LA SOCIETA’ DELLA MOLTITUDINE

Relazione di Aldo Bonomi al Congresso del Movimento dei Cittadini

Marina di Romea, 11/09/99

APOCALISSE CULTURALE

La mia professione è quella del ricercatore sociale, avendo fondamentalmente due o tre punti di osservazione: dirigo un istituto, che sta a Milano e si chiama AASTER; sono consulente di De Rita al CNEL per tutto ciò che riguarda i problemi del territorio, delle dinamiche territoriali; faccio parte del gruppo di Lisbona, un gruppo di intellettuali della parte Nord del mondo che si occupa dei problemi della competitività e della globalizzazione, in rapporto con i meccanismi del sud del mondo. Vediamo come questi tre punti di osservazione, questo mio andar per il mondo, può incrociarsi con quello che è il vostro essere un ibrido tra movimento di volontariato e movimento di cittadini. Credo che la prima questione sulla quale ci dovremmo confrontare riguardi i temi che caratterizzano la modernità che avanza, cioè i grossi temi sui quali vale la pena di fare una riflessione per capire i mutamenti della società, la crisi della politica e il ruolo di soggetti come il vostro. Ritengo che la prima categoria sulla quale lavorare sia quella dell’ "apocalisse culturale", che ho preso in prestito da Ernesto De Martino, il quale utilizzava questa categoria applicandola, nei primi del Novecento, alla transizione dal mondo agricolo al capitalismo urbano industriale. Basta considerare che cosa ha significato allora la "deportazione" di migliaia di persone da un luogo all’altro, dalla campagna alla città. Per quella moltitudine di soggetti, non c’è dubbio, cambiarono tante cose. La prima, la dico in modo elementare, riguarda il modo in cui i soggetti sociali erano abituati a lavorare con una dimensione del tempo scandita dal sorgere e dal calare del sole e di come essi, banalmente, abbiano dovuto impattare con i tempi dell’orologio e della sirena della fabbrica. Erano soggetti abituati a sviluppare la propria socialità dentro una cosa chiamata "famiglia patriarcale", famiglia patriarcale in cui figure come le vostre non erano affatto necessarie, nel senso che non occorrevano volontari, perché la famiglia patriarcale aveva al suo interno, ad esempio, le badanti che si occupavano degli ammalati o degli infanti. La figura della balia, figura ormai persa nella modernizzazione, è una figura che nelle vallate alpine e nella dimensione agricole era classica. Non c’era bisogno del welfare state, non c’era bisogno dello stato sociale, non c’era ancora lo stato sociale. Le forme di solidarietà erano forme che stavano dentro la comunità allargata rappresentata dalla famiglia patriarcale. Pensate che cosa ha significato il passaggio dalla famiglia patriarcale alla famiglia mononucleare, alla famiglia moderna. L’apocalisse culturale attuale riguarda il passaggio dalla famiglia mononucleare alla dimensione del singolo. Pensate che cosa ha significato dal punto di vista dei riti e dei miti, che scandivano la vita quotidiana. Queste esemplificazioni mi servono per dirvi che, a mio giudizio, la transizione dal fordismo al postfordismo – do per scontanto che questo gergo sia entrato nel vostro codice culturale - produce lo stesso spaesamento, la stessa apocalisse culturale.

TRA IL NON PIU’ E IL NON ANCORA

Questo fenomeno ha a che fare con il depotenziamento degli spazi occupati dello stato-nazione e con l’apparire dello spazio globale, con tutto ciò che questo significa: si depotenzia il locale ed appare il globale. Credo - e ci terrei che al termine della mia conversazione rimanessero fissate alcune categorie – che in primo luogo dobbiamo capire che il tempo moderno è caratterizzato da un meccanismo di sospensione, di incertezza. I soggetti sociali con cui noi entriamo in relazione sono soggetti che stanno abbandonando una serie di cose che non ci sono più, ma nello stesso tempo non sono ancora educati a ciò che viene avanti e che non c’è ancora. Per dirla con la terminologia di un filosofo-teologo tedesco Ernest Bloch, siamo presi "tra il non più e il non ancora". Facciamo degli esempi pratici, così ci capiamo. Non ci sono più i modelli socio-politici che hanno caratterizzato il secolo nel Novecento. Il comunismo dicono che non c’è più. Il nazismo, il fascismo non ci sono più. La stessa democrazia non c’è più nei termini in cui noi l’abbiamo conosciuta. Se qualcuno avesse delle difficoltà a pensarci, pensi a Timor e pensi al Kossovo e si rende conto che il meccanismo è diverso, non sono più le democrazie degli stati-nazione che risolvono i problemi, è una santa alleanza tra il G 7, i paesi più industrializzati che intervengono. Non ci sono più i modelli sociopolitici che hanno caratterizzato il secolo. Nello stesso tempo non c’è ancora la forma della politica che viene avanti, perché l’ONU è in crisi. Si discute molto dell’Europa, si discute molto dell’ONU, si discute dei grandi spazi regionali, ma queste cose non hanno ancora prodotto forme compiute di modelli politici e istituzionali. Se a qualcuno questo ragionamento sembra troppo complesso, allora consolatevi pensando che sono scomparsi i partiti di massa dentro i quali voi eravate abituati a scegliere e a votare: Democrazia cristiana, Partito comunista, Partito socialista... Ci sono ancora questi partiti? No. C’è un riciclaggio o una sopravvivenza, ma quella forma partito non c’è più. Sempre per rimanere in Italia, non esiste più una composizione sociale leggibile solo attraverso le due grandi categorie di classe o di popolo. Queste erano le due categorie attraverso le quali si leggevano i comportamenti, il popolo italiano, la dimensione popolare, la dimensione di classe, chi sta sopra e chi sta sotto, i benestanti e i proletari. Era sufficiente, credo fino a 15 anni fa chiedere ad uno "dimmi che lavoro fai e ti dirò chi sei". Non solo, ma potevate andare avanti, senza essere necessariamente raffinati sociologi: se uno vi diceva che lavoro faceva, gli dicevate tendenzialmente dove viveva, in quale tipo di quartiere di una determinata città, e potevate arrivare anche per estensione, a interpretare come votava. Oggi non è più così, una domanda di questo genere non basta, anzi la domanda è molto più complicata. Oggi dovete chiedere a un soggetto: "dimmi quale è la tua Weltanschauung, dimmi quale è la tua concezione del mondo, dimmi quale è il tuo sentire, e in base a questo forse riesco a collocarti". In una società in cui sono esplosi quelli che erano i meccanismi di appartenenza, non c’è più l’opposizione tra fede e sapere, tra rivelazione e ragione. Voi potete essere credenti, ma non potete negare che questa è una società, dal punto di vista dell’egemonia culturale, completamente secolarizzata. Tanto è vero che chi di voi è credente, spero che abbia l’intelligenza di percepirsi come uno che appartiene a un cristianesimo di minoranza, non più a un cristianesimo di maggioranza. Il cristianesimo di maggioranza non esiste più, sono parole del Card. Martini. Anche se formalmente questo è un paese cattolico, è un paese profondamente secolarizzato nei riti, nei miti, nei comportamenti, nei consumi e negli stili di vita, nei modelli di riferimento. Non c’è più questa opposizione tra il meccanismo del sapere e il meccanismo della rivelazione. La nostra è una società egemonizzata dal mito della tecnica. E’ la tecnica che ha vinto. Se dovessi dire chi è stato il protagonista del Novecento, senza scomodare né Heidegger, né Severino, né Galimberti, è comunque la tecnica. Questa è una società ad alta densità tecnologica non solo dal punto di vista solo delle pratiche, ma anche da quello culturale.

