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Kant pre-critico

2 - dimostrare Dio

di Carlo Fracasso


Leggevo sulla Repubblica del 12 febbraio 2004 un interessante articolo di Franco Volpi. Mi è venuto di annotare una frase: «Alcuni hanno ipotizzato che ad un certo punto nella vita di Kant ci sia stata una vera e propria svolta. Una crisi che ne trasformò profondamente il carattere e le abitudini, e lo convertì in quel pensatore determinato e rigoroso - animato da un "odio gnostico per la materia" e "un amore mistico per la forma" - che nel giro di un decennio - 1781 (Critica della ragion pura) e il 1790 (Critica del Giudizio), scrisse le sue opere capitali. Heine fa notare che ciò si riflette in modo visibile nel suo stile di scrittura.
I testi giovanili, come le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, un vero e proprio successo editoriale, sono pieni di brio e leggerezza, e lo avvicinano alla saggistica francese. Invece la Critica della Ragion Pura...» (1)
Ebbene sì, quel mattone scritto in stile arido e pedante. Epperò fondamentale. Purtroppo, non tutte le cose importanti son anche belle e piacevoli. Lo studio è anche fatica ed applicazione.
Ma Volpi ha ragione: c'era un altro Kant prima di Kant. E qui evidenzio un dato: non si è mai mosso da Königsberg il nostro, eppure non si contano gli aneddoti sulla sua straordinaria capacità salgariana di descrivere luoghi mai visti. Volpi parla delle Maldive. Jachmann riferiva che: "Un giorno, per esempio, descrisse alla presenza di un Londinese il ponte di Westminster nella sua forma e disposizione, in lunghezza, larghezza e altezza nonché nella misura di ogni singola parte con tanta precisione che l'Inglese gli domandò quanti anni egli fosse vissuto a Londra e si fosse specificamente dedito all'architettura. Al che gli fu assicurato che Kant non aveva mai varcato i confini della Prussia né era un architetto di professione."
E ci sono altre storie. Jachmann racconta ancora che Kant aveva parlato con Brydane dell'Italia con altrettanta precisione di dettagli.
Ernst Cassirer commenta: «Punto per punto, elemento per elemento, eccolo dunque costruirsi , con questa disposizione intellettuale, la totalità del cosmo visibile; la forza interiore del rappresentare e del pensiero espande la scarso materiale dei dati immediati fino ad un quadro del mondo che unisce in sé ricchezza (di fatti) e coerenza sistematica.
Nell'epoca in cui ci troviamo, al contrario di quanto si pensa comunemente di Kant, la forza della sintesi supera di gran lunga quella analitica e critica. Nella mente di Kant questa tendenza al tutto è così potente che la fantasia costruttiva precede e anticipa quasi completamente il controllo paziente dei dati particolari. » (2)

Ora la domanda: a quando potremmo collocare la svolta seriosa nella vita di Kant?
Premesso che a mio avviso l'idea di un Kant svagato, per quanto accanito giocatore di biliardo e di carte, nonchè allegro e conviviale frequentatore di locande slow food, farebbe a pugni con la dura lotta per l'esistenza quotidiana che dovette condurre da povero, una prima risposta la potremmo dare.
Attorno al 1762, quando cioè aveva poco meno di quarantanni, Kant lesse Hume e Rousseau, confessando poi di essersi svegliato, grazie a quelle letture da un lungo sonno dogmatico, ovvero dalla sua adesione acritica alla metafisica wolffiana. Detto, per inciso, che questo Christian Wolff era comunque stato un fior di illuminista e razionalista, la "reazione" kantiana alla lettura di Hume e Rousseau fu comunque profonda e produsse quella crisi di cui si è detto.

