Il fascismo in Italia

1. Quali sono caratteri del dopoguerra in Italia?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Alla fine della guerra tutta l’Europa entrò in una crisi sia economico-sociale sia morale; in Italia la crisi mise in evidenza la fragilità delle istituzioni dello stato ed ebbe come sbocco l’affermazione del fascismo. La crisi economica provocata dalla fine della guerra significò ristagno della produzione, disoccupazione, inflazione con vertiginoso aumento del costo della vita. Tutto questo portò a una forte esasperazione dei conflitti sociali; aumentarono gli aderenti alla Confederazione Generale del Lavoro (socialista) e alla Confederazione Italiana Lavoratori (cattolica), si ebbero occupazioni di terre e di fabbriche. Sul piano sociale, relativamente più colpiti sono i ceti medi, che tendono a opporsi al processo che vede la loro proletarizzazione crescente, sentendosi oppressi dall’alto dai grandi capitalisti, dai «pescecani» che si sono arricchiti con i profitti di guerra, e dal basso dalle masse operaie e contadine, che grazie alle loro organizzazioni conducono delle agitazioni che rischiano di sovvertire i tradizionali rapporti tra le classi. La crisi economica per i ceti medi è quindi anche crisi morale; ha sempre più successo la propaganda nazionalista contro il pacifismo socialista e cattolico, si afferma il mito della «vittoria mutilata», contro la classe di governo liberale definita «inetta» e «rinunciataria».
Sul piano politico, la crisi portò alla formazione del governo Nitti (giugno 1919-giugno 1920), che vide la più clamorosa delle iniziative dei nazionalisti; l’impresa di Fiume. Gabriele d’Annunzio guidò alcuni reparti di volontari all’occupazione della città di Fiume, dove proclamò un governo provvisorio, la Reggenza del Quarnaro, il 12 settembre 1919. La questione fiumana venne risolta dal successivo ministero Giolitti, che nel 1920 firmò il trattato di Rapallo con la Jugoslavia (l’Italia rinunciava alla Dalmazia e conservava l’Istria e Zara; Fiume veniva riconosciuta città libera e diverrà italiana nel 1924) e costrinse quindi d’Annunzio e i suoi legionari a sgomberare la città.

 

2. Come si configura il movimento delle classi lavoratrici nel primo dopoguerra?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Nel determinare le lotte del movimento operaio e contadino, oltre alla oggettiva situazione di crisi, agisce anche fortemente la suggestione della Rivoluzione d’Ottobre.
I contadini non vedono rispettate le promesse di riforma agraria fatte durante il conflitto; negli anni 1919-1920, il cosiddetto «biennio rosso», si assiste a un intensificarsi di occupazioni di terre, guidate sia da socialisti sia da cattolici, che portò alla decisione del governo Nitti di legalizzare le occupazioni per la durata di quattro anni, purché i contadini si costituissero in cooperative; i braccianti ottennero contratti collettivi di lavoro. Gli operai, sempre nel biennio 1919-1920, attraverso un elevato numero di ore di sciopero, ottennero notevoli miglioramenti salariali e normativi: giornata lavorativa di otto ore, contratti di lavoro collettivo, commissioni interne sindacali riconosciute dalle aziende. Il Partito Socialista però non riesce a esprimere e a coordinare in un programma unitario tutte queste azioni, diviso com’è al suo interno fra una minoranza riformista, Turati, e una maggioranza massimalista, Serrati.
La principale azione di questi anni, che segnò il punto più alto ma anche la sconfitta delle lotte del movimento operaio, fu l’occupazione delle fabbriche, avvenuta nel 1920, durante il governo Giolitti. In seguito alla rottura delle trattative in corso con il sindacato dei metalmeccanici (F.I.O.M.), l’azienda Romeo di Milano decide la serrata; gli operai rispondono con l’occupazione, che nel settembre si generalizza a quasi tutte le fabbriche del nord, dove si eleggono i «consigli» sul modello dei soviet. Giolitti, convinto della sostanziale debolezza del movimento e della poca fondatezza della volontà rivoluzionaria espressa dal PSI, rifiuta di far intervenire l’esercito e lascia che le occupazioni si esauriscano spontaneamente, offrendo aumenti salariali e vaghe promesse di «controllo» operaio sulle fabbriche.

