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Claude Henry de Saint-Simon

Claude Henry Rouvroy, conte di Saint-Simon, nacque a Parigi nel 1760.
Fu istruito direttamente da D'Alembert e ne risentì profondamente.
Secondo diversi studiosi, più che gli studi filosofici e scientifici, furono importanti per la sua formazione le esperienze di vita.
Durante la rivoluzione americana egli corse a combattere al fianco degli insorti contro l'Inghilterra.
Quando tornò in Francia si dedicò con scarso successo a speculazioni ed investimenti per ricavare ricchezze da impiegare a beneficio della collettività e dei poveri.
Fu un generoso, prima ancora che un teorico. Per un lungo periodo cercò di organizzare corsi popolari per la divulgazione scientifica.
Egli credeva fermamente nell'importanza dell'istruzione diffusa quale unico modo per migliorare le condizioni di vita. Da vero erede dell'illuminismo privilegiava l'insegnamento delle conquiste scientifiche e combatteva le superstizioni diffuse, anche se non fu mai un nemico della religione. Anzi, si può dire che Saint-Simon criticò la religione per il tradimento che i religiosi avevano attuato ai danni del cristianesimo primitivo, ma ribadì l'importanza dell'affermarsi di una morale cristiana genuina diffusa per eliminare le più grandi ingiustizie sociali.

