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Biologia e metabiologia





Semplicemente la vita. Riflessioni tra scienze biologiche e filosofia della biologia a ruota semilibera
Batteri infernali, cellule staminali, cuculi imbroglioni e scimpanzé xenofobi

di Giuseppina Saccone
«Di scienza si può anche morire, ma senza scienza non si sopravvive» (Aldo Fasolo)
La lucertola rigenera la propria coda mozzata, il tritone riforma le zampe amputate, l'Hydra d'acqua dolce può essere sezionata in molte parti, ognuna delle quali conserva la proprietà di riformare, dopo un breve lasso di tempo, un nuovo organismo completo in ogni sua parte.
Prima di licenziare questo scritto ci ho pensato un bel po'. Riflettevo sulla sua utilità e sui possibili destinatari. Non è uno studio di didattica della biologia, ma ha certamente a che fare con esperienze fallimentari di didattica delle scienze naturali nei miei lunghi anni di insegnamento. A molti potrebbe sembrare un testo senza capo né coda, con accostamenti arbitrari ed avventurosi. Ebbene, ho deciso di pubblicarlo proprio perché esprime - anche attraverso un percorso tortuoso, non lineare, a volte forzato, una tensione essenziale, ed una precisa intenzione. Volevo e voglio sottrarre un po' di spettatori al calcio e ai talk show, alcuni dei quali davvero squallidi, per spostare la loro attenzione su faccende più degne. In questo momento, anch'io guardo le partite dei mondiali seduta a fianco del mio nipotino. Non è tempo perso. Mi accorgo che c'è molto da imparare da quanto succede in campo, dalle reazioni del ragazzo, ed anche dalle mie. Non posso nutrire intenti distruttivi nei confronti di ciò che emoziona, diverte e arricchisce anche me. Tuttavia, mi rendo conto che il tempo di cui dispongo io non è illimitato ed ho buone ragioni per credere che sia così per tutti. Viene così il momento di scegliere come investire il proprio tempo.

