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Thomas Hobbes
La politica come scienza

Hobbes diede una prima sistemazione alle sue idee nel progettato De Corpore, che poi fu inserito nell'opera inedita Elements of Law.
In tale contesto asserì che la sola fonte di conoscenza sono le sensazioni prodotte dal movimento dei corpi esterni; tali movimenti sono meccanici e seguono la logica di causa ed effetto. Anche l'uomo è un corpo dotato di movimento vitale, un corpo che tende ad autoconservarsi. Le sue passioni sono il risultato dell'incontro tra il movimento dei corpi esterni ed il movimento vitale, che è identificato con l'istinto di autoconservazione. Molte sono le passioni generate, ma la più nobile, secondo Hobbes, è l'ambizione di di essere riconosciuti dagli altri per il prorio valore.
Su queste scarne basi, un misto di concezioni meccanicistiche ed una psicologia elementare, Hobbes costruisce le considerazioni fondamentali della propria scienza politica, che viene esposta dapprima nel De Cive e poi nel Leviathan.

Come già detto, l'uomo è preoccupato unicamente di conservare la propria vita. Ciascun individuo tende per natura ad agire in modo egoistico, pretendendo di avere diritto a tutto e comportandosi come un lupo nei confronti dei suoi simili. La condizione generale iniziale dell'umanità è quella di una guerra di tutti contro tutti (bellum omnium contra omnes).
L'opposizione alle concezioni politiche discendenti da Aristotele non poteva essere espressa più lucidamente: l'uomo non è, per natura, un'animale politico e socievole. La natura, semmai, fa comprendere all'uomo che lo stato di guerra tutti contro tutti non è sopportabile, la vita di ognuno è costantemente in pericolo. Ed anche questa è una legge di natura. Essa spinge a trovare un accordo con gli altri e fissare le condizioni di pace, rinunciando in primo luogo al diritto a tutto. Così, da tale patto, nasce lo stato civile, che non è dettato da un fine morale, ma eminentemente utilitario.
Il patto cui danno vita gli uomini è un patto d'unione (pactum unionis) che vincola tutti coloro che lo sottoscrivono una volte per tutte.

Ora, bisogna intendere che quello descritto sopra è solo il primo passo. Gli uomini, per egoismo e quindi, per natura, tendono a violare i patti. Occorre un potere coercitivo che costringa a rispettarli. Ecco allora che nasce il patto di soggezione (pactum subjectionis), che impone la rinuncia a tutti i propri diritti, tranne il diritto alla sopravvivenza. Tutti gli altri passano nelle mani del sovrano, insieme ai poteri. Come Bodin (vedi), Hobbes teorizza la necessità che il sovrano non sia tenuto a rispettare le leggi civili che egli stesso impone. Ed anche Hobbes ammette che non ha molta importanza quale sia la forma della sovranità (monarchia o repubblica, il potere sovrano nelle mani di uno o di molti, ecc...)

Sostanzialmente, Hobbes individua tre principali ostacoli al necessario costituirsi dello stato assoluto ed alla sua indispensabile unità. Il primo è costituito dall'autorità religiosa, non importa di quale chiesa. Tutte le chiese, per Hobbes, sono portatrici ( o meglio, credono di essere detentrici) di un potere superiore a quello statale. Non a caso, tutte le dottrine che legittimano la resistenza ai decreti del sovrano nascono in ambiente clericale, il quale si ritiene superiore a quello civile, perché ispirato direttamente da Dio. La polemica di Hobbes non ha per obiettivo una chiesa particolare, anche se l'attacco alla chiesa cattolica è più violento. Ciò è dovuto al fatto che è essa stessa stato, e da sempre tende ad ingerire pesantemente. D'altra parte, Hobbes coglie nel segno, asserendo che è propagatrice di ignoranza e superstizione; il che è esattamente il contrario del messaggio cristiano. Ma anche rispetto alla chiesa anglicana, che non vorrebbe rinunciare al potere di nominare i vescovi, Hobbes (che qui pretende davvero troppo!) non nasconde la sua indignazione.
Vale la pena di richiamare quanto scrisse Norberto Bobbio: «Di fronte alla religione Hobbes assume l'atteggiamento dello scienziato moderno, se pur corretto da una profonda assimilazione della cultura umanistica: è un atteggiamento spregiudicato ma non volgarmente irrispettoso, più agnostico che distruttivo, grossolanamente prammatico,se mai, ma non radicalmente negativo. Sul piano teoretico la religione è semplicemente accantonata come qualcosa che non niente a che vedere con la ricerca inventiva e col ragionamento dimostrativo e di cui quindi, non si può avere scienza alcuna. In pratica, invece, è accolta per il suo valore pedagogico, purché sia regolato, disciplinato, controllato dallo stato, che solo risponde e quindi può disporre della condotta dei sudditi. Quel che Hobbes respinge con veemenza è la religione trasformata in superstizione, il culto divino in adorazione idolatrica,lafede in credulità, è insomma il miracolismo volgare, la speculazione sull'ignoranza, la subdola provocazione di furibondi fanatismi.» (1)

