filosofia siti italiani su Russell siti in inglese su Russell next Home page Bertrand Russell



Bertrand Arthur William Russell


Nato il 18 Maggio 1872 a Ravenscroft, Trelleck, Monmouthshire, Wales
Scomparso il 2 Feb 1970 in Penrhyndeudraeth, Merioneth, Wales


a cura di Renzo Grassano


1.Brevi cenni sulla filosofia di Russell

Conosciuto da un vasto pubblico per le sue posizioni politiche liberal, non violente, pacifiste ed anticonvenzionali, Bertrand Russell è anche noto per la sua "Storia della filosofia occidentale e le sue connessioni con le circostanze storiche sociali," opera che risale al 1945.
Ancor oggi si tratta di un libro che merita attenzione perchè contiene considerazioni controcorrente su pensatori quali Hegel e Nietzsche e valutazioni del pensiero filosofico secondo un punto di vista del tutto diverso da una semplicistica dossografia.

1.1 Gli esordi, l'idealismo di Bradley, l'influenza di G.E. Moore, il pragmatismo americano

Partito da posizioni schiettamente idealistiche, in particolare quelle di Bradley, egli venne via via chiarendosi e chiarendo che il mondo esiste realmente, è composto di fatti e di linguaggi che cercano di descrivere questi fatti.
Ciò implicò un netto superamento della visione del mondo originaria dell'idealismo, ovvero della concezione del mondo come illusione rispetto al quale solo l'assoluto è vero.
Il momento critico fu signicato dall'influenza che ebbe il compagno di studi Georges E. Moore, più tardi noto filosofo, e dall'incontro col pensiero di William James.
Nella prefazione alla prima edizione de "The Principles of Mathematics" lo stesso Bertrand Russell scrisse: <<La mia posizione sulle questioni fondamentali della filosofia deriva in tutti i suoi aspetti essenziali da G.E.Moore. Devo a lui l'avere accettato la natura non-esistenziale delle proposizioni (salvo di quelle che asseriscono l'esistenza) e la loro indipendenza da qualunque pensiero conoscente; e così pure devo a lui il pluralismo che interpreta il mondo, tanto quello degli esistenti quanto quello delle entità, come composto di un numero infinito di entità reciprocamente indipendenti, legate tra loro da relazioni di carattere originario e non riducibili ad aggettivi dei loro termini o del tutto che essi compongono. Prima di apprendere da lui queste teorie, mi sentivo del tutto incapace di costruire una qualsiasi filosofia dell'aritmetica, mentre accentandole mi trovai immediatamente liberato da un gran numero di difficoltà che ritengo siano altrimenti insuperabili.>> ( prefazione alla prima edizione de "I Principi della Matematica"- Longanesi, Milano 1951, originale in inglese del 1903, ma come scrisse il traduttore, Ludovico Geymonat, composti in gran parte nell'anno 1900)

Quanto alla influenza di W.James, presentata da Fulvio Manieri (Newton Compton 1991, sec.ed) nel suo sintetico schizzo di filosofia russelliana introduttiva all'edizione economica di "Introduzione alla Filosofia Matematica", bisogna dire che Russell era ovviamente interessato a tutti i pensieri "eccentrici" rispetto alla tradizione filosofica e quello di James certamente lo era.
Questi postulava <<vere sono quelle idee che possiamo assimilare, convalidare, corroborare e verificare. Le idee cui non è possibile fare tutto questo sono false.>>. ("Pragmatism")
E ancora: <<Un pragmatista volta le spalle risolutamente, e una volta per tutte, ad una quantità di abitudini inveterate care ai filosofi di professione. Si lascia alle spalle l'astrazione e l'inadeguatezza, le soluzioni verbali, le cattive ragioni a priori, i principi inamovibili, i sistemi chiusi, i pretesi assoluti e le origini. Si volge verso la concretezza e l'adeguatezza, i fatti, le azioni e verso la possibilità di agire. Il che significa la supremazia della mentalità empirista e la resa incondizionata di quella razionalista. Significa lo spazio aperto e le possibilità della natura, contro il dogmatismo, l'artificiosità, il preteso finalismo della verità.>> (Pragmatism)