Batteri infernali, scissione binaria e coniugazione batterica
Le forme del vivente non sono infinite, ma sono tantissime e diverse. Alcune ci appaiono grandi, altre tanto piccole da risultare invisibili a occhio nudo. Alcune sono longeve, altre durano pochi istanti. A seconda dei punti di vista, un battere può essere considerato come potenzialmente immortale, o come un esserino fragilissimo destinato a morire per riprodursi. Tutto sta a come pensiamo la divisione a metà che origina due individui, i quali sono distintiguibili se riusciamo a distinguerli. Comunque sia, c'è chi insiste sulla continuità della vita e chi sulla necessità della morte. Non ha molto senso avviare dispute su come interpretare l'evento. Il genitore si dissolve dividendosi. Non può non farlo, non è in grado di "rifiutare" la maternità, il suo destino di "genitore". Non sarebbe utile classificare la scissione binaria come un caso di "suicidio" cellulare perché in natura sono stati osservati dei veri casi di "suicidio" cellulare che non producono altro che l'interruzione del ciclo riproduttivo. Si tratta di eventi che non dipendono evidentemente da una volontà ma, semplicemente da situazioni indotte, molto spesso, se non esclusivamente dall'esterno, da "segnali" biochimici e quindi biomolecolari, esterni alla cellula ma, non all'organismo. (1) (vedi anche Apoptosi e Caspasi)
La condizione dei batteri che si riproducono per scissione binaria mette in evidenza come "caso e necessità" si incrocino e si sovrappongano nei modelli teorici. Le mutazioni sono casuali, ma su alcune mutazioni, opportunamente studiate, si possono fare previsioni. Da un certo punto in poi non è possibile che le cose vadano diversamente da come vanno in generale tra i batteri. Date determinate condizioni esterne, diciamo ecologiche, una popolazione batterica può assumere in poche ore dimensioni colossali, nell'ordine di milioni e milioni di individui. Partendo da un solo batterio, ogni ora del nostro orologio corrisponde a tre - quattro scissioni binarie. Per contare venti generazioni successive, sono sufficienti cinque ore: tanto basta per avere un milione di batteri discendenti da un solo progenitore.
Ovviamente, ciò può avvenire solo in condizioni biotiche e abiotiche favorevoli. Con il primo termine si designano i contesti ambientali di tipo biologico, con il secondo le condizioni fisiche e climatiche indipendenti che ospitano la vita. I batteri possono parassitare un animale superiore, compreso l'uomo, o decomporre i suoi prodotti di rifiuto. Nella flora batterica ospitata dal nostro intestino vi sono individui che ci risultano non solo utili ma, indispensabili in quanto producono la vitamina B, che il nostro organismo non è più in grado di sintetizzare da solo.
Vi sono microrganismi che prosperano in condizioni abiotiche estreme. Pyrococcus furiosus muore di freddo a temperature inferiori a 70°. Thermophila acidophilum resiste sia ad alte temperature sia a bassi valori di pH. Alcune specie di batteri vivono associate a depositi di petrolio: lo utilizzano con altri materiali organici quale fonte di energia cellulare. Una di queste specie vive nella roccia a profondità di oltre 1500 metri e muore in presenza di ossigeno; è il Bacillus infernus. Esistono microrganismi che non derivano la loro energia dal Sole, sono detti litoautotrofi e sono in grado di estrarre i nutrienti da rocce vulcaniche, rocce come il granito che non contengono composti organici, vivono mangiando pietre. Deinococcus radiodurans è resistente alle radiazioni. (wiki)
Simili fenomeni portano legittimamente a supporre che la vita non sia un'esclusiva del pianeta Terra e che essa sia possibile su tantissimi pianeti in orbita attorno a miliardi di stelle. Non è affatto necessario che vi sia un clima di tipo mediterraneo con tanto di spiaggia ed ombrellone perché ciò accada. Eppure l'evento del trapasso dall'inorganico all'organico è ritenuto altamente improbabile, al punto che alcuni studiosi hanno persino ipotizzato che la vita non abbia avuto origine sul nostro pianeta ma, sia - per così dire - immigrata dallo spazio, e che molto della vita eventuale sui pianeti sui quali sarebbe possibile, sia comunque arrivata dallo spazio. C'è anche una branca particolare della biologia che si occupa di studiare la vita extraterrestre, la esobiologia. E' una disciplina in via di incremento che grazie all'introduzione di metodi spettroscopici mira a trovare le prove di attività biologica in altri mondi. Al di là degli aspetti fantascientifici di queste ricerche, indubbiamente ricche di fascino, c'è però da osservare che i biologi e gli appassionati di biologia possono trovare infiniti motivi di interesse rimanendo ancorati a terra. La semplice osservazione mediante un microscopio propone scenari stupefacenti di vita vegetale ed animale. Alcune situazioni risultano paradossali, al punto da non crederci se a raccontarla non fosse un biologo ma, un cantastorie. Una di queste storie è che anche i batteri, alcuni di essi, si possono riprodurre tramite rapporto sessuale con altri batteri, come nel caso di Escherichia coli. Nel contatto, il maschio inietta il proprio patrimonio genetico nella femmina e muore. Ma, in una recente visita al sito Coniugazione_batterica di Wikipedia, ho scoperto che non tutti i maschi batterici muoiono. Comunque sia, in Escherichia coli esistono due tipi di cellule, uno designato come maschile, l'altro come femmina. Quelle maschili si distinguono da quelle femminili perchè in possesso di un tratto di DNA, detto fattore F, che è assente in quelle femminili. Poste in mezzo a liquido nutritivo, le due cellule si avvicinano reciprocamente fino al formarsi di un sottile collegamento citoplasmatico. Così il DNA maschile può trasferirsi nella cellula femminile. La cellula femminile fecondata viene a contenere sia l'informazione genica maschile che quella femminile. Ad esso segue un crossing over tra i due pool genetici, che origina un nuovo potenziale. La domanda che mi sono spesso posta non ha tuttavia incontrato finora una spiegazione esauriente nei tanti libri che mi sono messa in casa, o che ho consultato nelle biblioteche. Partendo da questi fatti osservati, ci si deve limitare a ipotizzare una possibile derivazione della numerosa specie di batteri oggi presenti da una coppia simile ad Escherichia coli esistente nei primordi, o si può ipotizzare un principio evolutivo in grado di spiegare l'origine di organismi pluricellulari legati l'uno all'altro?
Dopo questa prima domanda, è stato facile, almeno per me, formularne una seconda, non meno impegnativa. Come è possibile che siffatti microorganismi, privi di un sistema nervoso, possano provare un senso di attrazione, qualcosa di simile al processo descritto come "stimolo e risposta"? Aggiungendo che sono privi di vista, udito e così via, il quadro è pressoché completo. Ebbene, sono giunta a ipotizzare due spiegazioni apparentemente diverse, che si potrebbero anche ritenere incompatibili. La prima è decisamente fantascientifica. Nei microorganismi esistono in potenza gli sviluppi che si incontreranno nei viventi più evoluti. Un germe di sistema nervoso a noi invisibile. La seconda ipotesi, che sicuramente sembrerà più razionale, verte sull'equivalenza con ferro-calamita: un principio di attrazione con radici nella fisica. La percentuale di ferro presente nei tipi maschili potrebbe risultare sufficiente a spiegare l'irresistibile attrazione nei confronti della calamita femminile. Questo livello di spiegazione non sarebbe incompatibile con quella di livello superiore (chimico e biochimico) vertente sull'esistenza in alcuni batteri di un rudimentale, ma organico, sistema di percezione dei "segnali" fisici e chimici.
E tutto questo per tacere degli Archea, dei quali conviene sapere qualcosa di più dettagliato consultando wikipedia. La loro scoperta fu dovuta alla testardaggine del fisico-biologo Carl Woese e fu provvisoriamente sistematizzata da Thomas Cavalier-Smith con nuove regole di classificazione dei Regni, successivamente corretto nel 2003, mediante una ritrattazione abbastanza clamorosa che risospingeva gli Archea all'interno del Regno dei Batteri, scindendo quello dei Protisti nei due regni dei Cromisti e dei Protozoi. Sicché, si è di fronte ad una situazione paradossale. Una parte della comunità scientifica, inizialmente restia ad accettare la riforma proposta da Cavalier-Smith, oggi la sostiene, proprio quando questi non la condivide più. Credo sia assai difficile esprimere un'opinione in proposito se non ricorrendo all'insiemistica ed individuando le proprietà comuni ad una serie di oggetti. Ciò sembra ragionevole, ma non può di per sé portare ad una soluzione definitiva, dato che è implicito al processo di scoperta l'individuazione di sempre nuove proprietà che non soddisfano le richieste dell'insieme considerato. Onde evitare una confusionaria anarchia, gli studiosi si sono accordati (rassegnati?) ad un codice - noto come "The code" - le cui motivazioni sono egregiamente argomentate su wiki. Bisogna tuttavia prestare attenzione al fatto che i centri di ricerca si sono moltiplicati e con essi sono cresciute le scoperte e le ipotesi sulla loro portata. Ciò rende instabile qualsiasi tentativo di stabilizzazione permanente.

