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Zenone lo stoico (334-262 a.C.)

Zenone nacque a Cizio, nell'isola di Cipro. Come Talete non era di origine greca ma fenicia. Suo padre era mercante; notando che il figlio nutriva un grande amore per il sapere, lo incoraggiò a studiare filosofia procurandogli gli scritti dei più importanti socratici, inclusi probabilmente alcuni dialoghi platonici.
A trentanni Zenone giunse ad Atene, dove incontrò il cinico Cratete nella bottega di un libraio. Ne divenne allievo, ma questo non gli impedì di dedicarsi allo studio di altri filosofi.
Fu solo dopo tale ampio confronto con le filosofie precedenti che Zenone decise di insegnare la propria filosofia. Il luogo dove stabilì la sua scuola era chiamato Stoa Poikile, ovvero Portico dipinto. Il posto traeva il nome dai dipinti di Polignoto ed altri artisti che lo avevano affrescato.
Per questo i seguaci di Zenone furono poi detti stoici. Gli Ateniesi lo tennero in alta considerazione, specie per la sua integrità morale. Purtroppo i suoi scritti sono andati perduti e dobbiamo dunque avvalerci di testimonianze di seconda mano.

Lo stoicismo viene spesso considerato come corrente filosofica di secondo ordine in quanto derivante dalle filosofie precedenti ed in quanto contenente più una sintesi di queste che elementi di vera originalità.
In realtà essa fu più che una 'filosofia' e, per certi aspetti, nella sua versione volgarizzata, divenne quasi un movimento religioso rispondente alle esigenze del tempo ed in particolare ai bisogno dell'uomo acculturato della tarda romanità e dell'epoca imperiale di svincolarsi dalla religione di stato e popolare e trovare un senso alla vita attraverso il raccoglimento interiore ed un rapporto col divino privo di mediazioni sacerdotali.
Esercitò quindi un influsso molto profondo nel tempo e solo la proclamazione del cristianesimo come religione ufficiale dello stato avvenuta all'epoca di Costantino, nel IV secolo dopo Cristo, decretò, in un certo senso, anche la crisi irreversibile dello stoicismo, pur considerando, come vedremo, che proprio su alcuni capisaldi dello stoicismo e della dottrina di Zenone in particolare si baseranno le correnti teologiche più razionali per elaborare i punti dottrinari del cristianesimo. In un certo senso, infatti, la dottrina della natura trinitaria di Dio trova in Zenone un cospicuo precursore. Ma anche il concetto di philantropia, cioè amicizia verso ogni uomo, può considerarsi come anticipativo nei confronti dell'amore cristiano in generale.
Fu dunque un movimento culturale longevo ed a spargerne i semi toccò appunto a Zenone, ancora una volta, come già Talete un non Greco, o comunque, un non Ateniese.
Ma in questo caso la non-grecità appare molto più significativa. Ad alcuni studiosi di scuola americana ed inglese (ad esempio John Rexine e E. V. Arnold) Zenone appare innovativo specie nel linguaggio non idealistico, cioè non concettualmete strutturato attraverso una sostanzializzazione degli aggettivi. Il bene non è da cercare, ma da fare; è una condizione-situazione di benessere, non una ricerca teorica di isole beate.
Anche per questo con Zenone il tema centrale di diverse filosofie di origine socratica ed aventi dunque per problema il bene e la felicità dell'uomo, diviene essenzialmente un problema pratico, 'di attegiamento prima ancora che di comportamento', certo non solo teorico.
La promessa che veniva fatta agli individui che accettavano di educarsi ai suoi principi consisteva in una 'liberazione' sia dal desiderio che dalle ansietà di una vita troppo orientata dalla mondanità e dalla esteriorità e quindi da essa condizionata.
Ma questa stessa liberazione era per l'appunto 'libera azione', quindi comportamento e non concettualizzazione del Bene, del Bello e del Giusto.
Benché numerosi allievi ed allievi di questi allievi abbiano poi modificato su diversi punti gli insegnamenti di Zenone, è indubbio che lo stoicismo abbia sempre conservato l'impronta ed il pathos 'semitici' impressi dal caposcuola.
Uno dei primi testi composti da Zenone fu la Repubblica, opera espressamente critica nei confronti dell'omonimo testo platonico.
In essa veniva predicato il cosmopolitismo, una legge di natura contrapposta all'innaturale comunismo dei beni e delle donne, una totale iconoclastia (di tipo ebraico) che inibiva la costruzione di statue e di templi, la mancanza di tribunali, ed anche la chiusura dei ginnasi.
Non possiamo dire se queste tesi fossero argomentate oppure no. Non sempre gli argomenti di Zenone sono del tutto convincenti, specie se se sono del tipo: << non si deve affidare un segreto ad un ubriaco; si deve affidare un segreto ad un uomo buono; quindi un uomo buono non si ubriacherà.>>

