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Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 - 1831)

10. La filosofia della religione

di Renzo Grassano

La posizione di Hegel sulla religione ci è, in parte, già nota. Abbiamo visto come cominciò a delinearsi negli scritti giovanili, e come via via cambiò, sia attraverso la Fenomenologia, sia nella Scienza della Logica, che negli scritti successivi. Il punto di vista finale di Hegel è quello espresso nelle Lezioni sulla filosofia della religione, in parte manoscritto dallo stesso Hegel, in parte derivante dagli appunti di alcuni discepoli, presi durante te le sue lezioni all'università di Berlino.

Il primo problema che Hegel presenta ai suoi allievi nelle lezioni di Berlino è quello del rapporto tra la filosofia della religione e la religione stessa. Per Hegel, la filosofia della religione non deve creare la religione, che c'è già nelle sue forme storiche e concrete: deve semplicemente riconoscerla, probabilmente riconciliarsi con essa, visto che è reale, ed in quanto reale, razionale. Dunque, si tratta, semmai di giustificarla, non in termini di fede, del ci credo a quello che mi viene detto, ma in termini di comprensione razionale, cioè assumendo il punto di vista dell'assoluto.
Siamo, come si vede, a qualcosa che non potrà mai essere accettato da chi si professa religioso, se questi non sale al livello della vera filosofia. Per il credente, infatti, sulla scia di Tommaso d'Aquino, la filosofia è accettabile, e persino auspicabile, solo se si pone al servizio della verità teologica, se accetta la rivelazione che l'uomo ha ricevuto in esclusiva da Dio, mediante la mediazione delle scritture e gli insegnamenti della tradizione, quindi dagli uomini di chiesa. Ma questa, non è la vera filosofia, ma solo un suo momento storico.

Hegel ha però di fronte un altro tipo di avversario: il romanticismo esasperato di Jacobi, Schleiermacher, lo stesso Schelling. Per tutti questi, ed anche altri, sostanzialmente e paradossalmente né la filosofia, né la religione sono insegnabili, nel senso che sono, cioè, spiegabili e quindi comprensibili. Ci si può informare. Si può venire informati di che dice la Bibbia, oppure il Papa, oppure l'ultimo grido in fatto di teologia o filosofia, ma senza il colpo di genio e l'intuizione immediata, non c'è comprensione.
Hegel, che era un testone, uno che andava sempre avanti anche quando non capiva, sia per esperienza personale che per il lungo lavorio del ragionamento, si ribellò a questo andazzo.
E scrisse: " La religione può essere insegnata, questo insegnamento può essere dato, può cominciare dalla rappresentazione, e questo è il lato pedagogico (...) La religione ha un contenuto rappresentato in modo oggettivo. Perciò questo contenuto rappresentato può essere comunicato (...) Altra cosa è infiammare il cuore, eccitare i sentimenti: questo non è propriamente un insegnare, è un interessare la mia soggettività con qualche cosa che può ben farsi con un sermone oratorio e non essere un insegnamento. Se si parte dal sentimento e si pone questo come il primo originario e si dice che le rappresentazioni religiose provengono dal sentimento si dice da una parte cosa esatta (...) Ma d'altra parte il sentimento è così indeterminato che in esso può esservi tutto e sapere ciò che si trova nel sentimento non appartiene al sentimento stesso, ma è dato dalla cultura e dalla dottrina che ne comunica la rappresentazione. " (dalle Lezioni sulla filosofia della religione)

Ora, il problema è piuttosto semplice: Hegel e le chiese cristiane, non tutte per la verità, dicono pressochè, e fino ad un certo punto, la stessa cosa. Ma dicendola da punti di vista totalmente diversi: mentre la filosofia è in grado di comprendere e riconoscere la religione come un suo momento, un momento fondamentale della vicenda dello spirito, la religione, cioè le chiese, non possono permettersi tanto lusso, perchè ne andrebbe della religione stessa, la quale si basa sulla fede nella credenza e non su movimenti speculativi della ragione.
In altre parole, sulla scia di Kant, ma con un vigore ben maggiore, Hegel spezza uno dei dogmi fondamentali di tutte le chiese cristiane, ovvero che siamo giustificati per fede, come aveva insegnato San Paolo, e come aveva riscandito Lutero, che credeva nella ragione umana, ma era anche totalmente scandalizzato dalle aberrazioni di essa.
Accettare il dogma della fede significa, per Hegel, negare la possibilità stessa che l'assoluto si riveli in filosofia, o meglio, negare la possibilità di ricomporre la frattura tra l'umano ed il divino, interdicendo all'uomo la buona novella di una filosofia che concili finito ed infinito, cielo e terra, quindi uomo e Dio.
Questo, per Hegel, sarebbe il vero sacrilegio, interdire all'uomo la conoscenza dell'Assoluto, cioè continuare a credere che Dio sia qualcosa d'altro, qualcosa di inattingibile. Quindi proseguire nella eterna messainscena della rappresentazione, che è appunto la quintessenza della religione stessa, la cui forma tipica è: la rappresentazione di Dio come altro, qualcosa che l'uomo non può capire, e, forse, nemmeno imitare, se non esteriormente, come predicava la teologia dell'imitazione di Cristo.

