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John Stuart Mill

Il sistema di logica deduttiva ed induttiva

Lo scritto Sistema di logica deduttiva ed induttiva è del 1843. Ne uscirono poi altre due edizioni riviste in diversi punti e l'ultima risale al 1872.
Nell'elaborazione di questo testo Stuart Mill risentì dell'influenza di Comte, inserendo nelle premesse della sua idea di logica una forte connotazione antimetafisica; tuttavia buona parte del libro fu una ripresa dei temi già affrontati dal padre, James Mill, con particolare riferimento ai problemi dell'associazione mentale e della logica come strumento di valutazione dell'associazione.
In James Mill era sostanzialmente rimasto irrisolto il problema di come stabilire la verità e la falsità di un'associazione mentale, nei termini veri e propri, ripresi con vigore da Peter Strawson nel '900, di congruenza ed incongruenza, di inerenza e non inerenza e del rispetto a cosa si danno valutazioni. Di fatto James Mill era riuscito a rilanciare la validità del procedimento logico empirico dopo che Hume ne aveva radicalmente messo in discussione il fondamento. Per Hume noi crediamo per abitudine che B dipenda da A, ma non abbiamo alcuna speranza di poterlo dimostrare in modo razionale. Per James Mill, al contrario, stabilito che B viene da A per un'osservazione e non per credenza, era nuovamente possibile inferire che se, in passato, "così è stato" , ovvero che da A venne B, anche per il futuro sarà possibile diagnosticare che "così sarà", ovvero che da A1 verrà B1, e persino che da C verrà un D.
Se questa fu sostanzialmente la linea di ispirazione che Stuart Mill seguì nell'esposizione della sua logica, c'è da aggiungere che egli dovette misurarsi anche con tre filosofi inglesi, suoi contemporanei, che proprio sui problemi della conoscenza e della logica avevano cominciato ad assumere posizioni più che degne di interesse. Da un lato egli nutrì subito una certa attenzione per William Hamilton (1788-1856), prosecutore della scuola scozzese del senso comune, che era venuto a sostenere una linea di conoscenza degli oggetti non attraverso la rappresentazione mentale, cioè fatta mediante idee, ma attraverso la presentazione diretta degli oggetti stessi, cioè un momento intuitivo immediato che legava strettamente linguaggio e realtà.
Dall'altro, Mill fu sicuramente stimolato da John Herschel (1792-1871) e William Whewell (1794-1866).
Del primo, figlio dell'astronomo William Herschel, possiamo dire che fu più scienziato che filosofo in senso stretto, ma scienziato vero, cioè ricercatore e studioso del fenomeno della rifrangenza dei cristalli, esperto di fotochimica, curioso di fotografia, e, sulla scia del padre, fortemente coinvolto da interessi in campo astronomico.
Nel 1830 aveva composto A Preliminary Discours on the Study of Natural Philosophy che, secondo l'epistemologo americano John Losee, costituì subito "l'opera più esauriente ed equilibrata che si potesse leggere sulla filosofia della scienza", ovviamente all'epoca. (Losee - Filosofia della scienza - il Saggiatore - Milano,2001 - originale: A Historical introduction to the Philosophy of Science - 1972 - 3rd edition in England - Oxford University Press -1993)

Herschel
Secondo Losee: «Uno degli importanti contributi di Herschel alla filosofia della scienza fu una chiara distinzione tra il contesto della scoperta e il contesto della giustificazione. Herschel sosteneva che la procedura impiegata per formulare una teoria è, a rigore, irrilevante ai fini della sua accettabilità. Una meticolosa procedura induttiva e una congettura incontrollata stanno sullo stesso piano se le loro conseguenze deduttive vengono confermate dall'osservazione.» (Losee, idem)
In pratica Herschel contestò: 1) che vi sia un solo metodo valido per tutte le scienze; 2) che ogni scienza abbia il suo metodo.
Piuttosto, affermò che ogni scoperta ha seguito una sua logica e che, dunque, la validità della scoperta non è determinata dal metodo, ma dalla verifica sperimentale della sua validità.
Non solo: egli diede particolare importanza all'esperimento cruciale, o esperimento del crocicchio, già teorizzato da Bacone come experimentum crucis, ovvero come esperienza che consente di scegliere la strada giusta quando ci si trova ad una biforcazione e si è in dubbio sulla strada da percorrere. Per Bacone l'esperimento cruciale stabiliva la vera causa di un fenomeno osservando se esso si verificava o meno in determinate condizioni cruciali.
Scrive Losee: «Herschel considerava gli esperimenti cruciali come controlli rigorosi che le teorie accettabili devono poter superare.» (Losee -idem)
Il vero punto da evidenziare, che il lettore accorto avrà compreso, è che Herschel andrebbe considerato come il vero autore della teoria della falsificazione, che una pessima vulgata attribuisce erroneamente a Popper, anche perchè, lo stesso Popper non fece molto per spiegare che la sua non era una teoria originale. « Sebbene - scrive Losee - nella valutazione delle teorie rivali si sia attribuito un eccessivo rilievo a certi esperimenti, l'atteggiamento generale che favorisce una ricerca dei casi falsificanti è stato della massima importanza nella storia della scienza. Herschel incoraggiava questo atteggiamento, e pretendeva che lo scienziato assumesse il ruolo di avversario delle proprie stesse teorie, e che cercasse sia confutazioni dirette, sia eccezioni che limitassero l'ambito di applicazione di tali teorie.» (Losee - idem)

