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Dalla Psicologia delle visioni del mondo
La struttura antinomica
di Karl Jaspers
I - La struttura antinomica
I concetti che esprimono un'antitesi. Sono molti i concetti che esprimono un'antitesi. All'antitesi logica (per esempio al giudizio affermativo e negativo si contrappone l'antitesi reale (per esempio attrazione e repulsione, vita e morte). Diversa da questa è l'antitesi di valore (per esempio utile e nocivo). Il tipo dell'antitesi logica è la contraddizione. L'antitesi reale compare dapprima come mera diversità (per esempio azzurro e verde) che si distingue dall'uguaglianza; quindi come polarità (per esempio caldo-freddo, oscuro-chiaro); fra i due poli, gli estremi opposti, corre una serie di sfumature che possono concepirsi come disposte per gradi; infine come contrasto di forze che sgorgano l'una contro l'altra, che si frenano, si sospendono, si defalcano a vicenda, si uniscono a forze nuove (per esempio l'elettricità positiva e negativa, il parallelogramma delle forze, gli istinti che si combattono).
Il concetto che esprime l'antinomia. Non tutte le antitesi surriferite sono antinomie, ma tutte possono diventarlo, a guardarle dal punto di vista dell'assoluto e del valore. Sono antinomie le contraddizioni logiche insolubili, che stanno ai limiti del conoscere e del pensato, che possono concepirsi, ma non per altro accantonarsi come errori, sbagli, fraintendimenti, come meramente apparenti. Le contraddizioni permangono quali antinomie quando ai limiti del nostro conoscere, di fronte alle infinitudini. Un'intima affinità lega perciò i concetti di infinitudine, di limite, di antinomia. Le antitesi reali sono antinomie quando le si concepisce come qualcosa di supremo, che appare, nel rispetto del valore, come essenziale e problematico, quando si concepisce l'esistenza come scissa in antitesi nella sua essenza più profonda, di modo che ogni esistenza concreta particolare si costituisce solo allorché quelle forze o manifestazioni antitetiche si ritrovano insieme.
Specie delle antinomie. L'uomo "attuale" - pensante, senziente, agente sta quasi fra due mondi: davanti a lui è il regno degli oggetti, dietro di lui sono le forze e le disposizioni del soggetto. la situazione è detrminata da due parti: davanti a lui l'oggetto, dietro di lui il soggetto, l'uno e l'altro infiniti, inattingibili, impenetrabili. Nell'una parte sono insite antinomie decisive. Noi ce le chiariremo guardandole prima dal lato dell'oggetto, poi dal lato del soggetto.

Le antinomie dal lato dell'oggetto
Tali antinomie esistono per il pensare e per il conoscere oppure per l'agire (antinomie teoretiche e antinomie pratiche)

I -Le antinomie per il pensare e il conoscere. Ogni volta che il conoscere procede in direzione del tutto, del supremo, dell'incondizionato, si producono (lo rivelò Kant) delle antinomie: illusioni naturali, inevitabili della ragione. Un esempio drastico è lo spazio. Osservando il cielo stellato, noi siamo convinti di vedere l'infinitudine immediatamente. Ma la nostra non è che una disposizione dell'anima, una pura intenzione, poiché noi vediamo soltanto una superficie piatta e limitata, che illuminano innumerevoli punti. Noi siamo però a conoscenza degli ultimi esperimenti astronomici, delle misurazioni che hanno permesso di raggiungere gli estremi orizzonti del mondo spaziale. Riandiamo col pensiero a tali fatti, e proiettiamo tutte le nostre nozioni in proposito su quel cielo stellato che poco prima vedevamo immediatamente, e che solo ora prendeai nostri occhi una prospettiva giusta. Oltre ogni termine raggiunto ci figuriamo col pensiero uno spazio ulteriore, ma al tempo stesso ci accorgiamo che pur nell'attuarsi del nostro pensare ci rappresentiamo sempre di nuovo, involontariamente, un cosmo limitato. Non potremmo altrimenti che pensare uno spazio ulteriore oltre ogni termine raggiungibile, e non potremmo altrimenti che parlare del mondo come di un tutto, e rappresentarlo come l'infinitudine, compiutasi e conclusasi in totalità, fosse nelle nostre mani come tutto. Non potremmo concepire e pensare il mondo come finito, e non potremmo prenderlo a nostro oggetto come infinito, sempre che vogliamo farlo seriamente, e non limitarci a delle mere espressioni in proposito. Uno spazio infinito, se approfondiamo l'essenza di questo concetto, ci appare impossibile, impensabile, e uno spazio finito ancora di più. Così può occorrere a molti, al cospetto del cielo stellato, di essere presi in un vortice di idee e di sentimenti che sono soltanto un caso relativamente innocuo delle antinomie e dei limiti che queste significano per il nostro mondo.
