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Jules-Henri Poincaré (1834-1912)
Genio matematico, epistemologo convenzionalista

La fama di Poincaré non è certamente pari al suo reale contributo allo sviluppo del pensiero scientifico ed alla riflessione epistemologica. Basti pensare che, nel 1904, elencò ed esaminò le principali difficoltà della fisica, e proprio nell'occasione scrisse del "principio di relatività" "secondo il quale le leggi dei fenomeni fisici dovrebbero essere le stesse tanto per un osservatore fisso che per uno che si muove di moto traslatorio uniforme". E aggiungeva, dopo aver evidenziato che tale principio "è confermato dall'esperienza di tutti i giorni", che bisognerebbe forse costruire una nuova meccanica, della quale possiamo soltanto intravvedere i lineamenti, nella quale l'inerzia aumenterebbe con la velocità e la velocità della luce diventerebbe un limite invalicabile". Si tratta di un'anticipazione filosofica, prettamente qualitativa della teoria della relatività ristretta che Einstein enuncerà solo l'anno successivo. Non solo, sempre prima che Einstein pubblicasse il suo celebre articolo sugli "Annali di Fisica", Poincaré arrivò ad abbandonare il concetto di tempo assoluto e criticò la nozione di simultaneità di eventi in luoghi diversi.
Tutto ciò evidenzia quanto Poincaré fosse arrivato vicino alla relatività ristretta indipendentemente da Einstein e probabilmente prima di Einstein. Ma se essa storicamente appartiene ad Einstein, e sono in pochi ad averlo messo in questione (tra questi il feroce critico di Einstein, il fisico Edmund Whittaker) un motivo evidentemente c'è. Einstein costruì la teoria della relatività speciale muovendo dall'eliminazione dell'etere. Al contrario, Poincaré fu convinto fino alla morte che l'etere esistesse, e che un'onda non potesse propagarsi nello spazio in assenza del mezzo. Le onde sono possibili nel mare perché c'è l'acqua; le onde sono possibili nello spazio perché c'è l'etere. Inoltre, come Lorentz, Poincaré era convinto che l'esistenza dell'etere fosse determinante per spiegare, attraverso la compensazione di effetti di segno opposto, l'invarianza delle leggi fisiche in sistemi inerziali in moto relativo.