William Whewell
Whewell era nato nel 1794 e si era laureato al Trinity College di Cambridge, dove in seguito ottenne prima la cattedra di mineralogia e poi quella di filosofia morale.
Whewell aveva scritto due opere altrettanto importanti: Nel 1837 History of the Inductive Sciences, e nel 1840 Philosophy of the Inductive Sciences.
Il dato di partenza di Whewell non fu dunque la filosofia, ma la storia della scienza.
Per Whewell era importante determinare quanto la storia delle scoperte scientifiche fosse stato segnata da una costante interrelazione ed integrazione tra idee e dati di fatto, dati di fatto ed idee. «Armato di questo principio, cercò di dimostrare il progresso di ciascuna scienza ricostruendo la scoperta dei dati di fatto a essa pertinenti e la loro integrazione in un contesto di idee appropriate. » (Losee - idem)
L'orizzonte entro il quale si orientò Whewell fu, tuttavia, diverso da quello scelto da Herschel, nonostante una certa omogeneità di vedute. Whewell fu molto più determinato nel mettere in rilievo il ruolo dell'a priori nella ricerca scientifica. Ciò per le influenze kantiane sul pensiero dello stesso. (Poggi - Il positivismo - cit.)
Ovviamente convinto, come Kant, che non vi sia conoscenza che non passi dall'esperienza, egli fu molto più attento di Herschel ai problemi delle condizioni entro le quali e sotto le quali si verifica la conoscenza.
« Whewell - scrive Losee - accoglieva la tesi di Kant secondo cui le idee vengono imposte alle sensazioni, e non vengono derivate da esse; comprendeva quindi tra le idee sia nozioni generali come "spazio", "tempo" e "causa", sia idee elementari di particolari scienze. Esempi delle ultime sono l'"affinità elettiva" in chimica, le "forze vitali" in biologia, e i "tipi naturali" in tassonomia. Whewell ammetteva che non vi può essere nulla di simile ad un "dato di fatto puro", avulso da ogni idea. Qualsiasi dato di fatto riguardante un oggetto o processo implica necessariamente le idee di spazio, di tempo o di numero. Di conseguenza, perfino i dati di fatto più semplici implicano qualcosa che ha la natura della teoria.» (Losee -idem)
Inoltre, per Whewell le idee non erano una conseguenza dell'esperienza (not a consequence of experience, but a result of the particular constitution and activity of the mind...) ma appunto il risultato di una particolare costituzione della mente, la quale ha una struttura logica predeterminata.
Questa citazione è tratta da un'opera del 1857, quindi successiva al System di Stuart Mill, ma lo stesso concetto è già presente negli scritti citati anteriori al System.
Ma, detto questo, sarebbe un errore grave considerare Whewell un antiempirista od un antiinduttivo. Egli dedicò gran parte del suo lavoro a risistematizzare il ruolo dell'induzione nelle procedure di scoperta scientifica e contestò Herschel su un punto di estrema importanza: a suo avviso le teorie ed anche le semplici ipotesi non ricavate dall'induzione, o quantomeno, anche dall'induzione, non avrebbero potuto essere verificate sperimentalmente. E questo perchè i dati osservabili e riosservabili costituiscono la materia stessa della conoscenza scientifica.

In quest'ambito Stuart Mill si trovò quindi impegnato non solo a precisare in che consiste la logica rispetto alla visione di Comte, per il quale la ragione (dunque anche la logica) coincide con la scienza nella versione comtiana, ovvero con un metodo che costruisce teorie muovendo da principi e dal dogma della costanza delle leggi naturali; si trovò anche impegnato a riscrivere la formula dell'empirismo, seriamente criticata e riaggiornata in chiave kantiana anche da Whewell. Whewell, per intenderci, aveva riaffermato con grande forza che esiste un io (in antitesi a Hume) e che nell'io stesso ci sono schemi mentali innati che portano necessariamente a vedere il mondo in un certo modo, a vivere le esperienze in un certo modo ed ad organizzare ed interpretare i dati in un certo modo ancora.

