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Provo a spiegare le ragioni di questa ricerca
di Guido Marenco


Gli interessati alla psicoanalisi in Italia dispongono all'inizio del loro percorso di alcuni testi introduttivi.
Uno di questi è La storia della psicoanalisi di Silvia Vegetti Finzi, edita e riedita negli Oscar Mondadori.
Si tratta indubbiamente del testo più completo e documentato ed il suo unico difetto credo sia quello di presentare qualche difficoltà di lettura per i cosiddetti profani. Il linguaggio è ipercolto, forbito, a volte superspecialistico. Tuttavia possiede l'indubbio merito di essere un libro nel quale molto di ciò che occorre veramente sapere sulla psicoanalisi è condensato in poche centinaia di pagine.
Su Freud in particolare esiste finalmente la traduzione italiana della voluminosa biografia di Peter Gay, edita nei tascabili Bompiani. Costa solo 22.000 lire ed è quindi una vera e ghiotta occasione.
Molto interessante, anche se non si tratta propriamente di una storia completa bensì, di uno schizzo approfondito di alcuni protagonisti, è la Breve storia della psicoanalisi di Aldo Carotenuto, edito da Bompiani.

Non era dunque particolarmente urgente e necessario colmare un vuoto, anche pensando a scrivere per il web anzichè per il mondo dell'editoria libraria.
Inizialmente infatti credevo di cavarmela scrivendo solo alcune schede ottenute dal riassunto delle pagine della storia della Vegetti Finzi, integrate da alcuni miei studi particolari su Bruno Bettelheim, Jung, Fromm, Erikson e Matte Blanco.
Pensavo quindi al solito lavoro anonimo, che non costa molta fatica, e che in genere soddisfa chi, per motivi scolastici, o anche solo per curiosità, è impegnato in qualche ricerca non troppo approfondita.

Se oggi sono alle prese con qualcosa di più articolato ed impegnativo è perchè sento di aver girato l'angolo di una svolta significativa.
Per molti anni, diciamo, dal 1989 fino all'incirca al 1995, ho conosciuto solo la versione junghiana della psicoanalisi. In quel periodo ero infatti molto interessato alla realizzazione di me stesso e mi piacevano molto le idee di Aristotele sull'entelechia, cioè lo sviluppo di ogni individualità vivente dalla immaturità alla maturità, che nell'uomo si configura come conquista dell'autonomia di giudizio e quindi della facoltà di deliberare con saggezza, in modo naturalmente conscio, su ogni questione della vita. Il mio lavoro su questo punto è sintetizzato nel file la pedagogia di Aristotele.
Vedevo in Jung una sorta di Aristotele della psicoanalisi, ed ovviamente, in Freud, una sorta di Platone.
In ciò, ovviamente, forzavo non poco la mano a Jung. In realtà nella psicologia del profondo junghiana sono presenti elementi di irrazionalità che non quadrano affatto con l'induttivismo ed il razionalismo aristotelici.
Inoltre, per quanto io stesso per primo riconosca che il sesso non spiega tutto, sono altresì convinto che spiega molto e molto di più di quello che crediamo.

Di Freud mi aveva soprattutto colpito l'idea del sacrificio delle pulsioni a vantaggio della crescita civile e quindi, volenti o nolenti, a vantaggio delle res publica platonica governata dalla sapienza dei filosofi.
Ma anche questa era una forzatura. In Freud non esiste una teoria del "sommo bene" e della felicità. In genere la sua è una "filosofia pessimistica", l'uomo è condannato all'infelicità, anche se Freud ha spesso rifiutato la necessità di una filosofia della psiconalisi.
Il suo quadro concettuale rimase a lungo quello di un medico neurologo dell'Ottocento positivista e determinista. La psicoanalisi doveva rimanere inscritta in questo quadro.
La vera differenza rispetto agli altri scienziati del suo tempo sta nel fatto che egli seppe far tesoro degli stimoli di Franz Brentano e della sua teoria dell'autonomia dello psichico.
Ne conseguiva un rovesciamento per il quale non erano malformazioni fisiche a determinare disturbi psichici, ma eventi psichici infantili di origine sessuale a determinare malesseri fisici inspiegabili altrimenti. Quindi non tutti i mali, ma una certa parte.
Questa riserva freudiana, peraltro molto scrupolosa, è spesso stata dimenticata sia dai critici della psicoanalisi che da psicoanalisti di "tipo letterario", non sempre adeguatamente preparati sotto il profilo medico-neurologico.

