavoro individuale.

- E gli altri partiti?

- Per la DC, abbiamo già visto, salvo a dire che in quel periodo segretario ne era il professor Critani, che ebbe un comportamento sincero e leale, posso dire; ma non era di Sulmona, bensì di Pescara, penso. Degli altri partiti c'era l'avvocato Giovanni Autiero, liberale.

- Tra gli altri protagonisti di quelle due giornate si parla molto del Prefetto Ugo Morosi. Quale fu il suo ruolo?

- Beh!... il ruolo del Prefetto... se possiamo dire, fu l'insipienza di questo benedetto uomo..., si sapeva che c'era puzzo di polvere a Sulmona (da sparo, ndr); non si aveva nulla, però, contro la sua persona. Rappresentava il Governo, rappresentava lo Stato, come giuridicamente lo rappresenta; e si vide questo Prefetto in funzione dello Stato, come colui che aveva consumato l'ultimo sopruso contro questa cittadina.

- E il fatto che il Prefetto fosse aquilano?

- Mah!... io ho sempre creduto poco nel campanilismo. E’ vero che nel passato ci sono state pressioni, che c'è stata noncuranza, e non solo per Sulmona, ma anche per il resto della Provincia. D'altra parte se andiamo nel campo nazionale, ogni capoluogo pensa prima a sé e poi agli altri; è una cosa umana. Queste continue spoliazioni, che si protraevano dal 1910, e il fatto che si vedesse progredire un'altra città e non la propria, facevano di L'Aquila l'antagonista diretta di Sulmona, la causa, quasi, delle sue miserie.

E le due giornate? esiste, o meglio, ricorda qualche fatto particolare che va oltre le celebrazioni e l'aneddotica ormai di pubblico dominio?

- Debbo dire questo: si deve all'acume dell'allora sostituto procuratore della repubblica, dottor Salvatore Sambenedetto, se le giornate di rivolta furono solo due e se nei giorni successivi non capitò qualcosa di peggio.

- Si è corso anche questo pericolo?

- Certo! in quei giorni a Sulmona si è corso il pericolo che si verificassero disastri. E fu per l'acume, ripeto, del dottor Sambenedetto, ed anche per l'azione che svolsi, per il ruolo che in qualche modo svolgevo nella vita politica, che si evitò qualche disastro.

Nella notte tra domenica 3 e lunedì 4, venni svegliato da alcuni giovani, i quali, quasi fuori di sé, mi dissero che si erano procurati delle polveri, della dinamite, e volevano il mio consenso per far saltare la ferrovia Sulmona-L'Aquila, tratto Sulmona-Pratola Superiore. Fu allora che costrinsi alla ragione questi giovani, i quali prendevano le più svariate iniziative nel corso di questa lotta rivoltosa.

La liberazione degli arrestati, tempestivamente interrogati e quindi liberati dal giudice Sambenedetto che si recò a Chieti, buttò definitivamente acqua sul fuoco e non si ebbero ulteriori motivi di disordine.

C'è poi da dire che, in quelle due giornate, io insieme ad altri esponenti comunisti dovetti faticare non poco a mantenere la rivolta entro limiti, se non accettabili, almeno non catastrofici. Erano già pronte le bottiglie molotov, come pure erano stati preparati caldai di acqua bollente, pronti per essere rovesciati sulla polizia che percorreva Corso Ovidio in lotta con la popolazione sulmonese. Anche in questa circostanza si chiese il via per queste azioni bellicose; questo via però fu assolutamente negato perché noi, che bene o male sentivamo la responsabilità di quello che stava accadendo, non volevamo che si arrivasse ad eccessi inauditi. E così si impedì il gettito sia delle molotov che dell'acqua bollente.

- Può precisare meglio l'azione svolta dal procuratore Sambenedetto?

Gli arrestati furono portati nottetempo a Chieti; tra questi c'era anche mio fratello che era stato scambiato per il sottoscritto e per questo prese una buona quantità di calci dalla polizia. Appena si sparse questa notizia, l'indomani mattina, il ,Sostituto Procuratore si portò immediatamente a Chieti, sottopose in giornata tutti gli arrestati ad interrogatorio e, nella stessa serata, tutti furono rilasciati. Fu un'azione che calmò di molto gli animi.

- Le due giornate di Sulmona furono anche occasione di un dibattito parlamentare nelle sedute dal 26 al 28 marzo del' 57; in quella occasione si fece, da parte dei sulmonesi, quella famosa "marcia su Roma", preconizzata dal dottor Giorgio De Monte in quella ormai famosa assemblea cittadina svoltasi al teatro comunale, subito dopo il trafugamento notturno del Dìstretto Militare. Una foto lo ritrae mentre, dal predellino di una macchina, arringa una piccola folla. Come andarono quei fatti?