Non a caso Stuart Mill scrisse sin dalle prime pagine del System che la logica non è nè la scienza, nè una scienza una scienza qualsiasi, ma "il giudice e l'arbitro comune di tutta la condotta umana." Quindi anche della scienza. Come a dire che non fu la scienza a fare la logica, ma la logica, cioè un modo umano particolare di valutare i ragionamenti e le prove che li supportano, non tanto a fare la scienza, quanto a determinarne la validità. Su questo piano, pertanto, Mill fu più vicino a Whewell (ed a Kant) di quanto generalmente si crede.
Nell'accezione di Stuart Mill, tuttavia, la logica è, innanzi tutto, un elemento negativo e distruttivo: non fa ipotesi, ma le smonta, ne valuta la consistenza. Con ciò si spiega anche perchè la metafisica venne subito esclusa. La logica la rifiuta. La logica di Mill è una logica intrisa del veleno ( o delle vitamine?) dello scetticismo.
«Poichè la massima parte della nostra conoscenza, sia delle verità generali che dei fatti particolari, è incontestabilmente materia di inferenza - scrisse Mill - si può ricondurre all'autorità della logica non solo quasi tutta la scienza, ma anche la condotta umana. Fu detto che il trarre inferenze è la massima occupazione della vita. Ognuno ha bisogno ogni giorno, ogni ora ed ogni istante di accertare fatti che non ha osservato direttamente, non per uno scopo generico di accrescere il proprio patrimonio di conoscenze, ma perchè quei fatti hanno importanza per i suoi interessi o le sue occupazioni. Compito del magistrato, del comandante militare, del navigatore, del fisico, dell'agricoltore, è semplicemente un giudizio sull'evidenza ed un'azione conforme. Tutti hanno da accertare determinati fatti, per potere in seguito applicare determinate regole, o da loro stessi escogitate, o prescritte da altri per loro guida; assolvono bene o male i doveri delle loro diverse mansioni, secondo che fanno questo bene o male. E' la sola occupazione in cui la mente non cessi mai d'essere occupata, ed è argomento della conoscenza in generale, non della logica.
Tuttavia la logica non s'identifica con la conoscenza, sebbene il campo della logica sia coestensivo con il campo della conoscenza. La logica è il giudice e l'arbitro comune di tutte le investigazioni particolari. Non si occupa di trovare l'evidenza, ma di determinare se sia stata trovata. La logica non osserva, non inventa, non scopre, ma giudica. Non fa parte del compito del logico informare il medico delle apparenze che si siano trovate ad accompagnare una morte violenta. Egli deve apprenderlo dalla sua propria esperienza ed osservazione, ovvero da quella di altri che lo abbiano preceduto in quella particolare ricerca. Ma la logica si ritrova nel giudizio sulla sufficienza di quella osservazione ed esperienza a giustificare le sue regole, e sulla sufficienza delle sue regole a giustificare la sua condotta. Essa non gli dà prove, ma gli insegna che cosa le rende valide come prove, e come abbia da giudicarne. Non gli insegna che un fatto particolare ne prova un altro, ma stabilisce a quali condizioni ogni fatto debba rispondere per poter provare altri fatti. Spetta esclusivamente alla singola arte o alla singola scienza, oppure alla nostra conoscenza di quel particolare argomento, decidere se un dato di fatto risponda a queste condizioni, o se si possano trovare fatti che vi rispondano in un dato caso.
In questo caso la logica è quella che Bacone così espressivamente chiamò ars artium: la scienza della scienza stessa.» (System of Logic ...vol. I p.6)

In realtà questa concezione selettiva e valutativa della logica appartenne a Galileo Galilei, il quale la trasse, a sua volta, dagli autori rinascimentali, in particolare il filosofo Zabarella ed il medico Gerolamo Fracastoro. (Abbagnano - Dizionario di filosofia)
Ma il punto che andrebbe evidenziato è che sulla corrispondenza tra ars et scientia Stuart Mill, sulla scia di Bacone, salta frettolosamente ad una conclusione per nulla pacifica. Nel tardo medioevo si era realmente posto un problema di questo tipo: se la logica fosse arte o scienza. Come arte, cioè come tecnica , essa sarebbe stata nulla più che un modo per produrre discorsi corretti (ed ovviamente, anche per valutarli). Come scienza, al contrario, sarebbe stata una sorta di matematica senza i numeri, in grado di esporre i rapporti e le misure esistenti tra gli oggetti di cui si occupa.
La risposta, in genere, fu quella che la logica fosse sia l'uno che l'altro. Ma per evidenziare il problema nella sua vera dimensione occorre ricorrere alla grammatica. L'analisi della correttezza di un discorso, a prescindere dall'ortografia - diamo almeno questa per scontata - è innanzi tutto un problema di analisi grammaticale. Ecco che abbiamo i nomi di persona, i nomi comuni di cosa, gli aggettivi, gli avverbi, i verbi (transitivi, intransitivi, passivi, ausiliari, ecc...). L'analisi grammaticale valuta la correttezza formale di un enunciato comune. Poi viene l'analisi logica, quella che misura la coerenza logica di un discorso in base alla sua composizione dinamica. Un soggetto è ciò che può compiere un'azione. Un oggetto è ciò che può ricevere un'azione, subire un'azione. Un predicato è una qualità attribuita all'oggetto e così via. In questi termini la logica potrebbe dirsi un'arte (cioè una tecnica) e non una scienza.
Se, invece, si viene a definire la logica come scienza vera e propria, essa è fatta sia di un procedimento induttivo, cioè perviene ad una conclusione generale in base a osservazioni; ed è anche fatta di un procedimento deduttivo, cioè perviene a determinazioni particolari, muovendo da principi generali (leggi della natura, come nel caso del famoso sillogismo Socrate è uomo...pertanto è mortale; assiomi o postulati di tipo geometrico, o anche semplici definizioni). Ho voluto sottolineare questo punto davvero cruciale non per pedanteria, ma perchè introducendoci alla logica, mi pare sia fondamentale capire, se non cosa sia - non saprei nemmeno da dove cominciare - almeno come funzioni quella valutazione di congruenza o incongruenza di cui non riuscì a venire del tutto a capo il padre di Stuart Mill.