L'impatto col pragmatismo, in particolare significò per Russell l'accettazione empiristica che i sensi ci forniscono sia dei dati che la verità di questi dati; ma anche che una conoscenza diretta potrà avere per oggetto solo i dati dei sensi, e non gli oggetti in sè. Ciò rinvia ad un "dualismo" gnoseologico più empiriocriticista che schiettamente kantiano.
Ma a mio avviso il vero "avversario" pragmatista di Russell fu Charles S. Peirce. Questi, dopo aver criticato a fondo la teoria induttivistica di Stuart Mill, aveva altresì dimostrato il "fondamento fallibile" della logica, ovvero il semplice valore probabilistico di ogni teoria basata sull'induzione.
Una teoria solo logica per Peirce poteva non trovare conferma nei fatti e per questo egli continuò a credere nella netta distinzione tra logica e matematica. Egli affermò che mentre la matematica è la scienza che deriva conclusioni necessarie, la logica è la scienza del modo in cui derivare conclusioni necessarie.
Scrisse: <<Il logico non si cura particolarmente circa questa o quella ipotesi o circa le sue conseguenze eccetto in quanto queste cose possono gettar luce sulla natura del ragionamento. Il matematico è intensamente interessato ai metodi efficienti di ragionare mirando alla loro possibile estensione a nuovi problemi ma, in quanto matematico non si preoccupa di analizzare quelle parti dl suo metodo la cui correttezza è data come ovvia. (Coll, Pap, 4.239)
Celebre in questo senso l'affermazione: <<Non esiste una strada maestra che conduce alla logica>>

Rispetto a ciò quale "ruolo" per la ragione, o meglio, per la logica?

1.2 La logica e la matematica come logica

Russell cominciò così a preoccuparsi del fatto che un'eccessiva fiducia nei dati dei sensi non mettesse "fuori fase" il valore unico delle generalizzazioni induttive, da un lato, ma dall'altro che anche la ragione logica non mettesse freno sistematicamente alla possibilità dell'esperienza.
Su questa riflessione Russell provò a sviluppare un modello di conoscenza fondato sulla logica, considerandolo come un ideale scientifico.
Ne veniva che il metodo logico doveva applicarsi alla filosofia, avendo per fine una funzione chiarificatrice.
Ciò rendeva necessaria quella stessa opera di pulizia invocata da James: sfrondare la filosofia da concetti comunemente accettati, ma privi di senso.
In un primo tempo si occupò soprattutto di riportare quindi la matematica alla logica stessa e ritornò più volte su questi argomenti. In conclusione alla sua "Introduzione alla Filosofia della Matematica" egli scrisse: <<La matematica e la logica dal punto di vista storico, sono state due discipline completamente distinte. Comunque tutte e due si sono sviluppate nell'età moderna: la logica diventando sempre più matematica e la matematica sempre più logica. La conseguenza è che ora è completamente impossibile tracciare tra le due discipline una linea di demarcazione; sostanzialmente le due sono in realtà una disciplina sola. La differenza che intercorre tra esse è simile alla differenza che intercorre tra un uomo ed un ragazzo: la logica è la gioventù della matematica come la matematica è la maturità della logica. Questa visione delle cose non è accettata da quei logici che hanno speso il loro tempo nello studio esclusivo dei testi classici, e che sono quindi incapaci di seguire anche solo una piccola parte di ragionamento logico simbolico; non è d'altro canto accettata neppure da quei matematici che hanno appreso una tecnica senza preoccuparsi di porsi il problema del suo significato e della sua intima giustificazione.
Entrambe queste categorie di persone divengono oggi sempre più rare. Come la maggior parte del lavoro matematico moderno è sulla linea di confine con la logica, così la maggior parte della logica è simbolica e formale così che la strettissima relazione tra logica e matematica è divenuta ovvia per ogni studente un po' istruito.
La dimostrazione della identità di logica e matematica è naturalmente una questione di dettaglio tecnico; partendo da premesse che, per ammissione universale appartengono alla logica, e giungendo per deduzioni a risultati che certamente appartengono alla matematica, si trova che non esiste un punto, in tutto il processo, in cui si può marcare una linea netta, con la logica alla sinistra e la matematica alla destra.
Sfidiamo chi non ammette la identità tra logica e matematica a indicare in quale punto, nelle definizioni e nelle successive deduzioni dei "Princ. Mathem." (così nella traduzione), ritiene che finisca la logica e cominci la matematica. Si otterrà allora la dimostrazione che qualsiasi risposta è del tutto arbitraria.>> ( Introduzione alla "Filosofia della Matematica", capitolo conclusivo "Matematica e Logica")