FINE DEI FINI E MITO DEI MEZZI

Questa società è caratterizzata fondamentalmente dalla fine dei fini e dal mito dei mezzi. Cerco di spiegarmi. Nel "non-più" il meccanismo era completamente rovesciato. Quando faccio questi ragionamenti ho in mente mio padre e mia madre. Mio padre e mia madre sono vissuti in una società con mezzi scarsi ma con fini certi, per lo meno con un fine, quello di raggiungere il benessere. Questo l’abbiamo ottenuto tutti, la crescita avvenuta nella società italiana dal ’45 al ’70 è un fenomeno che svela questo discorso, uno poteva pensare che sarebbe venuto il sol dell’avvenire, o che ci sarebbe stato l’al di là radioso, però almeno il fine del raggiungimento del benessere ce l’aveva. E il tutto avveniva con mezzi scarsi. Oggi questa sequenza si è completamente rovesciata, oggi operiamo in una società con mezzi abbondantissimi e con fini totalmente incerti.

Siamo passati da una società caratterizzata dall’abbondanza dei fini e dalla scarsità dei mezzi,

ad una società di mezzi abbondanti e di fini scarsi. In questo senso, a differenza di questa retorica dell’esaltazione del volontariato, dell’associazionismo, vi vedo male perché voi siete la testimonianza vivente di ciò che non c’è più. Che cosa intendo dire? Se in una società – e qui è la prima provocazione che vi faccio - il processo di produzione di socialità, di relazione fra i soggetti, di solidarietà è relegato in alcuni micromovimenti, è una società in cui c’è qualcosa che non funziona, perché significa che la gran parte della società ha altre cose da fare. Questa è la prima cosa elementare. L’altra parte della società dice "ma chi se ne frega, se ne occupa il volontariato". La cosa più aberrante successa durante la guerra del Kossovo è che noi sganciavamo le bombe e ogni sera la televisione ci ricordava che il popolo italiano, con la missione Arcobaleno, era "buona". Una cosa incredibile, una rappresentazione indegna: l’esercizio del massimo di violenza abbinata al massimo di retorica.

NON PIU’ SCARSITA’-EGUAGLIANZA MA ABBONDANZA-SELEZIONE

Credo che si debba mutare quella che era la categoria di analisi della società italiana e della società nel suo complesso, basata su due concetti molto semplici, scarsità-eguaglianza: alla scarsità dei mezzi si aggiungeva un meccanismo di l’uguaglianza distributiva dei mezzi scarsi, il welfare. Il vero problema è che oggi la dicotomia non è più tra scarsità e eguaglianza, ma è tra abbondanza e selezione. Dal punto di vista delle opportunità, questa è una società abbondantissima. Basta che uno accenda una televisione e le opportunità informative sono molteplici, basta che uno navighi su Internet, basta che uno veda i consumi, è una società abbondantissima. Il vero problema è che aumentano le opportunità, ma aumentano i meccanismi selettivi per accedere a queste opportunità.

La società precedente, la società del "non più" era una società che certamente selezionava, però esistevano due strumenti per cambiare, o si prendeva l’ascensore o si produceva il conflitto. Cerco di spiegarmi. L’ascensore era il welfare. L’ascensore è quel meccanismo per cui fino al 1980, tutti i figli – ci sono proprio dei trend – hanno fatto professioni migliori di quelle dei padri. Il trend comincia ad invertirsi negli anni ’90: sono sempre più i figli a fare lavori più dequalificati di quelli che facevano i padri. Oggi incominciano ad esserci sempre più genitori laureati o liberi professionisti che hanno i figli che fanno i pony express, in un ciclo di precariato continuato. Allora però, quando le cose non andavano bene, in una visione riformista, si prendeva l’ascensore e tu partivi dall’ultimo piano e non dico che arrivavi al decimo, ma al quinto ci arrivavi. Il welfare, l’ascensore, era fatto di pensioni, servizi sociali, sanità. Se a uno non gli andava bene e voleva arrivare subito al decimo piano sviluppava il conflitto, è chiaro, però c’era un meccanismo di questo genere, un meccanismo da società verticale. La società di oggi è una società orizzontale; apparentemente meno selettiva di quella precedente, meno di classe - usiamo pure questo termine – e invece va guardata bene. Il vero meccanismo che sta alla base della società di oggi è il meccanismo "in" o "out", dentro o fuori. Tutti cercano di convergere al centro, non al centro politico, ma al centro del benessere, come dice un sociologo francese "tanti sono quelli che corrono, pochissimi sono quelli che arrivano, la maggior parte muore d’infarto lungo la corsa". Inoltre alcune questioni emblematiche, come il fenomeno delle migrazioni, sono cambiate. Le migrazioni precedenti erano migrazioni meno traumatiche. Partiamo dalla nostra migrazione interna, da Sud a Nord, quelli che sono andati a lavorare alla Fiat. Oggi come oggi, più o meno, sono tutti integrati a Torino. Le migrazioni di oggi sono ben più laceranti. I sentimenti che stanno dentro la società di oggi sono fondamentalmente due: di disperazione, rimpianto e nostalgia (guardate che si può avere nostalgia in tanti modi: si può avere nostalgia essendo di Rifondazione comunista, si può avere nostalgia rimpiangendo il welfare, si può avere nostalgia rimpiangendo tempi in cui c’era molto più ordine). Comunque c’è un grande sentimento di nostalgia di fronte a questa transizione, come c’è anche un sentimento di accettazione acritica di quello che viene avanti, senza voler incidere nel suo divenire. Insomma per capirci, questa è una società che ha molto chiara la forma del presente, ha smarrito la memoria e non si pone il problema di una dimensione di futuro, come se tutto ormai sia un deja vu, tant’è vero che dal punto di vista filosofico c’è qualcuno che parla di fine della storia. Oppure abbiamo un sentire come la new age. Ne avrete sentito parlare, la new age significa essenzialmente mettere assieme in una paccottiglia informe un po’ di religione ( e li si prende un po’ di buddismo, un po’ di cattolicesimo…), un po’ di cultura del corpo, un po’ di ambiente, un po’ delle culture dominanti, l’ambientalismo ecc., si mette tutto assieme, in una paccottiglia informe in cui ognuno "a la carte" va e prende quello che gli aggrada e poi lo mette via. Adesso io non voglio sembrare un nostalgico dei pensieri forti o del pensiero forte, però non c’è dubbio che anche questa accettazione acritica totale del pensiero debole, da questo punto di vista, certo è una caratteristica del moderno che viene avanti.

Allora, se queste sono alcune caratteristiche della società di oggi non certamente positive, che consiglio ho io da darvi? Chi non vuole fermarsi al tempo presente e vuole comunque lavorare, credo che debba scavare nel "non ancora". Se ci si ferma alla nostalgia si può solo fare testimonianza, ma è una testimonianza che certamente non serve a trasformare i processi. E allora - e qui mi riallaccio alla tematica che avete trattato l’anno scorso con Rullani - oltre al sentire, andiamo a vedere quali sono le materialità dei processi, che macinano i soggetti.

