Fianchi cinti, sandali ai
piedi e bastone in mano - Pasqua 2008
Carissimi,
quello che vi
propongo come augurio di pasqua vorrei dirlo con le parole del prossimo
Patriarca di Gerusalemme, Mons.Twal
in occasione della veglia di preghiera del I marzo a Betlemme dove alcune
decine di italiani di “un ponte per Betlemme” hanno pregato insieme alla chiesa
locale riunita.
“Questo che stiamo vivendo oggi a Betlemme è un
evento storico. A nome di tutto il Patriarcato Latino
ringrazio tutti voi per la vostra presenza, il vostro prendervi a cuore la nostra
situazione drammatica e il vostro senso di appartenenza a questa Terra in cui
davvero “tutti siamo nati”. Da qui è partita la fede cristiana e qui siete
tornati a trovare i vostri fratelli che soffrono, che sperano che aspettano la
vostra presenza per significare la comunione tra noi, per dirci che non siamo
abbandonati, non siamo dimenticati, non siamo lasciati soli.
Ringraziamo di cuore la vostra presenza e
ringraziamo di cuore le vostre preghiere. Speriamo che torniate alle vostre case arricchiti di comunione fraterna,
arricchiti della conoscenza della vera situazione reale che noi viviamo ogni
giorno, arricchiti per poter dire ai vostri amici, al mondo, alla comunità
internazionale quale è la reale situazione che stiamo vivendo.
Questa situazione drammatica che viviamo ci
rimanda direttamente al Vangelo, ci invita a prendere sul serio il Vangelo: “chi vuole seguirmi porti la sua croce e mi segua!”. Ormai la
croce è il nostro pane quotidiano, non possiamo più prescindere dalla croce. A
voi amici venuti da lontano, a noi che viviamo in questa terra io dico: Oggi
non è più possibile rimanere in questa Terra santa, non è più possibile amare e lavorare in Terra santa senza la croce. Ma
prima di noi, prima di voi, Cristo ha camminato e sofferto su queste stesse
strade. Prima di noi, prima di voi, è caduto e si è rialzato.
E' lui che ci invita oggi a non rimanere caduti
a terra ma a rialzarci sempre e a riprendere coraggio, speranza, fede, pace!
Ringraziamo a tutti quelli che ci danno un
aiuto. Vi siamo riconoscenti dei vostri aiuti concreti che ci aiutano a non
morire, a sopravvivere, ma più che questi aiuti, noi vogliamo la pace, vogliamo
dei piani politici concreti che la comunità internazionale fino ad ora non ha
voluto sostenere.
E diciamo: basta con la violenza, basta con gli
attacchi, basta con i morti. Siamo stanchi di vivere così. Siamo stanchi di
questa politica che ci dice come gestire il conflitto, come vivere il
conflitto, ma senza risolvere il conflitto!
Ricordiamoci che prima di noi Cristo è caduto,
prima di noi si è rialzato e ha camminato fino alla fine, fino alla
Resurrezione.
Prendiamo sul serio le sue parole
quando ha detto “Non abbiate paura” e noi non abbiamo paura. Prendiamo
sul serio le sue parole quando ha detto: “Vi do la mia
pace” , la sua pace che non è quella dei politici, che non è quella dei
bugiardi, che non è quella dei militari, che non è quella dell’occupazione, che
non è quella dei congressi...la sua pace è intima, è una serenità, è una fede,
è una fiducia nell’avvenire, è una fiducia nell’uomo, in noi e noi speriamo e
aspettiamo questa sua pace che venga a noi. Noi che siamo sotto la croce, noi
che siamo dietro i muri, noi abbiamo il coraggio di augurare questa pace a
tutto il mondo, noi che siamo in ginocchio abbiamo il coraggio di annunciare la
pace a tutto il mondo, auguriamo pace da questa terra, la terra della Pace.
Gerusalemme, città della Pace, Gerusalemme che non riusciamo a capire:
Gerusalemme, città martoriata, città santa. Città che tutti amano, città che
unisce tutti i credenti e città che divide tutti i credenti. Tutti la amano e
per questo amore si uccidono.
Gerusalemme ci chiama, vuole più pace, più
giustizia, più amore fraterno…
Grazie a tutti voi che siete venuti a Betlemme,
vi ringraziamo di cuore che il Signore vi ricompensi! Portate a tutti il messaggio di speranza che annuncia per anche per
noi, che viviamo la nostra lunga quaresima, arriverà presto la Pasqua di resurrezione e
avremo la pace, pace per tutti.” Mons.Twal
Questa era la cosa che mi premeva di più, ma visto che ci sono vorrei comunicare il mio
trasferimento di città e lavoro. Sono fresco assunto a Milano presso una
società di consulenza, una decisione sofferta ma necessaria. Ho lasciato
persone per me importati ma per un momento che spero
sia breve. Abito nei paraggi di quella grande città: in particolare in viaGinestrino, 53 ColognoMonzese (MI), è
sottinteso che chiunque di voi voglia passare a trovarmi o restare per qualche
tempo è il benvenuto!