Denotazione e connotazione
La prima parte del System affronta proprio l'analisi del linguaggio, in particolare i termini e le proposizioni. Mill introdusse la distinzione tra termini denotativi e connotativi, asserendo che i primi indicano o un singolo individuo, come nel caso di un nome proprio, o tutti gli individui compresi in una classe, defininiti mediante una singola annotazione
I termini connotativi sono quelli che descrivono una caratteristica della classe denotata, mediante una nota aggiuntiva.
E' evidente che uno stesso termine può fungere sia da denotazione che come connotazione. Luigi è nome proprio di una persona, ma la classe di tutti quelli che si chiamano Luigi non ha altra connotazione che la comunanza del nome proprio. In un altro caso la parola "bianco" denota tutti gli enti appartenenti alla classe dei "bianchi", come la neve od anche come il "bianco degli occhi", ed allo stesso tempo li connota mettendoli in relazione alla bianchezza.
Su questa base Stuart Mill riuscì finalmente a dare una prima risposta ai problemi dell'associazione mentale avanzati da suo padre.
La connotazione è infatti il risultato di un'associazione, la quale si sviluppa a partire dalla constatazione di almeno un elemento in comune ad una serie di oggetti. Ciò ebbe notevoli conseguenze nello studio della psicologia e nella nascita della Gestalt, ma non è escluso, ovviamente, che qualche studioso di psicologia, abbia indirizzato Mill su questa strada.
Per Stuart Mill fu molto importante l'avvertenza di non scambiare una connotazione con una denotazione, ovvero non credere che una caratteristica propria di una classe di individui sia un'essenza reale ed universale. Per questo egli rivolse una critica alla logica scolastica medioevale, in particolare alla tecnica sillogistica sua propria di procedere da una caratteristica generale affermata per tutti e per inferirne, dedurne una proposizione particolare, valida per un individuo solo. Mill risolse, o credette di risolvere questo problema, asserendo che ogni "inferenza è da particolare a particolare", in quanto anche le stesse proposizioni universali non sono altro che il risultato di generalizzazioni di particolari. Questa particolare angolatura è certamente interessante, ma a prescindere che in sè aggiunge ben poco a quanto era già stato sviscerato nel vero senso della parola dagli scolastici, infine non risolve il problema della liceità del sillogismo, e credo sia assai difficile risolverlo. Come ho già evidenziato in un altro scritto (La pedagogia di Aristotele) presente su questo sito, un sillogismo del tipo tutti gli uomini hanno un cuore, Luigi è un uomo, quindi ha un cuore, non solo è presente come elemento inconscio nel 50%, o forse più, dei discorsi che facciamo, ma è alla base di una scienza quale la medicina, non solo alla base di una scienza quale la geometria. Infatti, per la medicina è fondamentale che tutti gli individui siano, sotto certi aspetti uguali, altrimenti non potrebbe darsi una scienza generale, ma solo una sterile enunciazione di casi particolari, di malattie uniche nel loro genere e così via.
Mill evidenziò che il sillogismo stesso nasce da precedenti osservazioni, condotte su particolari, e ricondotte a particolari. Su questo credo avesse un po' di ragione. Ma non sempre può essere accettabile la regola del caso per caso. In realtà c'è un uso strumentale del sillogismo che si può verificare ogni qualvolta la premessa maggiore è una classificazione di tipo ideologico. I comunisti, i cattolici, i liberali, i moderati: tutte le volte che nella premessa maggiore c'è un tutti i borghesi o tutti i proletari e così via, si dovrebbe comprendere che siamo probabilmente di fronte ad un uso demagogico del sillogismo che lo stesso Aristotele aveva implicitamente condannato asserendo l'accidentalità di alcune cosiddette qualità umane. In altre parole: non sembra davvero degno di una persona che ragioni, derivare le qualità umane da un sillogismo contenente una premessa maggiore di tipo ideologico.

Il fondamento della conoscenza è l'esperienza
Stuart Mill fu sempre convinto che tutte le nostre conoscenze derivino da un'esperienza e che anche quelle di natura astratta e concettuale abbiano a fondamento un particolare tipo di esperienza come l'aver letto un libro o l'aver ascoltato un discorso. Persino le conoscenze matematiche erano, a giudizio di Mill, derivazioni da conoscenze empiriche. Esse, infatti possono prescindere, come spesso succede quando affrontiamo un problema, da esperienze precedenti uguali, ma non possono prescindere dall'esperienza, cioè dalla conoscenza di alcuni teoremi, e dalla conoscenza di come siano stati risolti problemi analoghi, con difficoltà simili a quello che dobbiamo risolvere.
Ma il punto da comprendere, visto che a me non pare che esistano argomenti tali da poter negare l'importanza decisiva dell'esperienza in tutte le branche del sapere, è che Stuart Mill sottolineò un aspetto rilevante della matematica, cioè la sua capacità di astrazione. Ciò che rende la matematica una scienza esatta, la più esatta di tutte, è che essa non presenta oggetti reali, ma sempre situazioni ideali, e quindi fittizie, nella terminologia di Mill, quali il punto senza estensione, la linea senza larghezza e così via.
Queste entità ideali (fittizie), realmente poste, oggettivamente poste dalla ragione umana, dicono come sarebbero gli oggetti reali, se questi non avessero le proprietà, che noi stessi abbiamo sperimentato nella realtà.
La matematica, mondo del come se, non è quindi mai del tutto estranea al mondo dell'esperienza. Non è un'altra dimensione. Ne rappresenta una sorta di intelaiatura: Su questo piano Mill dimostrò quindi di aver assimilato più la lezione di Galilei che quella di Bacone. Come ricorderà più tardi Bertrand Russell nei Principles, i numeri servono anche a contare, e probabilmente, Stuart Mill era convinto che non solo servissero soprattutto a contare, ma che essi fossero nati proprio in funzione del contare e del misurare, cioè in base ad un'esigenza pratica. Ed anche in questo si distingueva da Comte, per il quale molto della genesi della scienza andava riferito ad insopprimibili bisogni della mente.