 

LAVORO, FABBRICA E TERRITORIO, APPARTENENZA, TECNICA

Credo che siano quattro le parole chiave su cui bisogna lavorare. La prima è il "lavoro", la seconda è la "fabbrica", la terza l’"appartenenza", la quarta la "tecnica", cui ho già accennato.

Prima caratteristica dell’apocalisse culturale è il cambiamento della forma del lavoro. La forma del lavoro è cambiata soprattutto in un punto nodale: se nel Novecento eravamo abituati a lavorare tutti assieme in forma collettiva, nella fabbrica o nell’ente pubblico, tutto era collettivo, oggi la forma del lavoro è individuale. Siamo passati dalla forma culturale egemone del lavoro salariato e normato alla forma del lavoro autonomo e del lavoro individuale. Non si capiscono alcune fenomenologie della politica, ad esempio, se non si capisce questo. Non c’è dubbio che oggi le forme produttive producono sempre meno lavoro organizzato in forma salariata classica. Il famoso dibattito sulla flessibilità, sulla deregulation, sulla non-normazione, sull’essere tutti imprenditori è una follia collettiva che ha preso tutti e nessuno. Non penso che i soggetti siano stupidi. Se a un certo punto uno stupido diventa leader vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Se il più votato dagli italiani è il cavalier Berlusconi, alcune perplessità ce le ho, ma con questo non risolvo il problema, me lo spiego in una maniera un po’ più sofisticata della semplice constatazione per cui il cavalier Berlusconi vince perché ha le televisioni e noi siamo tutti rincretiniti. Non è così, la cosa è un po’ più complessa, perché il suo messaggio è consequenziale ai cambiamenti. Il suo messaggio è:"fate tutti come me, io sono imprenditore di me stesso, ce l’ho fatta, provate a farcela anche voi, siccome siete anche voi tutti imprenditori…". Il meccanismo identificativo è questo. E siccome ci sono migliaia di soggetti che sono al lavoro in forma individuale, facendo i commercianti, gli artigiani, i piccoli imprenditori, i professionisti ecc., si identificano in questi meccanismi. Adesso io ho banalizzato, ma è questo il concetto che sta dentro il grande cambiamento. Non è un problema spiegabile semplicemente col fatto che la televisione ha una forza da leone e quindi ti risolve il problema. C’è una composizione sociale in transizione che va in questa direzione. Guardate che questo meccanismo è il primo meccanismo responsabile della desolidarizzazione. Perché? E’ molto semplice. Prima si era abituati a lavorare tutti nello stesso modo, schematizzando, e tutti nello stesso posto ed era normale che scattassero meccanismi di identificazione tra i soggetti

Se oggi siamo al lavoro tutti in forma completamente diversa e in una dimensione territoriale completamente aperta e non più chiusa, è chiaro che i meccanismi sono completamente diversi. Per lo meno scatta un meccanismo per cui prima c’era una società solidale e ora c’è una società competitiva in cui tutti quanti competono con qualcun altro. Non siamo una società dei conflitti, ma della competizione. Ad esempio, i vecchi e gli anziani per la pensione, anche qui un bel problema, perché da una parte vi si dice "il vecchio deve rinunciare alla pensione per il lavoro dei figli", però poi il lavoro dei figli non è più come quello del vecchio, non è più così garantito, e allora non si capisce bene. Nello stesso tempo si dice "bisogna tutelare i vecchi, perché hanno accumulato", ma nello stesso tempo i giovani non hanno le garanzie dentro le loro forme dei lavori, i meccanismi ormai sono esplosi. Il secondo punto riguarda il rapporto tra fabbrica e territorio. I luoghi di produzione oggi non sono più le fabbriche, esse hanno ridotto la loro dimensione e si sono estese proliferando sul territorio: i distretti, le piccole e medie imprese, le reti produttive sul territorio. I luoghi della produzione non sono più le fabbriche, ma il territorio nel suo complesso. Attenzione, si tratta di un cambiamento epocale, mentre prima esisteva una distinzione tra luogo di lavoro e luogo di vita, (io vado a lavorare, poi ritorno nel mio quartiere e nel mio quartiere divento cittadino, mi dedico alla socialità) e la distinzione tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro era nettissima, oggi non è più così, tempo di lavoro e tempo di non lavoro coincidono. Lo dimostra il fatto che mi trovo comunque a lavorare il sabato pomeriggio. Questa è socialità, ma nello stesso tempo, è lavoro, visto che mi avete invitato per le competenze professionali. E voi che cosa state facendo se non formarvi per la vostra professionalità di volontari? Vedete che la distinzione tra tempo di lavoro e tempo di non lavoro non è più così netta. Si continua tutti ad essere perennemente attivi, bisogna continuamente aggiornarsi, chiunque vi dice " i ragazzi si dovranno abituare a cambiare lavoro dieci volte, a cambiare ogni volta impostazione, la formazione continua". Questi sono processi che insistono su fabbriche territoriali, dove tempo di vita e tempo di non lavoro tendono a coincidere, e anche i luoghi tendono a coincidere. Non esiste più il quartiere e la fabbrica. Ormai quante sono le attività terziarie e produttive che vi sono entrate nei quartieri? Tantissime, non riuscite più a fare una distinzione netta. Una volta, quando si costruiva il piano urbanistico, si diceva "Qui ci stanno le funzioni lavorative, qui ci stanno le funzioni per il welfare e per la socialità". Non è più così, ci sono città emblematiche da questo punto di vista: Milano, Torino, ecc.

Terzo punto: le appartenenze. Le appartenenze erano tipiche del "non più", nel "non ancora" vengono avanti le identità. Anche questo mutamento è molto semplice, prima si stava tutti assieme, nello stesso luogo, a far lo stesso lavoro e si sviluppavano meccanismi di solidarietà e di appartenenza. Allora era molto semplice: se uno era di cultura cattolica tendenzialmente si poteva anche dire che l’appartenenza sindacale era la Cisl, l’appartenenza politica era la Dc, al massimo socialista e a volte, proprio se uno era cattocomunista, allora partito comunista per provocazione. Se uno era di formazione socialista o laica, c’era la Cgil. Era tutto ordinato da questo punto di vista. Adesso le appartenenze sono depotenziate, non solo perché c’è stata la crisi delle ideologie, è caduto il comunismo ecc. , ma perché non ci sono più i luoghi in cui le appartenenze si consolidano. Tant’è vero che vengono avanti le identità. In questo senso parliamo di due identità con cui abbiamo dovuto fare di conto: l’identità di genere e l’identità di territorio. Anche qui una provocazione. La sinistra ad esempio ha sempre ragionato così: quando vedevano venir avanti l’identità di genere dicevano "ah! che bello, che bello, le donne sono arrivate…":Benissimo, tutti sono completamente d’accordo su questo. Ad un certo punto sono venute avanti le identità di territorio e le identità di territorio sono, per capirci, la Lega da una parte e i bosniaci e i kossovari dall’altra, il sangue, il suolo ecc... Le donne hanno detto una verità elementare "prima considero la mia differenza, il mio genere, e poi dialogo con te, che sei di un altro genere". E’ stata una grande rivoluzione, ma attenzione quello che è venuto avanti, nel rafforzamento delle identità, è il cercarsi per sottrazione, la donna ha cercato di capire dove era la sua differenza rispetto all’altro. E lo stesso meccanismo sta avvenendo su altre dinamiche, quelle del territorio. Si tratta di una fase in cui verranno avanti le identità. Ultimo punto, la tecnica, il grande cambiamento dato dal passaggio da natura fabbricata a natura simulata. La tecnologia del ‘900, la tecnologia fordista, per dirla con Rullani, era una tecnologia che permetteva di fabbricare la merce, la catena di montaggio era un nastro trasportatore, attraverso il quale, aggiungendo funzioni umane meccaniche, si arrivava al prodotto finito, la natura fabbricata. Oggi la tecnica non rimanda più alla natura fabbricata, ma rimanda alla natura simulata. Voi sapete benissimo che, prima di produrre una merce, la si progetta al computer, la si simula. I veri investimenti vengono fatti in ricerca e sviluppo per simulare un oggetto, non per produrlo. Anche la realtà virtuale o il navigare su Internet è un meccanismo per cui si comunica a prescindere dal corpo.