In questi giorni mi è capitato di
ascoltare e riflettere su questa parola: “Ecco in qual modo lo mangerete: con i
fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la
pasqua del Signore!” (Es 12,11) Sono le istruzioni di
Dio agli Israeliti alla vigilia della loro liberazione. Ma denota una idea di non stanzialità, di
provvisorietà, di prontezza alle vicende che ci accadono. Chissà anche una
prontezza nel rivedere le nostre convinzioni, le cose che prima ci sembravano
immutabili e certe. Tuttavia voglio essere discreto e non dilungarmi troppo,
oltre agli auguri sinceri di una pasqua di resurrezione voglio sottolineare una
parola di verità. Marty
Dagli italiani di Un Ponte per Betlemme,
pellegrini di giustizia
Abbiamo lasciato venerdì 7 marzo Gerusalemme
coperta dall’ombra lunghissima dell’attentato, e nei giorni precedenti Betlemme
e altre città dei Territori Occupati con qualche scontro e in sciopero generale
per le persone uccise a Gaza (in 6 giorni a Gaza sono state uccise 111 persone,
di cui più del 50% erano civili, e 25 di questi erano bambini).
Due tagli di luce in quest’ombra, due
manifestazioni di solidarietà: la prima è quella a cui
abbiamo partecipato il primo marzo a Betlemme, per l’anniversario dell’inizio
della costruzione del muro che circonda la città (1 marzo 2004). Una via crucis
presieduta del vescovo FuadTwal,
con oltre mille persone che hanno camminato tra i cortili, le strade, persino i
corridoi di un ospedale.
La seconda manifestazione è stata a Tel Aviv.
Domenica 2 marzo ci siamo messi a fianco delle associazioni per la pace
israeliane Gush Shalom e PeaceNow, di fronte al Ministero della difesa, per
protestare contro le violenze e i morti di Gaza.
Mettersi a fianco, vedere, condividere, per
poter dire la verità, tenendo il più possibile presente una visione a 360 gradi
di questo conflitto: questo era un po’ il senso del
nostro viaggio, che ci è stato chiarito e confermato da più persone incontrate
là. Dire la verità come unico modo per voler bene sia agli israeliani che ai
palestinesi, come ci è stato ricordato dal patriarca latino di Gerusalemme MichelSabbah. “Grazie per essere
venuti, siete un segno concreto di pace: Israele pensa che tutti gli altri
stati gli siano nemici, i palestinesi pensano che tutti gli stati siano per
Israele. La vostra presenza testimonia che non è così”.
Dire la verità significa tante cose.
Significa dire che i palestinesi che abitano a
Betlemme (città sotto l’Autorità palestinese e a solo mezz’ora da Gerusalemme)
per poter andare a lavorare a Gerusalemme, in Israele, si svegliano ogni
mattina intorno alle 3, per poter passare il checkpoint che apre solo quando fa
giorno. Li abbiamo visti correre per poter occupare i primi posti della lunga
fila, alcuni scavalcare le grate, stare in fila con lo
sguardo a terra, pieni di vergogna, spogliarsi per passare i controlli,
attenti a obbedire ai comandi urlati in ebraico (lingua che non conoscono) da
un microfono, da un soldato di neanche 18 anni. Li abbiamo visti arrivare
dall’altra parte del checkpoint
(un vero e proprio terminal) con in mano il loro
sacchetto del pane, colazione o pranzo, e passare accanto alle donne di MachsomWatch, donne israeliane
che stanno ore e ore ai checkpoint
monitorando le violazioni dei diritti. La nostra guida a Gerusalemme, un
palestinese di Betlemme, non ci ha voluto dire a che ora si era svegliato la
mattina: una vergogna non ammessa, nascosta sotto gli occhiali da sole.
Dire la verità è dire che sì, è vero, come tutti
ci ricordano, dopo la costruzione del muro (alto 9 metri) sono drasticamente
diminuiti gli attacchi kamikaze in Israele, ma dall’altra parte cresce una
violenza che aspetta di esplodere. Basta guardare i disegni dei bambini
palestinesi che abbiamo incontrato: sono pieni di blocchi di muro, filo spinato
e soldati. Il muro dalla parte israeliana si presenta in modo ben diverso:
assume spesso l’aspetto di un terrapieno coperto di erba verde. Così l’abbiamo
fotografato da un’autostrada, intravedendo dietro le città di Tulkarem e Qalqilya. Un altro
segno di vergogna da non ammettere.
La verità è un dato: gli Stati Uniti forniscono
ogni anno a Israele 3 miliardi di dollari, e con la metà di questi soldi
Israele deve comprare armi dagli Stati Uniti.
È la verità un rapporto di B’tselem
(organizzazione che vuole essere rappresentativa della società civile
israeliana), che tra gennaio e febbraio 2008, quindi prima dell’attentato alla
scuola religiosa di Gerusalemme, ha calcolato ci sono state 149 persone uccise,
di cui 146 palestinesi e 3 ebrei.
Dire la verità è leggere tutti i segni di
speranza e gioia che attraversano questa terra: la musica suonata dai bambini di AlKamandjati (scuola di musica
per bambini dei campi profughi fondata da RamziAburedwan, che da piccolo, durante la prima Intifada, era uno di loro); la risata di padre Raed, di Taybeh, che scherza in
continuazione e spiega “lo faccio perché qui se non ridessimo moriremmo tutti
di depressione. Ridere almeno si può”. Il movimento delle
organizzazioni pacifiste israeliane, fatto in larga parte di giovani (perché
“gli adulti da noi sono ormai troppo cinici”); le comunità e i parroci
cristiani che – testimoni di speranza – condividono tutto delle persone tra cui
vivono; i villaggi palestinesi che hanno scelto una forma di resistenza non
violenta all’occupazione militare che dura da 40 anni; i tessuti ricamati delle
donne palestinesi, strumenti di memoria collettiva.
Ecco la verità che il primo marzo 2008 è
diventata una folla incalcolabile di gente che ha manifestato riempiendo le
strade di Betlemme per dire no al muro della menzogna che sta distruggendo la palestina. Giulia Ceccutti