Il principio di uniformità della natura e la legge universale di causazione
A mio giudizio sia il metodo induttivo che il metodo deduttivo implicano una conoscenza preliminare o anteriore, e questa è l'esperienza. Se non ci fosse questa conoscenza preliminare, o esperienza, non si potrebbe nè indurre, nè dedurre, ma solo liberamente inventare congetture senza senso e senza fondamento. Persino per esprimere desideri o comandi, o chiedere informazioni, occorre una idea quanto meno vaga di quello che si vuole. Anche l'invenzione letteraria implica una conoscenza preliminare di qualche carattere, di qualche personaggio conosciuto. Per raccontare di una principessa, dobbiamo aver sentito storie di principesse; e per dedurre che ogni principessa è buona e perseguitata dalle streghe, quindi anche Sissi era così, dobbiamo aver introiettato l'assioma che tutte le principesse sono buone e perseguitate dalle streghe. Un classico sillogismo con premessa maggiore ideologica. Al quale si contrappone il proverbio: non è l'abito che fa il monaco.

Per Mill l'induzione sta a monte di ogni deduzione, come abbiamo visto, nel senso che un assioma, ovvero la premessa maggiore di ogni sillogismo, è il risultato di una serie di osservazioni, che inducono ad una conclusione.
Ciò che importa, allora, è il modo dell'induzione, come nasce, come si sviluppa, come porta alla possibile conclusione.
A questo proposito, prima ancora di entrare nella spiegazione dettagliata dei quattro metodi dell'induzione presentati da Mill, dobbiamo prestare attenzione al fatto che egli si preoccupò innanzi tutto di fissare logicamente delle garanzie di validità all'induzione di volta in volta considerata. La prima garanzia è determinata da quella che Mill chiamò il principio di uniformità della natura, ossia la legge secondo la quale tutti gli individui della stessa classe si comportano allo stesso modo.
Chi abbia seguito con attenzione quanto detto finora, si accorgerà che questo principio non è altro se non il dogma della costanza delle leggi affermato da Comte. La differenza sta nel fatto che Comte introdusse un dogma non necessario, laddove Mill giunse alla formulazione del principio per via dialettica.
In base a questo principio, se osserviamo leoni e il loro comportamento in alcuni casi, possiamo indurre che in generale, i leoni sono carnivori ed enunciare quindi il principio che la specie dei leoni è carnivora. Analogamente se osserviamo api, sempre e solo in alcuni casi campione, arriviamo facilmente a concepire che esse vivono in società strutturate ed organizzate.
Si comprenderà, spero, che questa legge di uniformità ha un valore decrescente, man mano si passa da una una realtà di materia organica ad una organica, vivente vegetale ed animale, ed infine umana.
Questo principio di Mill, in effetti, per continuare ad avere una validità anche in situazioni complesse come quelle affrontate dalla psicologia o dalla sociologia, deve essere articolato in campi di osservazione sempre più vasti e deve parimenti essere in grado di denotare quelle caratteristiche che hanno un reale rilievo nella classe di oggetti considerata.

Il principio dell'uniformità della natura, secondo Mill, è, a sua volta, il risultato di una induzione davvero generalissima, ovvero che esiste una legge di causalità universale, per la quale a determinate cause, seguono determinati effetti. Possiamo considerare come cause solo dei fatti, e come effetti solo altrettanti fatti. Da quest'orizzonte di ricerca è del tutto esclusa la metafisica, ovvero la causa prima di tutto, e anche la teologia, che aveva già risolto a suo modo il problema con diverse cosmogonie aventi per protagonista un Dio creatore, od un demiurgo.
Secondo Aristotele, questa principio primo, frutto, tuttavia di una filosofia seconda, la fisica, nel linguaggio aristotelico, non avrebbe potuto essere dimostrata. Essa era il frutto di un'evidenza. Il che significa prendere o lasciare.
Per Mill, al contrario, sembrava che avrebbe potuto darsi uno spiraglio nella ricerca di una dimostrazione. Essendo essa stessa il risultato di un'induzione, in effetti, muoverebbe da una serie di osservazioni, pertanto sarebbe dimostrabile.
In realtà anche Mill fece, sulla scorta della lezione di Herschel, molte considerazioni contrarie alla possibilità di una dimostrazione, facendosi avversario della propria teoria. Come sottolinea John Loose, si venne a trovare di fronte ad un paradosso.«Il parodosso è che, se la legge di causalità deve essere provata attraverso l'esperienza, allora deve essa stessa costituire la conclusione di un'argomentazione induttiva. Ma ogni argomentazione induttiva che dimostri le proprie conclusioni presuppone la verità della legge di causalità. Mill ammetteva che la sua dimostrazione pareva implicare un circolo vizioso, e riconosceva che non gli sarebbe stato possibile dimostrare la legge di causalità per mezzo di una argomentazione induttiva impiegando il metodo della differenza.» (Loose - idem)
Ora, prima di arrivare alle conclusioni di Mill, è necessario analizzare in che consiste il metodo della differenza, insieme alle altre tre altre tre vie induttive presentate.