Il suo pensiero cominciò a presentare tratti originali attorno al 1815, quando iniziò a curare l'uscita della rivista "L'industria".
Aveva come segretario e collaboratore Auguste Comte.
Saint-Simon mosse dalla constatazione che la rivoluzione francese aveva cambiato la forma dell'organizzazione politica dello stato, eliminando la monarchia, senza tuttavia cambiare il modo di produrre la ricchezza e la sua distribuzione tra i cittadini.
Egl fu critico soprattutto nei confronti del periodo napoleonico, a causa del tradimento dei valori illuministici.
Napoleone aveva sciolto d'autorità la Società degli osservatori dell'uomo, fondata da J.L. Jauffret nel 1799, una curiosa organizzazione culturale che si proponeva di studiare etnologicamente le differenze tra il modo europeo di vivere e quello delle altre altre civiltà.
Se Voltaire aveva mitizzato la perfezione morale dei cinesi e Rousseau quella del "buon selvaggio", la Società si proponeva di condurre una ricerca razionale che invece di sostenere un sistema di valori e di credenze contro le altre civiltà, in base ad una rigida serie di pregiudizi morali ed intelletuali, aprisse l'intelligenza alla comprensione delle esperienze "diverse", specie per mostrare come un certo modo di vivere non fosse affatto ineluttabile o necessario.
Si trattò per molti studiosi di una conclusione universalistica dell'esperienza illuminista che, per molti aspetti, precorreva i tempi e fondava un'antropologia culturale. Non credo che tra i membri della Società ci fosse realmente qualcuno convinto di un ritorno all'indietro, alla ricerca di paradisi terrestri. Più facile ci fosse qualche serio oppositore alla linea del nuovo regime.
Ma il modello seguito da Napoleone era di tipo autocelebrativo. L'impero non era una possibilità tra le tante, ma la conclusione di un processo storico di sviluppo della Francia e dell'Europa.
L'attacco alla libertà di ricerca si era già realizzato con la precedente chiusura della sezione di Scienze politiche e morali dell'Istituto nazionale, incaricato di raccogliere le scoperte e di perfezionare le arti e le scienze, istituito nel 1795 dal Comitato di Istruzione Pubblica su mandato della Convenzione.
Ad esso si accompagnò un attacco politico al gruppo degli "ideologi". Il termine ideologo non aveva a quel tempo il significato di "integralista" assunto attualmente. Con esso si designava un movimento filosofico caratterizzato dallo studio analitico del modo di formarsi delle idee e delle convinzioni.
Il maestro riconosciuto degli ideologi era stato Condillac, il fondatore di una psicologia basata sull'esperienza sensibile, e di una epistemologia conseguente.
E' stato scritto che questa violenza politica contro l'illuminismo costituì un ritorno della concezione di un potere che si giustifica da sè, solo in virtù della forza che lo sostiene e non in base ad argomentazioni razionali.
In realtà Napoleone aveva un argomento davvero forte: secondo lui, gli ideologi erano intellettualoidi, tracotanti ma vuoti di vera dottrina, ignoranti delle forze reali che muovono il mondo e che costituiscono il potere. Avevano sbagliato tutto nell'autocandidarsi alla direzione della Francia e dell'Europa senza disporre di un esercito, senza avere l'autorità necessaria ed un sufficiente prestigio politico.
Si tratta di argomenti vecchi come il mondo ed in essi non vi è nulla di veramente irrazionale, perchè la vera irrazionalità sta nel non comprendere la logica inesorabile dei rapporti di forza, da un lato, e dell'inarrestabile capacità di suggestione della demagogia, dall'altro.
Ciò può indurre amarezza, ma la vera storia del mondo è sempre contrassegnata da una ragione perdente nei confronti di una demogogia vincente, che poi risulterà catastrofica. Ciò non toglie che il modello napoleonico seguisse solo una logica di rapporti di forza fondata sull'artiglieria ed un'altra demagogica.
Per Napoleone la scienza vera non era quella che imponeva una razionalità astratta e metafisica, ma la tecnica in grado di produrre cannoni, cioè la sua applicazione pratica. Per questo egli potenziò l'Ecole Polytechnique e lasciò in piedi solo le sezioni letteraria e fisico-matematica dell'Istituto.
Con ciò si ebbe praticamente un oscuramento di tutti gli aspetti critici della cultura. La conservazione della sezione letteraria non aveva solo, probabilmente, un valore decorativo benchè Napoleone amasse l'arte per la sua "bellezza".
La letteratura francese era anche una prova tangibile della superiore sensibilità dei francesi.
Praticamente si ebbe un ritorno ad un modello isocratico dell'istruzione nel quale ciò che contava era l'utilità funzionale dei contenuti educativi. Dalle scuole professionali dovevano uscire individui efficienti, obbedienti e acritici, tutt'al più consumatori di prodotti artistici e culturali che confermavano la grandezza e la squisitezza della Francia, il faro della civiltà.
E' di particolare interesse notare che Napoleone accentuò, non solo per motivi pratici, la frattura tra città e campagna e la frattura tra tecnici e manovalanza, assegnando ai religiosi il compito esclusivo dell'istruzione elementare, tutta risolta in un periodo breve e tutta centrata su un'educazione di tipo moralistico.
Nei licei, nei quali non era in alcun modo possibile pensare di sfuggire al nodo di una riflessione sugli eventi storici e sociali, venne dato grande rilievo alla parte nozionistica e quindi alla trasmissione rituale del sapere con il professore unico protagonista e gli allievi in posizione passiva ed assimilatrice. Chiusi i centri di ricerca, anche la ricerca veniva di fatto scoraggiata. C'era un solo sapere ed era quello ufficiale di cui i professori avevano il monopolio.

Saint-Simon aveva, in certo senso, compreso tutto questo, ma anzichè guardare ad un impossibile ritorno all'età dei lumi, decise di cogliere le possibilità di un risveglio critico nella rivoluzione industriale.
Egli credeva nel progresso scientifico e tecnologico, anche se non nello stesso modo strumentale di Napoleone.
Per Saint-Simon la scienza insegnava a ragionare e la tecnica doveva essere una liberazione dalle fatiche del lavoro, certo non uno strumento di oppressione e sfruttamento.

