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Ludovico Geymonat (Torino, 11 maggio 1908 – Rho, 29 novembre 1991)

Nel saggio La libertà pubblicato da Rusconi nel 1993, Geymonat scriveva: «L'esistenza di un Potere ha sempre posto un freno alla libertà degli individui che vivono in questo Potere; nel contempo, ha però enormemente potenziato la loro capacità di incidere nella storia. Ciò che intendiamo combattere con la nostra analisi non è l'esistenza di un Potere ma la sua trasformazione in qualcosa di intoccabile, cioè in un'entità metafisica. Difendere la libertà significa difendere il cambiamento, o almeno, la possibilità di un cambiamento.» E' un passo breve ma denso, che rende sinteticamente la tensione essenziale che caratterizzò la vita di questo importante maestro di scienza, filosofia e vita. Tensione che non ha mancato di farsi sentire nella concreta vicenda con scelte che molti potrebbero giudicare incoerenti, quando non contraddittorie. In effetti, passare dalla condivisione del "neopositivismo" alla riproposta del "materialismo dialettico" di Engels e di Lenin - ben diverso dal Diamat canonizzato da Stalin - potrebbe destare qualche perplessità, non sempre superficiale. Ma questo, in un certo senso, è il "destino" del filosofo che prende posizioni troppo articolate e svolge indagini troppo profonde, arrivando ad accarezzare i paradossi dialettici delle tesi contrapposte di uguale valore. Ragion per cui, se si tratta di trovare il filo rosso del percorso seguito da Geymonat, tra oscillazioni, ripensamenti e puntualizzazioni, esso andrebbe cercato nella fiducia nella ragione e nella critica dell'irrazionalismo, facendo poi molta attenzione a bollare di irrazionalsmo qualche teoria o qualche scienziato.
Se tensione essenziale equivale a coerenza intesa come percorso intorno ad un nucleo, Geymonat fu sicuramente un campione di coerenza, realizzata nell'inquietudine "fredda" della ricerca razionale e metodologica, e nella passione "calda" per la causa dell'emancipazione umana mediante, appunto, il ricorso alla ragione e la diffusione della cultura scientifica in un paese che ne aveva imperioso bisogno. Nel giugno del 1953, intervenendo ad un convegno aperto da una relazione di Norberto Bobbio, sostenne con forza il dovere militante - in accezione pressoché kantiana di imperativo categorico - per l'uomo di cultura e filosofia, tenendo a distinguersi, su questo piano, dal "disimpegnato" Rudolf Carnap. Lo stesso Geymonat, tuttavia, ricorderà che solo pochi anni prima nei circoli della borghesia torinese si pensava esistessero due fratelli Geymonat: uno faceva il filosofo e l'altro l'amministratore del Comune! Tanta disattenzione si spiega col fatto che negli scritti di quel periodo non si trovava alcuna saldatura tra impegno teoretico ed epistemologico e attività politica pratica, salvo la breve citazione, peraltro significativa di una relativa presa di distanza dalla retorica storicistico-gramsciana dei marxisti italiani, che riportiamo: «L'individuo deve compiere la sua scelta in base ad una considerazione teoretica sulla modernità degli organismi di guerra, sulla maggiore o minore efficacia ni essi ad apportare ordine nella vita collettiva, sulla maggiore o minore loro idoneità a risolvere problemi politici ed economici del momento. Per esempio combatterà contro quel tipo di organizzazione sociale che suol denotarsi col nome di capitalismo, non perché ritenga che esso risulti un male in sé, ma perché ritiene che, nell'attuale situazione storica, sia incapace di porre un freno all'anarchia della produzione, al caos economico. Combatterà contro la monarchia, non perché l'istituzione monarchica risulti un male in sé, ma perché ritiene che, nell'attuale situazione storica, essa costituisce un impedimento al naturale sviluppo dello stato moderno.» (da Studi per un nuovo razionalismo - Chiantore - Torino 1945) A rigor di logica e cronologia si potrebbe osservare che nel '45 la scelta togliattiana di costruire una cultura nazionale marxista (comunista) centrata sullo storicismo hegelo-marxiano e sulla critica di Gramsci a Croce, non era ancora compiutamente maturata. La grande operazione culturale operata con la pubblicazione dei
Quaderni dal carcere iniziò infatti, molto più modestamente, solo nel '47, con la pubblicazione delle Lettere dal carcere. In sostanza, Geymonat nel '45 non conosceva l'elaborazione gramsciana nella sua più completa articolazione, ma solo una sua stringata e inesatta sintesi. Non si ha, del resto, alcuna notizia di una conoscenza diretta, pure possibile in una città come Torino, del ragazzino Geymonat ed il già maturo Gramsci.