L'induzione
I metodi di Mill non furono originali, o se si preferisce, del tutto originali. In qualche modo erano già stati discussi, nella traccia di una elaborazione tipicamente britannica, da Duns Scoto, Ockham, Hume ed infine, William Whewell.
Essi sono: concordanza, differenza, variazioni concomitanti, residui.
Loose scrive: «Mill dichiarava che, tra i quattro metodi, quella della differenza è il più importante. Nell'enunciazione riepilogativa di questo schema il filosofo osservava che la circostanza A e il fenomeno a sono correlati causalmente soltanto se i due casi differiscono per una solo circostanza.» (Loose - idem)
Lo schema implica una situazione di questo tipo:
Si danno come circostanze antecedenti fatti ABC cui segue un fatto a.
Poi si esamina un secondo caso, nel quale sono circostanze antecedenti BC, a cui segue la mancanza di a.
Ne viene, secondo Mill, che A è parte indispensabile della causa di a.

Ora, proviamo ad assegnare valori omogenei ad A, B, C e consideriamo un pasto composto da una arancia, una banana e una carota. Consideriamo che A, B, C rappresentino la quantità di calorie presenti nei tre componenti il pasto. Avremo che a è il valore calorico assunto con questo pasto, ovvero che abbiamo un a se, e solo se, presenti B e C, si aggiunge un A. Non si può dire che la causa di a sia A. Si può solo dire che A è parte indispensabile di a.
Ma proviamo a considerare la cosa sotto un altro profilo ancora. Poniamo che a rappresenti anche uno stato di benessere fisico che raggiungiamo dopo la prima colazione, composta per l'appunto da ABC.
Se non raggiungiamo a, e ci accorgiamo che nella colazione è mancato A, abbiamo diritto o meno di inferire che A è parte indispensabile del nostro benessere fisico mattutino? E che, quindi, la sua mancanza, provoca un lieve malessere?
Da un punto di vista strettamente logico-formale, sì. Ma sotto centinaia o migliaia di altri punti di vista, no. E qui comincerebbe un tormentone senza fine. C'è chi ti chiede se hai mal di testa, se hai dormito bene, se non hai faticato troppo il giorno prima e così via.
Sembra a tutti molto improbabile che il tuo malessere dipenda da un'arancia.
Potremmo scoprire decine di motivi in grado di negare che la causa del lieve malessere è determinata dalla mancanza di A.
Per trovare allora una vera spiegazione devo fare un piccolo ragionamento su me stesso. Tralasciamo arance, banane e carote e consideriamo che sono un caffè-dipendente. Al mattino deve prendere subito almeno due tazze di caffè. Se non le prendo sono a disagio e non ho altro desiderio che prendere un caffè. Capito il concetto? A prescindere da qualsiasi logica formale, io sono certo che il mio malessere dipende da una differenza basilare, ovvero che mi manca il caffè.
Ora questo ragionamento non è solo introspettivo, non ha valore solo su cose che conosco come le mie tasche; può essere applicato anche all'esterno, sul malessere di Luigi come su questioni di rilevante portata sociale come la droga o il tabagismo. E, oltre, ovviamente, perchè la mancanza di soldi, o di cibo, cioè dell'indispensabile, crea situazioni intollerabili. Tutto sta a trovare in cosa siamo dipendenti, ovvero che cosa manca ad a in determinati e determinabili momenti.
Ciò riporta ad un'esigenza fondamentale di ogni procedimento induttivo basato sulla differenza, ovvero che si sia in grado di individuare con precisione cosa manca di essenziale, di vitale, di indispensabile.
Oserei dire che il metodo della differenza ha valore effettivo solo se arriva a determinare, in ogni contesto, ciò che è indispensabile nel ragionamento che facciamo in quel contesto. Dunque rispetto a cosa lo facciamo.
Qualcuno si chiederà se sia scientifico tutto ciò. Io risponderei: che importanza ha? Per me è molto più importante stabilire se è vero o no. E dico: sì, è vero. Diventerà scientifico in un secondo momento, se, e solo se, sarà provato che ciò che riteniamo indispensabile è veramente indispensabile e necessario allo scopo che abbiamo individuato, ovvero, ad esempio, il nostro benessere mattutino.
E qui la cosa si farebbe davvero spinosa, perchè dimostrare che il caffè è indispensabile in generale non è affatto possibile. Si può solo dimostrare che molti individui hanno contratto l'abitudine del caffè, e che quando questo viene a mancare, si crea una situazione di disagio. Ma se portiamo il ragionamento su una componente generale da cui dipendiamo, un'atmosfera contenente ossigeno, e osserviamo che in presenza di malori, registriamo una carenza di ossigeno, diventa lecito indurre che la causa di ciò è la mancanza di ossigeno? A me pare di sì. Come del resto a Mill ed a molti altri. E questo è scientifico.

