| home | filosofia moderna | destra-sinistra | Hobbes |

Thomas Hobbes
Il fine della filosofia

Hobbes mostrò sempre un certo disprezzo per la filosofia greca e la scolastica medioevale. Ai filosofi greci rimproverava di aver insegnato a discutere (quindi a ragionare), istigando così la gente a decidere secondo il proprio arbitrio. Si tratta di una posizione chiaramente reazionaria che però è simmetricamente funzionale alla sua teoria politica: il popolo non deve discutere, ma obbedire, s'intende, per il bene del popolo stesso.
In certo senso, si è osservato che la posizione di Hobbes è simile a quella di Anito, il capo ateniese che mandò sotto processo Socrate.
Alla scolastica, Hobbes rimproverava di non essersi limitata a trasmettere la pura fede cristiana, e di aver fatto ricorso alle argomentazioni dei filosofi, ovvero alle "opinioni di privati".

In quest'ottica piuttosto rigida, sembra che Hobbes volesse distruggere la filosofia o comunque imbrigliarla. Per lui, la ricerca filosofica deve essere ridimensionata al solo punto di procurare l'utilità all'uomo. Il che, detto da Platone, apriva prospettive sconfinate, mentre, in bocca ad Hobbes, si riduce a poco: dominare la natura, come prospettato da Bacone e, soprattutto insegnare a come assicurare protezione ai cittadini, quindi garantire la pace sociale, unica vera condizione di sicurezza.
Hobbes parla espressamente di garantire la sopravvivenza fisica, e la sua filosofia politica, come appare chiaro da alcune pagine del Leviatano, si basa sulla paura naturale che l'uomo ha di morire.
Gli uomini possono (e devono) rinunciare alla libertà in cambio della sicurezza. Che questa semplice e preoccupante (per chi ha a cuore la libertà, s'intende) considerazione sia alla base di tutta la filosofia hobbesiana, non deve stupire. Egli sapeva bene, da saggio qual'era, che dove finisce la paura, comincia il calcolo delle convenienze e che comunque conviene a tutti, persino ai forti ed ai prepotenti vivere in uno stato sicuro e tranquillo, sotto leggi certe ed un potere centrale forte che le faccia rispettare.

Comunque sia, è a partire da qui che Hobbes compie le sue operazioni fondamentali, ovvero la giustificazione dell'assolutismo politico e la fondazione di una scienza politica, o meglio, la definizione della politica come scienza. Per legittimare questa sua seconda acquisizione, Hobbes è costretto a mutuare dalla filosofia naturale di Galileo l'idea che l'unica vera sceinza finora scoperta dall'uomo sia la meccanica, cioè la matematica applicata ai fenomeni fisici. La vera realtà oggettiva, distinta da quella soggettiva delle impressioni e delle idee, è costituita dai corpi materiali e dai loro movimenti nello spazio. Le essenze, le qualità ecc... non esistono se non nella nostra testa.
Dunque, può darsi una politica come scienza solo se essa riduce ed inquadra il mondo sociale alla maniera del meccanicismo.
moses - 10 novembre 2004