Per avvalorare questo ragionamento Russell negò più avanti che la matematica sia una "scienza della quantità" asserendo che il termine quantità è vago. Egli preferì usare la parola "numero" e scrisse: <<Ora, l'affermazione che la matematica è la scienza dei numeri è falsa da due punti di vista differenti. Da un lato esistono intere parti della matematica che non hanno nulla a che fare con i numeri, parlo di tutta la geometria che non usa il concetto di misura e di coordinate; per esempio la geometria proiettiva e descrittiva, fino al punto in cui vengono introdotte le coordinate, non ha a che fare con numeri, nè con la quantità nel senso di maggiore o minore.
D'altro lato, con la definizione di numero cardinale, con la teoria dell'induzione e delle relazioni antenate, con la teoria generale delle serie, e con la definizione delle operazioni aritmetiche, è divenuto possibile generalizzare molte cose che solitamente si dimostravano in relazione ai numeri.>>(idem)

Nei "Principia Mathematica" Russell e Whitehead, muovendo dagli studi di matematici e logici come G.Boole, Jevons, Venn, che erano inglesi, e continentali come Schroeder, Poretsky, Couturat, che avevano creato una disciplina formalizzata, l'algebra della logica, svilupparono una logica articolata in due rami fondamentali: il calcolo proposizionale e il calcolo delle funzioni proposizionali.
Per Russel e Whitehead era decisivo formalizzare completamente la matematica e ridurla alla logica, intendendo per logica la scienza degli oggetti esistenti indipendentemente dalla mente umana, ed anche indipendenti l'uno dall'altro.
In questo quadro la logica matematica veniva ad assumere due scopi:
1) costituire la disciplina matematica fondamentale, di cui tutte le altre matematiche, secondo la tesi logistica sostenuta da Frege e ripresa da Russell e Whitehead, dovrebbero costituire derivazioni più o meno complesse, ma sempre riducibili ad essa.
2) costruire metodi di controllo rigoroso delle discipline matematiche vere e proprie.

Seguiamo frammentariamente il testo "Introduzione alla Filosofia della Matematica" per comprendere meglio, attraverso le stesse parole dell'autore, cosa significhi riportare la matematica alla logica.

Scrive Russell: <<Ridotta tutta la matematica pura tradizionale alla teoria dei numeri naturali, il passo successivo nella analisi logica era ridurre questa stessa teoria all'insieme minimo di premesse e di termini non definiti dai quali la si potesse derivare. Questa opera fu compiuta da Peano. Egli mostrò che l'intera teoria dei numeri naturali può essere dedotta da tre idee primitive e da cinque proposizioni fondamentali in aggiunta a quelle della logica pura. Queste tre idee e queste cinque proposizioni sembravano diventare, e lo diventarono realmente, gli "ostaggi" della matematica intera pura tradizionale. Se si fosse riusciti a definirle e a dimostrarle in termini di altre, la stessa cosa sarebbe avvenuta per tutta la matematica pura. Il loro "peso" logico, se si può usare questa espressione, è uguale a quello dell'intero complesso di scienze che sono state dedotte dalla teoria dei numeri naturali; la verità dell'intero complesso è sicura se è certa la verità delle cinque proposizioni primitive, a condizione naturalmente, che non vi sia niente di erroneo nell'apparato puramente logico usato. L'opera di analisi della matematica è enormemente facilitato da questo lavoro di Peano. Le tre idee primitive della aritmetica di Peano sono:

0 - numero - successore

Per "successore" egli intende il numero successivo nell'ordine naturale. Cioè il successore di 0 è 1, il successore di 1 è 2, e così via. Con "numero" egli intende, in questo contesto, la classe dei numeri naturali. Non si assume che conosciamo tutti i membri di questa classe, ma solo che si sappia quel che intendiamo quando diciamo che questo o quello è un numero, proprio come sappiamo il significato della frase "Giovanni è un uomo", pur non conoscendo tutti gli uomini individualmente.
Le cinque proposizioni primitive che Peano assume sono:

  1. 0 è numero
  2. il successore di ogni numero è un numero
  3. due numeri non possono avere lo stesso successore
  4. 0 non è il successore di alcun numero
  5. ogni proprietà dello 0, come anche del successore di ogni numero che abbia quella proprietà, è di tutti i numeri.