Le cellule staminali
Se prendiamo un lombrico, e lo tagliamo in due, noteremo un fatto straordinario: le due parti daranno origine a due vermetti interi ed autonomi, senza difetti fisiologici e funzionali. Ma ciò che è possibile ad un verme, è del tutto impossibile ad un organismo più complesso come ad esempio un mammifero. Tagliando in due una balena, non avremo mai due balene vive, ma due mezze balene morte. Tuttavia, anche tra i mammiferi accadono eventi di particolare interesse. Le ferite possano rimarginarsi. In piccola parte, anche i mammiferi hanno conservato la proprietà di rigenerare le cellule danneggiate. Anche i neuroni si possono rigenerare, fatto che si riteneva impossibile quando frequentavo l'università ai tempi di Matusalemme.
La constatazione del "potenziale rigenerante" esistente negli organismi viventi ha portato a studi sempre più approfonditi ed oggi disponiamo di conoscenze basilari su come sia possibile un simile fenomeno. Normalmente, le cellule si rinnovano duplicandosi per mitosi, cioè per scissione binaria che origina due individui simili. Tale processo non avviene a casaccio, ma grazie al controllo che gli Omeobox e i geni Hox (vedi) esercitano sulla duplicazione, lo sviluppo e la crescita. Ma nel corpo degli organismi sono state trovate cellule particolari, di tipo più primitivo, non specializzate come le altre cellule, eppure in via di differenziamento progressivo, nel quale, in parte - ma solo in parte - viene conservata la qualità originaria e in parte essa si modifica coevolvendo con l'età dell'organismo. Le staminali "adulte" sono cellule tessuto-specifiche che supportano la rigenerazione di tutte, o quasi, le componenti di un organismo vivente. E' difficile stabilire se in età adulta e matura esercitino una funzione di "pilotaggio" oppure si limitino ad un ruolo gregario di "rematori". Forse, la rappresentazione più appropriata corrisponde a quella del rematore controcorrente, che ancora si oppone al flusso inarrestabile, ma rallentabile, dell'invecchiamento. Bisognerebbe risalire, dunque, ai geni Hox delle staminali più primitive per trovare i veri responsabili delle direttive di trascrizione che hanno determinato la crescita e lo sviluppo dell'organismo. Un regresso che si arresta allo zigote, la cellula uovo fecondata. Su wiki è reperibile una trattazione introduttiva tra le più soddisfacenti perché classifica le stamnali in ordine al tempo ed al luogo. http://it.wikipedia.org/wiki/Staminali

