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Ugo Bonanate - La cultura del male. Dall'idea di colpa all'etica del limite.
Torino, Bollati Boringhieri, 2003, pp. 118, Euro 12,00
di Renzo Grassano

Un libro interessante, anche se non di facilissima lettura.
Imputato principale il cristianesimo nella sua versione dominanante, probabilmente più protestante che cattolica, protestante anche quando cattolica.
Seguono le antropologie negative, anche quelle di derivazione laica.
L'autore evidenzia una differenza tra l'insegnamento di Gesù, il Gesù più storico dei Vangeli sinottici, quelli di Marco, Matteo e Luca, e la teologia paolina.
Nei Vangeli, secondo l'autore, il peccato è un fatto singolare, un'infrazione alla legge di Dio razionalmente riconoscibile. Non siamo mai di fronte ad una sorta di maledizione dell'uomo peccatore a partire dal peccato originale, che tra l'altro non viene mai nominato.
Gesù non ha mai detto di sé: sono venuto a salvarvi dalle conseguenze del peccato di Adamo ed Eva. Anche perchè avevate una legge che già vi salvava.
Come denunciato dai profeti, vi siete dannati da soli pur sapendo qual'era il male.
Per la verità, i Vangeli dicono anche, riportando la profezia, che il popolo sarebbe stato "reso cieco e sordo" in modo da non capire la predicazione del Messia. Inseriscono perciò un elemento di predestinazione ed una negazione del libero aribitrio, anche se non forte ed estremistica come in San Paolo. Questi, infatti, ebbe un atteggiamento ben diverso. Lo rilevava Federico Vercellone su Tuttolibri di sabato 31 gennaio. L'apostolato di Paolo "fu rivolto essenzialmente all'edificazione della Chiesa in quanto stabile istituzione terrena che doveva quindi garantirsi un orizzonte di guida e di comando in questo mondo." Perché? Doveva esser chiaro che la Chiesa era il solo veicolo di salvezza degli uomini, altrimenti destinati al naufragio. Sine Ecclesia nulla salus.
La premessa della dottrina paolina era: il male derivante dall'origine continua ad infuriare nel mondo. Cristo è il nostro salvatore. Ma solo la Chiesa ti può portare a Cristo, a vivere in Cristo. La Chiesa è " il corpo di Cristo", secondo la ben nota formulazione paolina, e noi cristiani siamo le sue membra.
Sulla scia di Paolo, che fu comunque il vincitore storico della disputa tra le varie correnti cristiane, si innestarono Tertulliano e Sant'Agostino ed altri padri della Chiesa in molte varianti differenti.

«Diviene centrale, allora, - scrive Giovanni Damele - il tema della caduta originaria, e sarà Agostino ad introdurre nel vocabolario cristiano l'espressione, destinata ad avere grande fortuna, "peccato originale". Con Agostino, il senso del peccato e l'idea della colpa passeranno a caratterizzare fortemente anche il pensiero protestante, soprattutto attraverso la speculazione e la predicazione di Calvino (e Bonanate ricorda soprattutto, tra i contemporanei, il pensiero teologico di Karl Barth), e quello giansenista. Tuttavia, all'interno del cristianesimo, accanto ad una posizione più rigidamente legata all'antropologia paolina e agostiniana, andrà facendosi strada una posizione fautrice di un'etica meno aristocratica, di una antropologia più positiva capace di liberare l'uomo dal destino di una debolezza senza speranza. È la posizione destinata a diventare nota come "pelagiana", dal nome del monaco Pelagio, condannato nel 418 dal Concilio di Cartagine che ribadì l'impossibilità per gli uomini di adempiere, con il solo concorso della volontà e senza l'intervento della grazia divina, ai comandi di Dio. Nonostante la condanna, tale posizione influenzerà fortemente la teologia cristiana dei secoli futuri, e in particolare quella cattolica, tanto da divenire motivo di scontro con la Riforma protestante, che accusò la Chiesa cattolica di "semi-pelagianesimo".» (1)

Venendo a tempi più recenti, Bonanate esce dall'ambito teologico ed accosta due pensatori di decisiva importanza: Nietzsche e Freud.