L'ultimo di questi è il principio della induzione matematica. In seguito avremo molto da dire sulla induzione matematica; per il momento ne trattiamo solo perchè compare nella analisi dell'aritmetica fatta da Peano.>> (dall'Introduzione alla Filosofia della Matematica)

1.3 I paradossi e la teoria dei tipi

Il contributo più rilevante di Russell è anche il più noto; consistette nella scoperta del paradosso secondo il quale "la classe delle classi che non comprendono se stesse, se non comprende se stessa, è una delle classi che non comprendono sè stesse. Ma come tale è compresa in se stessa".
Ciò per dire che esiste, nel senso che si può formulare, un insieme di oggetti, l'insieme delle classi che non comprendono se stesse tra gli oggetti che lo compongono, il quale, proprio per questo, risulta compreso in se stesso.
Se al contrario comprende se stessa, è ugualmente una delle classi che non comprendono se stesse, e dunque non comprende se stessa.
Questo paradosso mise in crisi Frege perchè comprometteva il suo programma di formalizzare tutta la matematica. Molti matematici e logici si cimentarono con questo problema.
Fu comunque lo stesso Russell ad aggirare (o se vogliamo, a risolvere) il problema nei "Principia Mathematica" scritti in collaborazione con Whitehead mediante la teoria dei tipi.

Un abbozzo di questa teoria lo si trova anche nell'appendice ai "Principles" e nella prefazione alla seconda edizione degli stessi dove Russell specifica: <<L'essenza tecnica della teoria dei tipi è semplicemente questa: data una funzione proposizionale "x" di cui siano veri tutti i valori, esistono espressioni che non è legittimo mettere al posto di x. Per esempio: tutti i valori della funzione proposizionale "se x è un uomo x è un mortale" sono veri, e possiamo inferirne che "se Socrate è un uomo, Socrate è mortale"; non possiamo però inferire che "se la legge di contraddizione è un uomo, la legge di contraddizione è un mortale".
La teoria dei tipi afferma che questo ultimo gruppo di parole è un non senso, e fornisce regole per i valori ammissibili di x nella funzione proposizionale "fx". >>
In altre parole Russell giunse così a comprendere ed enunciare regole per le quali vi sono diversi tipi di predicati, e indicare quali hanno inerenza, quali indicano proprietà, quali mostrano proprietà delle proprietà e così via.
Rispetto al paradosso delle classi la soluzione al paradosso stesso consiste pertanto nella non applicabilità del predicato "comprende anche se stessa" ad una classe che non è la classe dello stesso tipo considerato, ma una classe superiore.


1.4 La denotazione ed il linguaggio

Già da questo esempio incentrato sulla funzione proposizionale abbiamo così introdotto il secondo tema rilevante nella filosofia russelliana, ovvero quello della teoria delle descrizioni,presentata nell'articolo "On denoting" (Sulla denotazione) del 1905.
A partire dalle imprecisioni e dalle ambiguità del linguaggio ordinario ( e letterario) per i quali sono d'uso corrente espressioni del tipo "l'autore di Waverley", "la montagna d'oro", o "il circolo quadrato", cioè espressioni descrittive che stanno in luogo di un soggetto, usate in senso esistenziale (Tipo "l'Eldorado si trova a New York", dove si da per implicito che l'Eldorado esiste) e che non possono essere funzioni proposizionali del tipo descritto pocanzi, Russell propose una formalizzazione delle descrizioni stesse nel seguente modo "logico": "nessuna entità è allo stesso tempo una montagna ed è d'oro" (cosa alquanto discutibile se pensiamo al deposito di Paperon de Paperoni.-). Inoltre (in modo molto più logico) "nessuna entità è allo stesso tempo circolo e quadrato".
Nei "Principles" egli aveva cominciato ad approssimare questo problema scrivendo: <<La nozione del denotare, come la maggior parte delle nozioni di logica, è stata finora resa oscura da una indebita mescolanza di psicologia. Vi è un senso di tale parola, secondo cui noi denotiamo, quando additiamo o descriviamo qualcosa, o usiamo le parole come simboli di concetti: questo tuttavia non è il senso che io intendo discutere. Ma il fatto che la descrizione sia possibile (che, facendo uso dei concetti, noi riusciamo a designare una cosa che non è un concetto) è dovuto ad una relazione logica tra alcuni concetti ed alcuni termini, in virtù della quale concetti del tipo anzidetto inerentemente e logicamente denotano tali termini. Questo è il senso del denotare che qui è in discussione. Questa nozione sta alla base, mi pare, di tutta la teoria della sostanza, del soggetto predicato-logico, e dell'opposizione tra cose e idee, tra pensiero discorsivo e percezione immediata. Questi vari sviluppi, nel complesso, mi sembrano sbagliati mentre il fatto fondamentale stesso, dal quale essi procedono, venne sempre discusso con difficoltà nella sua purezza logica.
Si dice che un concetto denota quando
, se esso compare in una proposizione, la proposizione non verta sul concetto, ma su un termine connesso in un certo modo peculiare nel concetto. Se dico:" Incontrai un uomo", la proposizione non parla di un uomo: questo non è un concetto che va a passeggio per le strade, ma vive nel chimerico limbo dei "libri di logica". Quello che incontrai era una cosa, non un concetto, ma un uomo effettivo con un sarto ed un conto in banca, o un'osteria ed una moglie ubriaca. Ancora, la proposizione "qualsiasi numero finito è pari o dispari" è evidentemente vera; eppure il concetto "qualsiasi numero finito" non è nè pari nè dispari. Sono solo i numeri singoli che sono pari o dispari: non vi è, oltre questi, un'altra entità detta qualsiasi numero, che sia pari o dispari, e se vi fosse, è chiaro che non potrebbe essere pari, nè potrebbe essere dispari. Quasi tutte le proposizioni che contengono la locuzione "qualsiasi numero" sono false se riferite al concetto "qualsiasi numero". Allorchè vogliamo parlare proprio di tale concetto, dobbiamo scrivere l'anzidetta locuzione in corsivo o tra virgolette>>

