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Protagora

di Daniele Lo Giudice


La vita

Platone scrisse che Protagora era molto più vecchio di Socrate. Probabilmente, nacque ad Abdera nel 485 a.C., o addirittura nel 492.
Sull'identità di suo padre c'è qualche incertezza. C'è chi dice Artemone, e chi dice Meandrio, nome che sembra più consono ad una origine ionica. Pare si trattasse di un uomo molto ricco.

Non sembra possibile ricostruire il percorso formativo di Protagora e stabilire quali furono i suoi maestri. Filostrato racconta che ebbe rapporti con i Magi persiani in occasione della spedizione di Serse nel 480 a.C., ma questo costringerebbe a retrodatare ulteriormente la data di nascita.
Anche la notizia di un Protagora discepolo di Democrito, pure nativo di Abdera, pare altamente improbabile per questioni cronologiche.
Senza entrare nel merito di una disputa ancor oggi irrisolta, pare più accettabile la tesi di chi sostenne che Democrito e Protagora furono grosso modo contemporanei, e che fu il primo a polemizzare con il secondo, sia pure indirettamente, e che il terreno di contesa fu indubbiamente quello dell'insufficienza delle sensazioni per capire la struttura del reale. Mentre Democrito asseriva che i sensi possono anche ingannare, Protagora, al contrario, affermò che essi non ingannano mai, anche quando la stessa cosa sembra produrre in noi sensazioni del tutto diverse e quindi contraddittorie. Ciò è dovuto al cambiamento che si è verificato nella cosa, oppure in noi.

La vera storia di Protagora cominciò quando, venuto ad Atene, si incontrò con Pericle. Tra i due si stabilì una profonda intesa e il sofista ricevette appoggi, ed incarichi importanti, quale quello di preparare la legislazione di Turii, la colonia fondata da Pericle nel 444 a.C.
Lo statista ateniese avrebbe voluto fare della colonia una sorta di centro panellenico, non una copia di Atene.
In tal senso Protagora elaborò un testo che teneva conto non solo dell'ispirazione democratica ateniese, ma del contesto specifico e del diritto imperante nelle colonie greche dell'Italia meridionale.

Si sa, inoltre, che Protagora, ad Atene, fu amico del ricco Callia e frequentò la casa di Euripide.
Fece molti viaggi, ed in Sicilia conobbe il giovane Ippia, altro celebre filosofo annoverato tra i sofisti e protagonista di due dialoghi platonici.

Molti studiosi, tra cui Olaf Gigon, negano che Protagora sia stato processato ad Atene per empietà ed ateismo.
Ed altrettanto leggendaria pare la notizia che una massa di fanatici raccolse i libri di Protagora e li diede alle fiamme nell'agorà.
Ma su questo le opinioni sono discordi. In realtà, come confermano le vicende di Anassagora, e poi di Socrate, il conservatorismo ateniese, comune, come si è già detto nel file d'introduzione ai sofisti, sia agli aristocratici che ai democratici, potrebbe aver toccato picchi di intolleranza piuttosto alti.
Tutti concordano nel ritenere che Protagora sia poi perito in un naufragio, mentre si recava in Sicilia, a tarda età.
In alcuni testi di storia della filosofia si trova scritto che Protagora fu molto popolare. Ciò potrebbe essere vero in un senso, ed errato in un altro. Si può essere popolari in negativo. Come vedremo, ci sono molte ragioni per pensare che Protagora non fosse amato dal popolo ateniese, ed in genere, dalla gente comune.
Ma questo sembra un dato comune alla stragrande maggioranza, non solo dei sofisti, ma dei filosofi in generale.

Le opere

Non è facile determinare con certezza quanti e quali scritti compose Protagora. Sono andati tutti persi e rimangono solo alcuni frammenti.
Di certo, si riconosce generalmente che Protagora fu l'autore delle Antilogie, opera in due libri. Il titolo significa letteralmente Discorsi contraddittori e rinvia ad una delle concezioni fondamentali di Protagora, ovvero che sul medesimo argomento sono possibili discorsi completamente opposti e ugualmente veri e fondati.
Secondo l'Untersteiner, le Antilogie trattarono quattro problemi fondamentali: 1) intorno agli dei; 2) intorno all'essere; 3) intorno alle leggi ed a tutti i problemi che riguardano la vita delle città; 4) intorno alle arti.
Circa il primo problema è probabile che Protagora abbia anche scritto un paragrafo aggiuntivo Intorno alla sorte nell'Ade, negando un'esistenza separata dell'anima, e dunque una sua prosecuzione nell'al di là. Ma il punto focale dell'opera consisteva nell'affermazione che gli dei non hanno alcuna influenza nelle vicende umane.
Queste tesi, tuttavia, sembrano contraddire lo stesso assioma fondamentale proposto da Protagora, ovvero che sul medesimo tema sono possibili discorsi alternativi l'uno all'altro. E' mia convinzione, pertanto, che Protagora non si sia sbilanciato in un alcuna affermazione perentoria, ma si sia semplicemente pronunciato a favore delle tesi che a lui parevano più probabili, ovvero che gli dei non hanno alcuna influenza sulle vicende umane, e che l'anima non goda di alcuna esistenza eterna.

