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Karl Jaspers: Psicologia delle visioni del mondo

di Guido Marenco
8. Differenze di atteggiamenti: la visione oggettiva come attività, contemplazione, misticismo
La psicologia non può conferire un valore universale e assoluto ad alcuno degli insegnamenti delle filosofie profetiche, nemmeno al desiderio del 'giusto'. Essa conosce solo atteggiamenti, punti di vista, "ai quali si rapporta con l'osservazione, con l'analisi, col lavoro di "caratterizzazione". Scavare negli atteggiamenti porta ad un discorso relativamente formale, a parlare di 'funzioni'. Ogni atteggiamento rischia di rivelarsi un universo chiuso e sordo. "Solo all'interno degli stessi atteggiamenti gli uomini entrano in comunicazione gli uni con gli altri..." Finché gli atteggiamenti portano ad ignorarsi vicendevolmente, la tendenza prevalente sarà quella di assolutizzare la propria visione, e negare ogni valore alle altre. Verranno alla luce visioni antitetiche. Una comprensione reciproca "può nascere tra uomini di ordinamento gerarchico analogo, anche se essi partono da atteggiamenti differenti, poiché di qui ambedue tendono, diciamo così, alla punta di una stessa piramide".
«Per l'ordinamento degli atteggiamenti noi prendiamo come sempre le mosse dal rapporto di soggetto e oggetto, qui concepito contrasto di io e oggetto concreto. Così un gruppo di atteggiamenti oggettivi viene a contrapporsi a un gruppo di atteggiamenti autoriflessi. Sono sopraordinati ai due gruppi gli atteggiamenti entusiastici (che infatti aboliscono l'antitesi io-oggetto in maniera tutta loro e cioè riassumendoli in una totalità.»
Gli atteggiamenti oggettivi si possono differenziare in tre grandi gruppi: 1) attivi; 2) contemplativi; 3) mistici.
L'atteggiamento attivo ha in sé una visione del mondo che privilegia l'effetto dell'azione. Il mondo, come in Fichte, esiste come materiale resistente all'azione dell'io. «Tale resistenza è tutt'altro che assoluta. Il mondo esterno è oggetto dell'atteggiamento attivo non in quanto affatto indipendente dall'uomo, ma proprio perché ne dipende.»
L'atteggiamento del contemplativo produce una visione che ritiene il mondo 'estraneo' a noi stessi. «Conoscere il mondo, per il contemplativo, significa porselo davanti, per l'attivo crearlo o farlo e, con la propria attività trasformarlo. Nell'atteggiamento attivo il mondo dev'essere riplasmato a tal punto, che l'attivo possa comprenderlo come il suo proprio mondo. Dall'atteggiamento attivo ha origine il principio che vale per tutto il conoscere: l'uomo conosce le cose in tanto in quanto le fa. Nell'atteggiamento attivo c'è un dualismo perpetuo. Il volere incontra resistenza e controvolere. E' una questione di forza e di lotta.»

«L'atteggiamento contemplativo, nel suo contrasto con l'attivo, è stato già caratterizzato in via generale insieme con questo: esso è osservazione, e non dominio, vedere, e non impadronirsi, rimirare, e non creare né fare; anche l'atto creativo non viene sperimentato e vissuto come tale, bensì come un crescere e un venir dati. L'oggettivo sta a distanza.»
«In esso si danno parecchie specie, al di là del fattore comune di una dedizione "disinteressata" all'oggetto. Tutte queste specie dell'atteggiamento contemplativo, i filosofi le hanno spesso denominate "pensiero". Per Descartes ad esempio tutto ciò che è chiaro e distinto è, in contrapposizione a ciò ch'è vago e diffuso, pensiero. Per Hegel ogni contenuto umano della coscienza è, in contrapposizione al ferino, anch'esso pensiero, sia che questo contenuto si manifesti ora nella forma del sentimento, dell'intuizione, della rappresentazione, ora in quella vera e propria del pensiero razionale. L'opinione, così naturale nel nostro tempo, che per gli oggetti dell'atteggiamento contemplativo non ci siano altre fonti che la percezione sensoriale e il pensiero, è da scartare incondizionatamente ai fini della descrizione psicologica: il perspicuo, l'immediato, il materiale, ciò che è ancora da formare, supera di molto i confini della visione sensoriale propria della pura percezione.»