Nel tempo venne via via precisando le sue posizioni e proprio in "On denoting" esplicitò che in ogni proposizione che possiamo apprendere tutti i costituenti sono realmente entità di cui abbiamo conoscenza.
Scrisse:<<...dobbiamo attribuire un significato alle parole che usiamo se vogliamo parlare con qualche significato e non per pura chiacchiera; e il significato che attribuiamo alle parole deve essere qualcosa di cui abbiamo già conoscenza>>
(Problems Of Philosophy)
In sostanza il linguaggio deve riferirisi a ciò che è conosciuto. Ancora: <<...quando c'è qualcosa di cui non abbiamo conoscenza immediata ma solo una definizione per mezzo di frasi denotanti, le proposizioni nelle quali questa cosa è introdotta per mezzo di una frase denotante non contengono realmente la cosa come costituente ma contengono invece espressi dalle diverse parole
della frase denotante. ("On denoting")

1.5 L'atomismo logico

Per queste ragioni, ed anche grazie alla conoscenza stimolante di Ludwig Wittgenstein, nel secondo decennio di questo secolo Russell spostò la sua attenzione soprattutto sul terreno dell'analisi logica del linguaggio e della sua corrispondenza ai fatti.
I linguaggi sono composti di proposizioni, che sono o vere o false a seconda che risultino verificate di fronte al fatto.

Questa posizione filosofica è dunque in primo luogo avvicinabile a quello che potremmo chiamare "realismo" ma, i suoi caratteri rilevanti sono meglio definibili come atomismo logico.
Secondo l'atomismo logico una conoscenza è vera quando la sua espressione grammaticale corrisponde alle "proposizioni atomiche"di cui si costituisce e quindi ai "fatti atomici" che esse descrivono in modo scientifico e formalmente esatto.
In definitiva, la logica, secondo Russell, tratta delle condizioni di un simbolismo preciso, ossia di un simbolismo nel quale un qualsiasi enunciato possa sempre significare qualcosa di definito, e ciò al contrario del linguaggio ordinario, che è sempre più o meno vago, come del resto quello filosofico e metafisico.Un linguaggio logicamente perfetto ha regole di sintassi che prevengono il formarsi di non-sensi, ed è tale che ciascun singolo simbolo abbia sempre un unico significato definito. Rispetto a ciò, tuttavia, va tenuto presente che Russell, scrivendo l'introduzione alla seconda edizione dei "Principles of Mathematics" operò alcune correzioni e precisazioni. Ciò in ordine al problema cruciale delle "costanti logiche". Qui egli ammise di avere abbandonato la convinzione che un vocabolo debba avere sempre un significato ed affermò recisamente che <<nessuna proposizione di logica può menzionare qualunque oggetto particolare. L'enunciato "Se Socrate è un uomo e tutti gli uomini sono mortali, allora Socrate è mortale" non è una proposizione di logica; la proposizione di logica, di cui essa è un caso particolare è la seguente:" se x ha la proprietà f, e qualunque cosa abbia la proprietà f ha la proprietà y, allora x ha la proprietà y, qualunque siano x, f , y".>> Solo in questo modo la formalizzazione è compiuta. Ma, come vedremo in studi successivi, essa stessa pose dei problemi non indifferenti, il primo dei quali fu posto da Kurt Goedel con scoperta del teorema secondo il quale all'interno di un sistema rigido S fondato su assiomi si vengono a determinare proposizioni che sono indecidibili all'interno dello stesso sistema.
Non solo: lo stesso Wittgenstein compì una svolta considerevole rispetto alla costituzione del linguaggio logico ideale o perfetto confezionato dal Tractatus e rivide ampiamente le sue posizioni.
Tutto questo, insieme alle critiche ricevute da altri indirizzi analitici presenti a Oxford ed in Inghilterra, contribuì ad un certo isolamento dello stesso Russell.