Se vogliamo chiudere questi quattro punti, credo che la caratteristica di cui tenere conto è che la società moderna è un misto, un mix di attualità dell’inattualità – anche questa è una terminologia di Bloch - cioè attualità di ciò che sembrava totalmente superato. La modernità è caratterizzata da un mix tra preistoria e ipermodernità. Cerco di spiegarmi, dicendovi che la società moderna è caratterizzata da un massimo di innovazione e da un massimo di mediocrità. Anche qui vi faccio un esempio, la guerra per e nel Kossovo, era una rappresentazione emblematica di che cosa è oggi l’ipermodernità. Avevate il massimo di innovazione e di potenza tecnologica in alto, e il massimo di preistoria in basso, perché in basso si scannavano in nome del sangue e del suolo. In basso era come se lo stato nazione non fosse mai esistito. Lo stato è il contenitore che ha sussunto la nazione, facendolo diventare una categoria statale. C’è stato questo grande contenitore dello stato nazione. Poi ci sono state le guerre tra gli stati nazione: tedeschi contro i francesi, tedeschi contro gli inglesi. Non era più il razzismo, erano guerre tra gli stati-nazione. Nel Kossovo siamo tornati al pre-stato nazione, alla guerra delle razze. Massimo di mediocrità, massimo di innovazione e di tecnologia in cielo, in mezzo niente.

IL BARATTO, IL LAVORO SERVILE, LA SERVITU’ DELLA GLEBA, LE CORPORAZIONI DI MESTIERE, IL LAVORO SALARIATO

Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, vi farò alcuni esempi che riguardano il lavoro, alcuni riguardano anche il lavoro che fate voi, non come privati cittadini, ma come volontari. Credo, ad esempio, che se si analizzano le forme dei lavori vedo riapparire tutte le forme dei lavori storicamente dati. La prima forma di lavoro è stato il baratto. L’uomo agricolo e l’uomo cacciatore: "io do un rapanello a te e tu dai una lepre a me". Io trovo che il baratto sta riapparendo in forma esponenziale. Non c’è comune di sinistra che non si sia dotato della ‘banca del tempo’, tutti "facciamo la banca del tempo", poi tu dici "che si fa nella banca del tempo?" Nella banca del tempo si fa il baratto di ciò che non c’è più, i servizi e le prestazioni("io vengo da te a tenere i figli la tal sera e tu mi vieni a occuparti del mio giardino"). Faccio un altro esempio estremo: un’altra forma dove compare il baratto sono quei luoghi, che noi leggiamo solo attraverso gli occhiali dell’ideologia e della politica, rappresentati dai centri sociali. Se uno ci ragiona, nei centri sociali ci stanno giovani che fanno ‘prosumerismo’, cioè lavorano e consumano la musica ecc. Tu vai lì e gli dici "ma voi che cosa fate lì?", vi rendete conto che loro non fanno altro che scambiarsi gratuitamente dei servizi per produrre socialità. Probabilmente socialità che non hanno più in famiglia, nella società ecc. Anche lì è il baratto, non è la forma classica di lavoro. Ma il baratto riguarda anche forme più sofisticate, riguarda anche le professioni avanzate, come i consulenti. Io e Rullani, tanto per fare un esempio, visto ci conoscete tutti e due, cooperiamo, ci scambiamo informazioni. mica ce le facciamo pagare. Mica a Rullani quando mi manda il suo ultimo testo io gli pago le cose o quando io gli mando la mia ultima conferenza mi faccio pagare. Abbiamo capito che dobbiamo scambiarci gratuitamente tutta una serie di informazioni per rimanere nel mercato, poi ognuno di noi compete a seconda della sua specificità. Lui fa l’accademico economico e io faccio il consulente del CNEL, ma l’ambiente per mantenere la competizione è un ambiente in cui dobbiamo scambiarci gratuitamente il sapere e le informazioni. Qui ci sarebbe da andare in profondo facendo riferimento alle teorie del dono. Tenete presente che dietro questa banalità dette sul baratto ci sta tutta una sociologia e un movimento francese che si chiama MAUSS, dal fondatore, che significa ‘movimento antiutilitarista’.