Da molti anni giacevano nella mia notevole libreria opere importanti come Totem e tabù, L'interpretazione dei sogni, Sul motto di spirito, Tre saggi sulla sessualità infantile, ma li avevo solo leggiucchiati per curiosità.
Quindi è non è da molto che ho riaperto l'archivio freudiano, integrandolo nel frattempo con nuovi acquisti anche di opere considerate a torto minori.

Questa riscoperta di Freud è dovuta a due motivi essenziali: il bisogno di un'autoanalisi che andasse alla radice di alcune mie insicurezze e delusioni; la profonda impressione ricavata dalla lettura di La vita contro la morte di Norman O. Brown, ricercatore americano che negli anni '50 scrisse un interessantissimo saggio su Freud che pareva contenere, se non la ricetta per la felicità, certamente molte indicazioni utili a recuperarla.
In effetti il lavoro di Brown è spiazzante e sorprendente, specie se pensiamo che egli non era uno studioso laico, ma un uomo fortemente impregnato di religiosità protestante nordamericana (si pensi a William James), dunque fortemente consapevole del macigno neotestamentario che ostruisce la via ad una sessualità soddisfacente.

Jung non bastava e non portava affatto al riconoscimento di tutto quello che avevo rimosso dal mio orizzonte conscio, cioè il bisogno di uno scambio erotico autentico con una persona dell'altro sesso. Rapporto nel quale la corrente affettiva e quella sensuale fossero realmente una sola cosa.
Leggendo i saggi Una scelta di tipo oggettuale e Sulla devalorizzazione della vita amorosa, mi ero reso improvvisamente conto che valide considerazioni sul mio disagio erano già state messe a fuoco da Freud, anche se, per alcuni aspetti, io e Freud non andavamo affatto d'accordo.
Egli sostiene infatti che la ricomposizione della corrente affettiva con quella sensuale è presente in alcuni individui colti. Io ero e sono del tutto certo del contrario. Se, per miracolo, questa ricomposizione esiste, la si trova soprattutto in individui non colti, ma solo genericamente acculturati. L'intellettuale vive questa scissione in modo molto più precoce rispetto agli altri individui e certo non la ricompone in teoria, cosa che probabilmente vorrebbe fare, ed ha tentato di fare, ma in pratica, cioè, in primo luogo, tra le lenzuola della sua camera matrimoniale. Ma come ben vide lo scrittore Robert Musil, contemporaneo e viennese di adozione come Freud, nel suo romanzo L'uomo senza qualità, tra il banchiere ebreo Leo Fischel e sua moglie c'era di mezzo la filosofia, cioè un eccesso di educazione morale e di speculazione metafisica. Da ambo le parti, ovviamente. Entrambi portavano, per così dire, i segni tangibili del peccato originale, cioè il senso di vergogna per la propria sessualità, che non è innato, ma trasmesso ed imposto dai sistemi educativi più rigidi.

Tuttavia molto starebbe nell'intendersi su che significa corrente sensuale. Se nel fare "quelle porcherie" che molte donne rifiutano di fare, anche quelle non cattoliche e super morigerate, per intenderci, e che gli uomini non osano chiedere, oppure nella semplice realizzazione di un rapporto in cui l'uomo trovi corrispondenza e non frigidità, e la donna trovi amore e non brutalità.
Si badi che fino a non molto tempo fa, parlo solo di un trentennio, se non un ventennio, molti uomini in Italia non avevano mai visto la propria moglie nuda completamente.