1.6 L'etica e le convinzioni filosofiche generali

Soprattutto nella seconda parte della sua vita Russell si impegnò a fondo per criticare tutte le posizioni filosofiche che hanno a che fare in modo dogmatico con le questioni del bene e del male ed in generale con il posto, il destino, la natura dell'uomo. In genere negò che l'etica si possa fondare sulla conoscenza del bene e del male ed affermò con grande coraggio che il bene è ciò che desideriamo, mentre il male è ciò che impedisce la realizzazione del desiderio.
Nostante gli stessi desideri derivino innanzi tutto da inclinazioni naturali, Russell ammise tuttavia che l'educazione e l'ambiente culturale e sociale influscono in maniera determinante sulla loro formazione. A questo fine egli diede grande importanza al tema dell'educazione, specie per insegnare a rispettare i desideri altrui ed arrivare quindi ad una sorta di autoregolamentazione dell'individuo.
Nell'opera "L'educazione e l'ordinamento sociale" (Education and Social Order, London 1932) egli presentò una serie di riflessioni che mantengono una loro validità ancor oggi.
Qui Russell considerò innanzi tutto che una cosa è educare l'individuo ed un'altra è educare il cittadino. (dove è sotteso il "buon" cittadino sociale, cooperativo, rispettoso delle leggi).
In vista di un'utopica unione mondiale degli stati egli si pronunciò apertamente a favore di una fase intensiva di educazione del cittadino per un futuro senza "cittadini", cioè di individui veramente liberi.
Ma in generale egli propugnò comunque un'educazione aperta, fondata sull'argomentazione e non sul conculcare.
Scrisse:<< Non vorrei che mi si prendesse per un fautore di ribellione. La ribellione in se stessa non è migliore della acquiescienza in se stessa, poichè essa è ugualmente determinata da una relazione con ciò che è al di fuori di noi, piuttosto che da un giudizio di valore puramente personale. Se la ribellione debba essere lodata o biasimata, dipende d ciò contro cui la persona si ribella, ma dovrebbe esserci la possibilità di ribelione in alcuni casi, e non semplicemente cieca acquiescienza prodotta da una rigida educazione conformista. E ciò che è forse più importante, è che ribellione o acquiescienza, ci sia la capacità di mettersi per una via completamente nuova, come fece Pitagora quando inventò lo studio della geometria.
Il problema se formare il cittadino o l'individuo è importante nell'educazione, nella politica, nell'etica e nella metafisica. Nell'educazione ha un aspetto pratico piuttosto semplice, che può in certo modo essere considerato a parte dalla questione teorica.>>