Tuttavia è certo che questo 'abbattimento' dei segni esteriori delle divisioni artificiose tra gli uomini fosse in qualche modo l'espressione della volontà di costruire un tipo di relazioni sociali ed umane 'libere' da preconcetti del tipo 'sono Greco, quindi sono bello, buono e giusto e gli altri sono 'barbari'..
Non era nello spirito di Zenone e dello stoicismo alcuna volontà prevaricatrice e quindi propendiamo col credere che i discorsi contenuti nella Repubblica fossero più rivolti in forma di consiglio agli individui a non erigere statue, frequentare templi, ginnasi e tribunali che a chiudere gli stessi. Ma ad un osservatore accorto non può sfuggire che se l'affermazione di uguaglianza viene da Teofrasto, cioè da un Greco, essa ha un valore diverso che se viene da uno Zenone, che Greco non era. In tal caso, infatti, essa diventa, volenti o nolenti, una rivendicazione di diritti e non una concessione di diritti.

Il punto-chiave degli insegnamenti di Zenone pare in ogni caso quel 'conosci te stesso' di socratica memoria dei primi dialoghi platonici.
Il problema che colse Zenone fu probabilmente quello che molti storici della filosofia hanno spesso trascurato e cioè, che questo stesso insegnamento, ha un valore eterno indipendentemente da chi lo propugna se, e solo se, per dirla alla maniera di Zenone, il problema fondamentale di ogni uomo che voglia concorrere al bene di tutti, è quello di riordinare sé stesso.
Il vero bene non sta fuori di noi, ma nella nostra disposizione interiore, in quell'essere secondo natura ( e come vedremo, secondo 'logos') che Zenone non cessò di premettere ad ogni suo insegnamento.
Zenone accettò la premessa eraclitea, secondo la quale il mondo è in costante mutamento. La sua intellegibilità è tuttavia possibile non ricorrendo a scorciatoie di tipo platonico, cioè alla concettualizzazione degli immutabili (i caratteri delle cose derivanti dall'idea originaria di Bene), ma attraverso la 'sintonizzazione' con il logos dell'universo, il quale ha un senso, come del resto la vita che di questo logos è espressione. Possiamo tradurre, come quasi tutti hanno fatto, logos con razionalità, ma con ciò rischiamo di perdere il senso originario di ciò che per Zenone significava logos, cioè una razionalità duttile e flessibile e non un sistema rigido di regole da applicare 'alla lettera'.
C'è un famoso sillogismo che viene spesso riportato per esemplificare il pensiero di Zenone ed esso recita pressapoco così: << Ciò che è più razionale (aderente al logos) è più eccellente di ciò che è irrazionale; nulla è più eccellente dell'universo, quindi l'universo è logico ed esercita il logos.>>
Per provare inoltre che la natura possedeva una sorta di consapevolezza argomentava: << Nulla che sia privo di consapevolezza e ragione può trarre da sé esseri dotati di consapevolezza e ragione; l'universo produce esseri dotati di consapevolezza e ragione.>>

Veramente pochi sono gli studiosi che hanno compreso quanto di questa fondamentale affermazione stoica sia alla base della teologia cristiana in quanto è già implicito in essa che un universo-padre generi, ma non crei, il logos, cioè il figlio, che ad esso è coesistente, sia in astratto, cioè in assoluto, sia in concreto, cioè nella 'carne', cioè nella vita reale.

Zenone inoltre accennava ad una sola e superiore saggezza, il riconoscimento del logos. Riteneva che il logos fosse sempre esistito ma che gli uomini non lo avessero sempre riconosciuto.., anche se sapevano che tutto ciò che avveniva, avveniva secondo Logos. (cfr con l'inno al Logos nell'apertura del Vangelo di Giovanni)
Era solito osservare in proposito: <<C'è soltanto una saggezza: comprendere la scienza dalla quale tutte le cose sono governate...L'intelligenza è comune a tutte le cose; coloro che parlano con intelligenza debbono aderire più fortemente a ciò che è comune a tutte le cose...
Benché il Logos sia universale, la maggior parte degli uomini vive come se avesse una intelligenza propria...per questo gli uomini sono in disaccordo con il Logos, anche se esso è il loro costante compagno.>>

La fisica di Zenone

Secondo Zenone (in base ad una testimonianza di Cicerone) l'universo era un essere vivente nel vero senso del termine: divinità e cosmo non sono separati. Non solo: il Logos di questo universo vivente (zoion) non era concentrato in tutta la materia, ma solo nella sua parte più sottile, descritta come 'fuoco etereo', che Zenone comparava alla pura ragione. Essendo questo fuoco alla radice di tutte le cose, esso era dunque la forza vitale della ragione cosmica.