Gli atteggiamenti contemplativi si possono ancora suddividere in classi pensate secondo la prevalenza dell'intuizione, dell'estetica e della razionalità.
Atteggiamento intuitivo
«Nell'atteggiamento intuitivo si vede e si coglie, e si vive e si esperimenta il sentimento felicitante della pienezza e dell'illimitato. Non ci si affretta a riconoscere vera ogni cosa e a sussumerla sotto categorie note (col vacuo sentimento di non sperimentare in fondo niente di nuovo, di non scorgere niente di essenziale, come avviene alla cecità intuitiva caratteristica della mobilità razionale); bensì si guarda con abbandono, si accoglie con un senso di attesa, e si sperimenta il vedere come come esperienza "creatrice" del crescere. Appar chiaro che il volere, lo scopo, il prefiggersi coscientemente un fine, son tutte cose che disturbano e limitano, e che il venir dato è un destino favorevole e un dono della propria natura e non già il premio di una imposizione di fini alla volontà, di una disciplina, del seguire dei principi.»

Atteggiamento estetico
«L'essenza dell'atteggiamento estetico è forse illustrabile nel modo più chiaro ponendo mente al brusco trapasso che ha luogo nel momento in cui da altri atteggiamenti si passa a quello estetico. Immaginiamoci il medico presso il letto di un morente. Egli tende a vedere e a pensare, ma solo in quanto questi due atteggiamenti gli procurano i mezzi per la sua attività, che è la volontà di guarire. Un salto avviene se l'atteggiamento razionale si rende indipendente. Allora egli guarda e studia ogni cosa che lo possa istruire su questo caso, anche se non gli dà la possibilità di guarire, e considera per ogni verso le correlazioni causali, e stabilisce e ordina la sintomatologia. Egli sussume sotto tipi conosciuti e dà rilievo e risalto allo sconosciuto, a ciò che per lui è nuovo. Un salto avviene ancora se - dopo aver agito - egli abbandona d'improvviso anche l'attegiamento razionale, si dà tutto alla totalità di questa esperienza, si sprofonda semplicemente nella visione, rompendo tutte le correlazioni e tutte le parentele - sia nella realtà dell'azione, sia nel campo dell'analisi scientifico-razionale - e svincolando e isolando l'immagine dalla propria come da qualsiasi altra sfera di vita reale. Il suo atteggiamento è libero da ogni forma di interesse (cioè è immune da desideri di qualsiasi specie, da propensioni e avversioni qualsiasi). Tutto ormai è così remoto, un sentimento di liberazione e di pienezza irresponsabile interviene.
Ma l'immagine costituice per lui totalità e unità, ed ha forse anche, nella visione, un carattere simbolico. Egli vede il morente allo stesso modo che Rembrandt vedeva un mendicante.»
[...] «Codesto svincolamento, che Kant descrive come "piacere spassionato", e Schopenhauer come liberazione dalla cupidigia del volere, trae seco una caratteristica irresponsabilità.»
«Quasi ogni metafisica travisa la natura del processo estetico, attribuendo alla contemplazione che isola ciò che è sperimentabile autenticamente soltanto nell'azione pratica e nella decisione responsabile. Lo stesso travisamento può operare l'arte, la quale - come grande arte - è stata in ogni tempo molto più che mera esteticità, e ha racchiuso in se stessa tutto lo spirituale, l'ideale e il religioso. L'inganno non consiste nel fatto che l'uomo prova in essa, creando e in stato di ricettività, un senso, ma nel fatto che questo senso vien posto per l'assoluto e la realtà della vita responsabile stessi.» Con esplicito riferimento a Kiekegaard, Jaspers conclude che metafisica e arte, quando subiscono gli effetti dell'atteggiamento estetico, "deviano dall'esistenza", se questo non viene riconosciuto nella sua singolarità.

