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Heidegger: Essere e tempo
Essere e tempo rappresenta una specie di Odissea moderna alla ricerca di un "senso" del quale, alla fine, è trovato solo un annuncio: l'essere deve ancora essere analizzato. Finora, sembra dire Heidegger, abbiamo considerato solo l'esserci (il Dasein); manca completamente il "senso" del Sein. C'è un ostacolo sul nostro cammino: tutta la filosofia, meglio ancora, quelle filosofie che hanno allontanato dal vero problema, dal pensiero greco a quello contemporaneo. Accettando come ovvio e già dato il "senso" dell'essere, la tradizione metafisica va considerata nel suo insieme come un pensiero della "presenza".
In poche incisive parole, Pier Aldo Rovatti ha reso i termini della questione: tale «presenza è "semplice" perché è il risultato di una semplificazione, di una vera e propria amputazione: sottratto dal suo complesso gioco con l'assenza, l'essere qui e ora del presente si blocca in una dimensione che, a veder bene, non ha tempo, è priva di temporalità. Ma è priva anche di spazio, perché a sua volta lo spazio è intimamente connesso con la temporalizzazione. Eppure questo modo di guardare la realtà, rendendola così povera e vuota mentre produce l'illusione che sia piena e ricca, è il modo "ovvio": esso pervade la quotidianità, e non cessa di dare la sua impronta alla filosofia stessa, la quale, perpetuando un pregiudizio che mina alla base ogni sua affermazione, viene meno proprio al suo compito che sarebbe quello di porsi innanzi tutto il problema di tale ovvietà e di prendere da essa una distanza.» (1)

In Essere e tempo viene dunque formulato il problema che terrà occupato Heidegger per tutti i suoi giorni, quello dell'essere. Secondo Heidegger, la tradizione della metafisica ha mancato di riflettere sul problema dell'essere perchè, anche quando compare, non viene pensato in rapporto col tempo, come articolazione di passato, presente e futuro. Nella tradizione della metafisica l'essere è ridotto a ente e quindi viene tematizzato solo in quanto presente. Tale errore viene ricondotto a Platone ed Aristotele. Essi diedero vita ad una metafisica della presenza. Ma il presente, per Heidegger, può essere solo nella dimensione del tempo. Si tratta perciò di ritornare a pensare l'essere anche rispetto a passato e futuro, affinché l'essere non venga più pensato in una sola dimensione, la quale ha un carattere stabile, e solo per questo non può sfuggire al controllo ed al dominio del soggetto.
Essere e tempo era quindi il titolo appropriato per l'opera che Heidegger voleva compiere. Il testo doveva includere due parti, ciascuna divisa in tre sezioni. Ma il progetto si interruppe alla seconda sezione della prima parte.
Fino al termine, il filo conduttore è fornito dall'analisi della condizione dell'uomo, ente privilegiato che è il Dasein, ovvero l'esserci. L'esserci ha questo privilegio, avendo sempre la possibilità di porsi il problema dell'essere. Secondo Heidegger, tale problema ha portata esistenziale, quindi ontologica, e non esistentiva, quindi ontica. La differenza di significato tra "ontico" ed "ontologico", già adottata da Husserl, è che una conoscenza ontica è di natura empirica, e non arriva alla cosa in sè, all'ente in quanto è.
Quest'analisi non può dunque risolversi nell'antropologia o nella psicologia, tanto meno nella biologia. Il carattere ontico della conoscenza è ogni considerazione sull'ente che si ferma senza arrivare a mettere in questione il suo essere. Il carattere fondamentale dell'esserci umano è l'essere-nel-mondo, non il suo essere soggetto,anima o pensiero. Essere-nel-mondo non significa starci dentro come una cosa, ma assumere il mondo come orizzonte del progetto. La progettualità umana è definita trascendenza, che non è un comportamento possibile tra i tanti, ma la stessa costituzione fondamentale dell'esserci. D'altro canto, il mondo non è una cosa, ma il campo di possibilità dell'umano trascendere. Dunque l'esserci ek-siste nelo senso etimologico della parola, "sta fuori" ed "oltrepassa" la realtà in direzione della possibilità. Insistendo su tale differenza tra la propria concezione di esistenza e quella tradizionale, Heidegger può dire che l'essenza dell'essere umano è l'esistenza. Tuttavia, i modi d'essere dell'ek-sistere non sono descrivibili mediante categorie. Con esse si determinano le caratteristiche delle cose semplicemente presenti. I modi d'essere dell'esistenza si determinano attraverso esistenziali, nei quali, a differenza che nelle categorie, è custodita la possibilità.

