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Platone: la dialettica
di Renzo Grassano


1° I 4 gradi della conoscenza
2° Il mito della caverna
3° Oggetti che invitano a riflettere
4° La dialettica come confutazione
5° La dialettica come unificazione e divisione

I quattro gradi della conoscenza
Anche la concezione della dialettica in Platone ha una storia e non si presenta già compiuta fin dall'inizio.
Si potrebbe anche sostenere che non esiste una teoria completa della dialettica; in realtà, sarebbe molto più esatto affermare che essa è presentata per approssimazioni successive, come una conquista graduale.
Non possiamo escludere che nei corsi interni all'Accademia essa abbia ricevuto una vera e propria sistemazione, come coronamento delle famose dottrine esoteriche non scritte.
Ma chi potrebbe affermarlo con certezza?

Le nostre considerazioni possono poggiare solo su quanto si trova scritto, e ricevere qualche conferma solo da quello che hanno scritto contemporanei o discepoli di Platone, come lo stesso Aristotele.

La teoria della dialettica di Platone muove dal problema della conoscenza, ed in particolare dalla radicale differenza tra vera scienza, opinione ed ignoranza.
Si è già visto che l'opinione è qualcosa di fondato solo sulla conoscenza sensibile, mentre la scienza si fonda sulle idee. L'ignoranza, da parte sua, ha un quadruplice significato: la condizione di chi crede di sapere e non sa, la condizione di chi non sa e non gliene frega niente di sapere, la condizione di chi sa di non sapere, ovvero il luogo di partenza preferito da Socrate. Ma esisteva, ed esiste, credo, una quarta condizione più sfumata ma, sostanzialmente scettica, quella di chi vorrebbe sapere e non può, perchè intrappolato in una serie di limitazioni logiche e metodologiche. Di questa quarta corrente si possono già vedere i segni nella filosofia di Antistene, uno dei discepoli di Socrate.

Nel VI Libro della Repubblica la distinzione tra scienza ed opinione viene ulteriormente approfondita: sia nel campo dell'opinione che in quello della scienza esistono due gradi successivi di conoscenza. Tutta la conoscenza è simile ad un segmento diviso in quattro parti: i primi due rappresentano la conoscenza sensibile, gli altri due quella razionale.
Il primo grado della conoscenza sensibile è la conoscenza delle immagini della realtà, o eikasia, da eikòn (immagine); il secondo è la conoscenza delle realtà sensibili vere e proprie, pistis, che potremmo tradurre con "credenza" se non fosse che rischia di essere fuorviante, giacchè se vediamo le cose nella loro concretezza non si tratta di credere, a meno che studiatamente non si metta tutto in dubbio alla maniera che sarà di Cartesio, credendo, appunto, di essere in balia di un sogno o di incubo fabbricato da un dio ingannatore e malvagio.
Il primo grado della conoscenza razionale è la conoscenza delle immagini delle idee, in particolare degli oggetti della matematica e della geometria, che Platone chiama dianoia, cioè ragione, in quanto dipende, come nella geometria, dalla conoscenza di postulati e teoremi che consentono di passare da premesse accettate, attraverso vari passaggi, ad una dimostrazione logica e necessaria.
Il quarto grado della conoscenza, il più alto, è chiamato da Platone noesis, da nous (intelletto), quindi intellezione. Solo a questo grado si è in grado di cogliere quei principi supremi, quindi la verità, che non dipende da altro, nemmeno da premesse e postulati.

2°Il mito della caverna
Ancora nella Repubblica, nel VII Libro, Platone racconta un mito adatto ad illustrare la sua dottrina.
Immagina un uomo legato in fondo ad una caverna che da sempre non vede che le ombre di statue proiettate su una parete dalla luce delle torce. Il prigioniero scambia queste ombre per l'unica realtà. Questa fase corrisponde al primo grado della conoscenza sensibile, quella detta dell'immaginazione. Quando poi il prigioniero riuscisse a liberarsi, vedrebbe le statuette reali e non solo le loro ombre. Questa fase corrisponde al secondo grado della conoscenza sensibile, quello appunto della credenza nell'esperienza sensibile.
Una volta uscito dalla caverna, l'uomo vedrà le immagini delle piante e degli animali riflessi negli specchi d'acqua, e questo corrisponderebbe alla conoscenza razionale, dunque al terzo gradino della conoscenza, ovvero il primo gradino del cammino verso l'intellegibile..
Ma, solo alzando lo sguardo sull'intera realtà, al sole che illumina ogni cosa, il prigioniero avrebbe finalmente l'intera intellezione, la noesi della realtà esistente, percezione intuitiva ed immediata, che non ha bisogno di premesse e ragionamenti concatenati l'uno all'altro per essere compresa. E' un bagno nella luce, un'illuminazione istantanea.