Quand'egli criticava i nobili oziosi come "fuchi" e lodava borghesi ed artigiani operosi come api "operaie", non seguiva, tuttavia il modello di critica che Napoleone muoveva ai pensatori illuministi e post-illuministi, anche se in parte lo condivideva.
Saint-Simon criticava il modo di vivere "giocoso", le relazioni pericolose descritte da Duclos-Lassalle, ovvero un sistema di valori secondo il quale ai nobilastri tutto "era dovuto" ed il resto consisteva in una specie di sport nel quale si doveva attentare alla virtù delle donne degli altri, e parimenti difendere il proprio onore impedendo che altri violassero la virtù della proprio donna.
Un gioco raffinato che culminava nel duello "riparatore".
Napoleone criticava invece proprio l'intellettuale in quanto "critico", definiva "ozioso" chiunque tentasse ed attentasse alla virtù del consenso incondizionato all'imperiale autorità ed all'ideologia che sosteneva questi principi.
Non è casuale che entrambi convengano su alcuni punti importanti quali la centralità del lavoro e dell'impresa industriale.
Ma i motivi per cui sembrano concordare sono in realtà i motivi di un dissenso radicale: Saint-Simon vedeva nella rivoluzione industriale un'occasione per risolvere sia i problemi più antichi che anche quelli generati dal suo stesso corso. Napoleone la intepretava come uno strumento di dominio.
Possiamo vedere in questa promozione dei lavoratori e degli imprenditori, uniti da un incrollabile ottimismo produttivo, un pensiero ingenuo e certamente parziale, dimentico dei conflitti reali che già stavano emergendo in un quadro pieno di ombre.
Ma lo stesso Saint-Simon ebbe un profondo ripensamento di fronte alla constatazione che il proletariato non aveva avuto infine alcun miglioramento delle proprie condizioni.
Tuttavia è indubbio che il vero nocciolo della questione francese, oggettivo e non astratto, era proprio quello individuato da nostro.
Nella celebre Parabola scrisse in modo un po' pedante, ma indubbiamente efficace:«Supponiamo che la Francia perda all'improvviso i suoi cinquanta primi fisici, i suoi cinquanta primi chimici, i suoi cinquanta primi fisiologi, i suoi cinquanta primi matematici...[ e l'elenco continua includendo fabbri, marinai, coltellinai, muratori ecc] i suo cinquanta primi fonditori e altre cento persone di diversa condizione non determinata, assai abili nelle scienze, nelle belle arti, nei diversi mestieri, facendo in tutto i primi 3000 sapienti, artisti e artigiani della Francia.
Questi uomini sono i produttori più necessari alla Francia, forniscono i beni più importanti, dirigono i lavori più utili per la nazione e la rendono feconda nelle scienze, nelle belle arti e nelle arti e mestieri: sono realmente il fiore della società francese; sono i francesi più utili al loro paese, che gli arrecano la gloria maggiore; che accellerano di più la sua civilizzazione e la sua prosperità: la nazione, perduti costoro, diverrebbe un corpo senz'anima; cadrebbe immediatamente in uno stato di inferiorità nei confronti delle nazioni di cui oggi è rivale, e sarebbe sempre subalterna al loro sguardo, finchè non avesse posto riparo a questa perdita, finchè non le fosse rigermogliata una testa...
Passiamo ad un altro caso. Supponiamo che la Francia conservi tutti gli uomini di genio ch'essa possiede nelle scienze, nelle belle arti e nelle arti e mestieri, e che invece abbia la disgrazia di perdere, nello stesso giorno, Sua Altezza il fratello del re, monsignor duca d'Angouleme, monsignor il duca di Berry, il monsignor duca d'Orleans, monsignor duca di Borbone, la duchessa d'Angouleme, la duchessa di Berry...eccetera...Ma questa perdita di 30.000 individui [comprendente marescialli, prefetti, viceprefetti, arcivescovi, tutti i giudici], i più importanti dello stato, non sarebbe causa per loro di dolore se non in un senso puramente sentimentale, perchè non ne risulterebbe alcun danno politico per lo Stato.
Anzitutto per il fatto che sarebbe assai facile occupare i posti divenuti vacanti: esiste un gran numero di francesi in grado di esercitare le funzioni di fratello del re bene quanto Sua Altezza; molti sono capaci di occupare i posti di principe bene come Monsignore duca d'Angouleme...ecc » ( da H. de Saint Simon, Parabola, trad. di G.M.Bravo, pubblicato in Il pensiero socialista 1791-1848 Editori Riuniti, Roma 1977)