Due: ritorno della schiavitù. Infatti storicamente dopo il baratto c’è stata la schiavitù. Diciamo subito che buttare sulla strada una donna "come corpo", significa avere schiavi e questo sta avvenendo. Ma se a qualcuno questa roba gli pare un po’ troppo estrema, "ma come? parla della schiavitù nel duemila", allora usiamo un termine più dolce, appare la dilatazione del lavoro servile. In questo paese, sto parlando del nostro paese, esistono certamente due mercati del lavoro. Se tu sei bianco, europeo e occidentale una serie di lavori non ti toccano, ma riguardano una nuova categoria del mercato del lavoro, i soggetti migranti. Su questo non c’è dubbio. Il discorso sulla disoccupazione andrebbe affrontato in maniera chiara: abbiamo una disoccupazione rispetto alla professioni di qualità. D’altra parte, noi importiamo manodopera, anzi siamo al punto che se non ci fosse quella manodopera interi cicli produttivi, intere ricchezze del Nordest non esisterebbero. Non esisterebbe più né il ciclo della concia, né il ciclo delle pelli, che poi arriva al calzaturiero, né il ciclo del tondino, che poi significa le costruzioni. Ci sono interi cicli produttivi che sarebbero interamente bloccati e queste cose valgono nella valle del Brenta e a Solofra. Anche le concerie di Solofra sono così, anche il pomodoro a Pachino lo raccolgono gli immigrati, non c’è dubbio. Ci sono intere categorie rispetto alle quali vale questo discorso. L’aumento del lavoro servile vi riguarda direttamente, perché, ad esempio, riappaiono figure che credevamo completamente superate. Facciamo due esempi limite che voi conoscete. Chiunque ha avuto la disgrazia di avere un proprio caro ammalato di cancro terminale, sa benissimo che il meccanismo è semplice: dall’ospedale te lo mandano a casa. Il primo meccanismo della famiglia, quando arriva a casa è semplice ‘ci pensiamo noi’, dopo quattro giorni non solo il malato sta male, ma dentro la famiglia ha cominciato a scorrere il sangue. Dopo di che la soluzione è che si recuperano le badanti, che sono quelle che vengono a fare servizio, assistenza di notte ecc.. Come? Ognuno di noi sa benissimo che poiché il welfare non c’è più, se è benestante, europeo e occidentale, tendenzialmente verrà accompagnato alla buona morte non più dal welfare, tanto meno dai figli. Sto estremizzando il discorso, perché non c’è più quel meccanismo della famiglia patriarcale, dove i figli ti accompagnano alla buona morte, perché i figli sono lontani, perché la famiglia è una famiglia a reti lunghe, tenuta assieme da reti telefoniche, non è più una famiglia di prossimità. Senza arrivare ad esempi estremi come la mia vita che si svolge perennemente per tutta la settimana tra Milano, Roma e magari anche Bruxelles, che è eccessivo, però ormai c’è questa filiera lunga della professione. Stabilito questo, è chiaro che se uno è benestante, deve pensare di essere accompagnato alla morte da un filippino o da una filippina, perché questo è il meccanismo. E ormai cominciano ad essere tanti che nelle grandi città i vecchietti che scendono dal portone sono accompagnati, come fossero loro i cagnolini, dal tamil che li porta a spasso. E’ chiaro, perché questo è il quadro entro il quale voi vi trovate ad operare. E qui, dentro la crescita dei lavori servili, c’è tutta la ricchezza e l’ambivalenza del volontariato. Una volta questi erano servizi garantiti dalla socialità, dalla statualità. Buono o cattivo che fosse il Novecento è il secolo in cui abbiamo deciso di farci accudire da mamma stato. Il Novecento funzionava così: nascevi, il primo bisogno asilo nido, poi avanti scuola, e poi avanti pensione, ospedale, a ogni fase corrispondeva un oggetto che ti accompagnava. Questo meccanismo non funziona più, si sta smantellando, e non è stato ancora sostituito con altro, se non con le assicurazioni private, la liberalizzazione, ecc. Lo scenario è aperto. Dentro questo, però, il volontariato è in una situazione di ambivalenza, perché può essere la stampella della crisi del welfare o può essere un’altra forma. Non c’è dubbio che dentro il volontariato molto spesso passano una serie di lavori servili, o, se volete usare una parola nobile, i lavori di cura.Terza forma di lavoro che riappare, mi pare che riappaia fino in fondo la servitù della gleba. Che cos’era la servitù della gleba? Una cosa molto semplice, tu ti eri emancipato dalla schiavitù, non appartenevi più al padrone, però appartenevi alla terra. Io credo, ad esempio che i nuovi servi della gleba siano i terminali ultimi della sub-fornitura, quelli cui viene delegato da un’impresa del lavoro. A tanti artigiani del Nordest viene dato in leasing il capannone, in leasing il macchinario, viene data loro la materia prima, vengono dettati i tempi e i ritmi di produzione, poi andate a parlare con lui, e lui vi dice "ma io sono un padroncino", ma tu gli dici "ma tu non sei un padroncino, tu sei un proletaroide". Però loro sono convinti, sono quelli che hanno i nanetti davanti a casa, il capannone e i nanetti nel giardino. Questo è il modello produttivo. Hanno prodotto anche un modello architettonico, mostruoso, il capannone appiccicato alla casa e i nanetti per decorazione, per tenere in piedi questa cosa che è un mostro. I nuovi feudatari, i Benetton, a un certo punto decidono di delocalizzare la produzione dal Veneto, vanno in Romania e queste restano come anime morte sul territorio, le anime morte di Gogol erano nell’800 gli equivalenti dei servi della gleba nel medioevo. Anche qui grande tragedia in questo paese, perché questi poveri soggetti che sono gli ultimi, che lavorano diciotto ore al giorno, picchiano la moglie, fan lavorare la famiglia, fan lavorare i figli, hanno in mente solo quello. Quando gli va male, vanno in miseria. Scusate un momento, uno pensa "sarà mica vita!", sono gli ultimi, non hanno loisirs, non hanno piaceri, non hanno reti di relazione, sono mostri. Quelli che dovrebbero essere i nuovi ultimi, pensate alla miseria di fine secolo, sono quelli che la sinistra ha bastonato di più in questi ultimi anni, chiamandoli evasori fiscali…al punto che questi si sono incazzati, hanno incominciato a votare Lega. Questo è successo, cambiamento della composizione sociale. Oggi per riscattarmi dei miei peccati, ho detto a quelli di Forza Italia "visto che voi siete dei liberisti, invece di occuparvi dei liberisti in doppio petto, occupatevi dei liberisti proletari, andate a occuparvi di questi qua, dei nani, perché mi pare opportuno e importante." Vedete, quindi come riappaiono le figure della servitù della gleba.

Riappaiono, come ulteriore fenomenologia del moderno, le corporazioni di mestiere, nate nell’Italia dei comuni. Perché riappaiono le corporazioni di mestiere? Perché c’è un’esplosione di nuovi lavori, oltre a quelli che erano gli ordini professionali del ‘900 che erano poi avvocato, architetto, commercialista, gli ordini professionali, medici, farmacisti. Basta che voi pensate a quante sono le nuove figure professionali che vengono avanti con la economia della comunicazione e dell’informazione. Sono tecnici di calcolatori, hardware, software. Ovvio che c’è una pletora di nuove figure professionali, che, non essendo difese da nessuno, tendono a fare corporazione di mestiere, per scambiarsi informazione, professionalità, tutela, diritti, perché noi siamo ancora fissi nella quinta categoria del lavoro, il lavoro normato e salariato. Ma che è buon ultimo, perché c’è il baratto, c’è la schiavitù, c’è la servitù della gleba, ci sono le corporazioni di mestiere, c’è il lavoro salariato normato. Ma attenzione, noi nel nostro ragionamento siamo giunti alla follia, proprio siamo degli schizofrenici tra il "non più" e "non ancora", perché chiamiamo lavoro ciò che decresce, il lavoro salariato e normato, e chiamiamo atipico ciò che cresce. Tutte le altre forme di lavoro che ho citato sono quelle in crescita. Il lavoro è questo. Noi dovremo fare una prima operazione culturale, chiamare atipico il lavoro e chiamare lavoro le altre dimensioni. Noi dobbiamo fare questo rovesciamento, e ultima operazione, dovremmo smetterla con una cultura della rappresentanza politica e sindacale solo ed esclusivamente del lavoro, di quel lavoro.

Questa è una società bloccata, è una società che non ne esce. Sono tutti lì a difendere i loro "poterini", con fenomeni assurdi che io vedo, stando al centro, nella decomposizione di Bisanzio. Pensate alla ‘riforma del collocamento’, voi sapete che non funziona. Si riforma, si passano le deleghe alla provincia e bisognerebbe fare i nuovi uffici che dovrebbero accompagnare la riforma. E’ un anno e mezzo che c’è la legge, ma non è ancora stata applicata, ma perché? Per un anno e mezzo la discussione principale non è stata su come creare nuovo lavoro, ma su cosa fare dei dipendenti del Ministero del Lavoro e magari aumentargli un po’ lo stipendio, nel trasferimento delle competenze. Si è bloccato tutto, siamo in preda ormai a meccanismi di corporazione. Quindi, a conclusione di questo ragionamento state molto attenti a dire dove stanno i conservatori e dove stanno gli innovatori, non si capisce più. Perché se uno dice "Eh no, sono innovatori tutti quelli che difendono i lavoratori". Bene, quanto c’è di conservazione nella difesa acritica dei processi di lavoro oggi? E l’innovazione dove sta? L’innovazione probabilmente sta nel baratto, nella servitù della gleba, sta in queste cose, nelle nuove forme del lavoro, bisogna star molto attenti a non avere atteggiamenti ideologici rispetto a questi processi. Questo concetto dell’attualità dell’inattualità lo si ritrova non solo con l’esemplificazione del lavoro, ma anche ragionando su come funziona l’economia. L’economia è fatta da un massimo di innovazione e da un massimo di mediocrità.

