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Karl Rahner, il teologo del Concilio (1904-1984)

Karl Rahner è stato il teologo cattolico del Novecento più aperto a problematiche filosofiche, più disponibile al dibattito con esponenti dell'ateismo e persino dello scetticismo filosofico come Wilhelm Weischedel, ed anche il più sensibile alla tematica del rinnovamento della Chiesa cattolica, sempre all'inquieta ricerca di un linguaggio in grado di comunicare effettivamente con l'uomo contemporaneo. Per quanto, come gran parte dei filosofi cattolici, legato indissolubilmente alla filosofia di Tommaso d'Aquino, egli fu il protagonista del passaggio da una prospettiva teocentrica ad una prospettiva antropocentrica, realizzando così una sorta di rivoluzione copernicana in teologia, anche se l'espressione è impropria in quanto, come si sa, Copernico smise di considerare la terra come il centro dell'universo, mentre Rahner affermò palesemente che l'uomo è, al pari di Dio, al centro dell'universo stesso. L'indiscussa importanza di Rahner è stata però oscurata dall'involuzione cattolica post-conciliare, non tanto ad opera di Paolo VI, che comunque gli confermò ampia fiducia e lo volle presente nei momenti cruciali di riflessione, quanto dagli attuali massimi responsabili delle gerarchie vaticane, che hanno preferito la via della reiterazione dogmatica a quella della razionalità discorsiva.

Nato a Friburgo nel 1904, da genitori cattolici, ricevette un'educazione fortemente impregnata di valori religiosi e seguì ben presto le orme del fratello Ugo, entrando nella Compagnia di Gesù. Dal 1924 al 1927 studiò filosofia e dal 1929 al 1932 seguì regolari corsi di teologia. A Friburgo frequentò lezioni e seminari tenuti da Martin Heidegger, dal quale fu profondamento influenzato (ma era il primo Heidegger, ancora legato alla fenomenologia ed impegnato alla costruzione di Essere e tempo) e lavorò soprattutto con il cattolico Martin Honecher, che però rifiutò la sua tesi di laurea centrata su problemi di gnoseologia tomistica.
I superiori di Rahner nella Compagnia dei Gesù lo indirizzarono allora ad Innsbruck, dove Rahner riuscì a laurearsi in teologia senza toccare l'impianto fondamentale della sua tesi, nel 1936. L'anno dopo conseguì l'abilitazione all'insegnamento della teologia dogmatica.
Quando i nazisti chiusero la facoltà di Innsbruck, Rahner riparò a Vienna ove si dedicò alla formazione di sacerdoti e laici. Nel 1949 divenne ordinario a Innsbruck. Nel frattempo il suo prestigio era notevolmente cresciuto anche in ambito internazionale. Ma, contemporaneamente era anche cresciuta l'ostilità dell'ala conservatrice della Chiesa e gli venne persino proibito di pubblicare altri scritti.
Non appena fu fatto papa Giovanni XXIII, la sua posizione cambiò radicalmente. Da teologo in odore di eresia, egli divenne in breve una delle voci più ascoltate.
Nel 1964 venne chiamato a succedere a Romano Guardini alla cattedra di filosofia della religione a Monaco di Baviera.
Tutto il periodo successivo fui caratterizzato dall'impegno di Rahner a favore della svolta imposta alla Chiesa da Giovanni XXIII e dei principi conciliari. Rahner morì il 30 marzo 1984, lasciando una mole rilevanti di scritti, tra i quali la fondamentale raccolta in più volumi tradotta in italiano col titolo di Nuovi Saggi (Roma, 1968)