Come si comprende bene da queste note, Saint-Simon smaschera la presunta razionalità del reale, evidenziando quanto sia irrazionale l'idea stessa che l'uomo sia fatto per servire lo stato e l'ordine, e non, viceversa, lo stato e l'ordine per servire l'uomo.
Uno stato più razionale e positivo diventa possibile se l'analisi di ciò che serve realmente al bene comune si fonda sull'utilità sociale degli individui, sulle loro capacità, sul loro lavoro e sui loro meriti.
E' stato osservato che Saint-Simon recuperò dal filosofo della reazione Joseph De Maistre il concetto di società organica, di complesso nazionale come organismo vivente. Questo è vero, ma nel farlo egli attuò una sorta di rivoluzione copernicana: non è più il servo che ruota attorno al signore, ma il signore che deve essere utile al servo. "Se volete dominare, dovete servire" aveva detto Cristo e con questo si comprende infine anche il successivo riferimento al cristianesimo primitivo di Saint-Simon, che accusò cattolici e protestanti di aver sostanzialmente tradito lo spirito del cristianesimo.
Fin dall'inizio fu proprio il vangelo l'ispirazione fondamentale del filosofo francese.
De Maistre aveva utilizzato il concetto di società organica per rifare il monologo di Menenio Agrippa e dimostrare che una casta di nobili è indispensabile come la testa in un corpo umano. Saint-Simon aveva risposto evidenziando che in una società devono dirigere i capaci, quelli che hanno veramente cuore e cervello, e non assurde pretese di potere fondate su diritti di nascita..
In Saint-Simon, forse inconsciamente (non l'ho letto tutto, non posso citare passi illuminanti), viene anche demistificata la dialettica servo-signore che aveva inaugurato la Fenomenologia dello Spirito di Hegel, specie nella sua conclusione, la quale evidenziava che il servo, diventando indispensabile ad un signore sempre più imbelle e sempre più dipendente dai servizi del servo, finiva dunque col perdere definitivamente la sua integrità e la sua superiorità. Non che questo, intendiamoci, non sia vero almeno un po', ma la lezione della storia reale è del tutto diversa ed è proprio quella presentata da Saint-Simon che scrisse ancora:
« Queste argomentazioni provano che la società attuale rappresenta veramente il rovescio del mondo: poichè la nazione ha ammesso come principio base che i poveri dovevano essere generosi con i ricchi, e conseguentemente che i meno agiati dovevano privarsi quotidianamente di una parte del necessario per aumentare il superfluo dei grandi proprietari;
perchè i massimi colpevoli, i ladri generali, coloro che dissanguano la totalità dei cittadini e che sottraggono loro annualmente da 3 a 400 milioni, hanno l'incarico di punire i piccoli delitti contro la società;
perchè l'ignoranza, la superstizione, l'accidia e il gusto dei piaceri dispendiosi costituiscono l'appannaggio dei capi supremi della società, mentre le persone capaci, econome e laboriose non sono impiegate che come dipendenti e come strumenti;
perchè, in una parola, in tutti i tipi di attività, gli uomini incapaci hanno il compito di dirigere le persone capaci; per quanto si riferisce alla moralità, gli uomini immorali sono chiamati ad educare virtuosamente i cittadini e, in relazione alla giustizia distributiva, i grandi colpevoli sono preposti a punire le colpe dei piccoli delinquenti. » ( da H. de Saint-Simon, Parabola, trad. di G.M.Bravo, pubblicato in Il pensiero socialista 1791-1848 Editori Riuniti, Roma 1977)
In una parola: per Hegel il potere del nobilastro si basa ancora sulla forza individuale, anche se essa va scemando. Per Saint-Simon essa è già del tutto scemata; ciò che consente la perpetuazione del potere sono le convinzioni religiose, la cultura, la tradizione ed ovviamente l'ordine politico fondato sui gendarmi.