LA FABBRICA MODULARE E IL GLOBAL SERVICE

Ragioniamo dal punto di vista economico. Si va verso un modello che si chiama la fabbrica modulare e l’economia arcipelago. Che cos’è la fabbrica modulare? E’ una fabbrica in cui si costruiscono moduli di lavorazione per cui si tende ad avere sempre meno dipendenti salariati e sempre una serie di funzioni esternalizzate. Un modello di fabbrica modulare è la Fiat di Menfi; se uno va a Menfi, trova che i dipendenti Fiat sono 2 mila in un’area dove ci sono 10 mila addetti, gli altri 8 mila sono tutti dipendenti di subfornitori della Fiat che hanno territorializzato lì la loro produzione. Allora noi abbiamo il massimo di innovazione tecnologica e di prodotto dentro le mure dell’impresa, poi abbiamo l’esternalizzazione con il massimo di mediocrità fuori dalle mure, in un ciclo in cui si va dal massimo di innovazione che sta dentro le mura, fino al sottoscala del lavoro sommerso. Ovviamente è un ciclo molto esteso, che va da Torino a Bombay,nella globalizzazione le fabbriche stanno da Torino a Bombay. Questa estensione dal locale al globale è tenuta assieme da un altro massimo di innovazione che è la informazione garantita dai computer, dai sistemi informativi e dalla logistica. Abbiamo massimo di innovazione e massimo di mediocrità. Questo modello economico sta arrivando alla organizzazione delle città e voi dovete guardare nei prossimi anni a quello che succede a Milano, non perché io sia Milano-centrico. Lo avrete letto durante l’estate questo tormentone ideologico sul contratto d’area di Milano, firmato dalla Cisl e non dalla Cgil, in cui si mettono in eliminazione i diritti. Io immagino voi sprovveduti, senza offendervi, vi sarete divisi, il cuore a sinistra chi stava dalla parte di Cofferati, dicendo "Ah, i diritti non si toccano, dare 800 mila lire al povero negro è tremendo, e figlio di buona donna D’Antoni che ha firmato!", e chi stava con D’Antoni. Non dico che non bisogna dividersi così e anch’io mi sono diviso e ho la mia opinione, ma il problema non è solo scontro ideologico. Dietro ci sta il modello che io vi ho presentato della Fiat ‘pochi dentro le mura e tutto esternalizzato’, è il modello che propone il city manager di Milano. Si chiama ‘global service’. La modernizzazione avanza anche così, si capisce immediatamente che cosa significa global service: le amministrazioni locali, le grandi città si stanno preparando, ed è questa la modernità che vince, tanto per essere chiari, la tendenza. Avranno sempre meno dipendenti, avranno un po’ di dipendenti che si occupano della burocrazia, della norma ecc., poi tutti quei dipendenti che facevano funzionare la macchina (ricordate, gli idraulici che si occupavano della manutenzione, la Aem, i servizi ai cittadini, per capirci, dalla sanità alla scuola, quella che era la logica della cittadinanza) vengono esternalizzati, dati i appalto. Tanto è vero che d’altra parte gli artigiani si stanno accingendo a costituire le cooperative per la manutenzione. Questo è il vero meccanismo che viene avanti, dentro il quale ne vedremo delle belle. I soggetti deboli siete voi, perché voi siete in parte già un pezzo esternalizzato, il volontariato è una esternalizzazione funzionale da alcuni punti di vista. Scusate, io sto ragionando dal punto di vista del city-manager di Milano, il quale dice "Chi si occupa del povero negro immigrato? Il volontariato". "A chi diamo il povero malato di Aids?" A don Di Liegro. Devo dire che questo si coniuga spesso con la cultura cattolica che dice "più sfortunato è, meglio mi va" e le due patologie si incontrano: la patologia perversa di Parisi e la patologia di quell’altro. Bisogna stare sempre molto attenti su questi ragionamenti. Il vero problema è che quello che viene avanti è la fabbrica modulare dentro i servizi; questo è il grande tema che dovrete affrontare nelle vostre città. A cui non si può rispondere con lo scontro ideologico solo sui diritti. Lo dicevo l’altra mattina a Cofferati, "la tua posizione, che io capisco, che è tutta sulla variabile salariale – non si può dare 8oo mila lire all’immigrato – è perdente, perché passa già oggi la manutenzione di certi servizi, le gare di appalto per le cooperative sociali sono fatte al massimo ribasso, non sulla qualità del servizio."

Con questa frenesia collettiva, che ha preso tutti, la famosa fase di Tangentopoli, in cui il popolo italiano s’è accorto di essere un popolo mondo da qualsiasi peccato e tutti i figli di buona donna stavano dall’altra parte. Ho l’impressione che la cosa fosse un po’ più complicata e che fosse un modello in cui tutti quanti erano coinvolti e responsabili, a cominciare da quelli che stavano in basso. Ce l’ho con quelli che hanno fatto da spettatori, ma non hanno fatto la rivoluzione, quelli che non hanno contribuito a lottare per far sì che questo avvenisse. Siccome io appartengo a quella categoria che, sbagliando tragicamente, un po’ di lotte perché queste cose andassero in altro modo le ha fatte e le ho anche pagate sulla mia pelle, ovviamente non sono d’accordo.

Il discorso vero sta dentro questo discorso del global service, cioè la tematica che voi dovete seguire dentro tutto questo quadro complesso, che io vi ho fatto, di grande trasformazione e capire come ormai questa cultura dell’impresa, questa cultura della transizione, questa cultura dell’innovazione, questo mutamento antropologico e culturale precipita anche a mettere in crisi quello che era l’ultimo valore fondante a cui voi tenete che è quello della cittadinanza. Anche la cittadinanza è ormai dentro le logiche di mercato.

Giovanni Rampogna

Bisogna tenere presenti le tante lotte di questo secolo, per uscire dalla miseria, le lotte nelle fabbriche. I poveri ci sono ancora e il ruolo del volontariato deve essere rivendicazionista e basato su valori umani, non servile, che supplisce alle carenze delle istituzioni..

E l’ideologia non è caduta e conserva tutto il suo valore.

Paola Arslan

Ci sono vari tipi di volontariato; il volontariato uno può viverlo anche nella propria professione, forse con la genetica potremo sapere che una metà degli uomini ha il gene della solidarietà e l’altra metà ne è priva.

Aldo Thiella

Tutto quello che ha detto il professore riguarda il volontariato dei servizi, noi siamo volontariato dei diritti e quindi vorrei avere il suo parere su questo. Inoltre il sistema di accreditamento della qualità applicato agli ospedali ci garantisce sulla qualità delle diagnosi e delle terapie?

Giovanni Spasiano

Confermo la giustezza delle analisi riguardo al Sud sul mix di modernità e di arretratezza. Da noi sono facilmente visibili tutte le forme di lavoro. La società civile poi non è innocente. Chi si vuol impegnare a partire dagli ultimi deve liberarsi dai paraocchi ideologici. Bisogna rivedere la rappresentanza sindacale e politica. Oggi la politica è subalterna alle scelte tecniche ed economiche, c’è ancora uno spazio per la politica?