La seconda parte dell'opera, Intorno all'essere, consisteva principalmente in una polemica contro gli eleati e la loro dottrina. Per Protagora era inaccetabile la tesi eleatica che la percezione sensibile inganna soltanto.
E' probabile che lo svolgimento del terzo problema, quello riguardante le leggi e i problemi delle città, sia servito a Platone per riportare i punti salienti del pensiero di Protagora nell'omonimo dialogo.
Il quarto tema allude alle arti in generale: qui è possibile che Protagora abbia collocato le sue posizioni sulla matematica e sull'arte della contesa e della confutazione, ma sembra improbabile che il titolo del relativo capitolo fosse Intorno all'arte eristica. Secondo gli studiosi più accreditati, infatti, il termine eristico aveva un significato negativo persino presso gli stessi sofisti: voleva dire discorso cavilloso, pretestuoso e calunnioso.

La verità o Intorno alla verità è il titolo della più importante opera di Protagora. L'Untersteiner ipotizza che si tratti di un titolo posticcio, proposto da Platone, e ritiene possibile che in origine il vero titolo fosse Discorsi demolitori.
Lungi dall'avere un significato solo distruttivo, il discorso demolitorio aveva come scopo lo smascheramento della tesi preconcetta, e l'arbitraria disposizione umana a credersi nella verità, quando il lato soggettivo e parziale aveva la prevalenza su quello oggettivo.
Il merito del sofista Protagora stava indubbiamente nella scoperta delle ragioni dell'altro e nella comprensione dei motivi di tali ragioni.

L'opera platonica che spiega ed insieme evidenzia i limiti del pensiero di Protagora non è il dialogo omonimo, ma il Teeteto, scritto che insieme al Sofista, tocca davvero i vertici della speculazione filosofica.
Al contrario, leggendo il dialogo intitolato Protagora, viene da chiedersi se Platone renda di Protagora un profilo fedele all'originale.
Credo che nell'intento di mostrare i limiti e le incertezze del vecchio sofista da un lato, e nell'esaltare la profondità del pensiero socratico dall'altro, Platone abbia finito col deformare un poco il carattere ed il pensiero di Protagora.
Nel dialogo platonico, questi cade in difficoltà di fronte alla domanda socratica sull'insegnabilità delle virtù e sulla successiva domanda concernente il carattere delle virtù, il loro essere una cosa sola, oppure una serie di qualità particolari, non collegate l'una all'altra.
La vittoria di Socrate su Protagora, così come lo descrisse Platone, appare forzata. Certo non potevano mancare gli argomenti empirici a favore di una considerazione pluralista delle virtù. In molti individui esse sono concentrate, in altri del tutto assenti, ma è evidente che la media degli uomini dimostra che alcuni sono solo intelligenti, altri sono solo corretti, altri ancora sono solo buoni, ed altri ancora non difettano di coraggio e prudenza, ma possono essere pigri, oppure condizionati dal loro dovere e dai loro obblighi, e quindi necessitati ad agire in modo non conforme a principi virtuosi universali.
Nel dialogo platonico, in sostanza, viene a mancare il dato fondamentale della dottrina protagorea, ovvero che sul medesimo argomento, ad esempio, il carattere e la natura delle virtù sono possibili due o più discorsi del tutto diversi, ed ugualmente veri.
Se Socrate aveva dunque ragione a porre in risalto l'unitarietà della virtù, Protagora avrebbe potuto facilmente dimostrare quanti uomini sono solo una somma di qualità positive e negative.