Fatte queste premesse di tipo eracliteo, Zenone sviluppò i suoi insegnamenti muovendo dall'etica e dalla fisica aristotelica. Tutte le cose devono avere uno scopo o fine. Lo scopo viene raggiunto quando ogni cosa si conforma al Logos. Il carattere divino del Logos è nel suo essere ciò che dona la vita, ma nel senso più ampio, cioè ciò che dona la 'consapevolezza' della vita.

Questa recisa affermazione di monoteismo (solo apparentemente panteistico, in quanto non gli dei, ma il Dio supremo è presente nella parte sottile della materia costituente il mondo) esclude dall'orizzonte le divinità olimpiche del mito. Il solo Dio era l'universo vivente, non tanto anima del mondo in senso platonico, cioè distaccata e 'duale', quanto costituente del mondo stesso, e generante in eterno il suo Logos.

Determinati con sintesi invero grandiosa la funzione ed il posto di Dio nel mondo, Zenone ricava da ciò la funzione ed il posto della natura. Ancora una volta ricorse ad una sintesi delle dottrine eraclitee ed aristoteliche. La sua concezione della natura divenne nota come ilozoismo, o dottrina della materia animata.

Tuttavia Zenone divideva la materia in due categorie precise: quella della materia inanimata e passiva e quella della materia attiva, che era il Logos, ovvero un principio intelligente 'interno' alla materia stessa. Si crede che esse in qualche modo corrispondano alla 'sostanza' ed alla 'forma' indicate da Aristotele, ma qualche differenza doveva esserci nel pensiero di Zenone perchè la 'forma' (che come noi moderni sappiamo è determinata dalle in-formazioni genetiche contenute nel DNA) viene esplicitamente dichiarata come elemento agente, attivo, dunque caratterizzante. Per Zenone i generi costituenti la materia  erano le sostanze primordiali: fuoco, terra, aria ed acqua. Fuoco ed aria erano sostanze di tipo leggero, indirizzate all'ascesa; terra ed acqua erano sostanze pesanti, volte alla caduta. Ciò che causava il movimento di ascesa e discesa era il fuoco etereo, possiamo supporre un quinto elemento, distinto sia dal fuoco che dall'aria. Esso era la materia prima, più sottile, causativa di ogni mutamento fisico e (supponiamo) perennemente in atto.

Le tendenze naturali del fuoco opposto alla terra e dell'aria opposta all'acqua, davano stabilità al mondo, anzi un armonioso equilibrio. Zenone giunse alla conclusione che l'universo non aveva peso ed era in perpetuo equilibrio in quanto il moto ed il peso rivolti verso l'esterno 'negavano' il moto ed il peso verso l'interno, lasciando la terra in 'sospeso', fissa tra due pressioni opposte.

I singoli corpi erano capaci per Zenone di estensione in tre differenti dimensioni: altezza, larghezza e profondità. Non solo: l'esistenza di un corpo 'riconoscibile' era per Zenone condizione stessa di esistenza; l'invisibile non esiste. Un corpo agisce e subisce azioni. Zenone concepiva il mondo fisico come un pieno di corpi aventi materia passiva e attività (forma) e di vuoto, ma non di non-essere. Il fuoco cosmico era all'origine di ogni movimento, ma la causa efficiente delle singole azioni, dei singoli eventi, era determinata dal rapporto tra corpi diversi.

Da tutto ciò si capisce perché una certa critica filosofica abbia parlato in passato di materialismo stoico.

Stabilita la natura della materia dei costituenti corporei, e dimenticando ad esempio, che il vento che agisce sulle vele gonfiandole non è un corpo, anche se è causa efficiente del moto della nave, Zenone dovette ricorrere ad Aristotele per definire le categorie, cioè il 'di cosa stiamo parlando, se parliamo di corpi'.