 

3. Quali sono i caratteri del movimento cattolico?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Nel 1919 don Sturzo fondò il Partito Popolare Italiano, di ispirazione cattolica, con un forte seguito nelle campagne, sia tra i contadini, organizzati nelle «leghe bianche», sia tra i proprietari.
Punti essenziali del suo programma erano:
- decentramento amministrativo;
- affermazione dei valori cattolici nella vita pubblica;
- rifiuto della lotta di classe.
Alle elezioni del 1919, tenute con il sistema proporzionale, il Partito Popolare ebbe una grande affermazione, ottenendo 101 seggi.

 

4. Come si giunse alla formazione del Partito Comunista?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Il Partito Comunista nacque nel Congresso di Livorno del gennaio 1921 per iniziativa del gruppo di socialisti torinesi (Gramsci, Togliatti, Tasca, Terracini) legati alla rivista Ordine Nuovo e all’esperienza dei consigli di fabbrica, e di altre minoranze socialiste, quali il gruppo napoletano di Amedeo Bordiga. Il Partito Comunista prese a modello l’esperienza sovietica ed entrò a far parte della Terza Internazionale.

 

5. Perché sono importanti le elezioni del 1919?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Le elezioni del 1919 furono tenute secondo il sistema proporzionale, detto anche «a scrutinio di lista» (quello ancora oggi in vigore per le elezioni dei rappresentanti alla Camera), sistema che privilegia le formazioni di partito rispetto a quello nominale (ogni movimento o partito presenta un solo candidato per collegio e risulta vincente soltanto il candidato che ottiene più voti) che privilegia le singole personalità. Risultarono quindi avvantaggiati i «partiti di massa» di tipo moderno, quello socialista e quello popolare, a scapito di quello liberale. La nuova Camera vede la presenza di 156 socialisti, 101 popolari e 251 liberali, su 508 seggi.

 

6. Quale è la composizione sociale e il programma del primo fascismo?

POSSIBILE RISPOSTA:   
I primi Fasci di Combattimento furono fondati a Milano da Benito Mussolini il 23 marzo 1919; essi raggruppavano essenzialmente ex combattenti e studenti, esponenti dei ceti medi in crisi. Essi si dichiaravano antiborghesi, antimonarchici, anticlericali e antisocialisti, nonostante il loro programma contenesse alcune rivendicazioni di tipo socialistico, quali la giornata lavorativa di otto ore, i minimi di paga fissati per contratto, una certa forma di partecipazione operaia al controllo tecnico della produzione, una forte imposta progressiva sul capitale, il sequestro dell’85% dei profitti di guerra e dei beni delle congregazioni religiose. Però questo sinistrismo del «fascismo urbano» sì attenuò ben presto; accanto a esso prese consistenza il fascismo delle squadre, operanti soprattutto nella Bassa Padana al servizio degli agrari contro il movimento contadino socialista e cattolico. Lo squadrismo fascista fu particolarmente attivo anche nelle città dopo l’occupazione delle fabbriche, che pur sconfitta aveva lasciato molti timori nelle classi abbienti. Decisivi per l’ascesa del fascismo, divenuto partito al Congresso di Roma del 1921, furono l’appoggio dei grandi gruppi industriali e la passività, quando non la connivenza, dei poteri pubblici, sia centrali sia periferici. Le elezioni del 1921 grazie al «blocco nazionale» (alleanza tra liberali, nazionalisti e fascisti) portarono alla Camera 35 deputati fascisti.

