PIERGIORGIO BRANZI

Piergiorgio Branzi, Pasqua nell'Italia meridionale 1955

Terzo di sette fratelli, nasce a Firenze nel 1928 e compie studi classici ed universitari, questi ultimi non portandoli a termine in quanto preferì dedicarsi alla fotografia e al giornalismo.

La passione per la fotografia gli si accende dopo aver visto, nel 1953 a Palazzo Strozzi, una mostra di Henri Cartier-Bresson che lo spinge a dedicarsi alla fotografia e a studiare i maggiori fotografi del momento (Weston, Adams, Smith, La Borke-White, Doisneau, Brassai, Boubat e Izis Bidermanas), ma già l’anno precedente s’incontra spesso con Balocchi, Camisa per discutere di fotografia e, certamente non mancano alcuni incontri con Cavalli nella città di Senigallia. Nel 1954 entra a far parte dell’associazione “Misa” ed in seguito de “La Bussola” (1957), esperienza questa che gli fornisce ulteriori input sostanzialmente differenti da quelli procuratosi in precedenza. Questa contaminazione d’idee non muta certo il suo intento stilistico e linguistico, che è già orientato verso una fotografia tesa a documentare e a narrare storie di uomini e di terre per mezzo di singole immagini. In questo è chiaro che la lezione di Cavalli abbia poco influenzato l’opera di questo fotografo fiorentino, anche se è ovvio ricordare che “La Bussola”, ma soprattutto il “Misa” rappresentarono anche per lui un vero e proprio «laboratorio scientifico e linguistico» dove poter «acquisire la coscienza di poter fare qualcosa di valido con l’immagine fotografica». Sostanzialmente però la carriera fotografica di Branzi risulta essere breve, in quanto nei primi anni sessanta abbandona la fotografia per dedicarsi al giornalismo, professione questa che lo porta a vivere per alcuni anni a Mosca, ed in seguito a Parigi.

Durante il lungo soggiorno nella capitale sovietica, dove svolse l’attività di primo corrispondente televisivo, Branzi continua a scattare fotografie dando alla luce una raccolta che lui stesso definisce come “Diario Moscovita”. Questa per intenti sembra avere molto in comune con la precedente serie “Appunti di Spagna” soprattutto per quella volontà di non realizzare un vero e proprio servizio, né tanto meno di cadere in estetismi viziosi. La serie, come afferma il suo creatore, vuol essere semplicemente degli «appunti, che mi aiutassero a capire di che pasta fossero impastati coloro i quali avrei a lungo convissuto».  

Prima ancora d’intraprendere la carriera giornalistica in RAI, egli già d’alcuni anni collaborava con alcune testate giornalistiche come “Il Mondo” di Pannunzio, “Le Ore” di Pasquale Prunas, e Salvato Cappelli, con “Rotosei” di Pasquale Oletti.