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Husserl: alle cose stesse!
di Renzo Grassano
Ogni filosofo richiede un certo periodo di tempo prima di essere assimilato. Al liceo impariamo alcune nozioni fondamentali: non sono slogans, o spot pubblicitari, ma poco ci manca. All'università seguiamo qualche corso "monografico", impariamo ad approfondire, ma la verità è che forse impariamo più a conoscere il pensiero del nostro docente, la sua qualità filosofica e il suo metodo teoretico più che il filosofo od i filosofi che stiamo studiando. Per capire veramente un filosofo, non importa se maggiore o minore, bisogna leggerlo, e non sempre basta un passaggio; a volte occorre ripassarlo tutto da capo almeno un paio di volte, se non di più. E le scelte di lettura, quando non siamo più pressati dagli obblighi dello studio, dal preparare interrogazioni ed esami, seguono spesso vie arcane e misteriose, affinità elettive, o che noi crediamo tali sulla base di suggestioni, inseguendo forse la soluzione di problemi che non abbiamo del tutto chiari.
Quando insegnavo, raramente tornavo sui vecchi appunti, ma preparavo la lezione sempre come se fosse la prima volta. Tutto questo mi ha aiutato ad orientarmi meglio, a dare il meglio in ogni lezione, perché avevo capito meglio alcune questioni. Mi è capitato qualcosa del genere quando presi una "cotta" per Bertrand Russell, ed esordii su queste pagine proprio con uno scritto su Russell.
Ora, in termini completamente rinnovati e diversi, mi ha preso una "passione" per la fenomenologia, che per la verità ho conosciuto più sulle pagine di Antonio Banfi ed Enzo Paci che su quelle di Husserl. Il vero Husserl lo conosco da un po' meno. Parlo di "passione" e non di "cotta", perché l'approccio è stato decisamente più maturo. Husserl non mi ha folgorato per la sue eleganza formale, mi ha riaperto l'orizzonte ad una militanza filosofica, non solo politica, o più precisamente, civile.
Mi ha colpito il desiderio fondamentale, l'intento husserliano di ridare alla filosofia pura trascendentale un primato su tutte le scienze partendo dal fatto incontestabile che essa fu in origine una rigorosa esplicazione della ragione umana fondata sull'esame rigoroso delle condizioni in cui avviene la conoscenza. E che quindi tutte le scienze, nessuna esclusa, debbono, non un generico qualcosa alla filosofia, ma proprio la loro stessa essenza alla filosofia. Quando Husserl parla di risuscitare la ragione, non pensa solo alla logica formalizzata, ma a qualcosa di fondamentalmente più complesso e profondo di cui la logica formale è solo un'espressione molto particolare. Questa profondità costitutiva originaria, questa essenza umana sta nella soggettività. L'essere umano è fondamentalmente un soggetto che conosce, che collabora con altri soggetti per conoscere meglio e più razionalmente, che quindi interagisce intersoggettivamente, tra eguali. La grande colpa della psicologia empirista e positivista è stata quella di ridurlo ad oggetto meccanico, facendo della stessa attività psichica un oggetto meccanico, un orologio behaviouristico, che risponde a stimoli e si fa condizionare da situazioni artificiose
Fu questo il tradimento dell'uomo, la perdita del telos originario che la stessa filosofia greca aveva inaugurato.
Basterebbero queste sommarie considerazioni a fare di Husserl il filosofo del Novecento per antonomasia, l'albero da cui diramano la fenomenologia pura, quella ontologica, l'esistenzialismo, la stessa analitica del linguaggio.