Personalmente sono convinto che l'uomo diventi un "porco", espressione usata da Martha Bernays nei confronti di suo marito Sigmund Freud almeno una volta, anche perchè incontra la frigidità.
Vi sono probabilmente altre ragioni, non ultime quelle che in alcuni individui la pulsione sensuale è più forte ed indomabile che in altri, ma questa è la prima e la più evidente di tutta la storia umana. Se così non fosse non avremmo avuto in modo così massiccio la riduzione della donna ad oggetto e la sua contraffazione nella figura della prostituta, la quale, non solo spesso è più frigida delle donne normali, ma deve anche sottostare controvoglia ad esibizioni di mascolinità brutale che, più passa il tempo e meno si risolve il problema della frigidità, e più saranno brutali in ogni soggetto maschile non perfettamente consapevole di quale sia il problema.
Recentemente ho visto e rivisto molti film nei quali compare la figura del "cattivo" per partito preso e devo dire che ho apprezzato gli sforzi dei registi e degli sceneggiatori volti ad evidenziare le cause della crudeltà.
In uno di questi era rappresentata la figura dell'imperatore Commodo, figlio di Marco Aurelio, che, secondo le linee proposte dallo sceneggiatore e dal regista, diviene "cattivo" perchè non amato. Non amato dal padre, non amato dalla sorella, verso la quale prova un'attrazione incestuosa, non amato dal mondo.
Questa teoria potrebbe sembrare semplicistica, ma in effetti viene a chiarire quanto l'isolamento dell'individuo, il suo sentirsi privo di valore affettivo, capace di suscitare sentimenti autentici negli altri, possa incidere sulla propensione alla crudeltà.

Il mio interesse alla crudeltà, sia quella che riempie le pagine dei libri di storia, sia quella che riempie le cronache quotidiane, sia quella che riempie, purtroppo, anche le nostre vite ed i nostri ricordi, è di natura immediata, quindi non riportabile ad altro che ad una domanda di tipo filosofico: perchè la crudeltà?
Ma poichè la filosofia non è in grado di rispondere in modo convincente, nè con Socrate (gli uomini fanno il male perchè ignorano il bene), nè con Hobbes (gli uomini sono lupi di natura), nè con Rousseau (l'uomo nasce buono, è la società a corromperlo), è necessaria una riflessione storica, antropologica e psicoanalitica.
E' dunque soprattutto su questi piani che cercherò di dare una risposta.

Ma, se mi fermassi qui, darei un pessimo esempio di falsa coscienza maschilista. Non credo infatti che la frigidità femminile nasca dal cervello di Zeus come Pallade Athena.
Essa è una forma di difesa dalla brutalità maschile originaria e non è quindi un dato innaturale, ma uno strumento che la stessa natura ci ha fornito. Persino tra gli animali vi sono simpatie ed antipatie e non è affatto vero che la "cagna" si dia a tutti i cani che incontra. Potrei fare numerosi esempi ma, quello della femmina di pastore tedesco che rifiuta le attenzioni di un suo omologo maschile per unirsi ad un bastardino, che ho visto coi miei occhi, la dice davvero lunga.
Potremmo dunque accettare una origine fisiologica della frigidità. Non è escluso che in molti casi la si possa anche trovare.
Ma in questo caso io non desidero affatto parlare di frigidità in generale, bensì di quella particolare frigidità che la donna dimostra nei confronti del suo partner abituale, cioè dell'uomo che ama e con cui avrebbe desiderio di un'unione appagante.
In queste situazioni la pista psicoanalitica, la quale prevede una ricostruzione della storia del soggetto, mi pare molto più feconda. Può essere che alla fine noi non riusciamo a far emergere il trauma che l'ha prodotta. Tuttavia, perchè non provarci?

Dunque è solo scavando in questa chiave, trovando le origini sessuali del mio disagio esistenziale, che ho visto realmente me stesso e mi sono finalmente "amato", accettato per quello che sono anche negli aspetti moralmente più spiacevoli.
Che poi non erano molti, giacchè gli unici, in fondo, realmente deprecabili erano quelli relativi al desiderio di vendicarmi delle umiliazioni ricevute. Non è che sia diventato un entusiasta del perdono, per giunta in un paese dove gli inviti a perdonare proliferano a tutto spiano, ma a volte c'è davvero da chiedersi cui prodest una semplicistica teoria della vendetta come abreazione, cioè come scarica emotiva appagante. Fare giustizia è tutt'altro, ovviamente.