Filosofia e teologia
Rahner fu sempre persuaso dell'imporatanza della filosofia: "non ci può essere - scrisse - presentazione della rivelazione senza teologia e non ci può essere teologia senza filosofia. Una teologia non filosofica sarebbe una cattiva teologia. E una teologia che sia cattiva non prestare il dovuto servizio per la proclamazione della rivelazione." Per Rahner, una teologia "autonoma" dalla filosofia degenererebbe "in una filosofia banale, criticamente non verificata".
Rahner pensava che quando la teologia non si fonda su una filosofia razionale volta a dimostrare una costituitiva apertura dell'uomo a Dio, la teologia stessa rischia di fare della fede qualcosa di "campato per aria". Per questo, cerca di chiarire il ruolo della filosofia della religione, quale egli l'intende, ponendola in relazione con la teologia della fede. Quest'ultima "è nella sua natura originaria [...] l'ascolto [...] della rivelazione che Dio ha dato di sé stesso mediante la sua parola." Tuttavia, secondo Rahner, "non si provare la realtà, la necessità o l'intima natura di Dio partendo dall'uomo." C'è, nondimeno, un compito specifico per la filosofia della religione. Essa si rivolge alla possibilità aprioristica di una capacità di ascolto di un'eventuale rivelazione divina." "La filosofia della religione da se stessa deve indirizzare l'uomo ad un'eevntuale rivelazione di Dio." Questo era, per Rahner, "l'unico fondamento della teologia possibile prima della teologia." Ma se la rivelazione si indirizza all'uomo, anche nella filosofia che precede la rivelazione stessa deve avere per oggetto l'uomo. E' così che in Rahner la filosofia diviene "antropologia metafisica", detta anche "antropologia filosofica fondamentale." Essa è un'analitica dell'uomo come soggetto a cui si indirizza una rivelazione di Dio e che, per la sua natura, è orientato a priori all'accettazione di una tale possibile rivelazione.

Fondamenti metafisici
La filosofia della religione è dunque una parte della metafisica. E' quindi importante capire in che modo Rahner concepisca la metafisica. Essa è in stretto rapporto con la tradizione, trattando del problema dell'essere dell'ente in quanto tale, il problema del significato dell'essere." Messe le cose in tal modo, si realizza una convergenza con la domanda teologica fondamentale in quanto riflette su questo problema; infatti ogni filosofia conosce Dio solo in quanto, e nel mentre, conosce l'essere in generale.
Rahner è molto cauto nel delineare risposte alla domanda intorno all'essere, e presta molta attenzione nell'evitare premesse non dimostrate, in particolare evita una determinazione contenutistica dell'essere, e sottolinea piuttosto, "che il punto di partenza per la soluzione del generale problema dell'essere può esser solo il problema stesso.Perciò il punto di partenza della metafisica è il problema di che cosa sia l'essere dell'esistente: questo problema vien posto necessariamente dall'uomo."
Se questo è vero, siamo allora in presenza di uno schema teorico diverso sia da quello cattolico tradizionale, che da quello protestante, dove prevarrebbe la semplice oggettivazione di Dio da parte della soggettività umana.
Rahner ritiene, al contrario, che la sua posizione permetta di "dimostrare come l'apertura positiva ad un'eventuale rivelazione di Dio, e quindi alla teologia, faccia parte della costituzione essenziale dell'uomo senza che per questo il contenuto della rivelazione diventi un correlato oggettivo, determinabile solo alla luce di tale apertura."
Ma anche rispetto alla tradizione cattolica, Rahner si presenta molto innovativo. Infatti, viene riconosciuto che è possibile non sia la fede a precedere la buona filosofia, quella compatibile con i dogmi, ma che vi sia originariamente una buona filosofia che precede la fede, ovvero una buona filosofia che apre l'uomo alla ricezione della parola divina.
Questo punto di vista, indubbiamente, offre una "filosofia cristiana" più rispettosa della reciproche autonomie di filosofia e teologia, pur rischiando il paradosso di una teologia dipendente dalla razionalità filosofica. Secondo Rahner una filosofia è cristiana non perché la teologia le impedisce l'errore, ma perché essa, dimostrando con le sole forze della ragione come l'uomo sia aperto costitutivamente ad una rivelazione di Dio, essa si trasforma in teologia. "La filosofia è cristiana in senso autentico e originario, quando costituisce con mezzi propri se stessa e quindi l'uomo in quanto battezzabile e giunge da se stessa a un atteggiamento in cui si dispone a essere superata dalla teologia fondata eventualmente da Dio. Tale "superamento" è inteso nel triplice significato che tale termine ha, per esempio, in Hegel: la filosofia si supera, cioè si abolisce da se stessa, in quanto esaurisce il proprio compito e rinuncia alla pretesa di essere l'ultima giustificazione esistenziale della vita umana."