Il merito della scoperta delle staminali va al canadese Ernest Mc Culloch. (vedi) Molti tipi di queste cellule sono oligopotenti e multipotenti nel senso che possono dar luogo a numerose differenziazioni. Ogni tessuto ha alle sue spalle, per così dire, un continuo ricambio che è fornito non solo dalle mitosi ordinarie ma dalla riserva di staminali. (2) Negli umani ogni secondo vengono prodotti circa 3000 globuli rossi, insieme a linfociti B e T, mielociti e macrofagi, nonché piastrine. Le staminali del sangue, che risiedevano nel fegato del feto, nell'individuo adulto risultano trasmigrate nel midollo osseo; quelle muscolari vivono attaccate alle fibrocellule del muscolo. Le altre hanno preferito annidarsi negli strati più profondi dei tessuti a cui servono il ricambio. La scoperta di queste cellule è naturalmente importantissima sul piano medico e foriera di sensate speranze. In un passato relativamente recente ha consentito di ricorrere ad esse con trapianti di midollo. Già nel 1956, un bambino affetto da leucemia fu curato con un pezzettino di midollo donato dal gemello, la cui somiglianza genetica evitò il cosidetto fenomeno del "rigetto". L'intervento ebbe successo anche perché le cellule maligne erano state bombardate da radiazioni. Meno successo ebbe il tentativo di trapiantare cellule del pancreas per curare individui affetti da diabete. Il che non esclude che si possano in futuro individuare soluzioni anche a questo problema. Rispetto a molte patologie degenerative si prospettano interessanti prospettive sia in unione che in concorrenza con interventi specifici di terapia genica, cioè il trapianto di cellule con DNA modificato in laboratorio. Nel 2006 il giapponese Shinya Yamanaka (vedi) riuscì a riprogrammare cellule adulte, facendole regredire allo stadio di cellule staminali pluripotenti. Queste cellule non possono differenziare in un individuo completo, ma sono "in potenza" - come avrebbe detto Aristotele - molto più ricche di possibilità di quelle adulte. Ciò ha aperto nuove prospettive a quella che si potrebbe chiamare terapia personalizzata, capace di ricorrere alle risorse presenti nell'individuo invece che agli embrioni congelati, o addirittura alla clonazione dello zigote. Peccato che tale possibilità sia ancora riservata ai pochi che vi possono accedere. Nuove prospettive si segnalano anche sul fronte delle cosiddette "staminali amniotiche".