Basterebbe quanto osservato finora per fare di Poincaré una figura centrale nella storia del pensiero scientifico tra Ottocento e Novecento. In realtà il suo contributo si presenta oggi come ancora più rilevante. Come ha osservato Marcello Cini, «Di fronte all'accumularsi di fatti radicalmente nuovi che non trovano una collocazione nel quadro delle conoscenze acquisite e delle teorie consolidate da decenni di conferme e di successiegli resta un convinti assertore della necessità di mantenere fermi i capisaldi di una concezione unitaria e riduzionista della realtà, fondata sui due pilstri della fisica classica e dell'analisi matematica che si sorreggono vicendevolmente. Il legame fra analisi e fisica istituito quasi cent'anni prima da Fourier, fondato sulla concezione che la "verità" della matematica risiede nel suo essere il linguaggio universale che esprime i rapportiinvariabili degli enti naturali, costituisce per Poincaré un modello di riferimento sempre valido.» (1)
Poincaré fu quindi anche profondamente "conservatore" nonostante si fosse trovato praticamente alle soglie dell'esplicitazione di una teoria rivoluzionaria. Non a caso assunse un atteggiamento di estrema cautela di fronte ai lavori di Max Planck sull'ipotesi della discontinuità dell'energia emessa o assorbita dagli oscillatori di radiazione. Anche per questo la figura del nostro è apparsa a molti come contraddittoria: da un lato fedele alla tradizione, dall'altro radicalmente innovativo. Proprio a lui toccò di portare un durissmo colpo alla concezione deterministica newtoniano-laplaceana con la scoperta del fenomeno dell'instabilità dinamica di un sistema dinamico non lineare, cioè un sistema caratterizzato da equazioni del moto nelle quali le variabili compaiono elevate a una potenza maggiore di uno. Ciò implica che non più vero che la somma di due soluzioni è ancora una soluzione come nei sistemi lineari. La perdita di tale proprietà comporta una modificazione qualitativa nel comportamento delle soluzioni stesse. Scrive ancora Marcello Cini: «In questo caso infatti ci si trova di fronte, nonostante il rigoroso determinismo della legge di Newton, a un comportamento caotico, e quindi imprevedibile del sistema, provocato dall'impossibilità, non solo pratica, ma di principio, di definirne le condizioni iniziali con precisione infinita.» (2)
Il problema è affrontato nella memoria del 1889, Sul problema dei tre corpi e le equazioni della dinamica, che gli procurò il Nobel. Poincaré, per la veritànon esplicitò fino in fondo la tesi capace di far vacillare la cieca fiducia nella prevedibilità del moto di ogni corpo celeste, e si limitò a dimostrare che anche in un sistema semplice come quello organizzato tre corpi mutuamente interagenti, diventa impossibile fare previsioni esatte sul comportamento delle soluzioni delle equazioni della dinamica. Tecnicamente, Poincaré dimostrò che queste equazioni non sono completamente integrabili e che le serie utilizzate per risolverle approssimativamente sono tutte divergenti. Ciò vuol dire che al di fuori di un insieme discreto di soluzioni periodiche semplici, non esiste in generale una soluzione effettivamente calcolabile in termini finiti a partire da condizioni iniziali assegnate. A ciò si potrebbe porre rimedio se, per ottenere una soluzione approssimata, si potessero utilizzare metodi in grado di fornire approssimazioni successive caratterizzate da un errore sempre più piccolo. Ma, come si è già detto, le serie utilizzate son tutte divergenti; quindi la somma dei termini delle serie introdotta per approssimare la oluzione, a partire da un certo ordine in poi, si allontana dalla soluzione vera, anziché avvicinarsi. «Queste serie - scriveva Poincaré - non sono in grado di raggiungere un'approssimazione indefinitamente accurata. E' per questo che esse non possono servire a risolvere la questione della stabilità del sistema solare.» (3)
Rispetto a ciò, concludeva Poincaré: «Se la conoscenza delle leggi naturali permettesse di predire la situazione successiva di un dato universo, con la stessa approssimazione (con la quale conosciamo la situazione iniziale) questo è tutto ciò che chiediamo e diremmo che il fenomeno è stato predetto. Ma non sempre è così: può infatti accadere che piccole differenze nelle condizioni iniziali producano un errore enorme in quello successivo. La predizione diventa impossibile.» (4)
In proposito commenta Cini: «L'andamento qualitativo delle traiettorie del sistema, in prossimità di una traiettoria periodica semplice, analizzato con metodi nuovi da lui inventati a questo scopo, mostra una struttura di una fantastica complessità. Essa rivela infatti una transizione continua tra il moto regolare e prevedibile della traiettoria periodica di riferimento fino ad arrivare, passando per traiettorie periodiche sempre più complicate, a traiettorie irregolari e caotiche. Il moto realizza in questo modo una mescolanza di ordine e di disordine, nel senso che una traiettoria apparentemente regolare appare profondamente perturbata a una scala più dettagliata, ma continua sempre, all'interno del disordine, delle isole di ordine, che a loro volta rivelano, ad una scala ancora più fine, delle zone di disordine ove la stessa struttura si perpetua in miniatura. L'ordine ed il disordine, il regolare e l'irregolare, il prevedibile e l'imprevedibile si intrecciano indissolubilmente ma mano che si procede verso l'infinitamente piccolo.» (5)