Prima del metodo della differenza, Mill aveva parlato del metodo della concordanza.
Vediamo uno schema designando come al solito ogni circostanza antecedente con la lettera maiuscola ed ogni fenomeno seguente con la lettera minuscola.
Nel primo caso ABEF è seguito da abe.
Nel secondo ACD è seguito da acd.
Nel terzo ABCE è seguito da afg.
La concordanza consiste nel trovare che la costante comune a tutti i casi pone in evidenza che A è sempre presente all'inizio di ogni serie e, dall'altra parte, gli "effetti" sono sempre inaugurati da a.
Mi pare ci sia poco da spiegare.
Il primo esempio che viene in mente è di natura chimica. La chimica organica è la chimica del carbonio. Ovunque vi siano catene molecolari organizzate sul carbonio, possiamo inferire per concordanza che abbiamo a che fare con un composto organico. Ma questo tipo di induzione viene a somigliare molto strettamente ad un sillogismo. Tutte le molecole organiche contengono del carbonio, qui c'è del carbonio, questa è una molecola organica. Dove sta allora la differenza? Che il procedimento induttivo deve per forza essere stato svolto almeno una prima volta. Dopo che esso ha rilevato la presenza di C, carbonio in ogni evento c, dopo ripetute verifiche e confutazioni, potremmo azzardare che c, ovvero l'elemento organico, è determinato dalla presenza di C. Questa diviene allora la premessa maggiore di ogni sillogismo centrato sul fondamento della chimica organica e del vivente, la quale può assere assiomatizzata su questa base.
Ho fatto questo esempio perchè Mill assegnava al metodo della concordanza un ruolo preminente nella ricerca scientifica. Ma allo stesso tempo ne sottolineava le controindicazioni. Usare con cautela, esattamente come si trattasse di un farmaco. In questo tipo di metodo è infatti decisivo un accurato inventario delle circostanze rilevanti. Mettiamo che nell'ambito della ricerca abbiamo omesso di rilevare tutte le situazioni in cui ricorre l'azoto: potremmo quindi giungere a conclusioni fuorvianti. E' dunque importante che quando si voglia coscientemente applicare questo metodo, la raccolta dei dati antecedenti sia minuziosa e scrupolosa, tanto quanto l'analisi dell'effetto.

Il metodo delle variazioni concomitanti evidenzia come A ed a siano correlati anche in presenza di variazioni.
Ad esempio: se abbiamo un caso A+BC e come effetto a+b, e successivamente un caso A-BC, e come effetto a-b, potremmo inferire che A ed a sono causalmente correlati.

Il metodo dei residui descrive come si perviene alla certezza che A è la causa di a, se, dandosi il seguente schema, avremo che:
ABC è l'insieme antecedente di abc
e sapendo già che B è la causa di B
e che C è la causa di c
ne viene che A è la causa di a, per residuo.

Efficacia ed inefficacia del metodo in presenza di una pluralità di cause
Scrive Losee: «Negli studi sulla storia della filosofia della scienza è prassi corrente contrapporre le concezioni di Mill e Whewell. Spesso Mill viene presentato come un pensatore che identifica la scoperta scientifica con l'applicazione di schemi induttivi, Whewell come uno che concepisce la scoperta scientifica nei termini di una libera invenzione di ipotesi. Non c'è dubbio che Mill avanzò alcune rivendicazioni imprudenti a favore dei propri metodi induttivi. Certamente questi metodi non sono i soli strumenti di scoperta nella scienza. Eppure malgrado i commenti indirizzati contro Whewell su questo argomento, Mill riconosceva chiaramente il valore della formazione delle ipotesi nella scienza. E' un peccato che autori successivi abbiano esageratamente esaltato le imprudenti rivendicazioni avanzate da Mill nel corso della sua polemica con Whewell.» (Losee -idem)
Anche a me pare che farsi partigiani di un metodo non abbia molto senso. Del resto Mill aveva ben chiaro che esiste un solo metodo ed è quel processo circolare che dall'induzione porta a formulare la premessa maggiore di un sillogismo. Si muove dall'osservazione, su questa base si inducono proposizioni generali, la proposizione generale, se ben fondata, conduce a formulare la premessa generale di un sillogismo, e questo ci consente di dedurre.
La scelta del metodo specifico più adatto, che è una fase del processo circolare, è dunque determinata dai nostri propositi.
Che cosa vogliamo fare? Vogliamo risolvere un problema di cinematica? Ok, impariamo le formule e da queste ricaviamo la soluzione del problema in modo deduttivo. Vogliamo scoprire come la pensano i corleonesi sul modo migliore di combattere la mafia? Il metodo deduttivo non serve. Occorre arruolare finissimi psicologi naturali, opportunamente addestrarli, e poi sguinzagliarli a fare interviste capillari, lasciando a loro la possibilità di un commento ad ogni intervista del tipo secondo me, questo tizio ha detto o non ha detto la verità. Tutt'al più potremmo iniziare a risolvere il problema di cinematica intervistando gli esperti del ramo. Ma non credo si potrebbe venire a conoscere l'opinione dei corleonesi, partendo da una premessa maggiore del tipo tutti i corleonesi sono mafiosi. Questo è un volgare pregiudizio, non una forma di sapere scientifico.