Analogamente, rispetto ad uno dei motivi di più accesa discussione, la celebre affermazione del poeta Simonide su quanto sia difficile l'essere buoni, che probabilmente era stata pronunciata con un sospiro, Platone non sembra qui così profondo come in altre occasioni.
L'essere buoni d'animo, persino il sapere che cosa sia la bontà, non ci risparmia affatto dalle prove della vita vera, nella quale è davvero difficile essere buoni sempre e comunque.
In Protagora vi era una consapevolezza dello sforzo che ognuno deve fare su sé stesso per essere buono, corretto, giusto, anche quando gli altri si comportano in modo contrario.
In Socrate questa dimensione politica, sociale e relazionale del comportamento umano quasi scompare. Tutto si risolve nella conoscenza del bene in sè, come se questa fosse sempre sufficiente, anche di fronte ai mali ed alle ingiustizie, a vincere la tentazione del male. Ma la soluzione socratica si arresta proprio di fronte alle situazioni più spinose: situazioni che lo stesso Protagora aveva invece ben intravisto. Potrebbe, ad esempio, essere lecito fermare con ogni mezzo un uomo che sta per compiere un assassinio?
E' l'esame delle circostanze che ci consente di decidere per il meglio o per il peggio, non il rispetto dogmatico di qualche principio. Lo stesso Kant, che pure credeva nella derivazione a priori dei principi morali, ammise che la regola dell'azione risiedeva nella massima di operare cercando di essere d'esempio in situazioni del tutto inedite.
Ed accusare Kant di relativismo morale pare davvero assurdo.

L'uomo misura di tutte le cose


La storiografia ha posto nella ormai celebre affermazione di Protagora, l'uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono per quello che sono, di quelle che non sono per quello che non sono, il centro stesso della sua filosofia.
Nicola Abbagnano, sulle tracce della confutazione che Aristotele svolse delle dottrine protagoree in Metafisica, suggerisce di cercare il presupposto di questa posizione in Eraclìto.
Protagora accettò il fluire ed il divenire come dati innegabili della realtà che ci circonda, ed allo stesso tempo accolse l'idea della diversità delle sensazioni e dei gusti. Come uomini abbiamo molto in comune, ma abbiamo tutti un modo di vedere e sentire particolare. Ed in situazioni particolari la stessa cosa che ci è parsa buona e gradevole, può sembrarci cattiva o sgradevole. Se siamo malati, ad esempio, ci ripugnano cibi che divoremmo se sani.
Invece di opporre a questa realtà dominata dalla doxa, cioè dall'opinione, un mondo di verità ideali, od addirittura il granitico concetto di essere parmenideo, Protagora, accettò la realtà del mondo e si persuase che era anche possibile istruire gli uomini a comprendere la diversità ed il valore della diversità, avendo come fine non un generico riconoscimento del pluralismo, ma una maggiore comprensione reciproca e lo scopo politico di arrivare a decisioni concordi attorno a ciò che è più utile al singolo ed alla comunità.
Condivise con Pericle la convinzione che la democrazia fosse il sistema politico più consono alla civiltà dei greci, in chiara antitesi alle forme di governo autoritarie dei barbari. E, sempre con Pericle, si fece promotore dell'idea che non gli dei, o il fato, sono padroni del destino umano, ma che, da un certo punto in poi, ognuno è responsabile della sua vita.
Sebbene non vi siano frammenti particolarmente illuminanti su questo punto, pare dunque probabile che Protagora non disdegnasse la ricchezza, l'accumulo di fortune e la vita agiata, in questo distinguendosi fortemente sia dai pitagorici, sia dalle scuole socratiche successive.
Si potrebbe dire che la vita per Protagora ha un valore in sè, ed è degna di essere vissuta pur rimenendo sempre al di qua dei grandi misteri della vita stessa, quali l'esistenza di un dio o l'eternità dell'anima.
Su questi punti l'agnosticismo di Protagora fu radicale e decisamente antimetafisico.
Disse: "riguardo agli dei, non so né che sono, né che non sono, né di che natura sono." Affermò ancora che la vita umana è troppo breve per venire a capo di del problema del divino.
Non deve sfuggire, tuttavia, che nel racconto platonico il filosofo di Abdera fece ricorso a poeti e miti per spiegare alcune particolarità del mondo.
Nei poeti, come nel resto negli autori tragici, egli vide dei maestri sia diretti che indiretti. La visione del tragico e degli eccessi umani costituiva in ogni caso un'occasione per riflettere, più che un incitamento alla vita passionale.