In senso stretto, l'unica cellula definibile totipotente è lo zigote, in quanto è l'unica in grado di differenziare progressivamente nei vari passaggi dello sviluppo embrionale e fetale. Consiglierei di prendere la definizione di "totipotente" in senso relativo, poiché trattasi comunque di un prodotto storico e non di un archetipo perfetto, ovvero di un embrione ideale pescato nell'iperuranio. In quanto tale, se si assume come vera l'ipotesi di una coevoluzione, non necessariamente simmetrica e sincronizzata al 100%, anche il clone si presenta "anacronistico", ovvero in crescente ritardo rispetto alla "corsa agli armamenti"nella lotta per l'esistenza raccontata da Richard Dawkins nei suoi lavori più prestigiosi. Del resto, lo aveva già scritto Edoardo Boncinelli alla voce "Clonazione" nel Dizionario di Biologia: «Gli esseri umani così ottenuti sarebbero comunque meno simili tra loro di quanto non lo siano i gemelli monozigotici, che hanno sì lo stesso patrimonio genetico, ma derivano anche dalla stessa cellula-uovo e hanno trascorso il periodo della gestazione esattamente nello stesso ambiente intrauterino.» (3) Evento che non può concretizzarsi, per ora, perché non si dispone di incubatrici in grado di simulare il medesimo ambiente. Nello stesso Dizionario, Aldo Fasolo, alla voce "Staminali cellule", metteva profeticamente in guardia contro speranze esagerate, richiamando in primo luogo l'eventualità di infezioni batteriche della membrana utilizzata per la clonazione e dello stesso materiale genetico, nonché pericoli di rigetto immunologico. Il punto chiave delle considerazioni di Fasolo consisteva però nel diffidare della politica degli annunci enfatici e faciloni, che alimentano attese messianiche in procedimenti ed individui indegni. Siamo così alle squallide cronache, al metodo Stamina, alle infusioni miracolose di intrugli, valutati come pericolosi e, quindi nemmeno "neutrali" o con effetti nulli. Io, ovviamente, non dispongo del materiale sufficiente per esprimere un giudizio sul metodo Stamina e sui suoi effetti, quindi non posso che rinviare alle valutazioni di esperti nei quali ripongo maggior fiducia, ad esempio, di Elena Cattaneo, la quale mi sembra convergere con gli atteggiamenti prudenziali di Fasolo, mettendoci di suo una più marcata considerazione del "rigore scientifico" della comunità dei ricercatori. Uno dei problemi che abbiamo di fronte, come consorzio umano, è dunque quello di come si comunica la scienza. Un atteggiamento meno enfatico, che sollevi minori entusiasmi ed ingiustificate attese messianiche, è sicuramente di gran lunga preferibile. Il progresso scientifico non è una linea retta in costante ascesa, ma un susseguirsi di situazioni cognitive (tra cui gli esperimenti) nelle quali sembra di essere arrivati alla soluzione finale, ma non è così. Se è vero che la natura è un soggetto privo di coscienza che fa del bricolage, è anche vero che lo scienziato cosciente non può che trovarsi di fronte a continue sorprese.Ad esempio, a staminali oncogene. Nemmeno le staminali sono il sommo bene.

Libertà di ricerca, sperimentazione ed insegnamento

A molti appare ovvio. E' preferibile vivere in società tolleranti che consentano ricerca, sperimentazione, e libertà d'insegnamento. Ma questo è un principio astratto e teorico che urta contro dinamiche delle società reali che sembrano continuamente sollevare obiezioni. Possono risultare intolleranti, a diverse scale di grandezza, praticamente tutti, io compresa. Nella mia vita di insegnante di scienze naturali, sono entrata più volte in conflitto con programmi ministeriali, libri di testo, insegnanti di religione e, soprattutto, di filosofia. Mi sono più volte sorpresa ad invadere il campo altrui, tentando di demolire ciò che alcuni di questi, faticosamente, e molte volte onestamente, cercavano di costruire. Non ne sono pentita, ma non ne sono nemmeno soddisfatta. Se si è davvero scrupolosi, o si vuol provare ad esserlo, è indispensabile un esame di coscienza al livello più profondo possibile. Da cui sono emersa più volte con la persuasione che vi sia un valore non negoziabile: quello dell'onestà intellettuale. Esso porta inevitabilmente a qualche forma di aggressività, per quanto diluita in una soluzione acquosa di "buone e rispettose parole". Rispetto ad un' auspicabile fenomenologia dell'imbroglio, mi sono sentita spinta a considerare che esistono gli imbroglioni anche in natura.