Ma a differenza di Aristotele, per il quale le categorie erano riferite a situazioni particolari della sostanza, Zenone introdusse categorie che pre-giudicavano la sostanza stessa. In particolare egli parlò di quattro categorie:

corpo semplice in quanto tale
corpo di un genere particolare
corpo in uno stato particolare
corpo di una particolare relazione

Questa scala definitoria riguarda ancor prima la fisica che la logica in quanto tale perchè essa risponde alla necessità di far derivare ogni affermazione logica dalla situazione fisica dei corpi dei quali si vuole dire. Pertanto anche in Zenone sopravvive, ed anzi si rilancia l'esigenza aristotelica di una diretta corrispondenza tra piano della realtà e piano del discorso. In effetti questa attenzione alla 'fisica' è fondamentale per Zenone in quanto essa è la sola via che può garantirci che ciò che conosciamo, lo conosciamo realmente, e che dunque l'essenza delle cose è conoscibile. Zenone era convinto che l'uomo poteva apprendere con certezza e che quanto apprendeva poteva essere ritrasmesso attraverso 'rappresentazioni'. La ragione era profonda quanto il cosmo:<<Nella nostra vita interiore c'è un universo che non si può misurare, perchè ogni passo è nell'infinito.>>

Lontano quindi da ogni scetticismo di tipo socratico applicato arbitrariamente anche alla natura, Zenone cercò di estendere le certezze della scienza naturale anche ai problemi della conoscenza in generale, della logica e dell'etica.

La teoria della conoscenza di Zenone si fondava su una psicologia...

Per Zenone le impressioni sensibili erano i primi caratteri impressi nell'anima intesa come psiche e come coscienza. L'irrealtà risultava da impressioni false, da coglimenti parziali. Questo punto è notevole interesse in quanto distanzia fortemente Zenone da Eraclito e dai suoi tardi epigoni. Sulla scorta degli insegnamenti aristotelici, infatti, gli oggetti, pur cambiando, mantengono una loro forma riconoscibile. Anche le impressioni che lasciano su di noi mutano, ma è assurdo disperare di conoscere qualcosa solo perché ne abbiamo avuto un'impressione diversa. Dobbiamo semmai stabilire in quali condizioni abbiamo ricevuto queste diverse impressioni. Uomo saggio era per Zenone colui che poteva distinguere le impressioni vere da quelle ambigue. Definiva un certo tipo di impressioni come costrittive: << (l'impressione costrittiva) ci prende per i capelli e ci costringe ad assentire>>.Secondo Zenone la distanza critica tra noi e le nostre impressioni aiuta ad eliminare i dubbi. Su queste premesse si poteva affermare che la realtà, anche quella dei veri sentimenti degli uomini poteva essere logicamente dedotta. La via della certezza collegava la mente all'oggetto. Le impressioni stampate nell'anima formavano l'oggetto, il contenuto della conoscenza percepita; questa, associata alla memoria, portava ad avere un'esperienza e solo dall'esperienza si potevano ricavare concetti universali. Pertanto nemmeno i concetti più primitivi ed originali erano innati, frutto di una reminiscenza, ma potevano ( e dovevano) essere dedotti dall'esperienza. Questo peculiare empirismo, di chiara derivazione aristotelica, fu chiamato 'dottrina dell'irresistibilità'.

Ovviamente gli epistemologi di simpatia kantiana, o addirittura platonica, storceranno il naso di fronte a questa fortissima riduzione dell'innatismo attuata da Zenone, il quale ammise, come già Aristotele, una sola forma di relativo 'innatismo', cioè l'acquisizione della 'conoscenza preesistente', in una parola: lo studio della tradizione culturale, filosofica e scientifica tramandata da leggersi in contraddittorio con la realtà presente sotto i nostri occhi.

Si tratta ovviamente di una posizione di estremo interesse in quanto salvaguarda sia la possibilità stessa di una conoscenza reale, sia il diritto di rimetterla sempre in discussione, considerate le nuove realtà e le nuove conoscenze di cui disponiamo. Contrariamente a quanti intravvedono nello stoicismo una componente dogmatica, io sarei invece dell'idea che il dogmatismo, quantomeno in base ai dati di cui disponiamo su Zenone, è quasi inesistente. Zenone fu semmai carente sotto il profilo logico deduttivo. Anzi: la logica stoica in generale è riduttiva nei confronti di quella aristotelica, ed introduce elementi che non sono affatto logici, o lo sono solo in via ipotetica e subordinata ad una quantità massima di altri fattori.

La logica stoica

Per Zenone sia la retorica che la dialettica erano logica. Sembra fosse solito paragonare la retorica ad una mano aperta e la dialettica ad un pugno chiuso, forse per mostrare che il dialogo è spesso più violento del discorso che ricorre a più argomenti. La retorica divisa in giudicativa, dimostrativa e deliberativa; si divideva in parti denominate: invenzione, stile, disposizione, esposizione e memoria. I discorsi venivano articolati in presentazione, narrazione, discussione e memoria.