Antropologische Wende: l'uomo ha diritto di dubitare di fronte alla teologia dogmatica
Rahner ritenne di aver compiuto una svolta antropologica, detta anche antropocentrica, che toccò sia la "teologia fondamentale" sia la "teologia della rivelazione". L'antropologia fu per Rahner il "luogo" che include tutta la teologia. Ciò implicava un superamento dell'opposizione tra teocentrismo e antropocentrismo. Non siamo, quindi, alla negazione della centralità e superiorità di Dio (come è stato osservato dai teologi conservatori), ma solo al rifiuto metodologico "di quella teoria che considera l'uomo come un tema particolare accanto a molti altri (gli angeli el il mondo materiale, ad es.) e che afferma la possibilità di enunciati su Dio che non siano nello stesso tempo anche enunciati sull'uomo e viceversa."
Anche il cristocentrismo, secondo Rahner, non è in contraddizione con la sua concezione, giacché parlare di Cristo significa parlare dell'uomo e viceversa. «Sebbene sia stato accusato più volte di "ridurre" i misteri di Dio e della salvezza "a misura" dell'uomo ( o al significato esistenziale che essi possiedono per l'individuo), Rahner è convinto che la teologia trascendentale (salvo restando il carattere soprannaturale e indeducibile delle verità di fede) sia l'unico modo valido per parlare proficuamente di Dio all'uomo di oggi. Infatti, a suo giudizio, senza una riflessione trascendentale volta a sottoporre gli enunciati teolgici ad una verifica del loro valore antropolgico, il cristianesimo rischierebbe di apparire, agli occhi dei più, come una sorta di "lirica concettuale" o di "gratuita mitologia" inaccettabile da una mente adulta.»
«L'uomo di oggi - scriveva Rahner - non ritiene più degni di fede i contenuti della rivelazione e ciò per colpa della teologia. Non è perciò del tutto illogico che egli pensi di poter dubitare anche sul fatto della rivelazione.» E ancora:«Cerchiamo di guardare con la massima oggettività possibile la situazione spirituale dei nostri giorni: una persona non educata in ambiente e secondo mentalità cristiana, sente l'enunciato: " Cristo è il Dio fattosi uomo"; la sua prima reazione è di rifiutarlo, quasi si trattasse di un mitologema da scartarsi a priori come oggetto di riflessione e di discussione (come facciamo anche noi, quando sentiamo che il Dalai Lama si considera una reincarnazione di Budda).»

... ma la teologia deve approfittare delle domande "naturali" che l'uomo si pone
L'essenza dell'uomo, non solo secondo Rahner, ovviamente, è "l'assoluta apertura all'essere in genere", in una parola: "l'uomo è spirito". Ponendosi egli il problema ontologico fondamentale attorno al significato dell'essere e dell'ente, l'uomo manifesta una conoscenza provvisoria dell'essere in generale che potrebbe portare ad ascoltare in modo nuovo la narrazione e la spiegazione teologica.
Tale situazione, implicando la "conoscibilità" e la trasparenza dell'essere dell'ente, comporta anche che essere e conoscere costituiscano un'unità originaria, ovvero che sia "intrinseca alla natura dell'essere dell'ente il rapporto conoscitivo con sé stesso". E allora, essendo il conoscersi possesso di sé, ne segue che un ente possiede se stesso nella misura in cui è essere. Ovviamente, la forma in cui ogni ente è in potere di sé stesso non è uniforme, ma analoga - in quanto "il grado di coscienza e di autotrasparenza corrisponde al grado di valore dell'essere." L'uomo conosce e giudica i singoli enti solo sulla base di una conoscenza, implicita ed irriflessa dell'essere degli enti. Tale conoscenza inespressa (potremmo dire inconscia o semiconscia) dell'essere è detta da Rahner Vorgriff (percezione previa). Con tale termine allude alla pre-comprensione dell'essere. La percezione previa spiega il regolare darsi di due fenomeni che paiono costitutivi nell'uomo:
1) l'inevitabile interrogazione metafisica
2) l'orientamento "necessario" verso Dio
Rahner così motiva questo suo argomentare: "Con la necessità, con cui si pone questa percezione previa... si afferma già,anche se non ce lo si rappresenta, l'esistenza di un ente che ha il possesso assoluto dell'essere, quindi di Dio."
In sostanza, si può fare esperienza del finito sol grazie alla pre-comprensione dell'infinito e dell'Assoluto.
«L'affermazione della finitezza reale di un ente postula come condizione della sua possibilità l'affermazione di un esse absolutum. Si afferma ciò implicitamente già nella percezione previa dell'essere in genere, attraverso la quale la limitazione dell'ente finito viene conosciuta in primissima linea come tale.» (Uditori della parola, cit)
L'uomo ha, secondo Rahner, che davvero sembra camminare su un sentiero parallelo a quello del "primo" Heidegger, un'intima predisposizione alla continua tensione all'Assoluto, al punto che: «Egli è uomo solo perché in cammino verso Dio, lo sappia o no. Egli è sempre l'essere finito totalmente aperto a Dio.» (Uditori della parola)
Il che significa che l'uomo, prima di farsi l'idea esplicita di Dio, di un supremo ente dell'universo, è già in possesso di una comprensione originaria dell'Assoluto.
Infatti, dice Rahner: «La conoscenza di Dio è già sempre data in maniera atematica e priva di nome, e non esiste solo dal momento in cui cominciamo a parlarne. Ogni doscorso al riguardo, pur necessario, rimanda solo e sempre a questa esperienza trascendentale come a quella nella quale colui chde chiamiamo "Dio" si dice sempre silenziosamente all'uomo. » (Corso fondamentale sulla fede)
Questo discorso non è esente da difficoltà poiché è evidente che, sebbene laa domanda su Dio possa essere comune a tutti gli uomini, la risposta che gli uomini possono incontrare varia da tempo a tempo, da luogo a luogo, da uomo a uomo. Rimane quindi anche per Rahner che il vero Dio, cioè il Dio dei cristiani, non può che venire presentato da una teologia cristiana. Ma questo compito della teologia è facilitato, secondo il teologo di Friburgo dal fatto che l'uomo è sempre in attesa di una rivelazione autentica e di un incontro personale con Dio, definito "ignoto libero di fare quel che vuole". "Dio è - infatti - il misterium imprescindibile, le cui vie sono inesplorabili e le cui decisioni sono imprevedibili." Ma anche in questa situazione, l'individuo non può esimersi dall'aprire le orecchie alla parola, sperando che giunga.