Ma all'entusiasmo per la riscoperta di Freud, come spesso accade, è seguita ben presto una vera delusione determinata dalle vicende del movimento psicoanalitico, dal suo trasformarsi in senso dogmatico, dalla nascita di un comitato segreto vigilante sull'ortodossia, seguito da scomuniche, espulsioni, rotture del tipo "preferisco andarmene da solo, prima di venire espulso da voi."
Un film già visto, basti pensare alla storia della chiesa od a quella dei partiti comunisti, che peraltro, cominciarono a risentire della svolta dogmatica persino dopo la vicenda del movimento psicoanalitico.
Freud stesso fu in parte responsabile di questa degenerazione ed io non fatico ad interpretare questo lato della storia alla luce soprattutto di una paura per il cattivo uso della psicoanalisi che non si è tradotta in indicazioni, riserve e precauzioni del tutto coerenti con lo spirito originario. Il lato inquietante della storia della psicoanalisi è che tutti i suoi protagonisti furono pessimi psicologi della politica e dell'organizzazione, convinti oltretutto che fosse necessaria una "politica" della psicoanalisi, invece che un codice come quello che, ad esempio, si diedero gli antropologi.
Ma per capire di che si tratta, facciamo alcuni esempi.
Adler, uno dei primi eretici, raccontò di aver manipolato due donne frigide nel suo studio, facendo loro raggiungere l'orgasmo.
Tuttavia non fu criticato per questo episodio, ma per le sue idee in generale.
Da un altro punto di vista potremmo persino considerare che Adler guarì queste due donne. Ma ne siamo certi?
E può esser vero che per curare qualcuno ci si debba spingere fino a questo punto?
Sono interrogativi inquietanti cui varrebbe la pena di cominciare a rispondere.
Tuttavia è certo che non potrebbe rispondere in modo nuovo senza una profonda revisione dei nostri schemi mentali.
Ciò che fece Adler, oggi, sarebbe ancora legalmente perseguibile, anche se non del tutto moralmente riprovevole.

Lo stesso Jung ebbe un rapporto ambiguo con una giovane aristocratica russa, Sabine Spielrein, sua paziente, prima ancora che psicoanalista a sua volta. Tuttavia non abbiamo notizia di un esplicito richiamo alla serietà deontologica.
Anche qui si tratta di notare come il confine tra serietà professionale, scopo della terapia, mezzi atti ad attuarla, sia nuovamente e radicalmente in gioco. Rispetto al caso Adler il caso Jung-Spielrein presenta un particolare ancora più significativo: il terapeuta è coinvolto in un rapporto dove anche i sentimenti hanno la loro importanza.
Ma è possibile dedicarsi alla psicoterapia senza provare amore ed empatia per le sofferenze psichiche altrui?

Di Freud sappiamo poco, anche perchè, probabilmente c'è poco da sapere. Ebbe una relazione extraconiugale con la cognata Minna, estranea alla psicoanalisi, sorella della moglie Martha e molto più portata, tuttavia, rispetto alla sorella, a raccogliere tutte le confidenze di Freud.
Lo strano di questa vicenda è che fu lo stesso Jung a diffondere questa voce su Freud in un modo quantomeno discutibile.
Peter Gay nella sua biografia denuncia Jung come testimone poco attendibile, ma non spiega perchè.
Questo elemento introduce tuttavia qualche ombra nella vita familiare di Freud non di poco conto. La cognata Minna visse in casa Freud per moltissimo tempo, a partire dalla morte del suo fidanzato. In almeno un'occasione Freud e Minna trascorsero insieme e da soli una vacanza di quindici giorni.
Se è vero che la storia non si fa con i pettegolezzi da rotocalco, è anche vero che a volte questi sono indispensabili per ricostruire uno scenario realistico.
Con molta sicurezza, potrei dire, infine, che Freud non rimase insensibile al fascino di Lou Andreas Salomè, già amica intima di Nietzsche ed amante di Paul Klee, nonchè psicoanalista a sua volta.
Del resto Lou era veramente una bellissima donna a confronto di Martha, ed ancor più di Minna, di aspetto fisico davvero insignificante; per di più era anche di una intelligenza straordinaria.
Dunque in ogni caso tradimento ci fu, anche se non attuato nei fatti.
Tuttavia il rapporto tra Freud e le sue innumerevoli pazienti fu sempre contrassegnato da una correttezza al di sopra di ogni sospetto ed anche le sue pazienti furono corrette con lui, nel senso che nessuna lamentò "molestie sessuali" da parte di Freud.