 

7. Quale fu il carattere del primo governo Mussolini?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Dopo la «marcia su Roma» del 28 ottobre 1922, Vittorio Emanuele III affidò a Mussolini l’incarico di formare il nuovo ministero, costituito, oltre che dai fascisti, dai cosiddetti «fiancheggiatori»: nazionalisti, liberali, popolari, democratici; la Camera votò a grande maggioranza i pieni poteri al governo per un periodo di tredici mesi, Tra i primi provvedi­menti presi dal governo figura l’annullamento dei provvedimenti fiscali di Giolitti (quali, per esempio, la nominatività dei titoli azionari). Nel corso del ‘23 fu istituita la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, che assorbì le disciolte squadre d’azione; fu creato il Gran Consiglio del Fascismo, destinato a sostituire la Camera; fu varata una nuova legge elettorale maggioritaria, che assicurava i due terzi dei seggi a quella lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa con almeno il 25% dei voti. Nell’aprile ‘24 si tennero le elezioni politiche generali, in un clima di violenze, di intimidazioni e di brogli: le liste fasciste ottennero il 64,9% dei voti, corrispondenti a 374 seggi, mentre le opposizioni ebbero 109 seggi: 46 socialisti, 17 comunisti, 39 popolari, 7 repubblicani.

 

8. In che cosa consiste la «crisi Matteotti»?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Il deputato Giacomo Matteotti, leader del Partito Socialista Unitario, il partito socialista riformista staccatosi dal PSI nel 1922, denunciò alla Camera le truffe e le violenze elettorali: il 10 giugno fu rapito e assassinato dai fascisti. Questo assassinio ebbe profonde ripercussioni nel paese; il governo fascista visse un momento di crisi, che fu però presto superata, anche perché le forze di opposizione contarono soprattutto sulla protesta morale, disertando la Camera con la cosiddetta «secessione dell’Aventino» e sperando in un intervento del re. Solo i comunisti proposero di far appello alla mobilitazione di tutte le forze antifasciste del paese, ma la loro proposta non venne accolta. Il re mantenne la fiducia a Mussolini, che con il discorso del 3 gennaio 1925 diede il via alla creazione dello stato fascista.

 

9. Quali furono i principali provvedimenti che caratterizzarono il regime fascista?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Lo Stato si identificò con il partito fascista.
- Furono posti fuori legge tutti i partiti, a eccezione del Partito Nazionale Fascista;
- furono dichiarati decaduti i deputati dell’opposizione, gli «aventiniani»;
- fu soppressa la libertà di stampa;
- il Gran Consiglio del Fascismo assorbì le funzioni del Parlamento e divenne il supremo organo dello stato, pur continuando a rimanere in vigore lo Statuto Albertino;
- fu istituito il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, per giudicare i reati contro il regime;
- fu riformato il codice penale: lo sciopero divenne un reato e fu ripristinata la pena di morte per i reati contro la famiglia reale e il capo del governo;
- fu istituito il confino di polizia;
- le amministrazioni locali vennero controllate da funzionari di nomina governativa, i podestà;
- divenne obbligatoria l’iscrizione al partito fascista per i funzionari della pubblica amministrazione (1933).
Il regime fascista si caratterizza come totalitario in quanto è basato sulla preminenza dello stato rispetto agli individui, che vengono capillarmente inquadrati nelle organizzazioni del regime, attraverso cui viene ricercato un consenso di massa: le elezioni del 1929, su lista unica presentata dal Gran Consiglio del Fascismo, videro 8 milioni e mezzo di «sì» e solo 136.000 «no».

 