Parassitismo di nidiata e gazze ladre e "malefiche"
Non tutti lo sanno, ma è qualcosa che tutti dovrebbero sapere. Non esiste il nido dei cuculi nel senso più comune ed ovvio del termine, cioè come luogo in cui si nutrono i pulcini per un periodo di circa venti giorni. Le femmine depongono le uova fecondate nel nido di altri uccelli, in genere passeriformi. L'uovo, di aspetto simile a quelli presenti nel nido, si schiude prima degli altri, godendo del vantaggio di un più breve periodo di incubazione. Appena venuto al mondo, il cuculino (o la cuculina), per istinto atavico, getta le altre uova fuori dal nido e approfitta della somiglianza con i "pulcini" passeriformi, per ingannare i genitori adottivi (a loro insaputa), ed essere nutrito fino al momento di spiccare il volo. Fatti come questi, già riportati da Aristotele nei testi di biologia, depongono a favore di un'ipotesi di comportamento innato e non appreso. La "mente" dei cuculi non è una tabula rasa, ma segue una direttiva che non può che essere considerata come innata ed ereditaria. Un'altra specie di uccelli che si comporta come i cuculi è quella del vaccaro testabruna, Molotrhus ater. La scheda di wikipedia mi ha fornito informazioni che ignoravo. E già che ci siamo consiglierei di visitare anche la pagina dedicata all'ordine dei Passeriformi, che raggruppa oltre 5300 specie di uccelli. (wikipedia) Il tour si potrebbe concludere con un salto al sito della gazza ladra, Pica pica, specie considerata "malefica" nelle tradizioni popolari, attratta da oggetti luccicanti e piuttosto disinvolta nel distruggere le uova di altri uccelli, comprese quelle dei cuculi imbroglioni. Come si vede da questi esempi, la sopravvivenza degli individui è spesso questione di fortuna. La fortuna di una specie è invece questione assai più complessa e controversa. Ne riparleremo.

Leoni infanticidi e scimpanzé xenofobi
La vita, insomma, è qualcosa di estremamente fragile e delicato, si può spegnere con un click - come fanno i piccoli di cuculo - , ma è anche tenace, tende a moltiplicarsi fino ad occupare tutto lo spazio disponibile e segue vie di sviluppo nient'affatto semplici da cogliere in tutte le complesse angolature. Ovunque ci sia vita, esistono individui che lottano per sopravvivere e riprodursi. Sotto questo aspetto, la vita è anche crudele. Come è stato scritto dal poeta, "le zanne e gli artigli sono intrisi di sangue". Forse meno delle spade e delle bombe degli uomini, ma non in modo così spontaneo e "innocente" come credono ancora i filosofi ingenui che vedono la "bestialità" gratuita ed ideologica solo nell'uomo. Anche gli animali sanno essere "bestiali" e la loro violenza non sempre è obbligata da necessità vitali. L'etologia dei leoni consente di conoscere il mondo di questi predatori - che non rifuggono dal mangiare carogne - ed ipotizzare sulle loro motivazioni, in particolare sul perché uccidano la prole della femmina appena conquistata. (vedi)
Tra i nostri parenti più prossimi, gli scimpanzé, le cose non vanno molto meglio. «Non c'è dubbio - scrive Frans de Waal - che gli scimpanzé siano xenofobi.» Non sopportano la presenza di scimpanzé intrusi nel territorio posto sotto controllo. In proposito si è parlato persino di atti mirati e violenza intenzionale. Una delle massimi esperte di scimmie, Jane Goodall, si è chiesta come fosse possibile parlare di "intenzionalità" e non di semplice effetto collaterale dell'aggressività animale. La descrizione di de Waal di una caccia degli scimpanzé ad uno scimpanzé extracomunitario non lascia dubbi: «Uno degli assalitori poteva immobilizzare la vittima (sedendoglisi sulla testa e tenendogli ferme le gambe), mentre altri la mordevano, la colpivano e la picchiavano. Gli torcevano l'arto, gli laceravano la trachea, gli strappavano le unghie, bevevano letteralmente il sangue che fuoriusciva dalle ferite e nella maggior parte dei casi non mollavano la presa fino a che la vittima non si muoveva più. Alcuni resoconti riferiscono che a distanza di settimane gli assalitori ritornano sulla scena del delitto, con tutta probabilità per controllare i risultati della loro impresa.» (3)