Il problema è che Freud non comprese fino in fondo e dall'inizio, quanto fosse minato il percorso della psicoanalisi, e quanto fosse evidente nel rapporto a pagamento tra donne nevrotiche e psicoanalista maschio il rischio di una sorta di prostitutuzione maschile.
Ciarlatani ed approfittatori, disposti a sfruttare ogni opportunità, erano pronti a saltare sul carro ancor prima che il carro si mettesse realmente in moto proprio per questo motivo.
Elogiatori sperticati erano pronti a divinizzarlo. Critici altrettanto rognosamente sperticati erano e sono disposti a tutto per di demonizzarlo, senza tuttavia cogliere che la differenza non stava tra una psicoanalisi perversa ed una scienza psicologica sana, ma tra i singoli soggetti. Freud non era affatto "un porco". Molti altri, compresi molti psicologi dediti alla sana psicologia, come Watson che provocò un'erezione in un bambino con lo stimolo delle zone erogene, lo furono sistematicamente.
La fama conquistata fu anche la sua crisi. La degenerazione della psicoanalisi in dogmatismo fu dunque dovuta anche a Freud e credo sia necessaria a tale proposito una riflessione, che del resto accompagnerà tutto il lavoro declinandosi in molteplici direzioni.

Di fronte ai fatti, se i fatti ci stanno dinnanzi con chiarezza, è difficile mentire.
C'è un cadavere di fronte a noi, sdraiato a pancia in giù con un lungo ed affilato coltello affondato nella schiena.
Il problema sta nell'interpretazione di questo fatto, non nel fatto stesso.
La posizione stessa del cadavere conduce ad escludere l'ipotesi del suicidio. Piantarsi un coltello nella schiena, con quella profondità, non è nè facile, nè naturale. Inoltre, per fare harakiri, occorre una concezione del suicidio un filo sanguinaria e psicotica, eroica.
Nel suicidio esibizionista c'è una volontà di riscatto dal disonore ed insieme un preciso richiamo d'attenzione.
Molti elementi concorrono quindi ad escludere il suicidio.
Ma proseguendo le indagini veniamo a sapere che l'individuo assassinato soffriva di un male incurabile, e che egli aveva manifestato più volte il progetto di darsi la morte perchè soffriva molto.
Ecco che l'ipotesi del suicidio ritorna, anche se, continua ad apparire strano e singolare, nonchè misterioso, il modo nel quale si è realizzato.
Dai e dai, scavando nella vita del soggetto, veniamo infine a sapere che egli era stato testimone di accusa in un processo per omicidio risalente a diversi anni prima. Negli ultimissimi tempi aveva scritto una lettera ad un amico nella quale confessava di voler ritrattare quella testimonianza prima di morire, perchè estorta sotto ricatto.
Infine scopriamo che l'amico è il vero assassino nel delitto precedente, anche se non ne abbiamo le prove.
La conclusione quasi inevitabile, per un buon detective, è che l'amico sia anche l'assassino del nostro caro defunto.
Tuttavia non abbiamo prove. Dovendo procuracele ci ingegnamo a far cadere l'assassino in qualche tranello. Al fine di riuscirci dobbiamo usare tutta la nostra abilità, la nostra pazienza. Ma dovremmo avere anche l'umiltà di lasciare aperta una via d'uscita, coltivare quindi una riserva mentale sul fatto che le cose potrebbero essere andate altrimenti e che tutto ciò che abbiamo sospettato potrebbe rivelarsi un castello di carte.
Un buon giallo trova sempre la via di arrivare alla verità perchè il detective non trascura nulla, nemmeno il contrario di quello che pensa.