A quel punto il prigioniero sentirà il bisogno di tornare nella caverna per liberare i suoi compagni di prigionia, ma si muoverà a tentoni, incepiscando; nel mondo delle ombre non sarà più a suo agio come un tempo ed i suoi compagni rideranno di lui. In questa conclusione sta tutto il problema esistenziale del vero filosofo e del suo rapporto con il quotidiano. Molti possono considerarlo, se non come un pazzo, certo come un pretenzioso stravagante.
«... farebbe egli ridere e non si direbbe di lui - scrisse Platone - che per essere salito lassù fosse tornato con gli occhi offesi, e che non valesse la pena neanche di tentare di salire lassù?
E chi si provasse a sciogliere quegli uomini e a condurli in alto, se mai potessero averlo nelle mani, non pensi che lo ucciderebbero senz'altro?»

Oggetti che invitano a riflettere
Sempre nel VII Libro della Repubblica, poco oltre, il passaggio citato, Platone mette in bocca a Socrate una riflessione di singolare profondità. Muovendo da una considerazione sull'arte del comando militare, egli chiede se non sia indispensabile che un generale conosca la disciplina dei numeri e l'arte del calcolo. Ricevutane conferma, Socrate ne trae la seguente conseguenza: la matematica rischia di essere una delle arti che cerchiamo, atta per sua natura a guidarci verso l'intelligenza delle cose e delle situazioni, addirittura adatta "da attirarci verso l'essere."
«Voglio dire - disse Socrate - ... che degli oggetti sensibili taluni non invitano per nulla l'intelligenza ad un esame più profondo, come quelli la cui sensazione è sufficiente a permetterci di giudicarne; laddove altri esigono ad ogni costo un esame da parte dell'intelligenza, giacchè la sensazione non può giudicarne sanamente. - E più avanti, di fronte ad un interlocutore recalcitrante a comprendere, Socrate precisa - Gli oggetti che non invitano a riflettere sono quelli che non destano al tempo stesso due impressioni opposte; quanti invece destano questa doppia impressione io li pongo tra quelli che invitano a riflettere; poichè l'impressione che proviamo, da vicino o da lontano che sia, non ci permette di veder chiaro se si tratta di un oggetto determinato piuttosto che del suo contrario. Ed intenderai meglio quel che voglio dire dall'esempio che segue. Ecco tre dita: il mignolo, l'anulare, il medio... Supponi che io te ne parli come se li vedessi da vicino.»

La vista di un dito, dice Socrate, non procura mai la sensazione "che un dito sia il contrario di un dito". Al contrario, quando l'anima, che sarebbe il caso di tradurre finalmente con "io psichico", si interroga sul duro e sul molle, anche a proposito di un dito, essa si trova a valutare che un certo senso desta la sensazione del duro, ed un altro quello del molle. "E così nell'impressione del leggero e del pesante che cosa sia leggero e pesante e cosa sia pesante se il senso le significa talvolta che il pesante come leggero e il leggero come pesante?"
Ecco, dunque, che intendeva dire Socrate, quando parlava di oggetti che invitano a riflettere.
La stessa cosa, in situazioni diverse, suscita reazioni diverse che portano a giudizi diversi.
Ma, se noi associamo le due impressioni, le confrontiamo, le soppesiamo, le poniamo nel giusto quadro, abbiamo di fatto mosso il primo passo verso il procedimento dialettico, il quale comincia esattamente da quella che sembra una contraddizione: una cosa può essere molle o dura (risparmiaci commenti salaci o piccanti!) a seconda delle situazioni, ma è pur sempre la stessa cosa.
"Sicchè - prosegue Socrate - è naturale che in questi casi l'anima, chiamando in soccorso l'intelligenza e la riflessione, cerchi di rendersi conto se ciascuna di queste testimonianze si riferisca ad una od a due cose distinte.
.... E quando le appaiono due, ciascuna le parrà una sola e distinta dall'altra?" - Certamente, risponde quello - "Se quindi ciascuna è una ed entrambe sono due, l'anima concepirà le due separatamente; poichè cose indistinguibili non le avrebbe concepite come due, ma come una sola."