Atteggiamento razionale
L'atteggiamento razionale si oppone a quello estetico, ma essi hanno in comune la divisione e la circoscrizione. L'estetico circoscrive ed isola le correlazioni della sfera visiva, "l'atteggiamento razionale circoscrive invece proprio per riportare il circoscritto a un'infinità di correlazioni reciproche". «Questo delimitare, o, se si preferisce, imporre dei limiti, è detto anche "determinare". L'azione finalizzante propria dell'atteggiamento razionale è stata indicata con altro vocabolo come "negatrice" (omnia determinatio est negatio, Spinoza). L'imposizione razionale di un limite è sempre imposizione di unlimite contro qualche cosa: esprimendoci in generale, il formale razionale si muove inevitabilmente tra contrari. "Ponendo" un fatto circoscritto, l'atteggiamento razionale ne esclude un altro. Esso non può perciò abbracciare mai totalità di sorta. Queste debbono esserci intuitivamente in precedenza, e l'atteggiamento razionale può essere soltanto la strada che conduce ad esse, e che mediante la'tteggiamento razionale non fa altro che che raggiungere la sua meta, rimanendo in definitiva il razionale superato come puro mezzo, e venendo fatto saltare in aria di bel nuovo come pura forma.»

9. Il mistico
L'atteggiamento razionale si disperde nel concreto oggettivo e rischia costantemente la vacuità formale. Di contro, il mistico conduce a una pienezza affatto irrazionale. Si può paragonare il mistico all'intuitivo, tuttavia, al contrario dell'intuitivo, esso non dà visioni utilizzabili dalla ragione, perché "significa qualcosa che sta eternamente al di là di ogni comprensione razionale".
Il mistico abolisce la distinzione tra soggetto e oggetto. Non lo si può determinare razionalmente come contenuto, ma solo come esperienza. Non c'è un vedere oggettivo, inoltre, nel mistico, mancano le forme logiche, le sintesi, il senso delle contraddizioni. «Tutte le relatività dell'oggettivo, tutte le infinitudini e le antnomie vengono meno. Vi è un'antitesi radicale fra il vivere tendendo all'infinito, in cui la direzione è determinata dall'idea della quale si fa esperienza intima, e a cui - conforme all'intenzione - il tendere e il lottare son più cari che il sapere, e che non trova mai completo appagamento poichè compiti sempre più alti e importanti gli si prospettano - e il vivere nell'atteggiamento mistico, che soltanto per via di similitudini può descriversi come quiete piena e pacificazione nell'atemporalità dell'essente, che sussiste senza impulsi, e che si abolisce nell'eterna presenza di Dio, o come altrimenti voglia formularsi l'essere uno.»

«L'essenza dell'atteggiamento mistico si può cogliere in tutta la sua purezza nelle prediche di Maestro Eckhart. Con una sicurezza e un'instancabiltà grandiose egli risale continuamente da ogni cosa particolare, da ogni cosa che sia in qualche modo oggettivamente condizionata, negandole, all'essenza del fatto mistico nella pura separazione esente da ogni cosa creata. Tale separazione è così vicina al puro nulla che non c'è niente di così piccolo da trovar posto in lei, fuori che Dio. Eckhart reputa la separazione il valore più alto. Più alto dell'amore,in cui si ama pur sempre qualcosa, della sofferenza, in cui l'occhio è pur sempre rivolto per cui si soffre, dell'umiltà, che si inchina di fronte a tutte le creature, della pietà, ch'è solo possibile se l'uomo esce da sé stesso. Ma nella separazione il fondo del nostro essere,la scintilla, resta in se stessa; il nostro sé si annulla; e nessuna differenza corre tra la separazione perfetta e il nulla. Poiché per noi, in quanto viviamo nel mondo oggettivo e concreto, il sentimento provato al fondo della separazione è appunto un "nulla"; che peraltro potrà essere descritto positivamente per via di similitudini come confluenza nell'abisso senza fine, come quiete, come imperturbabilità. Libero, puro, uno è l'essere, senza un io, senza una forma, senza una figura, soprarazionale; e ha rinunciato a tutte le "cose".»