Nella storia della psicoanalisi non sempre questo è accaduto. L'interpretazione di una particolare vicenda è spesso diventata, proprio a partire da Freud, una teoria generale con pretesa di spiegazione totalizzante ed omnicomprensiva. In ciò quindi allontanandosi dalla verità e dallo spirito stesso della verità.
Sono queste le critiche che il filosofo Karl R. Popper cominciò a muovere alla psicoanalisi, negandole lo statuto della scientificità.
Non mi passa nemmeno per la testa di provare a restituirglielo integralmente. Tuttavia sono molto interessato ad un revisione di tutti i giudizi liquidatori.
Sono convinto che l'errore iniziale stia in questa pretesa di estensività e di generalizzazione. Questa pretesa spetta giustamente solo alla scienza e solo in ambiti ristretti, che hanno poco a che fare con i problemi vitali ed esistenziali di ognuno.
Tuttavia, a beneficio del lettore, vorrei solo aggiungere che a mio modo di vedere, pur criticando giustamente in questo senso la psicoanalisi, Popper non è esente da errore. Fino alla fine egli fu convinto di quanto aveva scritto in Scienza e filosofia, Einaudi 1991, ovvero che quando noi osserviamo un fatto, lo osserviamo sempre alla luce di una teoria.
Popper è molto convinto della non esistenza, e della non-possibilità dell'osservazione pura. Non solo: pare anche che, qualora esistesse, per Popper, sarebbe sostanzialmente sterile ed inutile.
Egli motiva questa posizione che sfida molto in profondità il nostro senso comune con argomenti intelligenti, ma per nulla persuasivi. Tra questi egli insiste su quello che potremmo chiamare il categoriale, ovvero l'insieme linguistico che è il supporto della ragione. Tutto ciò che è nominato nell'osservazione stessa, i termini che utilizziamo, per Popper, sono già teoria, quindi non termini osservativi, ma termini teorici.
Io dico di no: di fronte ai fatti noi possiamo osservare sia alla luce di una teoria, sia senz'altra teoria che quella derivante dall'intenzione di rivedere il fatto obiettivamente.
Ogni oggetto realmente esistente ha un nome, ma non esiste perchè ha un nome, esiste perchè sta lì, sotto i nostri occhi. Il nome non ci serve a conoscerlo, ma a nominarlo in modo distinto (io Tarzan, tu Jane) ed a farlo ri-conoscere.
Quando osserviamo alla moviola un episodio di una partita di calcio, possiamo quindi provare due atteggiamenti diversi.
Nel primo, essendo tifosi e partigiani, guardiamo solo per difendere o per accusare. Nel secondo, non essendo partigiani, guardiamo solo per capire cosa è realmente accaduto.
Solo successivamente, interpretando il regolamento, possiamo anche concludere si tratti o meno di fallo.
Separare il fatto dalla sua interpretazione è dunque possibile. Ed è semplicemente ideologico affermare che non è possibile.

Anche altri epistemologi hanno insistito su questo punto, parlando ironicamente di dogma dell'immacolata osservazione.
Ma gratta gratta emerge solo un fatto, ovvero che questi non sanno distinguere tra un'osservazione mirata, ovvero un monitoraggio di tipo statistico orientato a cogliere solo alcuni aspetti determinati in anticipo come rilevanti, ed un'osservazione non mirata ad altro che all'osservazione dei fatti nella loro nuda concatenazione.
Non solo: nemmeno è stato evidenziato con la sufficiente chiarezza la distinzione che intercorre tra conoscenza preesistente e teoria particolare. In altre parole: è evidente anche ai merluzzi che quando osservo qualcosa, non sono un ignorante puro ed immacolato, ma ho con me una cultura, un bagaglio di esperienze. Ad esempio, per tornare alla moviola, io conosco le regole e lo scopo del gioco del calcio, conosco la storia di questo sport e così via. Ma rimane che un conto è osservare senza altra intenzione che rivedere, ricostruire, esaminare, un conto è osservare in modo mirato, per contare quante volte un difensore ha sbagliato il passaggio, quante volte ha colpito di testa, quante si è fatto sfuggire l'uomo e così via.

Il problema, allora, è che Popper non ritiene che il metodo induttivo, cioè il risalire da una serie di osservazioni particolari pure, che si ripetono con frequenza, e per lo più danno gli stessi risultati, ad una asserzione di carattere generale, sia un metodo scientifico.

Rispetto alla psicoanalisi in generale potremmo dire che invece il metodo induttivo è l'unico veramente utile e che essa si rivelò dogmatica, non perchè passò ad altro metodo, ma perchè, alcuni psicoanalisti pretesero di passare ad una teoria generale basandosi su una sola, o su troppo poche osservazioni particolari.