Sarebbe storicamente erroneo non cercare antecedenti e precursori. Descartes e Kant, quali esponenti di una soggettività critica, nonchè intenzionata a scoprire alcune leggi fondamentali circa l'esistenza di un mondo "là fuori", fuori cioè dalla nostra mente che sul mondo riflette, sono i primi nomi che vengono alla memoria, tuttavia annasperemmo ancora nel generico se non citassimo espressamente Fichte che, a mio avviso, ebbe una profonda incidenza sulla genesi stessa del concetto di fenomenologia, così come obiettivamente si sviluppò in Husserl. Husserl citò espressamente Fichte in diverse occasioni, ma credo sia evidente che la tematizzazione fichtiana dell'opposizione tra Io e non-Io, cioè il resto del mondo, gli altri, la società umana, sia in diversi modi riconducibile alla tematica husserliana che raggiunse davvero inaudite profondità speculative su questo punto.
Dopo Fichte, tuttavia, si diedero ancora presupposti importanti in Bernhard Bolzano, Rudolf Hermann Lotze, Carl Stumpf e Franz Brentano , oltre che, ovviamente e per altri aspetti legati al "primato della logica" sulla psicologia (nella sua versione deteriore, lo psicologismo) in Gottlob Frege.
Ad esempio, Franca D'Agostini ha recentemente osservato che nella Logik di Lotze (1874), uomo dell'Ottocento a tutti gli effetti, in piena epoca romantica e positivistica, fu avanzata un'identificazione «destinata ad avere un'ampia risonanza nella cultura tedesca dell'epoca: quella tra "valore" e "significato". Il nucleo dell' "idealismo" di Lotze consisteva infatti nel riscontro che "nessuna teoria sensistica o empiristica dell'origine del nostro pensare o sapere" può fornire argomenti "per una confutazione o una dimostrazione di principi logici": essa anzi ha bisogno di tali principi per potersi formulare.» (1)
Ecco il primato e l' anteriorità della logica, tema che avvicinò le ricerche e le tensioni interiori di Frege a quelle del primo Husserl.
D'Agostini interpreta il rapporto Frege-Husserl come una collaborazione-confronto mancata, un'occasione perduta.
Di qua Frege, deluso dall'accoglienza dei suoi lavori tra i contemporanei. Di là Husserl che, al contrario, stimava l'opera di Frege fino al punto da inviargli diversi suoi lavori e manifestando ammirazione per le Grundlagen fregeane: «Nel leggerle sempre mi rallegravo per l'ingegnosa originalità, per la chiarezza e vorrei quasi dire: per l'onestà della sua ricerca» (2)
«Il termine "onestà" - commenta D'Agostini - è una spia testuale piuttosto importante. Come ha ricordato Gadamer, l'ossessione principale del pensiero husserliano, fin da principio e lungo tutto il corso della vita, è stato il tentativo di rispondere alla domanda "Come posso essere un filosofo onesto?"» (1)
Credo sia questa la chiave per capire l'immane sforzo compiuto dal nostro filosofo. Un'onestà che anzichè formularsi, come accadde a Kant sugli elementi di un imperativo morale, si è riversata sul problema della ragione costitutiva, che viene ancor prima della morale stessa. Senza ragione, senza recupero del telos originario, non ci può nemmeno essere una "morale".
L'impegno di Husserl culmina nelle Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica nella fondamentale distinzione tra le realtà empiriche individuali, date dall'esperienza, e l'èidos, il genere al quale esse appartengono. Ogni genere rappresenta una "regione", un ordine quasi fisico-geografico, una mappa materiale del saputo, ordinata da ontologie regionali. Ma, ancora sopra le ontologie particolari stanno le scienze formali, matematica e logica pura. Husserl propone quindi un'architettonica, ma ne intravvede anche i limiti. Questa stessa strutturazione rischia di portarci fuori strada se non è accompagnata dal principio-guida, il principio di tutti i principi, ovvero che solo "l'intuizione originariamente offerente è una fonte legittima di conoscenza". La metodologia della ricerca fenomenologica si riassume nel motto Zu den Sachen selbst! (ovvero, andare alle cose stesse!). E' un principio che, formalmente, sembra rivolgersi contro lo stesso Kant, che aveva parlato di cosa in sé come del limite negativo della conoscenza. Quello di Husserl è un tentativo di aggiramento, se non di superamento. Il cosa sono le cose per noi, può essere riproposto in in cosa sono le cose in realtà, a partire dall'intenzione di saperlo. E la via del superamento sta nell'epoché, nella sospensione del giudizio.