Nella critica all'educazione religiosa Russell da il meglio di se evidenziando come la fede istillata nelle menti dei fanciulli possa produrre gravi danni.
<< Primo: qualunque fanciullo d'intelligenza eccezionale che riflettendo scopra che gli argomenti in favore dell'immortalità non sono probanti, sarà scoraggiato dai suoi maestri e forse anche punito; ed altri fanciulli che mostrano qualche inclinazione a pensare nello stesso modo saranno dissuasi da lconversare su tali oggetti e possibilmente messi in guardia dal leggere libri che potrebbero aumentare la loro cultura ed il loro potere di ragionamento.
Secondo: poichè la maggioranza delle persone la cui intelligenza è molto al di sopra della media, sono oggidì apertamente o segretamente agnostici, i maestri in una scuola che insiste sulla religione debbono essere stupidi o ipocriti, a mano che non appartengano alla ristretta classe di uomini che, per qualche stortura mentale, hanno capacità intellettuale senza giudizio intellettuale(...)
Terzo: è impossibile istillare lo spirito scientifico nei giovani fino a che alcune proposizioni sono considerate sacrosante e non aperte a discussione. E' nell'essenza dell'atteggiamento scientifico il domandare la prova per qualunque cosa si deve credere, e seguire le testimoniannze senza riguardo alla direzione a cui portano. Appena vi sia un credo da sostenere, è necessario circondarlo di emozioni ed interdizioni, dichiarare con accenti vibranti di forte passione ch'esso contiene "grandi" verità ed erigere dei criteri di verità diversi da quelli della scienza, più specialmente i sentimenti del cuore e le certezze morali degli uomini "buoni". Nei grandi giorni della religione, quando gli uomini credevano, come Tommaso d'Aquino che la pura ragione potesse dimostrare le proposizioni fondamentali della teologia cristiana, il sentimento non era necessario: la Summa
di San Tommaso è fredda e razionale come David Hume.>>

Crediamo con ciò di aver brevemente introdotto i centri di interesse della filosofia di Russell.
Per eventuali approfondimenti rinviamo a saggi specifici che verranno pubblicati in questa sezione di Cactus-filosofia con cadenza più o meno mensile.

Daremo conto dell'altro aspetto fondamentale dell'impegno di Russell, cioè delle sue battaglie per la libertà, nel breve profilo biografico che cercheremo di tratteggiare.

2. La vita

Bertrand Russell nacque il 18 maggio 1872. Era figlio del visconte di Amberley, ma perse entrambi i genitori in pochissimo tempo. Si trovò orfano a tre anni. Venne quindi accolto dai nonni paterni, Lord John Russell e Lady Russell, ambedue liberali e persino antimperialisti (Lady Russell sosteneva la causa dell'indipendenza irlandese, Lord John Russell aveva favorito il risorgimento italiano in chiave anti austriaca.)
Seguì studi privati, come conveniva ad un giovane aristocratico in epoca vittoriana, e solo successivamente approdò al Trinity College di Cambridge, dove si completò a contatto di insegnanti ed amici quali Alfred North Whitehead, McTaggart, G.E.Moore.
Completati gli studi, a ventidue anni, passò a lavorare presso l'ambasciata inglese a Parigi. Qui l'anno dopo ebbe occasione di sposarsi (mentre, come è noto, egli maturò più avanti una concezione negativa del matrimonio, propugnando un'etica del libero amore)
Poco dopo decise di spostarsi a Berlino, anche per conoscere direttamente le teorie socialiste nella loro terra d'origine e ne ricavò un'opera: "La Socialdemocrazia Tedesca" del 1896.
L'anno successivo vide la luce "An Essay on the Foundations of Geometry", nel quale si manifesta ancora l'influenza dell'idealismo di Bradley.
Nel 1900 ultimò "Esposizione critica della Filosofia di Leibniz" che testimonia il suo rinnovato interesse per la fondazione logica che il filosofo tedesco aveva cercato di proporre.
Nello stesso anno incontrò ad un congresso internazionale di filosofia il matematico Giuseppe Peano, il quale aveva operato l'assiomatizzazione dell'intera matematica sia mediante la riduzione della geometria all'aritmetica, sia mediante la riduzione della stessa aritmetica ai cinque assiomi fondamentali, tutti esprimibili mediante i concetti di elementari di "zero", "numero" e "immediatamente successivo".
Russell si convinse, come del resto Frege (del quale non conosceva ancora le opere), della possibilità di ricondurre la formalizzazione della matematica alla logica.
Scrivendo "The Principles of Mathematics", pubblicato nel 1903, egli espose questo programma ma, solo una decina di anni dopo esso trovò compimento nei celebri "Principia mathematica" scritti in collaborazione con Alfred North Whitehead.
Nel 1905 compose l'articolo "On Denoting" nel quale formulò una teoria della descrizione e propose una formalizzazione del linguaggio comune per renderlo più rigoroso.