Questo era dunque il vero motivo per il quale Schleiermacher, Schelling, il re di Prussia e tutte la bella compagnia delle chiese luterane presero in forme diverse, ma contigue, una chiara posizione antihegeliana. Accettare la filosofia di Hegel sulla religione, significava distruggere la religione stessa: ridurla ad un sapere inferiore, a qualcosa di superato dallo Spirito assoluto ormai tornato totalmente in sé stesso, al punto da coincidere con il soggetto e con l'oggetto, al punto da essere oggetto di sé e soggetto del proprio oggetto.
Eppure, Hegel, proprio su questo piano, non può essere tacciato di disonestà od immoralità, o chissà che altro.
Avendo avuto l'ardire di salire alla ricomposizione totale di soggetto ed oggetto, di uomo e Dio, di limitato ed assoluto, egli aveva sicuramente visto prima di altri, ciò che altri avrebbero visto dopo Hegel. Ovvero che il Dio della religione cristiana non è qualcosa di diverso da una autorappresentazione dell'uomo, ovvero che Dio è una creazione dell'uomo, anche quando è lo Spirito che insegna all'uomo l'esistenza di Dio.

Non si tratta qui di un giochetto di parole: sono termini che hanno sostanza e spessore, un significato.
Dio è una trinità: il Padre è l'autorità, la forma più sviluppata di coscienza, ma anche pura soggettività, che si trova al di là della comprensione del Figlio, almeno fino a quando il Figlio stesso non conosce e non comprende appieno la storia del Padre, diventando con ciò oggettività.
Ma è solo sparendo, esattamente come il Padre, uscendo dalla visibilità e dall'orizzonte terreno, che da entrambi emana la luce necessaria a comprendere la vera natura delle cose: ecco lo spirito di verità, lo Spirito Santo che guida la comunità dei credenti, la chiesa. Il problema, a questo punto, è che i credenti smettano di essere dei creduloni, per diventare filosofi, cioè certi della loro identità con l'Assoluto.

Per Hegel, tutto questo è la rappresentazione esteriore di una verità interiore, qualcosa che diventa chiaro solo sotto la forma del concetto, cioè della razionalizzazione filosofica. Ma, se rimane rappresentazione, finchè rimane a questo stadio, può solo essere creduta, o come storia vera, avvolta nel mistero, o come frutto di fantasia. Ed è per questo che la filosofia supera, incorporondola, la religione. Perchè sa spiegarla e giustificarla.
Perciò, secondo Hegel, la filosofia della religione è la forma più alta di culto religioso. In essa Dio si manifesta non come fenomeno (il roveto ardente, i miracoli e la predicazione di Cristo) ma come pensiero.

Siccome alla religione è essenziale il rapporto tra Dio e la coscienza, la prima forma della religione è l'immediatezza di questo rapporto, che è propria del sentimento. Ma questo, sebbene dia la certezza dell'esistenza di Dio, non è in grado di giustificarla e di riprodurla sul piano discorsivo e razionale come verità universalmente valida. Potremmo dire, con Hegel e contro Schleiermacher, che il sentimento non è la forma adeguata alla rivelazione di Dio. Con l'arte, che nella Bibbia è arte del racconto, e che presso altri popoli è arte della rappresentazione visiva, si fa un grande passo in avanti. Ma, nell'intuizione sensibile che è tipica dell'arte, Dio è ancora separato dall'uomo. Si da un dualismo tra l'oggetto intuito e il soggetto che vuole sapere.
La religione esige, di per sé, l'unità della coscienza religiosa e del suo oggetto. Questo accade nella rappresentazione, che per Hegel è un fatto dinamico e non statico, è poesia o prosa, o teatro, non immagine fissa, o scultura.

La storia del fenomeno religioso interessa ad Hegel come manifestazione sostanziale e non come elencazione di costumi e credenze. La sua sintesi, per quanto possa apparire discutibile, come tutte le sintesi, del resto, rimane in questo campo un modello da osservare con attenzione.
Anche la religione, come l'arte, conosce diverse forme, pur mantenendo l'identico contenuto.
La prima delle figure storiche è la religione naturale, che si praticava nell'antico oriente, dove Dio era presentato come natura o come sostanza, dunque come una realtà impersonale.
A questa fase segue quella della religione che ha per oggetto una realtà personale, un Dio-persona, come nella religione ebraica, od in quella greca, e persino in quella romana.
Ma, è solo nel cristianesimo che si ha una religione compiuta e rivelata, la religione compatibile con la filosofia, e da essa superabile, perchè è nel cristianesimo che il soggetto divino, divenendo uomo, emana lo spirito del mondo.

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RG - 16 dicembre 2002