Il suo ultimo lavoro, Il nuovo Cristianesimo, cercò di presentare la soluzione attraverso un progetto di riforma morale.
"Gli uomini devono comportarsi come fratelli gli uni verso gli altri" -scrive - dimentico che proprio la storia sacra narrata nella Bibbia è una storia di fratricidi riusciti o tentati. Da Caino ai fratelli di Giuseppe, a Salomone che fa uccidere il fratello Adonia, persino la parola "fratello" viene ad essere svuotata di senso, pericolosamente sinistra. Gli stessi evangelizzatori litigarono ferocemente tra loro, come Barnaba e Paolo; lo stesso Paolo nella lettera ai Galati non disdegnò una distruttiva critica di Pietro, che quando vedeva compaesani, sedeva a tavola con loro, invece che coi convertiti dal paganesimo.
Saint-Simon finisce di credere che l'ultima risorsa sia infine quella del richiamo alla coscienza e a una ragione che comunque pone nella stessa "barca" i produttori, siano essi padroni o salariati.
Queste idee, in fondo non sono mai morte, e nel tempo hanno mostrato la loro vitalità. La concertazione tra le parti sociali che ha contrassegnato tutta una fase del nostro paese è saint-simonismo applicato, ed al di là dei giudizi di qualsiasi tipo, possiamo dire che, se non altro, ha contribuito a mantenere la pace sociale, l'ordine ed a risanare le finanze pubbliche. Cose per nulla scontate dato il clima degli anni precedenti.

Saint-Simon aspirà ad una società ordinata, equilibrata, giusta, fondata su un equa distribuzione della ricchezza prodotta dall'uomo e di quella naturale. Ciò non gli appare come un dovrebbe essere, o il risultato di semplici atti di buona volontà, ma come il prodotto possibile di un processo storico in atto, e quindi una realtà futura inevitabile. In questo fu buon profeta perchè scrisse, anticipando davvero tutti gli europeisti, della necessità di un parlamento europeo in grado di prevalere sugli interessi nazionali e particolari. « Verrà senza dubbio un tempo in cui tutti i popoli dell'Europa sentiranno che bisogna regolare i punti d'interesse generale prima di di scendere agli interessi nazionali; allora i mali cominceranno a dimunuire, i torbidi a calmarsi, le guerre a spegnersi. E' lì che noi tendiamo senza posa, è lì che il corso dello spirito umano ci trascina. Ma che cosa è più degno della prudenza umana, il trascinarvisi o il corrervi?» (da Riorganizzazione della società europea - scritto del 1814 - tratto da un'antologia del pensiero socialista, curata da Alfredo Salsano, che non so dove diavolo sia finita, forse in cantina)
Comunque sia, per quel curioso effetto di trascinamento che anche le idee valide dei nemici hanno su di noi, così come il concetto di società organica era trapassato da destra a sinistra (pur uscendone rovesciato come un calzino), così il concetto di parlamento europeo sovrannazionale trapassò da sinistra a destra, originando il Congresso di Vienna, la Santa Alleanza, ed il progetto di un equilibrio politico-diplomatico ideato da Metternich, il quale desiderava le stesse cose di Saint-Simon: società ordinata, equilibrata, pace duratura. Ma in un significato del tutto opposto a quello elaborato da Saint-Simon. Anche Metternich fu un europeista ante litteram.

Di notevole interesse, anche da un punto di vista "teologico", fu la critica che Saint-Simon rivolse al protestantesimo ed a Lutero in particolare. Egli si convinse che alla base dell'idea moderna di uguaglianza, un'idea sbagliata perchè statica, che prescindeva dalla cultura e dalla scienza di ognuno, ci fosse appunto il colpevole tentativo luterano di dare ad ognuno la possibilità di interpretare singolarmente la sacra scrittura, mettendo così fine alla mediazione ecclesiatica nel rapporto tra uomo e Dio.
Ciò, secondo Saint-Simon, era alla radice di una "falsa" idea di uguaglianza.
Ovviamente si potrebbe obiettare con molti argomenti a queste opinabili osservazioni del cattolico Saint-Simon. Primo fra tutti il fatto stesso che, secondo l'originario insegnamento di Cristo, Dio è padre, e con un padre si dialoga senza mediazioni, senza offrire sacrifici, e senza tanti giri di parole, inchini e ipocrite riverenze.
Ma, sotto sotto, non aveva tutti i torti. A sentire certi predicatori televisivi sedicenti esperti di Bibbia, si capisce che, in questi casi, una mediazione, se non ecclesiastica, quanto meno teologica, non guasterebbe.
Inoltre, è vero: non siamo tutti uguali, proprio nel senso indicato da Saint-Simon.

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gm - 13 marzo 2001 -