La dialettica era divisa in poetica e grammatica. La poetica si occupava del significato e la grammatica della struttura. Era un oggetto tipico della poetica l'amfibologia, cioè l'ambiguità (che come abbiamo visto, per Zenone, costituiva sempre il problema principale di ogni approccio volto alla conoscenza certa di una cosa).

Rispetto alla logica aristotelica la principale novità è dovuta all'introduzione di un sillogismo per il quale abbiamo:

premessa maggiore: se A, allora B

premessa minore: ma A è...

conclusione: dunque B...

Per quanto possa sembrare semplice questo procedimento logico pone a B delle condizioni dovute ad A, cioè lo subordina. Ovviamente se per A si intendono un insieme di condizioni e non un corpo, la logica di Zenone potrebbe portarci a qualche conclusione valida. Ma se per A si intendesse solo un'entità cui B è subordinato, la validità logica del procedimento zenoniano lascerebbe molto a desiderare. In realtà potrebbe essere validamente applicato solo a ragionamenti di tipo matematico nei quali sia A che B si riferiscono a valori quantitativi ( del tipo se A  >  B, allora B < A; ma A è > B; pertanto B < A)

Tanto per fare un esempio in negativo: poniamo che A sia un superiore e B un subordinato nel 7° cavalleria. Se A ordina di sellare i cavalli, B esegue. Ma se A ordina di prendere una collina occupata da Crazy Horse e un pugno di guerrieri Cheyennes tra i più rognosi, B pertanto...un fico secco, perchè B dipende da A fino ad un certo punto. E' evidente che questo tipo di logica zenoniana non ha un vero fondamento universale, perché nessun B appartenente al 7° cavalleria è subordinato ad A fino al punto da rendere matematicamente certe le conseguenze dell'ordine impartito.

Un altro esempio di logica zenoniana molto discutibile in quanto fondata su passaggi superflui e concludente con un'affermazione non necessaria è la seguente:

<<l'uomo saggio è temperante; il temperante è costante; il costante è imperturbabile; chi è imperturbabile è libero dal dolore; chi è libero dal dolore è felice; quindi l'uomo saggio è felice.>>

Non c'è che dire! Ora, se volessimo dire che i saggi per lo più sono molto più felici che i non saggi, tutto questa concatenazione di premesse è superflua. Ma un ragionamento del genere porta anche ad affermare che deve essere così sempre. Mentre non è vero. Ci possono essere saggi che sono felici in generale, ma temporaneamente incazzati per qualche motivo. Dunque non è vero che sono costanti ed imperturbabili sempre, ma solo per lo più. Come non è vero che sono liberi dal dolore perché se gli casca una trave sul piede o si martellano un'unghia, si fanno male come i non saggi.  E se muore qualcuno tra i loro cari, piangono anche loro.

L'etica stoica

Come abbiamo già visto, secondo Zenone, la condizione per raggiungere la felicità è vivere secondo natura (cioè secondo il Logos) Per fare ciò occorre conformarsi al Logos stesso (oikèiosis, che vuol dire familiare, affine).

In questo sta la virtù, mentre il male sta nel vizio. Il vizio non è solo il dedicarsi al male, ma anche a ciò che gli uomini da poco considerano beni, ovvero ricchezza, onori, piaceri ecc). Il vero saggio, secondo Zenone, è indifferente (adiàphora), anche se ovviamente la salute è, secondo logos e natura, preferibile alla malattia.

L'azione perfetta (katòrthoma) consiste per lo stoico nel praticare la virtù e disinteressarsi di tutto il resto. L'azione malvagia è errore (o peccato, nel cristianesimo) e consiste nel praticare il vizio.

Tra gli estremi del comportamento virtuoso e del comportamento malvagio Zenone ammise, aristotelicamente, le kathèkonta, cioè le azioni dirette ad ottenere correttamente ciò che è preferibile. Cicerone chiamerà queste azioni volte ad ottenere il preferibile officia, cioè 'doveri'. Potrà in tal caso trattarsi di doveri perfetti se compiuti al fine da risultare virtuosi, doveri relativi, come dirà poi Kant, dovuti a motivi di ragion pratica.

Per Zenone dunque la vera felicità si consegue attraverso il distacco dalle cose, la non partecipazione emotiva, l'autosufficienza e l'apàtheia, cioè l'impassibilità. Si comprende così perchè nel linguaggio corrente si possa parlare di sopportazione stoica, fermezza stoica e così via.

Discepoli di Zenone e prosecutori dello stoicismo furono Cleante di Asso, nato ad Asso nel 304 a.C., e Crisippo, nato a Soli nel 281 a.C..

Di essi, come dello stoicismo romano, parleremo in altra sede.

30/11/99

revisione del 10 ottobre 2000, Guido Marenco - cactus filosofia -