Da questa opposizione nasce per Socrate (ovvero per Platone) l'esigenza di avere ben chiaro che cosa siano il duro ed il molle, il grande ed il piccolo. Ovviamente, innescata questa curiosità nell'interlocutore, il dialogo prosegue proponendo altri passaggi di grandissimo interesse, specie in ordine alla riflessione sulla matematica avviata, ma qui, preme mettere a fuoco le caratteristiche fondamentali del procedimento dialettico.
Questo non consiste, come nei sistemi idealisti dell'ottocento in un trapasso delle cose nel loro opposto, dall'essere al nulla e dal nulla all'essere, oppure, come nel marxismo, e soprattutto in Engels, in una dialettica della natura, ed in una negazione della negazione delle cose per cui il frutto è la negazione del fiore ed il fiore la negazione del bocciolo, ma in qualcosa di soggettivo applicato alla realtà, oppure proprio a partire dal dialogo, da una ricerca intersoggettiva.

La dialettica come confutazione
Il metodo dialettico fu proprio di Socrate. Si distingue dal metodo deduttivo della geometria perchè, anzichè basarsi su affermazioni basilari quali sono i postulati, per ricavarne teoremi e dimostrazioni, si fonda sul carattere ipotetico delle premesse del ragionamento filosofico, e non le usa per ricavarne conseguenze logiche, ma per salire, gradino per gradino, fino alla conoscenza ed alla formulazione del principio anipotetico, ovvero di un principio di verità assoluta ed incondizionata.
Per Platone questo metodo, proprio della ricerca filosofica, è vera scienza, ovvero un sapere incontrovertibile.
Il Menone è il primo dialogo platonico nel quale viene presentata la radicale differenza tra la dialettica e la retorica sofistica e quella che si dovrebbe intendere come vera dialettica.
Qui, il confronto con il modo di discutere e confutare praticato dai sofisti è denunciato come perenne tentativo di ricorrere a tutti i mezzi e tutti gli inganni. Ad esso si contrappone il dialogo tra amici, dove ciascuno difende certamente la propria tesi, ma senza ricorrere ad imbrogli e menzogne.
La sincerità è alla base della dialettica e di quella che potremmo chiamare la ricerca in comune.
Vi è un'arte di confutare che non muove dall'intento di distruggere la tesi dell'amico, o dell'avversario, ma che si pone il problema di raggiungere semplicemente, per quanto possibile, la verità su ogni argomento.

La dialettica si serve di ipotesi e da esse deduce le conseguenze, per arrivare ad una valutazione in grado di stabilire se le ipotesi stesse siano vere o false.
Tuttavia, è nel Fedone, altro dialogo platonico di importanza fondamentale, che l'esposizione del procedimento dialettico viene perfezionata.
Se, ad esempio, cerchiamo la causa di una determinata realtà, in base alle informazioni di cui disponiamo, possiamo cominciare a formulare delle ipotesi. Arriveremo a delle conclusioni provvisorie. Se queste conclusioni sono in contraddizione tra loro, dovremo concludere che le ipotesi sono false ed insostenibili.
Se, al contrario, non troveremo contraddizioni, l'ipotesi potrebbe essere sostenuta.
Ma, dovremmo comunque ancora avere la garanzia che sia anche vera.
Per questo, sentiremo il bisogno di "rendere ragione" dell'ipotesi, cioè verificare se essa sia riconducibile ad un'ipotesi più generale, ad una verità già accertata.
Nel Fedone ciò non è approfondito. Dobbiamo avanzare fino alla Repubblica, ancora al Libro VII per trovare l'affermazione che il metodo dialettico deve "distruggere" le ipotesi, cioè confutarle radicalmente. Non è possibile giungere al principio anipotetico, cioè a quel principio che non dipende da altro, se non passando attraverso tutte le confutazioni, come in battaglia, e sforzandoci di confutare non secondo opinione, ma secondo realtà.