La confutazione socratica delle dottrine di Protagora nel Teeteto
Come ho già detto, ritengo il Teeteto di ben altro spessore filosofico rispetto al Protagora.
In esso Platone, attraverso la stringente dialettica di Socrate, evidenziò che tra sensazioni e conoscenza passa una differenza fondamentale: tutte le sensazioni arrivano alla mente, cioè all'anima, ed è essa che decide cosa sia vero e cosa no. Non è in discussione la verità delle sensazioni, ma il discorso, il ragionamento su di esse.
Ciò che distingue l'uomo da un qualsiasi altro animale è questa facoltà di ragionamento, di revisione critica.
Socrate afferma allora che l'uomo che conosce veramente è diverso dall'uomo che si ferma alle sole sensazioni, giacchè ogni uomo che ad esse si limitasse, essendo egli stesso oggetto di un mutamento incessante, diventerebbe tanti uomini quante sono le sue sensazioni ed i suoi stati d'animo. E cesserebbe di essere un uomo unito in sé stesso, che ragiona.
Socrate, allora, quando Protagora afferma che ciò che appare a ciascuno, questo anche è, obbietta che nel mondo ci sono uomini che sanno di più e uomini che sanno di meno, e chi sa ha opinioni vere, e chi non sa, opinioni false, sicchè, anche ammettendo che tutte le opinioni siano vere, si dovrà ammettere, e dovrà ammetterlo lo stesso Protagora, che hanno vera opinione anche quelli che affermano che non tutte le opinioni sono vere.
" E allora - dice Socrate - se è vero che tutti hanno opinioni vere, anche quelli che pensano che taluni o molti non hanno opinioni vere, necessariamente questi taluni o molti non potranno avere opinioni vere."
La conclusione paradossale è, dunque, che Protagora dovrebbe ammettere che anche chi afferma che Protagora dice il falso, avrebbe opinione vera e fondata.
Questa confutazione non sembra, tuttavia, ancora sufficiente. Socrate concede che le sensazioni siano del tutto personali, concede persino che negli affari pubblici si giudichino onesti o turpi determinati comportamenti secondo criteri di valutazione diversi, ma infine si chiede: cosa potrebbe accadere se anche di quelle cose che implicano un giudizio sui loro effetti ammettissimo l'opinione?
Ne andrebbe della scienza, cioè della sapienza vera ed incontrovertibile. Questo Socrate non lo dice, perchè, come al solito, cambia discorso al momento cruciale, lasciando a noi la fatica del concludere.
Ma a nessuno dovrebbe sfuggire che con questo ragionamento siamo davanti al problema fondamentale della filosofia, compresa quella contemporanea: quando possiamo dire che siamo davvero in possesso di una scienza e non di semplici opinioni?

Il significato di contraddizione in Protagora
E' interessante notare che quando Aristotele, nella Metafisica, cerca di chiarire in che senso sono impossibili ed assurde affermazioni opposte e quindi discorsi opposti sul medesimo oggetto, non chiamò in causa direttamente Protagora, ma i sostenitori della sua dottrina. Può darsi che questo dettaglio non abbia alcun significato particolare, ma sono propenso ad interpretare il dato come la sottolineatura, da parte di Aristotele, di una differenza qualitativa tra Protagora ed i suoi fedeli sostenitori.
Come spesso gli accadeva, Aristotele qui fu palesemente polemico ed ironico. "Non si può dire che l'uomo è una trireme e dire che l'uomo non è una trireme. L'uomo non è una trireme."
Non si può dire che entrambi i giudizi siano veri, a meno che, ovviamente, non si usi la trireme come metafora. "L'uomo è simile ad una trireme: quando ha il vento in poppa, viaggia senza fatica, quando ha il vento contro, deve remare."
Questo implicito distinguo tra Protagora ed i suoi allievi dovrebbe aiutare a ristabilire la verità storica sul vero significato della dottrina di Protagora, ovvero che non su tutti gli argomenti è possibile fare dichiarazioni opposte ed allo stesso tempo vere senza cadere nell'assurdo.
Aristotele fece quest'esempio: non è possibile dire che è la stessa cosa gettarsi in un precipizio e non gettarsi in un precipizio. Non è possibile dire che uno che si getta, si fa male; ed allo stesso tempo dire che uno che si getta, non si fa male.
Su temi come questi è dunque assurdo sostenere la verità di due discorsi alternativi.
Ma, sarà proprio vero che Protagora pensò la sua dottrina in termini così dogmatici ed assoluti?
Data la statura del personaggio, dato che Pericle l'avrebbe messo subito alla porta se si fosse presentato con simili teorie estremistiche, invece di accoglierlo, sono fortemente convinto del contrario.
Purtroppo, non disponendo che di frammenti, si tratta di una semplice ipotesi al momento indimostrabile.
Ma che lo stesso Aristotele avesse una certa stima di Protagora, e dell'importanza della sua dottrina nello sviluppo del pensiero, è dimostrato dall'ammirata citazione dello stesso in ordine al carattere teorico ed astratto della geometria.
Di fatto egli accettò come valida l'osservazione del sofista: nessuna cosa esistente ha le caratteristiche che la matematica attribuisce agli enti geometrici. Nella realtà non esiste alcuna tangente che tocchi un oggetto avente una circonferenza in un solo punto.

Letture consigliate:
Mario Untersteiner - I sofisti - Bruno Mondadori - Milano 1996
Aristotele - Metafisica -
Platone - Teeteto -
Platone - Protagora -


dlg - agosto 2002