Vengono a galla, dunque, dei principi contradditori, di cui la contraddizione: il mondo spaziale è infinito e insieme finito, è soltanto relativamente semplice. Nella mente di chi pensa il principio di contraddizione ha tre possibili funzioni. Esso può in primo luogo servire a sospendere la conoscenza, e il mondo stesso come cose nulle (è il modo di procedere dello scetticismo). Secondariamente può mettere in moto il pensiero e dargli la forza per progredire. Perché dove c'è contraddizione c'è stimolo, c'è interesse. Lo scetticismo ha insegnato che il puro ragionare sul problema in parola è un girare in un cerchio. Il vivo conoscere reagisce dunque profondandosi e avanzando nel particolare concreto, mentre al tempo stesso tale avanzare riceve il suo pathos da quei limiti. La meta non la si raggiunge mai, ma mercè le antinomie, le forze conoscitive prendono vita, e la loro attività si svolge proprio di fronte all'infinito, ma entro il finito. Dopo Kant, noi denominiamo queste forze "idee". Così il mondo spaziale in quanto idea del tutto non è per noi un oggetto, come un oggetto particolare, e non è né finito né infinito, bensì tutte e due le cose insieme. In terzo luogo e infine il principio di contraddizione (che non è conscio di sé nelle idee operanti come forze, anche se opera) può costituirsi esso stesso a oggetto del pensiero dando luogo allo svilupparsi di una immagine del mondo filosofica delle antinomie. E' questa una sovrastruttura relativamente povera, nata dal bisogno di una immagine del mondo in cui si attui la consapevolezza degli estremi orizzonti. E non esclude che le idee rimangano operanti quali forze. Vuota di per se stessa, essa mostra appunto che un mondo sussiste per l'uomo solo nel movimento che le idee gli imprimono, non già nella diretta intelligenza delle idee.
Una indagine, una individuazione e un ordinamento sistematici delle antinomie e delle idee sarebbero il compito di chi volesse creare una tale immagine del mondo filosofica. Qui noi tenteremo soltanto uno schizzo rapido e incompleto.
Le contraddizioni sgorgano nel processo proprio del pensiero,oppure sono insite nell'oggetto, nel conoscibile, nel mondo oggettivo stesso:
a) Antinomie del pensiero sono per esempio quelle che presiedono agli inizi della storia della filosofia antica in forma di problemi: il divenire e il moto, che sembrano dati immediatamente e come palpabili con mano, si intricano, a pensarli, in contraddizioni di genere puramente logico. Il corpo in movimento non può essere pensato in un luogo, e non può per altro, posto che si muova, non essere pensato in un altro luogo entro uno spazio di tempo brevissimo. Nel divenire c'è qualcosa e insieme non c'è nulla, per il fatto che esso diviene altra cosa. Esso consta di essere e non-essere, il che è una contraddizione. Queste le aporie che gli Eleati espressero in forma convincente e concisa in argomentazioni celebri. Inoltre noi non pensiamo mai una continuità senza al tempo stesso dissolverla in discontinuità. E, per altro, cerchiamo di trasportare ogni discontinuità in una continuità. La stabilità si oppone al salto, e il nostro pensiero tende di continuo dall'una all'altro. E non si appaga mai defintivamente né nel salto né nella stabilità. In tutti questi casi l'aporia è intimamente connessa al fatto che un'infinitudine si cela in essi. Non appena ci si rende conto di ciò, tutte le aporie si dissolvono di fatto.
Tutto ciò che qui dava luogo ad aporie di natura antinomica ci è dato immediatamente quale tutto. Moto e divenire, continuità e discontinuità, stabilità e salto sono cose che non vediamo immediatamente. Sono queste aporie riguardanti soltanto il pensiero e l'agire formale, aporie di metodo, che sono deducibili metodicamente (così l'infinitudine del quantitativo e solubile mediante il calcolo infinitesimale). E qui l'uomo non ha davanti una situazione che lo impegna a fondo seriamente. La disperazione qui, non ha luogo. Tali antinomie hanno avuto una parte solo come rappresentanti e sostituti di qualche altra cosa e in tanto in quanto laloro essenza non era stata sviscerata, come accadde per la filosofia antica. In tanto esse sono antinomie, in quanto non sono solubli direttamente, bensì sono superate soltanto in via indiretta.Il superamento non èperò di natura spontanea, viva, ed è piuttosto qualcosa di apprendibile, di metodico e di tecnico. Prima che si conoscesse il metodo, esse potevano essere le figure simboliche di antinomie autentiche verso le quali era - a guardar bene - indirizzata l'attenzione.

