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Horkheimer e Adorno
La dialettica dell'illuminismo
Amsterdam 1947 - traduzione italiana - Einaudi 1966
L'illuminismo, secondo i due autori, difese e propugnò l'autodeterminazione razionale degli individui ma, finì con l'imporre al mondo una razionalità scientifica in grado di neutralizzare, se non di impedire, la stessa libertà che rivendicava al soggetto. Questa ragione scientifica, basata sull'oggettivazione della realtà, si proponeva di dominare tutto il mondo della natura, allo scopo di un suo sfruttamento strumentale. Con lo sviluppo della tecnologia, anche l'uomo, la vita umana stessa, sono diventati oggetto di analisi a scopo di dominio e manipolazione. Di fatto, il progetto illuminista si è risolto nel suo opposto. Tra la ragione come facoltà della scienza e la ragione come facoltà della libertà si è così sviluppato un conflitto, con la vittoria della razionalità tecnocratica.
A differenza dei marxisti tradizionali, Horkheimer e Adorno credono che non sia tanto, e non sia più, la proprietà privata dei mezzi di produzione a generare nuove forme di schiavitù e servitù, ma al contrario, sia, per così dire, la volontà di potenza iscritta nel codice genetico della ragione strumentale a generare l'appropriazione del mondo da parte di piccole elites. Non solo: ormai sarebbe dimostrato che l'abolizione della proprietà privata non ha portato ad alcuna liberazione. Dalla volontà di dominio possono sorgere, come nel comunismo sovietico, forme ancora più aberranti di oppressione di quelle storicamente espresse dalle società borghesi.
Secondo Horkheimer e Adorno, c'è una perfetta identità, quindi tra logica del dominio e logica illuministica.
Illuminismo, diventa così sinonimo di pensiero borghese ed il suo significato viene esteso (secondo alcuni in modo eccessivo e confusionario) a tutta la tradizione soggettivistica, da Cartesio a Bacone, ai suoi foschi scrittori (Machiavelli, Hobbes e Mandeville), non ignorando nemmeno quel bravuomo di Kant. Il criticismo kantiano, secondo Horkheimer e Adorno, ha ridotto l'oggetto a semplice materiale caotico. La mente del soggetto assume così il compito di piegarlo al suo modo di vedere a priori. Se Kant non è che l'estrema consapevolezza del borghese, il positivismo di Comte, Stuart Mill e Spencer è la sua definitiva consacrazione, mentre il pragmatismo americano non èaltro che l'espressione di un efficientismo razionalizzante e privo di scrupoli. (tema evidenziato nell'Eclissi della ragione, opera del solo Horkheimer)
L'illuminismo, che in origine si proponeva di rendere l'uomo meno timido e pauroso nei confronti della natura e dell'ignoto, del mito e delle superstizioni religiose, ha così liberato una sorta di mostruosità insita nell'uomo stesso, che si è scatenata prima nei confronti della natura, e poi nei confronti dei propri simili. Tuttavia, proprio questa "follia" razionalistica, si è risolta, in modo quasi hegeliano-marxiana nella sua negazione: il dominatore si è fatto dominare dai suoi stessi strumenti, dai suoi servi e dalla sua praxis. Completamente scisso dalla natura, alienato del suo tempo, quasi dimentico del fatto che alla base del suo fare, dell'essere homo faber, c'era la ricerca di maggior piacere e più grandi vantaggi, il borghese-illuminista si è imposto un'etica ed una disciplina rinunciataria, una forma di continua astinenza a favore dell'impegno e del lavoro, diventando così identico al suo strumento: l'operaio contemporaneo.
Metafora, invero profetica, di questa condizione alienata sarebbe il mitico Ulisse e l'Odissea la sua storia (forse vi sono in questa scelta più echi di Joyce che di Omero). L'allegoria dell'homo faber uguale all'Ulisse che incontra le sirene è pregnante. Facendosi legare all'albero maestro, egli può sentire l'ammaliante richiamo della felicità e del sublime piacere, ma legato come un salame, non può approfittarne.
Però, la lezione che Omero intendeva inviare era un po' diversa. Le sirene erano, in ogni caso, perdizione. Ulisse volle solo conoscere direttamente e sperimentalmente, e non per "sentito dire", il limite estremo della tentazione, il canto sovraumano, la musica del paradiso come anticamera dell'inferno, senza alcuna intenzione, però di finire all'inferno egli stesso. Che ci sia finito, per incontrare Achille, è un'altra storia.
moses - 27 ottobre 2004