Paola Poli

Sul Global service: secondo me è già in atto da qualche anno con la tendenza a dare tutto in appalto; si è cominciato con le pulizie, le lavanderie, la mensa, adesso siamo arrivati al livello delle prestazioni. Questo ci preoccupa molto, anche perché gli appalti si fanno al massimo ribasso. Anche secondo il decreto Bindi certe attività di assistenza potranno essere affidate a cooperative, al settore del no profit. Io non sono d’accordo con queste tendenze approvate anche dalla sinistra e dal sindacato. La stessa riforma dell’assistenza prevede di affidare alla famiglia molte funzioni.

Fiorella Libanoro

Ho letto che a un cittadino di New York è stato chiesto che cosa avrebbe fatto se ci fosse stato un blak out, lui ha risposto "organizzerei una attività adatta per il buio". In questa società se non buia in penombra devo organizzare la mia attività individuale per il buio o c’è la possibilità di una aggregazione, almeno di piccoli gruppi?

Antonio Giolo

Se c’è un settore in cui possiamo intervenire questo è quello della selezione dell’accesso alle risorse, perché mai come oggi la tecnica ha prodotto tante possibilità. Anche noi siamo attraversati dalle tendenze o alla nostalgia o alla resa, adeguandoci alla grande maggioranza che pensa solo a far soldi. C’è spazio tra nostalgia e resa, magari con quello che nelle Linee guida abbiamo chiamato ‘bricolage ideologico’? I diritti di cittadinanza possono essere il punto di riferimento trasversale anche a prescindere dai modi con cui si organizza il lavoro, i servizi ecc.?

PierLuigi Fanetti

Siccome anche noi ci dibattiamo tra un ‘non più’ che si chiama Codici e un ‘non ancora’ che si chiamerà Movimento dei Cittadini, per non ripetere errori, c’è la possibilità che qualche ricercatore sociale ci aiuti a dar ad una nuova forma che dal punto di vista organizzativo funzioni e dal punto di vista giuridico dia garanzie di democrazia?

Risposta di Aldo Bonomi

Darò alcune risposte puntuali e poi seguirò un filo di ragionamento che cerchi di dare risposte ai tanti quesiti posti. Inizio dalla prima osservazione; è vero che io ho parlato del volontariato dei servizi e non ho parlato del volontariato dei diritti. Ritengo che il volontariato dei diritti non esista, cerco di spiegarmi. Dal punto di vista proprio epistemologico, i diritti si ottengono in tre modi. Siamo portatori di diritti in quanto cittadini individui riconosciuti per legge, possiamo organizzarci in libere associazioni, che fondamentalmente nel Novecento sono stati i partiti e i sindacati. Terza cosa, quando i diritti sono negati, si sviluppa il conflitto. Allora parlare di ‘volontariato dei diritti’, che poi è una implicazione grossa su cui stiamo ragionando, significa delegare a qualcuno che si occupa dei miei diritti. Io rispondo subito che per ciò che mi riguarda io penso di essere un soggetto in grado di autotutelarmi, e che il vero problema è portare tutti i soggetti all’autotutela, all’autorappresentazione. Due, il discorso della qualità, io credo che soprattutto nella sanità, il problema della qualità sia difficilmente quantificabile, il vero problema è che nella sanità quello che si produce non sono prestazioni, ma affettività. Il vero problema della sanità, è che è una sanità che viene vista in termini puramente econometrici, e quindi dal punto di vista della prestazione, e si è dimenticato che la sanità è essenzialmente valore di cura, nel senso proprio del termine. Quindi il vero problema è che l’operatore della sanità è un operatore che dovrebbe essere specializzato a produrre affettività. In questo il disastro prodotto dai sindacati è stato totale, perché basta che uno abbia accompagnato un suo amico al pronto soccorso o ci sia stato e abbia visto i barellieri iscritti alla Cisl o alla Cgil perché subito faccia gli scongiuri e vada via, perché questa è la prima reazione. "Aho! che te serve, che s’è fatto questo, ma che te frega, lascialo là" E attenzione, sono proprio quei lavoratori ‘tutelati’, con questa arroganza. Questa è una questione macroscopica che, partendo dal basso, ha invaso, in una logica corporativa, tutta la classe medica. Se può colpire la volgarità del barelliere del Policlinico romano, quando invece il barone ammanta di scientismo la sua decisione, il poveraccio malato che gli sta davanti è completamente nullo. E’ un meccanismo che parte dal basso e arriva all’alto. Starei molto attento nell’entrare nella trappola della prestazione di qualità, perché significherebbe applicare l’ISO 9000 per gli ospedali. E’ una follia questo discorso, che rimanda al fatto che la logica economica è totalmente pervasiva, tutto è economico, dalla sessualità, dalla affettività, alla sanità, alla comunicazione, all’insegnamento ecc.

Altra cosa, io ritengo che non esiste la società civile, in primo luogo perché affermare che esiste la società civile buona, significherebbe dover affermare che esiste una società incivile, e che esistono pochi eletti che si autodeterminano tali. Nessuno vi ha delegato ad essere volontari che mi tutelano. Perlomeno se io do il voto ad un partito, con tutte le mediazioni di questo mondo, almeno sono andato lì a fare il gesto. Io credo che uno dei periodi più bui della storia d’Italia non sono stati gli anni del terrorismo, che sono anni di tragedia e di conflitto, ma sono gli anni che sono venuti dopo, sono gli anni della rappresentazione del dolore, gli anni in cui abbiamo prodotto i mostri veri. Io sono uno che ritiene che il mostro vero non sia Curcio, ma Santoro, o il mio amico Gad Lerner. Ho fatto addirittura il consulente per le sue trasmissioni su alcune cose, però quando a un certo punto tutto è diventato rappresentazione scenica del dolore, Maurizio Costanzo show ecc., e a un certo punto è venuta avanti questa ideologia, lì veramente è proprio finito tutto, mentre invece prima, almeno c’era ancora la contrapposizione, i valori. Questa retorica della società civile è stata quella che ha fatto imbarbarire nei fatti poi i rapporti di forza e i rapporti sociali. Queste sono le domande,

il ragionamento, invece, la parte costruttiva è basata su cinque punti.