b) Antinomie reali sono quelle che vengono superate mediante le idee. Esse non vengono risolte, poiché le idee non sono formule che siano comunicabili e apprendibili, bensì forze generate spontaneamente da ogni uomo. Le direzioni di tali forze - in questo caso forze del conoscere - sono designabili come mondo, materia, energia, vita, anima. Codesti vocaboli non indicano nessuno degli oggetti a noi dati. Essi - come dice Kant costituiscono un compito ch'è riservato al solo conoscere, e davanti al quale si stende una infinitudine non mai colmabile. Per noi il fatto supremo resta sempre l'incalzarci delle antinomie, che ci spingono così per la via dell'infinito. Un riempimento dell'infinitudine dissolverebbe per forza le antinomie: il che non è immaginabile né pensabile da parte nostra, in tanto in quanto non ignoriamo nessuno dei dati offertici in sede reale.

1) E' inevitabile che si pensi al mondo in antinomie. Esso è finito e infinito, divisibile infinitamente e a un tempo consistente di una suprema unità, necessario (nel suo obbedire alle leggi) e a un tempo incomprensibilmente casuale e sgorgante da atti liberi. Il mondo come tutto non è mai nostro oggetto. Allorché si parla del mondo, è questo un vocabolo vuoto o una vuota ipotistazziazione di un'infinitudine che costituisce il nostro compito in un tutto saldo e concluso, o un'idea; comunque non èmai un oggetto realizzatosi, dato. Noi non possiamo concepire o pensare il mondo come totalità. Noi non perveniamo sempre di nuovo a quelle antinomie: non per assopirci in loro e non muovere più un passo, bensì per progredire conoscendo, incitati da quelle, e ricchi di nuove forze istintive, nella realtà concreta.

2) La vita, a definirla formalmente, è un tutto che sussiste in grazie delle sue parti, così come ogni parte è possibile soltanto in grazie del tutto. Ma in tutto ciò c'è questo di particolare: che parti e rapporti non sono finiti, come avviene per la macchina, sibbene infiniti. La vita come complesso di parti e di funzioni diverse e la vita come forza e come totalità unitaria, ecco le due categorie che si contraddicono e in cui il filosofo torna inevitabilmente a pensare la vita. Nella vita esistono, inoltre, antitesi a carattere antinomico. La vita non c'è mai come totalità, come un'essenza statica, conclusa in innumerevoli antitesi. Essa è indubbiamente legata col suo opposto, la morte, ed è sdoppiata nei due sessi maschile e femminile. Noi non possiamo essere "uomini in generale" (l'uomo non è una realtà già conchiusa, e pronta per chi la voglia, ma semmai un'idea). Uomini siamo soltanto in quanto maschi e femmine. La nostra esistenza è legata a tali antitesi, come a qualcosa di assoluto e supremo.

3) La psiche è inevitabilmente pensata come totalità o unità e, viceversa, come complesso di parti (analogamente alla vita), come intellegibile e come inintellegibile, come meramente spieagabile. La conoscenza psicologica procede sia in direzione delle unità che delle parti; e non va oltre tali antinomie. La molteplicità delle sue antinomie si manifesta nelle idee psiche, di personalità, di organicità della malattia ecc.
Tutte codeste antinomie non sono mere contraddizioni, dalle quali si possa concludere sull'irrealtà del mondo dell'esistenza. Sono realtà quanto mai evidenti e nelle quali noi esistiamo corporeamente. Tali realtà costituiscono il limite del conoscere, il quale conoscere si mette in moto in virtù di quel limite, e per causa sua, d'altra parte non giunge mai a compimento. L'uomo, qui, si trova in una situazione estrema: nel suo conoscere egli ricade di continuo nel dubbio, e proprio da ciò, per altro, trae le forze peculiari dell'idea. Ma se egli scambia per conoscenza antinomie già bell'e formate, che colgono le fondamenta stesse della cosa, provoca la morte del conoscere, il quale può progredire solo concretamente, e in quanto progredire fa per la prima volta in generale esperienza delle antinomie, che non si colgono col pensarle in generale.