Homo sapiens "quasi" come loro, ma in grado di cumulare informazioni, trasmetterle e trascenderle
Nelle dispute tra filosofi, teologi, sociobiologi ed altre specie di competitori per l'egemonia intellettuale e morale, si arriva spesso al richiamo della natura. Un punto talmente vago da seminare tanta confusione. Dalla natura si possono trarre le lezioni più contraddittorie. Ma, non ci sono animali in grado di dare lezioni di educazione civica e orientare moralmente. Così si finisce coll'attribuire una specificità alla natura umana, la quale, tuttavia, è a sua volta fonte di grandi delusioni. Non so se esistano ricette miracolose per uscire dal circolo vizioso. Ho solo visto che appellarsi al trascendente poche volte funziona e tante no. Potrebbe voler dire che la trascendenza è una possibilità offerta a tutti, ma colta da pochi. Certo è che in un clima rissoso diventa difficilmente praticabile. Riguardando i miei appunti, ho visto che perfino un individuo ammirevole come Thomas Huxley, nel fervore della disputa con Richard Owen, che lo aveva definito «primate archeoencefalico totale», non resistette alla tentazione di bollare l'avversario con l'espressione «ortognato brachicefalo bimanopiteco». (5) Se la mettiamo sul ridere - e quindi trascendiamo - nulla di male, ma se la prendiamo sul serio, apriti cielo, siamo in un clima di drammatiche ordalie.

Un moderato ottimismo venato di pessimismo
La specie Homo sapiens non è sicuramente l'unica specie animale che possa dirsi consapevole della vita e della morte. Basta osservare un cane per comprendere come esso reagisca emotivamente alle sofferenze del suo padrone. E basta osservare uno scimpanzé in assetto di guerra per capire che un film come Il pianeta delle scimmie sia diseducativo, perché non è vero che gli scimpanzé sono eticamente meglio dei gorilla, o pacifisti e socievoli per natura. Lo sono in determinati contesti. Al contrario è vero che grazie ad alcune sue specifiche peculiarità, la specie umana è riuscita, grazie al linguaggio prima concreto e poi astratto e concettuale a riflettere sui fenomeni biologici ed acquisire conoscenze in grado di superare l'immediatezza delle sensazioni, quindi a tramandarle di padre in figlio, da maestro a discepolo. L'evoluzione delle conoscenze ha originato una particolare forma di cultura: la cultura scientifica. Grazie ad essa, gli esseri umani più specializzati ed addestrati in questa tradizione sono oggi in grado di fare molte cose che si pensavano impossibili. Cose alle quali nessun cane e nessuno scimpanzé ha mai pensato. Non ci limitiamo a raccogliere bacche e mirtilli, a piantare patate, a cacciare animali e mungere capre, ma ibridiamo piante diverse, tentiamo di creare nuove specie in laboratorio, di selezionare mucche capaci di produrre più latte. Cuociamo i cibi per renderli più saporiti e digeribili. Crediamo sia possibile programmare batteri in grado di svolgere lavori ecologici e disinquinanti. In parte, siamo già in grado di ricorrere a quelli esistenti. Siamo anche diventati capaci di pilotare fecondazioni artificiali di esseri umani. Le terapie geniche ci hanno messo in condizione di correggere alcuni dei più vistosi casi di mutazioni svantaggiose nocive, intervenendo alla radice di alcune malattie ereditarie.
Tutto ciò è sia entusiasmante che preoccupante. Personalmente, mi annovero tra gli ottimisti, ma molto, molto moderati. Per questo, posso legittimamente sottoscrivere tutte le preoccupazioni dei pessimisti che siano fondate e non frutto di assurde fantasie. Il nuovo potere di cui dispongono gli scienziati può essere male impiegato, può violare i confini etici e gli imperativi categorici che l'umanità si è data. Può persino mettere a rischio le sorti dell'intera umanità. Onde evitare che il pessimismo e le preoccupazioni si traducano in comportamenti isterici e antiscientifici di massa, occorre sempre più dar vita ad un'informazione scientifica che non sia "propaganda" e non risponda a target pubblicitari. Il che non è semplice come bere un bicchier d'acqua, perché anche l'informazione più scrupolosa è spesso fatta di spot e non di asserzioni fondate e coerenti, ragionevolmente critiche.
Un modo di evitare il dogmatismo implicito in ogni spot è ricostruire i processi teorici e sperimentali che hanno portato gli scienziati a formulare le loro asserzioni. Vorrei provare a seguire questa strada, pur rendendomi conto delle grandi difficoltà. L'obiettivo che mi propongo è quello di aprire una serie di finestre sulla storia del pensiero biologico, se le staminali mi assistono e non comincio a "sclerare".