I due esistenziali fondamentali sono il sentire situato (Befindlichkeit) e il comprendere (Verstehen), che indicano rispettivamente la passività e la ricettività, determinati secondo discorso.
L'unità degli esistenziali è chiamata Sorge, cura. Sorge significa per Heidegger la responsabilità che ci si assume di fronte alle cose, il modo con cui ad esse si risponde. Si può avere cura di esse in modo sia autentico che inautentico; la differenza non è tipo morale. «L'esistenza autentica - scrive Heidegger - non è qualcosa che si liberi al di sopra della quotidianità deiettiva; esistenzialmente essa è solo un afferramento modificato di questa [...] L'interpretazione ontologico esistenziale non ha la pretesa di formulare giudizi ontici sulla "corruzione della natura umana"; e ciò non perché ne manchino le prove, ma perché la sua problematica si pone al di qua di qualsiasi giudizio sulla corruzione o non corruzione degli enti.» (2)
Il rapporto tra uomo e cose consiste dunque nel prendersi cura delle cose, mentre quello tra uomo e gli altri consiste nella cura delle persone. La cura è dunque la struttura fondamentale dell'esserci, e si può manifestare in due modi. Il primo consiste nel sottrarre agli altri le loro cure; il secondo consiste nell'aiutare gli altri ad essere liberi di assumere le proprie cure. Nel primo modo non ci si cura degli altri, ma delle cose da procurare loro. Nel secondo si apre agli altri la possibilità di trovare sé stessi e realizzarsi. Potrebbe sembrare la riproposizione della dialettica servo-padrone che apre l'hegeliana Fenomenologia dello spirito, sebbene detta in altro modo, e con altre valenze. Resta che Heidegger considera la prima modalità come forma inautentica della coesistenza: è semplice "essere assieme". Solo la seconda è vero coesistere.

In questo scenario si rivela così l'esistenza anonima, cioè la vita di chi ascolta passivamente "il si dice" o "il si fa", rendendosi succube di questa generale anonimia del "così fan tutti". E' il senso della vita? Se sì, tutto è livellato, reso "ufficiale" convenzionale e, ovviamente, insignificante. Il linguaggio che per sua natura sarebbe svelamento dell'essere, diventa chiacchiera inconsistente. Ma un'esistenza così vuota cerca di riempirsi, perciò è morbosamene attratta dalle novità. E' caratteristica della curiosità, non per l'essere delle cose, ma per la loro apparenza visibile. Ciò porta all'equivoco, che nell'esistenza anonima conduce a non sapere nemmeno di che si sta parlando.
Ecco dunque la deiezione, cioè la caduta dell'esserci al livello delle cose. Tuttavia, nonostante l'orrore che si può provare di fronte ad un simile condizione che improvvisamente si svela di fronte a noi, tale deiezione non va considerata come un peccato originale e nemmeno come un accidente superabile con il progresso umano e scientifico. Essa fa parte dell'esserci, dipende dal trovarsi gettati nel mondo, in mezzo agli altri, al loro stesso livello esistenziale. Tale condizione viene quindi vissuta nella condizione emotiva in cui l'uomo si sente fondamentalmente abbandonato.