Le vie della salvezza
Quando i documenti conciliari cominciarono ad essere conosciuti, Rahner li commentò come portatori di un "ottimismo salvifico universale", asserendo trattarsi di "uno dei fenomeni più sorprendenti dello sviluppo della coscienza della fede". In realtà era stupito dalla scarsa resistenza opposta dall'ala tradizionalista, per la quale, secondo Rahner, avrebbe dovuto essere del tutto inaccettabile l'idea di una salvezza al di fuori della chiesa, o persino del cristianesimo.
La Lumen Gentium, la Gaudium et spes fecero la gioia di Rahner. "Cristo è morto per tutti e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina"; per questo "dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale."
Superata l'euforia per le novità, tuttavia, Rahner si mostrò critico per la brevità e la genericità dei dei documenti conciliari e per il fatto, comunque positivo, che la chiesa ritiene che "soltanto Dio conosce le strade attraverso le quali i non cristiani giungono alla salvezza e alla giustificazione". (Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo)
Rispetto a ciò, Rahner sostenne che il teologo debba ulteriormente riflettere, percorrere "vie ancora inesplorate", non esistendo "alcun motivo" per non estendere anche agli atei le dichiarazioni conciliari circa gli uomini di buona volontà, riconsocendo che l'ateismo è prima di tutto il prodotto di una situazione sociale.
Tale apertura rahneriana è sorretta da buone argomentazioni. Anche una grazia universale non si vende un tanto al kilo e non è un evento naturale. Sebbene l'uomo sia sempre aperto alla ricezione, la grazia di credere rimane, come per San Paolo, un gratuito ed amoroso dono di Dio. "Ci addentriamo ... nel cuore della concezione cristiana dell'esistenza quando diciamo l'uomo è l'evento di una libera, assoluta autocomunicazione indebita e perdonante da parte di Dio." (Corso fondamentale sulla fede)