Se accettiamo che si può osservare in modo puro e distaccato il fatto, diviene evidente che è nell'interpretazione di esso che comincia il possibile conflitto di opinioni. In sostanza è possibile un conflitto di opinioni, ma non sui fatti nudi e crudi. Perchè altrimenti si passa dal conflitto tra opinioni a quello tra verità e menzogna.
I carri armati sovietici sono entrati a Praga nell'agosto del 1968. Non si può negare. Si può tutt'al più provare a giustificare, anche se lo trovo molto difficile. In realtà quello fu il principio della fine del comunismo cosiddetto "scientifico" e la liquidazione della possibilità di un socialismo "dal volto umano". Nessun avversario del comunismo avrebbe potuto fare di meglio.
Giordano Bruno fu arrostito in seguito ad un verdetto della Santa Inquisizione condotta dallo stesso cardinale Bellarmino che poi inquisì anche Galileo Galilei.
Questi fatti non si possono negare. Poi potremmo anche accettare di discutere se nel pensiero di Giordano Bruno vi sia persino qualche traccia demoniaca. Ma il misfatto della chiesa rimane. Perchè bisogna bruciare streghe ed eretici? Non basta chiudere in galera solo chi ha commesso realmente un crimine, non chi ha immaginato di compierlo con rituali magici?
Oppure davvero crediamo che i rituali satanici abbiano effetto?
Nel Milione di Marco Polo viene raccontato per filo e per segno l'unico rituale satanico che ha sempre efficacia: procurare una tossicodipendenza da sostanze e pratiche che danno piacere e quindi provocano una necessità cieca ed assoluta di queste sostanze e di queste pratiche.
Così l'individuo diviene schiavo, ed è disposto a tutto per rimanerlo, vendendo l'anima al diavolo nel vero senso della parola.
Ma a distanza di quasi ottocento anni questa semplice lezione di un mercante veneziano con acuto senso dell'osservazione continua a rimanere incompresa o rimossa, nonostante sia evidente che, per induzione, oggi noi disponiamo di una casistica senza fine sul rapporto stretto che esiste tra dipendenza dal piacere e crimine organizzato.

Dunque la storia della psicoanalisi è anche la storia di rotture dovute a conflitti di interpretazioni, ed alla pretesa di alcuni, di avere interpretazioni generalizzanti ed omnicomprensive, valide in ogni caso.
Nel tempo questo vizio originario è venuto attenuandosi, ma non è detto che sia scomparso del tutto se per molti praticanti la psicoanalisi le parole di Jung, di Freud o di Bion hanno un valore religioso di rivelazione di verità nascoste fin dalla creazione del mondo e non di risultanza induttiva.

Ma detto di questi limiti, quello che mi propongo di dimostrare è che il merito fondamentale della psicoanalisi fu di aprirci alla storia individuale del soggetto raccontata da lui stesso come unica chiave di comprensione dei suoi problemi.

Sono convinto che far "scienza" sia anche rinunciare a teorie, non solo a cercarle.
O meglio: nel formularle solo quando siamo relativamente certi che le nostre osservazioni abbiano davvero una base molto estesa.
Rispetto all'induttivismo in generale Popper sbaglia di grosso nel sostenere che esso cerca solo giustificazioni e verifiche, ma non espone mai in anticipo tutti gli eventi che potrebbero smentire la teoria, e quindi non si presta ad essere falsificato.
Il fatto stesso che l'induzione si basi sul "per lo più", implica una riserva iniziale che lo rende probabilistico. Infatti, se dopo aver visto dieci cigni bianchi, concludessimo che tutti i cigni esistenti e quelli che esisteranno sono e saranno bianchi, avremmo forzato certamente la mano all'interpretazione.
Potremmo solo concludere che tutti i cigni osservati sono bianchi ed è quindi molto probabile che moltissimi cigni siano bianchi, ma non escludere che vi siano, o vi saranno, cigni arancioni o blu:-))) ( O molto più naturalmente cigni grigi e neri)
Ma vi sono esempi di sillogismo scientifico non facilmente confutabili: tutti gli uomini hanno un cuore anatomico, due polmoni, un fegato e così via. Capitasse che un individuo disponesse di un solo polmone o due fegati, avremmo non una smentita alla teoria, ma un'eccezione alla regola.
Si capisce allora che il vero problema non è quello di considerare l'induttivismo fondato sull'osservazione come non scientifico, ma solo di delimitare fortemente e severamente l'area di applicazione.
In ciò vedo anche la possibilità di una riabilitazione scientifica della psicoanalisi. A condizione che ci si intenda su che significa "scienza". Cosa che dopo le confusioni provocate da Popper, da Feyerabend e da altri illustri critici del dogma dell'immacolata osservazione e del metodo induttivo pare assai problematica.

12 gennaio 2001