La seconda sezione di Essere e tempo prova ad analizzare il senso dell'essere, individuato nella temporalità. A ciò si perviene considerando la contraddizione tra l'essere dell'esserci come possibilità progettuale e la morte, che esprime la più radicale impossibilità dell'esistenza. Tale contraddizione è apparente perché da un lato l'esserci è compiuto quando a tutti i suoi modi d'essere si aggiunge l'esser morto, ovvero si è un ci che non ci è più. Ma la morte è anche tale per cui, col suo arrivo, nulla è più possibile per l'esserci come essere-nel-mondo.
Come possibilità "più autentica" e "più propria", lungi dal chiudere l'esserci in un circolo disperato, la morte può aprirlo alle sue possibilità più autentiche, se non viene affrontata come un fatto ineluttabile, ma viene anticipata come ciò che rende possibile la possibilità, cioè la fa apparire veramente come tale. Ciò consente, secondo Heidegger, di evitare di irrigidirsi in una possibilità, assumendo se stessi come eterno poter-essere.
Per anticipare la morte occorre una decisione che consente all'esserci di rappresentarsi come puro poter-essere, riconoscendosi così nella sua vera essenza. La morte è una possibilità incondizionata perché appartiene all'uomo considerato come individuo isolato. Tutte le altre possibilità tengono l'uomo in mezzo alle cose del mondo, in mezzo all'umanità; solo la morte isola l'uomo e lo pone solo con se stesso. Essa è l'unica certezza, e qui Heidegger fa a pugni con la logica parlando di "possibilità certa", ma è per esprimere questo doppio carattere della morte, vista insieme come possibilità anticipata e come unica certezza. L'esistenza quotidiana anonima, cioè quella della chiacchiera inconsistente rivolta alle vanità mondane, non è che una fuga di fronte alla morte. L'esserci nasconde la morte, la rimuove. Solo la voce della coscienza richiama l'uomo alla morte, al suo essere-per-la-morte. Ovviamente, vivere per la morte non ha il significato di realizzarla con il suicidio. Vivere per la morte non è nemmeno attesa. Piuttosto, è comprendere l'impossibilità dell'esistenza come tale. Tuttavia è possibile comprendere tale impossibilità: questo è il vero senso del vivere per la morte. C o m p r e n d e r e. Ogni comprensione è accompagnata da uno stato emotivo, l'angoscia. «L'angoscia è la situazione emotiva capace di mantenere aperta la continua e radicale minaccia che sale dall'essere più proprio ed isolato dell'uomo.» (3) L'angoscia pone l'uomo di fronte al nulla e la sola esistenza autentica è quella che comprende chiaramente (e emotivamente) la radicale nullità dell'esistenza.

La temporalità non è, per Heidegger, il tempo dei calendari e degli orologi che misurano e datano gli eventi. Non è nemmeno il tempo soggettivo della coscienza pura. Piuttosto, la temporalità si manifesta in primo luogo nell'essere-per-il-futuro dell'esserci in senso pratico, che può risultare autentico o inautentico. Nell'esistenza autentica la cura dell'esserci è dispersa nel mondo. Nella vita autentica, al contrario, l'esserci deve scegliere la possibilità più possibile. E proprio nel momento della più autentica libertà, l'esserci viene a trovarsi dipendente, quindi asservito, da possibolità tramandate e ereditate. Quindi l'esserci autentico ha uno sguardo temporale rivolto al passato, oltre che al presente ed al futuro. In tale contesto, l'esserci autentico si può appropriare del proprio destino.

L'ostacolo che incontrò Heidegger a chiudere Essere e tempo, secondo le sue ambizioni iniziali, fu di natura linguistica. Avrebbe voluto affrontare il tema del senso dell'essere in generale ma, non trovava le parole per dirlo. La natura della difficoltà venne evidenziata più tardi nella Lettera sull'umanismo del 1947. Qui cercò di spiegare che l'analitica dell'esistenza aveva il il senso di "un pensiero che sta abbandonando la soggettività" per aprirsi "alla luce dell'essere". La III sezione non venne composta perché il suo pensiero si trovò impossibilitato a formulare la "svolta". Il linguaggio di cui disponeva allora Heidegger, quello della tradizionale metafisica della "presenza", era inutilizzabile. «Il linguaggio - spiegherà Heidegger nella Lettera sull'umanismo - non è una manifestazione di un organismo o espressione di un essere vivente. Perciò non è possibile intenderlo, nella sua essenza,in base al carattere di segno e forse neppure in base a quello di significato. Il linguaggio è evento illuminante e proteggente dell'essere.» (4)
(1) Pier Aldo Rovatti - La posta in gioco / Heidegger, Husserl, il soggetto - Bompiani 1987
(2) M. H. - Essere e tempo - § 38
(3) M. H. - Essere e tempo - § 53
(4) M. H. - Lettera sull'umanismo - ora in