Per il primo la religione è strumento di controllo ": il cristianesimo, attraverso la sua morale, mira a soggiogare l'uomo al suo errore originale, configurandosi come "religione del peccato".
«Il nocciolo di questa morale, fondata sul concetto di ""peccato originale", è, ironizza Nietzsche, che "l'uomo non deve pensare" (cit. p. 63). Nietzsche stigmatizza insomma il cristianesimo caratterizzandolo come quella religione che "schiacciò e frantumò l'uomo completamente", insegnando "la completa indegnità, corruzione e spregevolezza dell'uomo in genere" e facendo dell'uomo "una specie rimpicciolita, quasi ridicola, un animale da gregge, qualcosa di condiscendente, di malaticcio e di mediocre, l'europeo di oggi" » (1)
Con Freud siamo alle note posizioni di Totem e Tabu. La religione è la prosecuzione del mito con altri mezzi. In essa rivivono le proibizioni nate dalla colpa originaria, l'uccisione del padre dispotico attuata dall'orda ed il conseguente incesto. Il disagio sociale ed esistenziale, "nevrotico" dell'individuo moderno non è spiegabile se non con la rottura del velo religioso che nasconde la vera colpa originaria.
Freud e Nietzsche «sembrano aver dato diritto di cittadinanza, nella cultura contemporanea laica, a questioni che apparivano confinate nelle aule delle facoltà di teologia e dei seminari vescovili.» (2)
Pur muovendo da intenzioni completamente diverse, Freud e Nietzsche avrebbero così contribuito a promuovere «una mentalità comune impregnata della nozione di colpa originaria, con le conseguenze nichilistiche di un'accettazione degli aspetti della religione che più umiliano l'autonomia dell'uomo.» (2)
Appartengono di diritto a questo fronte del negativo, pensatori come Sergio Quinzio e l'ultimo Pareyson. Essi, di fatto, vengono a convergere con la pretesa della Chiesa di essere ancora l'unica e l'ultima ancora di salvezza rispetto al naufragio dell'individuo. Da qui nasce una cultura della resa, la quale, «rinunciando a ingaggiare una battaglia contro un mondo che sa descrivere soltanto in termini negativi, lo subisce.» (2)

L'alternativa?
Una morale laica, un ritorno all'esistenzialismo positivo di Nicola Abbagnano, probabilmente un ritorno a Kant, a partire dal bisogno di uscire da uno stato di minorità praticamente pre-illuministico.

« Si tratta - scrive Giovanni Damele - insomma di "escogitare sistemi per riparare una situazione compromessa" (p. 99), ricostruendo l'idea di una morale le cui mete non si spingano mai al di fuori della portata dell'uomo, e che faccia proprio il motto di Pindaro "diventa quello che sei" (cit. p. 100). Ciò significa naturalmente, e anzitutto, abbandonare la prospettiva della teologia della storia, sostituendola "con una integralmente umanistica, estranea agli scenari metastorici che caratterizzano le teorie che parlano della storia come di una vicenda nella quale risuona una voce ultraterrena" (p. 109). Una prospettiva siffatta comporterebbe allora "la creazione continua di nuovi orizzonti", poiché alla luce di essa "il mondo non si impone maestoso, con strutture da rispettare e venerare, ma appare come una realtà nella quale vivere, coabitare, organizzarsi" (p. 109), nella convinzione che "svolte improvvise hanno un ruolo determinante" e che la storia dell'uomo si presenta come un "susseguirsi di processi che non perseguono nessun fine" (p. 110).» (1)

Ma alla semplice rivalutazione del pensiero laico, alla forse semplicistica idea, molte volte illusoria, che esso sia da solo in grado di illuminare gli individui, che di fatto si ritrovano riabbandonati a sé stessi, si potrebbe opporre un dato che Bonanate ha certamente trascurato. Lo ricordava il già nominato Federico Vercellone nella sua recensione su Tuttolibri (3). Ci si può chiedere se l'antropologia cristiana stia tutta in quella paolino-agostiniana. «L'uomo infatti cristianamente non è solo creatura caduta, ma imago dei. E l'uno e l'altro aspetto vanno paradossalmente insieme e forse anche insieme andrebbero interrogati. » (3)
Mi verrebbe da dire: è quanto stiamo facendo su Moses da tempo. Usare la ragione, ma cercare di non perdere, se non la fede, almeno la speranza. Se lo dice la stessa Bibbia: "l'uomo fu fatto da Dio a sua immagine", resta molto da capire in cosa gli somiglia ed in cosa no.


Note:
L'autore: Ugo Bonanate insegna Filosofia morale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Torino
Bollati Boringhieri ha pubblicato: Nascita di una religione. Le origini del cristianesimo (1994), Bibbia e Corano. I testi sacri confrontati (1995) e Il Dio degli altri. Il difficile universalismo di Bibbia e Corano (1997). Recentemente ha curato, in collaborazione con Maurizio Valsania, Le ragioni dei filosofi (Carocci, 2002).

(1) Giovanni Damele - http://lgxserver.uniba.it/lei/recensioni/crono/2004-02/bonante.htm
(2) Ugo Bonanate - La cultura del male. Dall'idea di colpa all'etica del limite - Bollati Boringhieri, 2003
(3) Federico Vercellone - Siamo peccatori irredimibili o possiamo salvarci? - TTL/La Stampa, 31 gennaio 2004