- In occasione della discussione a Montecitorio sui fatti di Sulmona fu organizzata, appunto, un'autocolonna di tre o quattrocento cittadini ma, per la verità, io ero partito alla volta di Roma qualche giorno prima per organizzare questa azione; in pratica per procurare, con alla mano un elenco di cittadini che sarebbero venuti a Roma con l'autocolonna per assistere alla discussione in Parlamento, i biglietti di ingresso. Riuscii ad avere questi permessi che furono rilasciati, per la verità, dai parlamentari di tutti i partiti.

Quando l'autocolonna, sulla Salaria, giunse alle porte di Roma, all'altezza dello Stabilimento Squibb fu fermata da uno sbarramento di polizia. lo avevo preso accordo con l'avvocato Autiero, che guidava l'autocolonna, per incontrarci sul piazzale di Montecitorio. Non vedendoli giungere, pensai ad un ritardo; ma i minuti e le ore passavano, per cui mi affrettai ad andare loro incontro e trovai una situazione di scontro imminente tra la polizia ed i sulmonesi dell'autocolonna.

Il questore, o vice questore che fosse, assolutamente non voleva fare entrare in Roma l'autocolonna ed alcuni nostri concittadini andarono a chiedere man forte agli operai del vicino stabilimento della Squibb, nel caso di scontri con la polizia. E gli operai dettero il loro assenso. Come mi si riferì si dichiararono in pratica disponibili ad intervenire " nel caso che dovesse accadere qualcosa ". Quindi anche qui le cose si stavano mettendo male. Perché questo? perché, mi si disse successivamente, alcuni poliziotti che stavano lì, o forse una buona parte dei poliziotti, erano stati a Sulmona nella giornata dei moti ed avevano ricevuto "un sacco di mazzate", diciamo così, erano stati abbondantemente malmenati. E qualcuno di questi, mi è stato riferito, disse: "Adesso ve la facciamo pagare; qui siamo in ambiente aperto e non potete scappare nei vicoli come avete fatto a Sulmona".

La situazione era diventata drammatica. Ad un certo punto intervenne anche l'onorevole Giulio Spallone, eletto nel Collegio di Avezzano, che trovai sul luogo. Dal posto di blocco l'onorevole Spallone chiamò ripetutamente il Ministro degli Interni che però si faceva continuamente negare. Ed io giunsi proprio mentre il questore diceva ai sulmonesi della autocolonna che avrebbe consentito il transito solo ai possessori del permesso per entrare a Montecitorio.

Arrivai proprio come la manna dal cielo e dissi: " Signori miei, se la situazione è questa, io ho 400 permessi per entrare alla Camera "; salii sul cofano di una macchina e, facendo l'appello, distribuii 400 permessi. Allora la polizia si sentì disarmata moralmente e materialmente perché di fronte ai permessi parlamentari non poté fare più nulla e dové concedere il passi.

Alla Camera si discusse; intervennero tutti i partiti. Si partiva dalla situazione di Sulmona per arrivare alla crisi dell'Abruzzo e del Mezzogiorno; le solite analisi, le solite cose e si concluse con una mozione, che fu sì presentata da alcuni parlamentari quali Corbi e Spataro, ma che in effetti fu scritta da Sardi De Letto, da Autiero e dal sottoscritto.

- La rivolta di Sulmona: rivolta "borghese"?

- Si voleva a tutti i costi, da parte di certi giornali, forse anche sotto il suggerimento di qualche ministro, minimizzare l'apporto della popolazione alla rivolta, con la sua connotazione particolare di protesta contro il Governo. Ma debbo dire che tutte le categorie sociali - allora non si poteva parlare di classi sociali, almeno per la concezione marxista di classe che ho io, il capitale, il proletariato, perché tutti quanti eravamo semiproletari o quasi allora - parteciparono alla rivolta. Rivolta che si cercò di condurre nell'ambito borghese. In effetti vi è stata una mobilitazione generale di tutta la città: dagli edili ai contadini, ai commercianti - i quali presumevano di essere tra i più colpiti dal trasferimento del Distretto - agli artigiani, ai cosiddetti intellettuali della città, medici, avvocati, tutti risentivano della miseria della economia cittadina e tutti presero parte a questo vastissimo movimento. E perciò si cercò di prendere la palla al balzo per dire che era una rivolta borghese cercando di isolare questo moto dal suo contesto naturale. E ad anni di distanza, un liberale, l'amico Aldo Di Bene, detto, ebbe a riconoscere che non fu una rivolta borghese, ma una rivolta di popolo; non solo, ma ad onor del vero, debbo dire che anche il clero ebbe un atteggiamento silenzioso, dignitoso, ma di completo appoggio alla rivolta. E questo è quanto dire. Si era costituita una unità direi totale della popolazione, ad eccezione dei vertici della Democrazia Cristiana, che si sentiva sfuggire qualcosa in quei momenti.

 

CAPITOLO 8

JAMM' MÒ