10. Come si configura la politica economica e sociale del fascismo?

POSSIBILE RISPOSTA:   
In un primo momento il governo di Mussolini attuò una politica di non intervento nel settore dell’economia, limitandosi a una serie di «favori» ai gruppi industriali, quali le agevolazioni fiscali e la soppressione dei sindacati.
Nel 1925 fu promossa la «battaglia del grano», che ridusse sensibilmente le importazioni dall’estero, ma ebbe l’effetto negativo di sacrificare alla cerealicoltura, soprattutto a quella tradizionale, altre colture più redditizie.
Nel 1927 venne emanata la Carta del Lavoro, che diede il via alla istituzione dello Stato Corporativo, basato su ventidue corporazioni di mestiere, che avrebbero dovuto integrare e armonizzare gli interessi dei datori di lavoro e dei lavoratori in vista del superiore interesse della nazione. Dal 1939 la Camera dei Deputati si trasformò in «Camera dei fasci e delle corporazioni», con esponenti di nomina governativa.
Gli effetti della crisi mondiale del ‘29 si fecero sentire pesantemente anche in Italia e portarono a un intervento diretto dello stato nell’economia, soprattutto attraverso un vasto programma di lavori pubblici (bonifica delle paludi pontine), la creazione dell’IMI (Istituto Mobiliare Italiano: crediti agevolati alle industrie) e dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale: salvataggio di imprese e banche in difficoltà; si formano così delle industrie di stato), il riarmo e la politica di autarchia, varata nel 1934 e tendente a rendere il paese indipendente dalle importazioni dall’estero.
Sul piano sociale il fascismo prese alcuni provvedimenti a favore delle madri e dell’infanzia, con la creazione dell’Opera Nazionale per la Maternità e l’Infanzia, nel quadro di una politica volta a favorire l’incremento demografico; fu istituita la pensione per gli operai e fissata a quaranta ore la settimana lavorativa.

 

11. Come avvenne la conciliazione tra Stato e Chiesa?

POSSIBILE RISPOSTA:   
L’11 febbraio 1929 vennero firmati i Patti Lateranensi, divisi in:
a) un Trattato, comportante il riconoscimento reciproco dei due stati, Regno d’Italia e Vaticano, e una convenzione finanziaria, per cui lo stato italiano pagò un indennizzo per gli espropri subiti dal Vaticano dopo il 1870;
b) un Concordato, regolante i rapporti fra Stato e Chiesa in materia religiosa e civile: validità anche civile del matrimonio religioso, insegnamento della dottrina cattolica in tutti gli ordini di scuole, esonero dal servizio militare per i membri del clero, riconoscimento dell’Azione Cattolica.
La Conciliazione giovò sia alla Chiesa cattolica, che si assicurò una posizione di privilegio soprattutto nel campo dell’educazione dei giovani, sia, e soprattutto, al regime fascista, che ottenne così la propria legittimazione di fronte alle masse cattoliche.

 

12. Quali furono i caratteri della politica estera del fascismo?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Si possono dividere in due fasi:
1) una prima fase, fino al 1934-35, in cui non vi sono particolari innovazioni rispetto alle linee tradizionali. Con la Jugoslavia le relazioni diplomatiche rimasero tese, a causa della questione di Fiume, annessa all’Italia nel 1924; nel 1927 vi fu un trattato di alleanza con l’Albania. L’Inghilterra vedeva sostanzialmente di buon occhio l’Italia fascista. Con la Germania si ebbe un momento di tensione quando nel 1934 Mussolini inviò due divisioni al Brennero per contrastare il progetto hitleriano di annessione dell’Austria. Nel 1935 l’Italia partecipò, con Francia e Inghilterra, alla Conferenza di Stresa, in cui furono condannate le mire espansionistiche della Germania nazista;
2) la seconda fase si apre con la guerra d’Etiopia (1935), motivata dall’esigenza di sviluppo dell’industria bellica e dalla necessità di dare uno sfogo alla popolazione eccedente, oltre che da ragioni di prestigio; il 9 maggio 1936 fu proclamato l’Impero. La guerra portò alla rottura dei buoni rapporti con l’Inghilterra, che spinse la Società delle Nazioni a votare delle sanzioni economiche contro l’Italia, e a un avvicinamento alla Germania nazista (1936: Asse Roma - Berlino, 1939 Patto d’Acciaio). Nel luglio 1936 l’Italia inviò dei soldati a fianco di Franco nella guerra civile spagnola.