All'ottimismo salvifico di Rahner (e dei padri conciliari), teologi più tradizionalisti hanno opposto diverse obiezioni. Secondo costoro, la grazia universale rischia di liquidare la portata della rivelazione storica; rischia di ridimensionare la funzione della Chiesa nella vicenda della salvezza; infine comporta un ridimensionamento del ruolo delle missioni.
Solo la prima obiezione merita in effetti una risposta in quanto le altre non hanno altro fondamento che nella prassi della Chiesa stessa. Non è forse Chiesa sinonimo di "missione"? Non è forse "missione" qualcosa di più che costruire chiese (edifici) in mezzo alla giungla per popolarle di fedeli durante le funzioni religiose?
Rahner rispose alla prima obiezione così: "... se Dio già da sempre e dappertutto si è annunciato in se stesso, nel suo Pneuma Santo, ... se tutta la storia della creazione è già sorretta da un'autocomunicazione divina... allora sembra che da parte di Dio non possa verificarsi alcunchè di nuovo." L'argomento forte di Rahner è dunque quello di un incontro fecondo tra una rivelazione di tipo "trascendentale" e la vicenda della croce. Chi riconosce Dio, non può non sottrarsi all'obbligo ( e forse anche alla curiosità) di conoscere la storia. "... la storia della rivelazione ha il suo vertice assoluto quando l'autocomunicazione di Dio alla realtà creaturale spirituale di Gesù... raggiunge per tale realtà e quindi per tutti noi la sua meta insuperabile."

I cristiani anonimi (impliciti)
Rahner diede prova di grande ecumenica generosità quando si spinse a riconoscere l'esistenza di cristiani anonimi (o impliciti), cioè individui che pur avendo trovato da soli (ma grazie a Dio) la speranza e la carità, non sono ancora esplicitamente cristiani, non sono pertanto entrati nella chiesa, ed al limite non la conoscono nemmeno. Rahner ammette dunque che questi individui siano stati toccati dalla grazia santificatrice. Tale dottrina rahneriana è stata aspramente criticata, ma la migliore difesa si basò sul racconto dei suoi effetti, anzichè su qualche bastione ideologico. Come raccontò lui stesso: "... ad esempio, un giapponese, studente di teologia pastorale in Giappone, mi diceva che tale teoria costituisce per lui il presupposto necessario che gli permette di svolgere opera missionaria, appunto perché può fare appello al cristiano anonimo presente nel pagano e non semplicemente indottrinarlo dall'esterno con un insegnamento".
(Nuovi Saggi)

Rapporto critico con San Tommaso e la tradizione scolastica
Accusato dall'ala più conservatrice di aver abbandonato la filosofia tomistica e gli insegnamenti del "dottore della Chiesa", Rahner si preoccupò di evidenziare che il suo punto di vista non implicava alcun ripudio della filosofia di San Tommaso.
«Non dobbiamo vedere in Tommaso - come ha fatto Leone XIII - il mare in cui sono confluiti tutti i possibili fiumi della sapienza e della conoscenza, tanto che non rimarrebbe altro da fare che attingervi, senza più bisogno di ricorrere ad altre fonti di conoscenza e di ispirazione. Anche lui è figlio del suo tempo e non ha detto tutto ciò che noi oggi dobbiamo indagare e conoscere. Tuttavia non abbiamo bisogno di scostarci da lui neppure per conoscere quello che dobbiamo riconoscere, soffrire e fare come cristianamente e teologicamente caratteristico del nostro tempo. Lo strumentario filosofico di provenienza greca, di cui egli si serve nella propria teologia, potrà essere ampiamente figlio di un pensiero oggettivista e cosmico in vigore prima della svolta copernicana in filosofia. Il suo pensiero riflette forse ancora poco esplicitamente sulla storicità dell'uomo e della sua attività intellettuale e guarda ancora la storia da vicino con occhio semplice quasi ingenuo. Ma non è men vero che Tommaso sta all'inizio di quel mondo che ancor oggi è il nostro, un mondo profano e non già semplicemte sacrale in modo tangibile. Egli infatti è il grande filosofo e teologo di un sistema di ampio respiro, che riconosce tutto ciò che è genuinamente reale, collocandolo nello stesso tempo al posto che gli compete in un grande ordinamento. E' il teologo che andando contro il proprio ambiente conservativamente pio, ha riconosciuto finalmente a chiare lettere l'autonomia della filosofia. E' il teologo per il quale Dio non è un momento particolare, anche se più il più alto, all'interno del mondo, bensì colui che opera nel mondo solo attraverso "cause seconde", attraverso realtà e forze che sono proprie del mondo autonomo. Egli si pone così all'origine di quel processo di riflessione teologica, in cui la fede cristiana lascia espressamente il mondo alla propria autonomia e alla propria responsabilità.» (Nuovi Saggi)
moses - 22 gennaio 2005