Forse, costretto dal suo stesso tentativo di dare una base razionale allo stato, Hobbes si profonde in esegesi delle sacre scritture che destano comunque un certo interesse. Contro ogni forma di chiliasmo (vedi), ed in singolare consonanza con vecchie dottrine cattoliche, afferma che il regno di Cristo non è di questo mondo, perché Cristo non è venuto a comandare, ma ad insegnare. Per questo, non vi è alcuna autorità che possa legittimarsi sulla Parola di Cristo. Su questo piano, non ha nemmeno senso il contrasto tra leggi civili e leggi religiose, perché solo le prime hanno un valore. La chiesa deve obbedire allo stato, ed i suoi ministri devono obbedire allo stato perché esiste un solo potere.

Il secondo ostacolo fondamentale alla piena affermazione dello stato è il Parlamento, costituito dalla grande nobiltà (Camera dei Lords) e dalla piccola nobiltà (Camera dei Comuni). Lo stato inglese è, più di ogni altro in Europa, uno stato misto di quelli auspicati da Machiavelli sull'esempio dell'antica repubblica romana, uno stato che prevede cioè, la suddivisione dei poteri in un quadro di equilibrio.
Ma, come osserva ancora Bobbio, «L'indivisibilità del potere sovrano è una delle idee fisse di Hobbes, ed era del resto uno dei capisaldi della dottrina politica del primo e più celebre teorico dell'assolutismo da lui ben conosciuto, Giovanni Bodin,... Ma Hobbes ha di mira soprattutto quella divisione dei poteri che viene messa in atto quando si attribuisce la facoltà di imporre i tributi ad un organo diverso da quello cui spetta il diritto di guerra e di pace: e l'allusione alla situazione inglese non potrebbe essere più trasparente. Tale situazione, secondo Hobbes, non è punto tollerabile; anzi, è contraddittoria. Con un ragionamento dilemmatico, che è il suo modo preferito di condurre all'assenso, pone il problema in termini di estrema concisione: o i poteri non sono in realtà divisi, perché chi comanda è colui che detiene il potere di imporre tributi, e allora lo stato non è più misto ma assoluto, o i poteri sono realmente divisi, e allora non c'è stato ma mancanza di stato, anarchia, guerra civile.» (1)

Il terzo ostacolo è individuato nel persistere in Inghilterra della common law, ovvero l'insieme di leggi, spesso non scritte e tramandate per consuetudine, che continuavano ad avere il primato sulle stesse leggi promulgate dal sovrano. Il primato della common law era sostenuto da molti giuristi, tra i quali l'eminente sir Edward Coke. Questa situazione fu definita da Hobbes il "regno delle tenebre". L'unica legge valida, per Hobbes, ha da essere quella emanata dal sovrano, chiunque esso sia.


note:
(1) Norberto Bobbio - Introduzione al De cive in T. Hobbes, Elementi filosofici sul cittadino - Utet, Torino 1948; ora anche in: Norberto Bobbio - Thomas Hobbes - Einaudi 1989 e 2004.