| home | la filosofia del Novecento | la filosofia oggi e domani | destra-sinistra | dizionario |discussioni |

Giulio Giorello - Di nessuna chiesa
Raffaello Cortina 2005
di Eric Amich
Niente di nuovo, solo un promemoria denso, ben scritto, utilissimo a chi volesse ripassare l'ABC di un'ispirazione libera e laica del pensiero, al di là e contro ogni visione dogmatica.
Lo spettro che si aggira oggi per l'Europa, e soprattutto per l'Italia è quello del relativismo. Per molti aspetti, lo credo fermamente, il relativismo è un'invenzione degli avversari di qualcos'altro, quindi una costruzione artificiosa di posizioni inesistenti. Una caricatura assai poco ironica a tutto danno di una rappresentazione corretta e veritiera. Ma Giorello non si dà molta pena per smascherare l'inganno. Attacca il dogmatismo senza mezzi termini, rimproverandogli i crimini contro la libertà, la tolleranza ed, in definitiva, la verità. E credo faccia molto bene. In fondo, riconosciamolo, ci sono molti aspetti del nostro pensiero che non possono non dirsi relativisti.
«Come diceva John Locke - scrive - siamo costretti a scegliere "non nel chiaro meriggio della certezza, ma nel crepuscolo delle probabilità" - il che comporta rischi e responsabilità in un mondo in cui ciò che pare opportuno (o, se si preferisce, buono) oggi non lo è necessariamente domani ( e spesso non lo è stato neppure ieri). E' in questo scarto che si misura la libertà dell'agire umano: una libertà che può essere talora vissuta come un peso intollerabile, al punto da rendere seducente l'offerta di un qualche principio assoluto - absolutus, cioè sciolto da qualsiasi contingenza.»
E' una tentazione ricorrente nell'esperienza umana. Quando la filosofia, da consolazione diventa sistema di certezze, credenza che si fonda su una presunta evidenza della "verità", ecco il dogma che sovrasta ed incatena. «C'è una parola latina che rende bene questo sovrastare: superstitio. Non ha necessariamente una connotazione spregiativa. Al contrario, possiede una propria dignità e rivela una valenza costitutiva dell'esperienza umana. Diventa superstizione nell'accezione volgare del termine solo quando se ne dimenticano origini e funzioni. Lo sapeva bene Baruch Spinoza, che per tutta la vita denunciò coraggiosamente la trasformazione degli artefatti in idoli ( e degli artigiani in idolatri).» Forse è azzardato far cominciare da Spinoza una concezione fallibilistica del sapere, certo non lo è per Voltaire. Sul piano dei contemporanei, Giorello richiama giustamente Charles Peirce, per il quale «vi erano tre cose " che non possiamo mai sperare di raggiungere con il ragionamento: la certezza assoluta, l'esattezza assoluta, l'universalità assoluta." Il fallibilismo - prosegue Giorello - non è una teoria, bensì un atteggiamento, uno stile di vita, un'opzione filosofica che Peirce non vedeva sovrastare la pratica della ricerca, ma annidarsi nelle pieghe della scienza. Un sapere assoluto, sciolto cioè dal vincolo della critica, avrebbe a suo dire precluso ogni rinnovamento dell'indagine. Né a difesa di tale assolutezza era lecito invocare lo spauracchio, agitato dai "conservatori" dei più diversi schieramenti, circa le "terribili conseguenze" che il fallibilismo avrebbe potuto avere: "Il conservatorismo [...] è totalmente fuori luogo nella scienza, che al contrario è sempre stata spinta in avanti dai radicali e dal radicalismo, nel senso dell'impazienza di portare le conseguenze all'estremo. Non però da un radicalismo arcisicuro, bensì da un radicalismo che tenta esperimenti."»

Tale atteggiamento, che è comune tanto allo scienziato quanto al filosofo liberato dalla superstitio, può essere contrastato non solo da una chiesa o da una conventicola ideologica, ma da una qualsiasi communitas, sia essa una dittatura feroce e rigida, sia essa una "morbida" democrazia.
Giorello racconta le vicende di Bertrand Russell «la cui chiamata al City College di New York (febbraio 1941) scatenò, prima ancora che l'intervento della legge, la vox populi(che alcuni vorrebbero vox Dei). "Professore di paganesimo, filosofo anarchico e nichilista morale": così lo dipinse The Tablet. E un consigliere del College non fu da meno: "Cane e vagabondo", da cacciare dal paese "dopo essere stato impeciato ed impiumato".» Finale della storia: un progressista democratico, il giudice McGeehan, scrisse nella sentenza che revocava la nomina a professore a Russell: «Ciascuno di noi è portato ad imitare la persona che ammira ed apprezza; Bertrand Russell è considerato una persona non comune, e perciò è pericoloso. La filosofia del signor Russell [ è...] in aperto contrasto con lo stato di New York.»

Credo bastino queste scarne citazioni per testimoniare la lucida ragionevolezza di questo piccolo-grande libro contro il dogmatismo.
EA - 11 agosto 2005