Il ‘900 ha prodotto quattro grandi movimenti. I quattro movimenti sono stati: la classe operaia e le sue lotte, le rivolte popolari contro il colonialismo, le donne, e il quarto, da cui venite voi, il movimento per i diritti individuali. Il Novecento è segnato da queste quattro grandi cose. Le prime due sono diventate ideologia, lotta operaia e lotta di popolo, le altre due sono stati movimenti che non sono diventati ideologia, però sono importantissimi. C’è stato tutto un movimento per l’affermazione dei diritti individuali della persona, che è un grande movimento storico, che stava dentro poi l’evoluzione della modernità, che ha significato il depotenziamento delle comunità originarie e che andavamo verso la dimensione del soggetto individuale. Quindi se voi state dentro questo grande filone, bisogna andare a scavare in questo filone, non tanto ponendosi come il volontariato dei diritti, mi capite, ma andando a vedere quale è la cultura che ha prodotto queste cose. Secondo punto, se scaviamo nella memoria, ad esempio, credo che bisogna prendere a modello quello che è successo ai primi del Novecento, quando abbiamo avuto a che fare col grande cambiamento epocale, dall’agricoltura al fordismo. Se adesso stiamo passando dal fordismo al post fordismo, lì dentro sarà pure successo qualcosa. La storiografia ufficiale ci ha tramandato molto poco di queste cose, perché la storiografia ufficiale è una storiografia che inizia parlando delle splendide lotte gloriose della classe operaia, del sindacato e dei partiti. Di destra o di sinistra che sia, questo la storiografia ci ha tramandato. Ma io invito sempre, ogni volta a ragionare, se c’è una storiografia misconosciuta, la storia orale. Ad esempio, quando gli agricoli furono deportati in città, che fecero, come prima reazione? Organizzarono due cose: le mutue, le leghe di solidarietà e le università popolari, per imparare a leggere e scrivere. Tre cose molto elementari, tant’è vero che se uno ci pensa sono le cose che il movimento corporativo del fascismo ha spazzato via come memoria. Ma anche l’altro movimento, anche il comunismo; tutti e due hanno cancellato quella memoria. Quindi dico, per usare una parola che può sembrare brutta, che è diventata brutta, bisogna tornare ad alcuni elementi di socialismo utopico, perché è nella dimensione del socialismo utopistico che stavano queste capacità. Allora io credo che voi siete un embrione, in nuce, in prima formazione, di quelle forme di mutualità adeguate al postfordismo che viene avanti. Non si tratta di una cosa molto à la page, perché non gliene frega niente a nessuno, sono tutti in tutt’altre faccende affaccendati. In questo io credo che siate il sale della terra, dal punto di vista dei cambiamenti. Ecco perché sono venuto volentieri, perché voglio capire come si evolve la cosa. Io sono interessato a tutto ciò che rifà mutualità, e vi dico voi fate questo, io che parto dalla mia materialità, perché probabilmente poi se andiamo a fare la vostra biografia, ognuno di voi avrà impattato in qualcosa per cui si occupa di questi diritti dei cittadini, ci sarà una biografia che ci rimanda a questo. Però attenzione, è lo stesso meccanismo di creazione di quella mutualità minuta che c’è tra me e Rullani, Revelli, tra quelli che stanno su questi percorsi a metà tra intellettuali, professori, consulenti, che magari guadagnano anche 250 milioni l’anno, ma però hanno il portafoglio a destra e il cuore a sinistra e non capiscono più niente, che sono un po’ schizofrenici, e che non vogliono arrendersi. Io potrei benissimo arrendermi, 250 diventano mezzo miliardo e ho risolto il problema. Però non ti arrendi e quando vai a votare non sai più nemmeno come fare. E allora questo disagio lo rendi visibile e allora uno fa il suo lavoro con dignità, con un’etica che non è scritta da nessuna parte, però ognuno cerca di costruire l’etica adeguata al tempo di transizione. Guardate che di questo è pieno il mondo, di fenomenologie di questo genere. Queste sono le forme adeguate al tempo. Come dovremmo ragionare sulla socializzazione del vero potere potente che c’è oggi, che è il sapere, perché la vera discriminante oggi è tra know how e chi non sa niente, tra global generation e local generation, questo è il problema. La local generation va sul campanile di S. Marco, pensando che il potere stia lì, la global generation va giustamente in Internet. Allora il vero problema è come si fanno le università popolari adeguate ai tempi, come si creano quei luoghi in cui la circolazione del sapere sia gratuita e non sia potere, questi sono i grandi interrogativi che sono aperti, però io dico guardando, lì si trovano gli elementi per capire quello che sta avvenendo adesso. Terzo punto, questo non è solo un’ispirazione utopica ma eutopica – la differenza tra utopia e eutopia è una differenza molto elementare, l’utopia è il sol dell’avvenire, che è un luogo che non esiste, l’eutopia invece è la creazione qui e subito di luoghi adeguati al tempo, la mutualità, le reti, ecc. Questa esigenza di eutopia è un’esigenza fondamentale, perché sono cambiati i termini del conflitto e quindi bisogna cominciare a ragionare non più sulle categorie classiche del conflitto del Novecento, che sono state due, il conflitto tra capitale e lavoro da una parte e stato e mercato dall’altra, welfare oppure il liberismo, col mercato che fa da sé. Il vero problema è che questi quattro paradigmi, come le ali di una farfalla, poi ci mettete in mezzo a quella che io chiamo la farfalla del post fordismo tra capitale e lavoro, il territorio, fare conflitti per la dimensione territoriale Il che non significa il leghismo, significa welfare comunity, ambiente, luoghi adeguati, diritti locali, costruire le istituzioni di prossimità, comune, provincia, regione.

E tra stato e mercato c’è una terza variabile che è il valore di legame, la socialità. Il vero problema è che né lo stato né il mercato producono socialità, quindi bisogna ricominciare a produrre socialità. Lo stato perché produce la socialità del barelliere, "aho che te serve, che me frega, tanto io ho il mio salario", la socialità che produce il mercato è l’assicurazione privata cui noi ci rivolgiamo, per rimanere nel campo della sanità, per andare nella clinica privata. In mezzo bisogna incominciare a ricostruire valori di legame, cioè mutualismo, la costruzione dal basso, ecc.

Quarto punto, il problema non è né di essere nostalgici né di arrendersi. Il maggior campione dei nostalgici, che ha coniugato la nostalgia con la resa è la Bindi. Ha fatto una riforma della sanità che è di uno statalismo preoccupante, dentro la quale ha messo tutto il discorso della professionalità, perché siamo ancora nella logica che chi è per la statualità è di sinistra e chi è per il mercato è di destra. E’ ora di finirla con questa storia perché sono quelle trappole, da cui se non usciamo è la fine, perché ci fregano gli uni e gli altri. Perché poi sono tutti uguali, D’Alema e Berlusconi sono uguali da questo punto di vista, su queste logiche, lavorano l’uno per l’altro e comunque per il mercato. Quindi cambiano gli assetti di potere e le lobby che devono mantenere, ma le logiche sono uguali. Il vero problema è capire che il nodo si gioca sulla costruzione del welfare comunity. Noi dovremmo costruirlo in una logica in cui ci deve essere il mutualismo dal basso, la produzione di socialità e di affettività, coinvolgendo le fondazioni bancarie, perché altri soldi non ce ne sono oltre i soldi dei privati. Il welfare come mix tra pubblico e privato è l’unico welfare possibile, però va costruito dentro questo discorso. Allora anche alcuni esempi americani di comunity foundation ad esempio vanno presi in considerazione, perché non è vero come leggo qua che in America è tutto in mano alle assicurazioni. Ma è vero che ci sono fior di ospedali che sono frutto delle comunity foundation, cioè delle comunità locali in cui i ricchi e i benestanti si tassano, le banche mettono dei soldi, e hanno una organizzazione di welfare di comunità che funziona. Questi meccanismi di autorganizzazione dal basso vanno tutti presi in considerazione e sono molto importanti. Io credo bisogna superare questo dualismo statalismo da una parte e puro mercato dall’altra, cioè come se esistesse solo la Bindi e l’assicurazione privata. Ultimo punto, come si ottiene questo? Si ottiene avendo un minimo di sincretismo, abituandosi a mettere assieme gli opposti, come nel modello della new age come forza di mettere assieme gli opposti. Non bisogna fare la scelta fondamentalista o l’uno o l’altro, non è più così. Bisogna a ragionare su un sincretismo antagonista, che cambi l’assetto presente delle cose e sul quale io non sono pessimista, perché se l’analisi è molto cruda ci sono tutti gli embrioni di dinamiche sociali dentro le quali l’autocoscienza di sé, l’autodeterminazione dei soggetti e della loro rappresentanza comincia a cambiare.