E' nel 1910 che uscì il primo volume dei Principia. Ma c'è da rilevare l'instacabilità di Russell, attivo anche politicamente: nel 1907 egli conobbe una bruciante sconfitta come deputato liberale.
Più tardi, nel 1910, tornò a Cambridge come "lettore" di Logica. Tenne poi un corso ad Harvard sui Principia, ma allo scoppio della prima guerra mondiale, fu allontanato da Cambridge per le sue prese di posizione pacifiste e favorevoli all'obiezione di coscienza al servizio militare.
I dettagli di questo episodio sono raccontati nel libro scritto da G.H.Hardy "Bertrand Russell and Trinity" (1942) che non credo sia mai stato tradotto in italiano.
Fu in questo periodo che conobbe Wittgenstein.
Il secondo ed il terzo volume dei "Principia mathematica" furono pubblicati rispettivamente nel 1912 e nl 1913.

Poco dopo, nel 1916, venne dato alle stampe "I principi di riforma sociale"
Nel 1818 dovette scontare sei mesi di carcere per un articolo pacifista e in questo periodo di clausura forzata compose "L'introduzione alla Filosofia Matematica" che rimane la sua opera più accessibile anche al grande pubblico sui problemi logico-matematici.
Nel 1920, quale risultato di un viaggio in Russia ed in Cina, Russell fece pubblicare "Teoria e pratica del bolscevismo", testo piuttosto critico nei confronti del marxismo-leninismo. Tra l'altro egli fu uno dei primi occidentali invitato ufficialmente in una Università cinese a tenere conferenze.
Con la seconda moglie fondò nel 1927 una scuola per verificare le sue idee pedagogiche e scrisse un testo di carattere pedagogico "Sull'educazione specialmente dei bambini piccoli", subito accusato di "permissivismo".
In questo periodo insegnò in varie università americane, compreso il City College di New York, dal quale però fu espulso perchè le sue idee vennero giudicate immorali.
E' da notare che in occasione del conferimento dell'incarico proprio al City College ed alle immediate polemiche scoppiate, lo stesso Albert Einstein prese posizione sul New York Times del 19 marzo 1940 con queste parole: << Da sempre i grandi spiriti hanno incontrato la violenta ostilità delle menti mediocri. La mente mediocre è incapace di comprendere chi, rifiutando di inchinarsi ciecamente ai pregiudizi convenzionali, decida di esprimere le sue opinioni con coraggio e onestà.>>
Dal 1927 al 1938 Russell aveva composto una serie di testi nei quali compaiono gran parte di queste idee. Tra gli altri segnaliamo "Saggi scettici" del 1928, "Matrimonio e Morale" del 1929, "La conquista della Felicità" del 1930, "L'ordine sociale" del '32, "Libertà ed Organizzazione" del '34, "L'elogio dell'Ozio" del 1935 ed infine "Il Potere" del '38.
Nel 1944 fu finalmente richiamato come professore a Cambridge.
Negli ultimi anni della sua vita si occupò soprattutto di temi etici e politici, scrisse la già richiamata "Storia della filosofia occidentale" e "Human Knowledge: its Scope and Limits", 1948.
Nel 1950 conseguì, incredibilmente, il premio Nobel per la letteratura!!! L'onorificenza gli venne attribuita per il suo libro sul matrimonio.
Nel 1955 pubblicò insieme ad Albert Einstein il "Manifesto Russel-Einstein" contro la proliferazione delle armi nucleari.
Già in precedenza i due avevano condiviso alcune battaglie, tra le quali quella contro il maccartismopersecutorio nei confronti di tutti gli iscritti al partito comunista americano, considerati spie e traditori. Dopo la lettera-bomba di Einstein, pubblicata il 16 maggio del 1953, Bertrand Russell prese posizione sul New York Times con queste parole: << Voi condannereste i martiri cristiani che si rifiutavano di sacrificare all'imperatore? (...) Sono obbligato a supporre che voi condannereste George Washington.>>
Negli ultimi anni della sua vita Russell, che tra l'altro sprizzava vigore anche tarda età (si salvò a nuoto a 76 anni in un incidente aereo), accentuò le sue critiche al cristianesimo, assunse rinnovate posizioni pacifiste, si oppose fermamente all'antisemitismo in Unione Sovietica (un fenomeno aberrante del quale non si sono mai comprese le ragioni) e soprattutto si distinse per la denuncia dei crimini americani in Vietnam.
Morì nel 1970, a seguito di un attacco influenzale.


Renzo Grassano 1 settembre 2000 - appositamente scritto per Cactus - filosofia

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