Comunque sia, Mill si rivelò piuttosto serio e prudente di fronte alla valutazione dei procedimenti di induzione in presenza di evidenti cause multiple.
Suddivise gli esempi di causalità multipla in due classi. La prima comprendeva esempi di cause multiple che producono effetti separati, ed esempi dai quali risultava un effetto diverso, e generale, da quelli considerati separatemente.
Secondo Mill era dunque possibile un'analisi dettagliata di ogni singolo antecedente e della sua influenza attiva nella situazione susseguente. E' probabile che questa ulteriore osservazione gli sia stata indirettamente suggerita da Whewell, per il quale alla base di una deduzione non sta una collection di fatti, ma una colligation (The Philosophy of...cit.). Ciò implicava un ruolo attivo nella ricerca dei fatti e della loro colligation. Whewell aveva insistito sul carattere soggettivo della conoscenza, su una pulsione dello spirito umano molto vicina a quella concepita da Comte. Perchè vi sia conoscenza, per Whewell, non sono affatto sufficienti dei sensi impressionati: occorre una mente attiva in grado di ideare ed organizzare, dare un senso ed una direzione al sapere. Ma per Whewell le idee non venivano dai sensi, ma da una produzione mentale distaccata dai sensi. Fu su questo, ovviamente, che Mill diede un particolare tocco estremistico ed imprudente alla sua reazione.

Questo piano complesso della pluralità di cause pose in pratica problemi di non facile soluzione, e richiese uno sforzo analitico fuori del comune.
Le difficoltà aumentano, secondo Mill, quando ci si trovi di fronte ad una "composizione delle cause".
« Questo genere di causalità multipla - scrive Losee - non è riconducibile all'indagine per mezzo dei quattro metodi induttivi.» (Losee - idem)
Mill, di fronte alla complessità di una composizione di cause, quale ad esempio il risultato di due forze impresse, (si pensi ad una coppia di rematori alle prime armi, quindi non sincronizzati, che sulla maneggiano ognuno un remo a testa, l'uno agendo a destra e l'altro a sinistra sulla stessa imbarcazione) rinunciò a credere che il metodo induttivo potesse risultare efficace per stabilire quale direzione avrebbe preso il vettore.
« Per questo motivo - scrive infine Losee - il filosofo [Mill] raccomandava che nell'indagine della causalità composta venisse impiegato un "metodo deduttivo".»(Losee - idem)

Il metodo deduttivo
Per Stuart Mill il metodo deduttivo si organizza in tre fasi: 1) la formulazione di leggi; 2) la deduzione di un'asserzione sull'effetto risultante da una particolare combinanzione delle leggi; 3) la verificazione.
In quest'ambito Mill riconobbe che vi sono casi nei quali le leggi possono essere ricavate da ipotesi fondate su dati e osservazioni insufficienti. Certo, per lui, la rivoluzione copernicana rimase un mistero, qualcosa di difficile da spiegare, non nel suo significato, ovviamente, ma nella sua genesi.
Alla base della nascita di questa teoria non vi era alcun tipo di osservazione della realtà. Si presentava come un caso del quale si poteva dire: i sensi ci hanno ingannato per decine di millenni.
Whewell aveva affermato che le ipotesi non vengono osservando, ma prendendo il caffè o bevendo una birra. Ma questa era una battuta.
Mill si limitò a dire che nei casi nei quali non è agevole, o è impossibile, l'osservazione, lo scienziato può ricorrere ad una pratica creativa di formulazione di ipotesi. Questo, in effetti, di fronte all'enormità dei problemi che pose la teoria copernicana al senso comune fondato su evidenze empiriche, sembrerebbe davvero un po' poco, una sorta di strappo alla regola, concesso perfino in modo stiracchiato e controvoglia. Sembrerebbe una concessione al razionalismo, o persino all'irrazionalismo.
Invece lo strappo ci fu ed occorreva prenderne atto. Copernico non stava bevendo semplicemente una birra, stava elaborando calcoli (sbagliati, si dice) per un nuovo calendario ed era molto sotto tensione per via del problema del moto retrogrado dei pianeti, che nel sistema tolemaico imponeva calcoli piuttosto complicati.
Ad un certo punto egli ebbe un colpo di genio, e si accorse che semplicemente scambiando di posto sole e terra tutto risultava più semplice.
La psicologia moderna della scuola della Gestalt è riuscita a spiegare che l'insight, ovvero la visione improvvisa della soluzione ad un problema, oppure la scoperta di una legge scientifica, o anche la semplice formulazione di un ipotesi ardita, ma fondata su qualche dato, non ha che fare con il metodo seguito, ma piuttosto con la tensione nervosa stessa. Essa comunque esclude che l'insight sia l'espressione di una qualche geniale irrazionalità. Non esclude che sia invece il frutto di una razionale genialità.
Pertanto si potrebbe dare un insight anche col metodo induttivo ed un caso chiaro di questo tipo fu segnalato da Davidson riguardo alla nascita della teoria darwiniana della selezione naturale. Darwin aveva a disposizione, come del resto tutti i naturalisti dell'epoca una straordinaria quantità di dati raccolti tramite osservazioni. Ma fino ad allora, nessuno era riuscito a dargli un senso preciso. Davidson chiamò combinanzione selettiva questo particolare tipo di insight e la descrisse come un momento nel quale abbiamo a disposizione tutti gli elementi necessari ad una soluzione, ma non sappiamo come combinarli.

continua: Il contesto della giustificazione secondo Stuart Mill