Ritroviamo la traccia di questo procedimento nella seconda parte del dialogo intitolato Parmenide.
Un vero tour de force mentale, secondo alcuni un esercizio vuoto e fine a sé stesso.
L'idea che mi sono fatto coincide con quella di molti manuali di filosofia ad uso dei licei.
L'esempio offerto da Parmenide è quello di una coppia di otto ipotesi concernenti l'Uno che si rivelano contraddittorie. Il fine non è quello di costringere il lettore ad una sorta di ginnastica mentale, ma quella di evidenziare un metodo, certamente scomodo ed impegnativo, che si fonda sull'esigenza di non limitarsi a verificare se l'ipotesi presa in esame per prima sia sostenibile, ma per verificare se anche l'ipotesi opposta alla prima abbia in sé una coerenza e non porti a conclusioni assurde.
Secondo Platone, non basta che l'ipotesi primaria risulti confermata, occorre che l'ipotesi opposta sia demolita.

5° La dialettica come unificazione e divisione: l'arte di pescare con la lenza
Nel dialogo Fedro, Platone aveva già precisato che la dialettica è il metodo per ricondurre il molteplice all'unità e l'uno nel molteplice.

Ma, è nel dialogo il Sofista che la definizione della dialettica come capacità di saper dividere per generi, scoprendo così cosa accomuna determinate idee, stabilendo cosa c'è di identico o di diverso in ciascuna.
La dialettica diviene così una scienza universale, cioè applicabile a diverse scienze e non ad una sola, anche se è nella specifica attività filosofica che essa trova la sua sede primaria.
L'esempio che viene addotto non ha nulla di straordinario, anzi è del tutto banale, ma in quanto a capacità speculativa pare ancor oggi un punto fermo del pensiero antico: l'arte di pescare con la lenza.
Egli comincia col distinguere tra arti produttive ed arti acquisitive: pescare con la lenza è acquisitiva.
Poi distingue tra acquisizioni basate su un contratto (diremmo negozio) e altre basate sulla forza (diremmo con il furto o con la conquista): la pesca con la lenza è basata sulla forza. Successivamente Platone distingue ancora tra arti palesi ed occulte: la pesca con la lenza è basata sulla forza ed è occulta. Poi divide ancora le arti occulte basate sulla forza in acquisitive di esseri viventi ed acquisitive di esseri non viventi, stabilendo che l'arte della pesca con la lenza è acquisitiva di esseri viventi.

L'intero procedimento evidenzia come sia possibile, attraverso dicotomie, cioè divisione per due di ogni genere di attività trovare un particolare carattere che non è comune alla definizione generale.
Il procedimento per divisione porta dunque a scoprire non tanto l'identico, che è già presente nella definizione generale, quanto il diverso.

Nel successivo dialogo il Politico, Platone adotta un analogo procedimento per scoprire i caratteri distintivi della scienza politica. Le scienze vengono divise inizialmente in conoscitive e pratiche. La scienza politica viene riconosciuta come conoscitiva. Successivamente le scienze conoscitive sono divise in scienze che comandano e scienze che non comandano: la politica è una scienza che comanda, e così via.

Il merito fondamentale di Platone, in questo campo, al di là del fatto che una divisione per due potrebbe sembrare semplicistica, è quello di aver mostrato come ogni attività umana particolare, sia essa arte o scienza, il saper fare tanto quanto il saper pensare, è caratterizzata da analogie che evidenziano cosa c'è di identico in ognuna di esse, al punto che non è arbitrario trovare un carattere comune a discipline quali la medicina, la chirurgia, la biologia, e muovendo dall'identico portano alla scoperta di cosa c'è di diverso.

Nel dialogo il Filebo, Platone concluderà questo lungo viaggio nella dialettica con una teoria sul carattere numerico che possiedono le idee, evidenziando che ciascuna di esse ne comprende un certo numero di altre.
In questa sede evidenzierà come sia possibile dividere non solo per due, ma anche per altri numeri, venendo così a definire l'arte dialettica, o se si preferisce, la scienza dialettica come la disciplina del saper individuare identità e diversità.

Bibliografia:
Platone - Opere - Laterza 1971

Renzo Grassano - 23 novembre 2002 -