 

13. Come si configurarono le opposizioni al fascismo?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Al momento della formazione e delle prime azioni del movimento fascista le reazioni del partito socialista furono incerte e confuse, data anche la crisi interna che travagliava questo partito e che si esprimerà nelle scissioni a sinistra del Partito Comunista (1921) e a destra del Partito Socialista Unitario (1922).
Al momento dell’assassinio di Matteotti (1924) i deputati dell’opposizione dichiararono la «secessione dell’Aventino», cioè l’astensione dai lavori parlamentari in seguo di protesta morale; questo gesto ebbe però scarse conseguenze e non impedì l’instaurazione del vero e proprio regime fascista a partire dal gennaio 1925.
Con l’istituzione del Tribunale Speciale venne meno ogni opposizione attiva e aperta, in quanto moltissimi antifascisti furono costretti a emigrare, inviati al confino, condannati a morte o incarcerati (Gramsci, per esempio, morì in carcere nel 1937).
L’emigrazione politica si rivolse soprattutto verso la Francia, dove nel 1927 repubblicani e socialisti (PSI e PSU) diedero vita a una Concentrazione antifascista, lacerata però da divergenze interne. A Parigi i fratelli Carlo e Nello Rosselli fondarono il movimento «Giustizia e Libertà» che operava clandestinamente anche in Italia, con un programma che voleva essere una sintesi di socialismo e liberalismo. Il Partito Comunista mantenne una struttura organizzativa duplice: la direzione a Parigi, guidata da Togliatti, e il Centro Interno, che operava clandestinamente in Italia.
Anche fra gli uomini di cultura vi furono atteggiamenti di resistenza morale, di non collaborazione; a partire dal 1925 ispiratore dell’antifascismo liberale fu Benedetto Croce, con la sua rivista La Critica.

 

14. Quali sono le principali interpretazioni del fascismo?

POSSIBILE RISPOSTA:   
Per Benedetto Croce (Storia d’Italia, 1927), e in generale per i pensatori liberali, il fascismo è il frutto di una crisi morale, di uno smarrimento delle coscienze in seguito all’esperienza della guerra e al trionfo della società di massa; è quindi una malattia, una parentesi, che dovrà essere superata recuperando i principi dello stato liberale. Questa interpretazione è stata ripresa in anni recenti dallo storico H. Kohn, che l’ha completata con il nuovo concetto di «totalitarismo», caratterizzato come regime autoritario a base di massa e riscontrabile, oltre che nell’Italia di Mussolini, nella Germania di Hitler e nella Russia di Stalin; Un altro gruppo di storici e di militanti antifascisti rintracciò le radici del fenomeno fascista nella precedente storia d’Italia:
a) Gramsci ne vede l’origine nella «rivoluzione mancata» del Risorgimento, che aveva condannato le grandi masse all’estraneità nei confronti dello stato, e nella crisi della piccola borghesia che già dalla fine dell’Ottocento si era sentita schiacciata dal grande capitale; Gobetti e Carlo Rosselli riconducono all’assenza della Riforma e delle lotte di religione la mancanza della formazione in Italia di una mentalità liberale e democratica e la diffusione di un abito «servile e cortigianesco»;
b) l’interpretazione degli storici marxisti e della Terza Internazionale pone l’equazione capitalismo
= fascismo; il fascismo è la forma specifica assunta dalla reazione antiproletaria del capitalismo;
c) lo storico Chabod (L’Italia contemporanea) avanza una delle più complete spiegazioni sull’origine del fascismo, ricondotto essenzialmente alla crisi dei ceti medi, su cui si inserirono poi agrari e industriali in funzione antiproletaria;
d) la più recente interpretazione, quella dello storico Renzo de Felice, vede nel fascismo non una forma di capitalismo imperialistico, ma una «terza forza» tra capitalismo e socialismo: «Il fascismo fu il tentativo del ceto medio, della piccola borghesia ascendente, non in crisi, di porsi come classe, come nuova forza». Questo proposito fu però tradito dal «fascismo-regime» che attuò un compromesso con la classe dirigente tradizionale.

 

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