2) - Le antinomie nel valutare e nell'agire. La situazione oggettiva è per l'uomo fonte di emozione molto più profonda per ciò che egli non si limita a conoscere la realtà; ma la valuta, e per il suo esistere si inserisce in essa, agendo in base alle sue valutazioni e in nome dei suoi scopi. I valori consistono nell'insieme di antitesi fra valore e non-valore. A ogni valore è, in via del tutto generale, legato un non-valore. I valori prendono forma di un fatto oggettivo, di un regno particolare, come qualcosa che ha vigore di per sé stesso, e vuol essere realizzato e promosso. Fra tale regno dei valori e la realtà c'è una tensione:non accade che ciò ch'è reale abbia anche un valore, e che ogni valore sia reale, ma viceversa,la realtà non ha alcun riguardo per le antitesi di valore, e dal canto suo l'uomo percorre, nella realizzazione dei valori, un cammino infinito, almeno intenzionalmente; mentre resta del tutto problematico, in sede oggettiva, se nella realizzazione dei valori si dia realmente, con l'andar del tempo, un progresso, o se non vi sia altro che un succedersi di realizzazioni e di distruzioni dei valori negli individui singoli e in periodi di tempo circoscritti., anche se lunghi.
Nella realizzizzazione dei valori l'uomo si trova di nuovo di fronte ad antinomie che vanno riportate a questa formula generale: i valori divengono reali soltanto in virtù di forze e di condizioni che, di per sé, hanno un valore negativo. Se qualcuno desidera che un qualsiasi valore si attui nella realtà, deve inevitabilmente mettere in conto, per via delle implicazioni oggettive, dei non-valori. Ogni azione che intende a realizzare un valore ha conseguenze che colui che agisce non voleva e non può volere. Nessuna azione sortisce l'effetto voluto, puramente e senza effetti paralleli. Ecco all'ingrosso qualche esempio. Io desidero l'amore fra gli uomini e un costume e una concezione di vita spirituale: per poterli realizzare in genere in qualche luogo io accetto di fatto - come qualcosa di inevitabile - lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, per quanto ciò possa ancora sfuggire al mio sguardo. Io desidero la conoscenza, vale a dire qualcosa di comunicabile, di insegnabile e di apprendibile, di dimostrabile e di convincente, e ottengo una o una somma di nozioni esatte, che lasciano del tutto indifferenti sia me che gli altri, o pervengo a una conoscenza "importante" e proprio con ciò favorisco un fattore irrazionale nuovo, le idee, la vita, che costituiscono il polo opposto del comunicabile, del dimostrabile e del convincente (il che avviene in tanto in quanto l'"importanza" non esuli dal campo della conoscenza, e la conoscenza non sia "importante" per ciò che serve a scopi extraconoscitivi, per esempio utilitari, economici, tecnici, politici e così via). Io aspiro all'imperituro, al durevole, e debbo di necessità sperimentare che soltanto ciò ch'è attimo avverato acquista una vera essenza. Io desidero procurarmi (nel caso di una guerra) sicurezza per il futuro, e favorisco così l'opera di conquista dell'imperialismo, desidero difendermi e aggredisco ecc.
Le antinomie dellìagire, per via delle quali non è neanche possibile volere la "giustizia" assoluta, poi che non è possibile conoscerla, si manifestano nel grande quadro della società umana. Questa poggia la sua esistenza su forze opposte, che sono opposte anche quanto a valore, ma in questo modo, che l'accento positivo o negativo può ogni volta posare sull'uno o sull'altro, a seconda della visione del mondo con cui si valuta. Così all'autodominio individualistico, che è la fonte di ogni sviluppo, di ogni progresso, di ogni creazione, di ogni invenzione, sta di contro, al polo opposto, l'unione solidale e la subordinazione alla comunità, che è la condizione della esistenza sociale e quindi anche individuale.

Le antinomie dal punto di vista del soggetto
Le inevitabili antitesi esistenti in noi si rendono visibili dappertutto: nei fenomeni contrastanti che stanno ai limiti del campo psicologico e che hanno grande importanza come radici dei processi più altamente sublimati dell'anima, negli istinti e nelle tendenze, nelle peculiarità e nelle disposizioni del nostro carattere, nelle possibilità dell'autoformazione.
Negli istinti i contrari sono incatenati l'uno all'altro. Quando si ha un istinto si è in una polarità. Non si può scioglere un solo istinto, ma tutt'al più l'intera polarità. Mentre la concezione razionalstica, a cui manca la visione intuitiva, si aspetta logicamente che nella psiche, quando è presente un lato della antitesi, manchi il lato opposto, in pratica accade il contrario, e il disciplinamento di un solo lato può avere sì un effetto decisivo sullo stampo della personalità, e innanzi tutto per l'azione, ma nella viva esperienza tutti e due i lati sono presenti, e dalla presenza dell'uno si può concludere sulla presenza dellìaltro. Bisogno di gioia e bisogno di dolore, sadismo e masochismo, volontà di potenza e volontà di soggezione, amore e odio, bisogno di sensazioni e bisogno di quiete ecc. sono intimamente collegati fra loro, e in breve: a ogni volizione si oppone una non-volizione.