Il convenzionalismo
La posizione epistemologica di Poincaré fu certamente determinata da questa fortissima preparazione matematica e la spiegazione che egli diede della scienza fu sicuramente influenzata dalla nascita e dallo sviluppo delle geometrie non-euclidee di Riemann (1826-1866) e Lobacevskji (1792-1836). Le ricerche di costoro avevano evidenziato che la verità e la necessità della geometria euclidea non poggiava sulla struttura a priori della mente, come suggerito da Kant. Era ormai chiaro che i matematici erano in grado di sviluppare nuove geometrie, altrettanto coerenti quanto il sistema euclideo. Poincaré non ci mise molto a concludere che gli assiomi non erano verità sintetiche a priori. Come osserva Oldroyd: «Esse non erano necessariamente vere nel senso filosofico della parola "necessario" (anche se, suggerendo che fossero creazioni umane, la posizione di Poincaré poteva essere descritta vagamente come neokantiana).» (6)
«La maggior parte dei matematici - scriveva Poincaré - considera la geometria di Lobacevskji una semplice curiosità logica; tuttavia qualcuno di loro è andato oltre. Dato che parecchie geometrie sono possibili, è certo che che quella vera sia la nostra? Senza dubbio l'esperienza ci insegna che la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due angoli retti; ma ciò è perché non operiamo che su triangoli troppo piccoli, la differenza, secondo Lobacevskji, è proporzionale alla superficie del triangolo; non potrebbe tale differenza divenire sensibile qualora operassimo su triangoli più grandi o quando le nostre misure diventassero più precise?» (7)
Poincaré pensò dunque che i postulati delle geometrie fossero convenzioni e definizioni, non suscettibili di falsificazione. Da un lato potevano rivelarsi utili per dire qualcosa di vero sul mondo; dall'altro, però, ciò non significava che le verità della geometria euclidea reggesse perché lo spazio era effettivamente euclideo. Era solo vero che ormai si potevano scegliere arbitrariamente particolari insiemi coerenti di assiomi geometrici, e l'uno ol'altro di essi poteva trovarsi in accordo con il mondo reale.
Ora, è evidente che tutto questo si poteva facilmente concedere rimanendo in un ambito strettamente matematico. Poincaré però si spinse oltre, osservando che anche la fisica presentava aspetti "convenzionali". Le leggi del moto scoperte da Newton erano state frutto, secondo lo stesso scienziato inglese di induzioni dell'esperienza. Oldroyd osserva: «E, storicamente parlando, potrebbe essere stato così, ma Poincaré non considerava come punto in discussione la verità storica o meno di questo suggerimento. A suo parere, quale che potesse essere stata la situazione in passato, certamente le tre leggi di Newton non avevano più al suo termpo lo status di generalizzazioni empiriche. Esse erano diventate vere per convenzione.» (8)
Tutto ciò vuol dire che ai tempi di Poincaré nessun fisico avrebbe accettato prove empiriche contrarie alle leggi di Newton. Trovando anomalie nel moto di qualche corpo celeste, nulla era più ovvio che ipotizzare l'esistenza di qualche pianeta invisbile, la cui massa interferiva sulla regolarità del "meccanismo". Data l'enorme quantità di informazioni derivabili dal sistema newtoniano-laplaceano, Poincarè paragonò la fisica ad una biblioteca a cui venivano aggiunte continuamente nuovi libri. In tale situazione, ciò che conta per orientarsi è il catalogo, cioè un criterio di classificazione che può essere ben fatto o malfatto, ma rispetto al quale non si può dire "vero" o "falso" se non per motivi del tutto eccezionali, quali l'occultamento di alcuni titoli per problemi di censura.
A motivo di tale analogia la concezione convenzionalista della scienza è stata spesso presentata come un modo di pensare nel quale le teorie svolgono una semplice funzione di ausilio alla classificazione dei fenomeni, ma non svolgono alcuna funzione esplicativa, quindi non pretendono di spiegare stati di cose nel mondo reale. Ma se fosse così, diventerebbe impossibile, "falso" storicamente, riportare Poincaré al convenzionalismo, un abito troppo stretto per una mente così larga e complessa..
Se fosse vera questa interpretazione, ci sarebbe un solo convenzionalista doc, il filosofo-matematico, cattolico modernista, Edouard Le Roy (1870-1950), il quale sostenne che la scienza era fatta per intero di convenzioni, e che Poincaré criticò, scrivendo tra l'altro: «La scienza non è fatta che di convenzioni, ed è solo a tale circostanza che deve la sua apparente certezza; i fatti scientifici e a fortiori, le leggi sono l'opera artificiale dello scienziato; la scienza non può dunque farci apprendere nulla della verità: può servire soltanto regola d'azione.» (9) Poincaré ripudiò questa concezione estremistica di Le Roy, che chiamò infelicemente "nominalismo", ma mantenne una posizione a sua volta convenzionalista, avendo ben chiaro che quando si genera un principio assiomatico su cui si costruisce un edificio deduttivo, tale principio non può essere falsificato a priori. «In un tale situazione - scrive Oldroyd - il principio di alto livello (ossia la legge della proporzionalità inversa al quadrato della distanza) non avrebbe più potuto essere considerato "vero" o "falso". Esso sarebbe stato semplicemente comodo, semplice ed economico, oppure l'inverso. Nella storia delle scienze, quindi, non si rinunciava mai a principi di alto livello in conseguenza di contrasti con i risultati sperimentali, ma solo perché si erano trovati altri principi più utili o più comodi.» (10)