Quando Kant scrive il Tentativo di introdurre in filosofia il concetto delle grandezze negative, egli dice espressamente che il metodo matematico introdotto da Wolff in metafisica, secondo il quale si parte da principi e si tenta di dedurre da essi tutta la verità, approda ad oscure astrazioni, non controllabili. Secondo Kant, occorre al contrario partire dall'esperienza, come ha fatto Newton con la fisica e Hume con la filosofia. E da questa risalire ai principi.
In altri lavori dello stesso periodo, Kant prende a criticare la metafisica wolffiana per il suo contenuto teologico-razionale.
Nell'Unico argomento possibile per dimostrare l'esistenza di Dio, afferma che l'esistenza non è un predicato che essere dedotto dall'essenza di una cosa o da qualche ragione precedente.
Era una tesi di Crusius che mostra di condividere.
Su queste basi, Kant smonta tutte le dimostrazioni tradizionali dell'esistenza di Dio, cioè la prova ontologica, quella cosmologica, quella fisico-teologica. Conclude che l'unico argomento valido per dimostrare Dio è quello per il quale "il possibile presuppone l'esistente".
Se la formula risulta un po' dura per i profani, provo a spiegarla. Così ragionava Kant: poiché è impossibile che non vi sia nessun possibile, deve necessariamente esservi un esistente, il quale è appunto Dio.
L'interessante è scoprire come Kant arrivò a tale formulazione.
Contrariamente a quanto aveva postulato nel Tentativo di introdurre in filosofia il concetto delle grandezze negative, Kant, per fondare l'esistenza di Dio su basi più accettabili, non parte dall'esperienza, non muove dalla struttura logica ed ordinata della realtà che proprio per questo, deve avere un autore d'eccezione.
Va in tutt'altra direzione. Afferma che d'ora in poi non si dovrà partire dalle realtà contingenti ma dal mondo delle leggi necessarie, trasferendosi così dal mondo dell'esistenza a quello delle sole possibilità.
Che significa?
Che è solo laddove esistono le cosiddette verità di ragione logico matematiche che noi possiamo trovare le "possibilità universali".
E' un mondo indipendente dal sussistere del contingente e dei fatti. Siamo così a Platone, a quella concezione della scienza degli immutabili e quindi a quelle verità universalmente valide e vincolanti. 7+5= 12 sempre. L'angolo inscritto in un semicerchio è retto. Cose vere prima della creazione del mondo. Vere per l'eternità.
Nel linguaggio di Leibniz le verità di ragione valgono per tutti i mondi possibili e per tutte le possibilità di trasformazione della realtà di questo mondo. 7+5 =12 sia per un cinese che per un brasiliano. Perchè due personalità differenti si accordino basta che parlino un linguaggio di numeri e simboli condivisi.

Ebbene, Kant afferma che l'esistenza di Dio si può trovare e provare solo qui. La dimostrazione che cerca non può essere ricavata dal mondo dei fenomeni; deve fondarsi su nessi universali e necessari che siano inviolabili per ogni intelletto finito.

Noi possiamo essere certi dell'esistenza di Dio, allora, non perchè esistono animali perfetti come l'uomo o la scimmia, perché esiste un creato ed una creatura, ma perché nel mondo delle verità di ragione troviamo il criterio del vero e del falso, troviamo regole, quali che siano.
L'argomento di Kant è che se non si desse alcuna assoluta esistenza, se Dio non esistesse, noi non avremmo alcun supporto di concordanza o di opposizione tra concetti puri.
Nel mondo dei concetti puri troviamo lo "spazio". Solo in esso si possono dare determinazioni quali il numero, il moto, la grandezza e la direzione. Lo "spazio" permette il darsi degli enti, offre quindi al pensiero di connettere e confrontare dati.
Se così non fosse, non vi sarebbe nulla di pensabile.
«Se ogni esistenza viene tolta - scriveva - non è posto semplicemente nulla, non è dato nulla affatto in generale, non è dato materiale ad un qualche pensabile: viene così del tutto meno ogni possibilità.
Certo non vi è contraddizione intrinseca nella negazione di ogni esistenza. Poiché nella contraddizione si richiederebbe che qualcosa fosse posto e nello stesso tempo tolto, laddove nel caso nostro non èposto nulla in tutto e per tutto; così non si può certo dire che questo togliere contenga una contraddizione intrinseca.
Ma che non vi sia una possibilità e pur non vi sia nulla di reale, ciò è contraddittorio; giacchè, se non esiste nulla, neppure è dato nulla che sia allora pensabile, e ci si contraddice se tuttavia si vuole che qualcosa sia possibile. » (3)

Ma ciò dimostra Dio?
Non ancora. Non necessariamente.
Eppure, Kant, al momento, ovvero sul finire del 1762, era convinto di questo: una volta certi di un'esistenza assolutamente necessaria in generale, possiamo dimostrare che tale esistenza deve necessariamente essere unica, semplice, immutabile ed eterna, comprendere ogni realtà ed avere natura puramente spirituale.
In altre parole: è necessario che le spettino tutte le determinazioni che finora i teologi hanno attribuito a Dio.

Come vedremo, nella Critica della Ragion Pura, Kant andrà molto oltre queste posizioni ancora "leibniziane". Ma questa è faccenda di cui si occuperanno Renzo Grassano e Daniele Lo Giudice.

note:
(1) Franco Volpi - Immanuel Kant/ vita lunga e monotona di un genio rivoluzionario - La Repubblica, 12 febbraio 2004
(2) Ernst Cassirer - Vita e dottrina di Kant - La Nuova Italia, 1977
(3) Immanuel Kant - Werke, citazione tratta da Vita e dottrina di Kant di Cassirer