Il sapere biologico oggigiorno può apparire a chi lo frequenta da poco come frammentato e non del tutto coerente. Non tutte le vie che potrebbero portare ad una convergenza convergono realmente, anche se, fortunamente, tra biologi ci si capisce ancora, sia che si parli in inglese sia che si parli in italiano o in cinese. Questo perché esiste una tradizione di precisione lessicale condivisa e perché i biologi amano definire con molta esattezza i concetti che utilizzano.
In realtà, la convergenza esiste, ed esiste anche quando si contrappongono concezioni e metodologie diverse. Un esempio può chiarire meglio di qualsiasi discorso generalista. Nessun biologo oggi negherebbe che il DNA sia il depositario dell'informazione genetica e che questo sia un dato di fatto universalistico per i fenomeni della vita sul pianeta terra. Altrettanto si potrebbe dire del codice genetico, cioè del numero di aminoacidi che vengono impiegati per la sintesi delle proteine. Anche tra i più renitenti e dubbiosi nei confronti delle diavolerie della biochimica, è diffuso obbligatoriamente un sapere biomolecolare. Bisogna conoscere ciò di cui si parla, altrimenti si ciarla. Ciò non ha impedito che sul concetto di "gene" e di "genoma" si sia aperto un dibattito intenso, che ha raggiunto in alcune occasioni toni apertamente polemici. Sono entrate in gioco "visioni del mondo", della vita e della biologia, posizioni filosofiche ed epistemologiche. Non è mancata l'accusa probabilmente più infamante, quella di un disinvolto impiego della ricerca volto principalmente al guadagno di colossali fortune economiche, come nel caso di Craig Venter. (6) Personalmente, non ritengo che questo sia un criterio di giudizio che pregiudichi tutto quello che Venter ha contribuito a far conoscere, manovrando in modo manageriale le risorse di magnati desiderosi di ricavare degli utili dai loro investimenti. Oggi però siamo di fronte ad un tentatvo assai più ambizioso: quello di costruire una vita sintetica. (vedi) Ai posteri l'ardua sentenza.
A risincronizzarci, spero, presto.
Note:
(1) in proposito si può dare un'occhiata a J. C. Ameisen - Al cuore della vita - Feltrinelli 2001
(2) sull'argomento la bibliografia comincia ad essere imponente e diventa sensato rivolgersi alle opere più recenti. Ad esempio: Maurilio Sampaolesi - Le cellule staminali. Tra scienza, etica ed usi terapeutici - Il Mulino 2011
(3) Aldo Fasolo (a cura di) - Dizionario di Biologia - UTET 2004
(4) F. de Waal - La scimmia che siamo - Garzanti 2006
(5) Giulio Barsanti - Una lunga pazienza cieca - Einaudi 2005

(6) una ricostruzione della prima parte della carriera di Venter e della sua irresistibile ascesa in Ken Davies - Il codice della vita - Mondadori 2001
GS - 19 giugno 2014

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