L'origine delle teorie fisiche e quella delle "convenzioni"
Per Poincaré una teoria fisica non è un mito che fonda delle fedi, tuttavia, anticipando in molto le idee di Einstein, asserì che la teoria "è una libera creazione, il rislutato di un'intuizione poetica". Le prime rozze ipotesi della fisica erano risposte alle domande dell'uomo, alle sfide dell'ambiente ostile, in cui l'uomo lotta per sopravvivere. Attorno ad esse si forma un accordo intersoggettivo, come accadde quando si riconobbe il principio d'inerzia. Esso "non è una verità a priori, e non è nemmeno un fatto sperimentale". Come sarebbe possibile sperimentare su dei corpi sottratti all'azione di ogni forza? E ancor prima: come sarebbe stato possibile "sapere che questi corpi non erano sottoposti ad alcuna forza?" «Normalmente si cita l'esempio di una biglia che rotola per un tempo molto lungo su una tavola di marmo; ma perché diciamo che non è sottoposta a nessuna forza? E' perché è troppo lontana da tutti gli altri corpi per cui essi non possono esercitare qualche azione sensibile? Tuttavia, essa non è lontana dalla Terra più di quanto lo sarebbe se fosse lanciata liberamente nell'aria, e ognuno sa che in questo caso subirebbe l'influenza della gravità dovuta all'attrazione della Terra.
I professori di meccanica hanno l'abitudine di passare rapidamente all'esempio della biglia, ma aggiungono che il principio d'inerzia è verificato direttamente dalle sue conseguenze. Si esprimono male; evidentemente vogliono dire che si possono verificare diverse conseguenze di un principio più generale, di cui quello d'inerzia non è che un caso particolare.
Proporrei per questo principio generale il seguente enunciato: l'accelerazione di un corpo non dipende che dalla sua posizione, da quella dei corpi vicini, nonché dalla loro velocità. » (11)

Per Poincaré, in sostanza, sarebbe possibile concepire una fisica alternativa a quella fondata sul principio galileano, ma sarebbe "scomodo" concepirla in pratica. Un analogo ragionamento potrebbe essere svolto rispetto al principio di conservazione dell'energia. I fisici sanno che l'enunciato "la somma dell'energia potenziale e dell'energia cinetica è costante" vale solo in modo approssimativo. Naturalmente, i fisici dell'Ottocento avevano ragionato sulla conversione dell'energia in calore e corretto la formulazione originaria del principio con un nuovo termine. Poincaré afferma che questo è "un procedimento che può non aver fine". Troncarlo dicendo che il principio si limita a enunciare che [in natura] "vi è qualcosa che rimane costante" significa formulare poco più che una tautologia.E' quindi sempre possibile mettere un enunciato come quello della conservazione dell'energia al riparo della smentita dell'esperienza, anche se in origine aveva un carattere sperimentale. Per questo si può arrivare a dire che "i principi della meccanica sono di natura ambigua": «... verificati in maniera approssimata in casi particolari possono venire tramutati in convenzioni» (12), diventando così "definizioni camuffate". Tuttavia, Poincaré afferma che le convenzioni non sono arbitrarie, sono solo comode. Non va dimenticato, inoltre, che un principio come quello della conservazione dell'energia, ha un ruolo influente nello sviluppo della scienza. Ciò "significa che le differenti cose a cui diamo il nome di energia sono legate da una parentela vera; [con ciò] si afferma un rapporto reale fra di loro." Quindi «... se questo principio ha un senso, può essere falso; può succedere che non si abbia il diritto di estenderne l'applicazione e tuttavia si può essere sicuri in anticipo che può essere verificato nella stretta accezione del termine; come dunque sapremo quando avrà raggiunto tutta l'estensione che gli si può dare legittimamente? Semplicemente quando smetterà di essere utile, cioè di farci prevedere fenomeni nuovi senza ingannarci. In un simile caso saremmo sicuri che il rapporto affermato non è più reale; perché altrimenti sarebbe fecondo; l'esperienza, senza contraddire direttamente una nuova estensione del principio, l'avrà tuttavia condannata. » (13)


note:
(1) Marcello Cini - Un paradiso perduto - Feltrinelli 1994
(2) idem
(3) citato in Marcello Cini - Un paradiso perduto - Feltrinelli 1994
(4) idem
(5) idem
(6) David Oldroyd - Storia della filosofia della scienza - Il Saggiatore 1989, ora anche come NET nuove edizioni tascabili 2002
(7) J-H Poincaré - Scienze e metodo in J-H. Poincaré - Opere epistemologiche - vol. I - Piovan 1989
(8) Oldroyd, cit.
(9) idem
(10) idem
(11) H. Poincaré - Scienza e metodo - Opere epistemologiche - Piovan 1989
(12) idem
(13) idem


moses - 3 luglio 2005
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