Gli opposti si richiamano l'un l'altro per virtù di contrasto. Un accentuato sviluppo psichico verso un lato nasconde in sé la tendenza a sterzare bruscamente verso il lato opposto, e la tendenza è più che mai forte quando più puro e intenso è lo sviluppo di una possibilità. Già nel campo fisiologico il guardare a lungo un colore provoca l'immagine parallela del colore complementare. Nella vita sentimentale una grave tristezza si muta talvolta, dopo qualche tempo, per motivi futilissimi che si radicano nelle condizioni interne, in una lietezza e una serenità sproporzionate alla situazione generale, e viceversa. In conclusione, vale per ogni caso ciò che si è detto dell'uomo medioevale, nel quale il fenomeno appariva in forma particolarmente perspicua. «Gli opposti si toccano immediatamente, brama del mondo e fuga dal mondo, rinunzia e selvaggia libidine, amore e crudeltà spaventosa, compassione e durezza di cavaliere, intelligenza arida esuberanza sentimentale, impressione di aver Dio vicino e di esser da Dio disertati.» (Gass, nella citazione di v. Eicken). Chi vuol provare grandi gioie, deve mettere in conto grandi dolori. Chi non vuol provare dolore, deve rinunciare alla gioia (com'è il caso dello stoico) L'ascesi accresce la libidine. Solo l'asceta prova le tentazioni di S. Antonio. Caratteriologicamente, le qualità antitetiche sono legate fra loro. Goethe lo ha formulato in via generale. «Quello a cui noi diamo nome di male è soltanto l'altro lato del bene, il quale appartiene così necessariamente alla sua esistenza e fa parte del tutto, allo stesso modo che la zona torrida ha il compito di bruciare e la Lapponia di gelare, perché ci sia una zona temperata.» A sua volta Nietzsche: «La nostra opinione è... che ogni sviluppo dell'uomo importi anche lo sviluppo dei suoi lati brutti, e che l'uomo superiore, posto che un tale concetto sia permesso, sia quello che rappresenta con maggior vigore il carattere antitetico dell'esistenza.»
Lo sviluppo individuale si attua e si compie in antitesi, così che spesso noi neghiamo qualcosa soltanto dopo averla fatta, e possediamo e seguiamo dei principi di vita per il fatto che una volta abbiamo seguito principi diversi. Solo chi è «peccatore» può essere «morale». Ciò che per un uomo è evidente, e che egli può effettuare nella sua vita perché ha dietro di se l'opposto, è per un altro vuoto e insignificante, o inautentico. I grandi convertiti, come Agostino, Francesco, Tolstoi, si sono conquistati la loro forma di vita dopo una esistenza mondana. Tale forma di vita non può non avere un carattere assolutamente diverso in colui che li segue senza le stesse premesse.
La nostra esistenza si svolge tra poli opposti, di cui ciascuno, preso per se stesso, ci porterebbe nel caos o in una forma morta di vita, mentre insieme riuniti si promuovono e si influenzano a vicenda; esercizio e crescere spontaneo, costume sociale e originalità, forma e soffio vivificatore, adattamento e affermazione di me stesso.
Non è dunque da pensare che per l'autoformazione vi sia un metodo apposito, riassumibile in una ricetta; essa è infatti una cosa viva. C'è sì l'aut-aut momentaneo, che decide, ma non c'è mai un aut-aut generale. Il trapassare e il confondersi degli opposti l'uno nell'altro è, per l'autoformazione, il punto più delicato e sensibile della comprensione e dell'intelligenza di se stessi. C'è di che disperare quando proprio nel momento in cui le esperienze interiori si affinano al massimo, così da non potersi esprimere perspicuamente in sede oggettiva, e che da essere conoscibili soltanto dall'autopercezione, si continuano a scorgere separati dagli opposti da una sottilissima scriminatura, che valicando da una parte all'altra, si nota appena. Ciò che è affine fenomenologicamente, e opposto per il senso e le qualità morali - in quanto ha effetti opposti sulla formazione della personalità - si rimuta di continuo nell'altra parte: l'amore nell'istinto di potenza, l'autocoscienza in vanità, l'autoeducazione in inautenticità, la comprensione reciproca nello specchiarsi egoistico ecc. Le confusioni diventano innumerevoli in questo campo.
Karl Jaspers La psicologia delle visioni del mondo / capitolo III La vita dello spirito - I La struttura antinomica