Sicché, a mio parere, il mancato incontro fecondo tra Husserl e Frege ha favorito in Husserl il sorgere di un'autentica analisi fenomenologica, del tutto aliena dalla svolta "linguistica" irrealizzata che costituisce il "senno di poi" della pur pregevole analisi storica di D'Agostini.
Dobbiamo riconoscere che è da tale fecondazione mancata che nacque uno sguardo filosofico diverso.
Enzo Paci non è stato solo un grande efficace divulgatore del pensiero di Husserl in Italia, ma anche un suo interprete creativo. Proprio a fagiuolo di tale mancato aggancio tra fenomenologia e analisi del linguaggio, sempre col senno di poi, egli scriveva: «Il neopositivismo si trova di fronte ad una serie di antinomie tutte inerenti alle difficoltà che riguardano le sintesi tra la dimensione logica e la dimensione empirica, tra il linguaggio ed il metalinguaggio, tra l'assiomatica e la fondazione operativa dell'assiomatica. Il teorema di Gödel rimanda a qualcosa che non si lascia chiudere ed esprimere in un sistema completo di assiomi. Questo qualcosa ci fa sospettare che il fondamento dell'assiomatica stia fuori dell'assiomatica stessa, per esempio nella soggettività costituitiva e nell'esperienza, o , in altri termini nelle operazioni precategoriali che costituiscono ogni categoria, intendendo per "operazioni" le operazioni fondanti nel senso di Husserl e, per certi aspetti, le operazioni di Bridgman, limitatamente al fatto che per Bridgman le categorie sono nomi che noi diamo a certe operazioni tipiche e costitutive. Più precisamente, con il linguaggio fenomenologico, si può dire che le categorie sono fondate da operazioni precategoriali, che la logica apofantica è fondata sulla logica trascendentale. » (3)

L'accostamento di Paci tra Husserl e Bridgman sembrerebbe del tutto fuori luogo. Bridgman, prima scienziato e premio Nobel, poi filosofo, fu un empirista puro, completamente coinvolto nella corrente del naturalismo e del positivismo criticata da Husserl. Eppure, lo stesso Bridgman, a seguito delle critiche mossegli da Lindsay, ammise in una parziale "autocritica" che sono possibili "operazioni con carta e matita". Esse stanno al di fuori della scienza, la quale perviene a determinare il concetto della lunghezza semplicemente misurandola, con l'operazione della misurazione, ma non per questo sono da abiurare. L'autocritica di Bridgman, in fondo, legittima a posteriori persino la fenomenologia e la ricerca di essenze negate da gran parte della scienze e dalla filosofia positivistica ed epistemologica del Novecento.
L'onestà del filosofo e dello scienziato trova in Bridgman una componente essenziale: l'umiltà dell'autocritica, la quale non può essere misurata né per lunghezza, né per larghezza e nemmeno per profondità. Non è un corpo solido, non è solo un senso di colpa, in alcuni casi non lo è affatto. E' solo un riconoscimento dell'orizzonte limitato in cui si sono svolte le analisi precedenti. Giusto come disse Husserl, un riconoscimento che la genesi attiva della fondazione originaria (Urstiftungen) delle nostre credenze contiene passività ed abitudini mentali che fanno scordare ogni anteriore allargamento di orizzonte.
note:
(1) Franca D'Agostini - Breve storia della filosofia del Novecento - Einaudi 1999)
(2) citato in (1) senza altri riferimenti alla fonte
(3) Enzo Paci - Attualità di Husserl - in Idee per una enciclopedia fenomenologica - Bompiani, 1979
RG - 1 dicembre 2004