Geymonat studiò e si laureò a Torino in filosofia nel 1930 e in matematica nel 1932; fu per alcuni anni assistente presso la scuola di analisi algebrica di Torino. Rifiutando di iscriversi al partito fascista, gli fu preclusa ogni possibilità di carriera accademica; scelse così di insegnare in scuole private. Nel 1943 partecipò alla lotta di Liberazione nazionale.
Nella maturazione del pensiero di Geymonat giocò un ruolo importante l'incontro con il Circolo di Vienna e la frequentazione dei corsi di Moritz Schlick. Ad esso seguì un lungo periodo di approfondimenti sulla linea del neopositivsmo, ovvero di una filosofia in gran parte subalterna ai metodi scientifici che ostinatamente rifiutava ogni escursione nella metafisica. Da questa prospettiva tanto linda quanto asfittica, tuttavia, Geymonat prese lentamente e metodicamente le distanze. Già gli Studi per un nuovo razionalismo testimoniano un atteggiamento critico.Il nuovo razionalismo - scriveva Geymonat - «deve essere ben più agguerrito e penetrante di quelli che caratterizzarono i secoli passati: esso deve contemporaneamente essere critico, ossia capace di tenere nel dovuto conto le obiezioni mosse contro la pura ragione delle filosofie mistiche e decadenti, fiorite negli ultimi anni; costruttivo, cioè in grado di soddisfare le esigenze di ricostruzione e di logicità caratteristiche della nuova epoca; aperto, cioè capace di affrontare i problemi sempre nuovi che la scienza e la prassi pongono innanzi allo spirito umano.»
Geymonat si poneva esplicitamente il compito di rinnovare la cultura italiana, raccordandola alla scienza, ancora ritenuta una forma "inferiore" di conoscenza. La tesi di fondo era che la riflessione filosofica deve essere strettamente collegata ai risultati più avanzati della ricerca scientifica, affermazione del tutto diversa da quella che comanda di non oltrepassare la scienza fisica con la metafisica e la fenomenologia. Successivamente, Geymonat precisò la sua critica alla fenomenologia, definendola "pensiero pre-categoriale", ad esempio in Attualità del materialismo dialettico. A parere degli estensori di queste note (Guido Marenco e Giuseppina Saccone) proprio quest'opera, pubblicata nel 1974, segnò il momento più alto dell'itinerario di Geymonat da un punto di vista schiettamente teoretico, mentre la palma dell'opera indiscutibilmente utile alla comunità degli umani spetta al monumentale Storia del pensiero filosofico e scientifico, composto con l'ausilio di numerosi collaboratori. Se, nell'ambito della storia del pensiero scientifico vero e proprio il lavoro di Geymonat può considerarsi parzialmente superato dall'altrettanto imponenente Storia della scienza moderna e contemporanea curata da Paolo Rossi (UTET 1988) e da tante storie settoriali come quella del pensiero biologico di Ernst Mayr (Storia del pensiero biologico - Bollati Boringhieri - 1990), rimane, tuttavia che solo nel lavoro di Geymonat l'intreccio irrinunciabile di filosofia e scienza si presenta sempre in primo piano come elemento inseparabile del procedere umano verso una conoscenza sempre più profonda della realtà. La ricerca del gruppo che lavorò sotto la direzione di Geymonat non si limitò alle sole scienze fisiche e logico-matamatiche, ma investì l'intero campo delle ricerche scientifiche, nell'efficace tentativo di darne una ricostruzione storica anche alla luce delle influenze "filosofiche" del Romanticismo. Del resto, ormai è arcinoto, tutte le storie del pensiero scientifico dopo pochi anni rischiano di essere superate, dato che ad esse manca sempre l'ultimo capitolo. Sono storie valide fino alla data di pubblicazione, posto che i paradigmi dominanti non siano stati nel frattempo stravolti completamente. Gli ultimi anni del Novecento e il primo decennio del Duemila hanno ulteriormente mutato le idee sulla scienza e nelle scienze. D'altra parte, se uno dei sensi possibili di "una qualsiasi storia del pensiero scientifico" rimane quello dell'apertura delle teorie al linguaggio comune, ovvero verso il patrimonio crescente di cognizioni espresse in tale linguaggio, si potrebbe dire che l'impresa di Geymonat è sicuramente riuscita, In Filosofia e filosofia della scienza, del 1960, scriveva: «Una volta riconosciuta l'esistenza di nessi tra linguaggi di una struttura così diversa come quello comune e quello di una rigorosa teoria scientifica [...], nulla ci impedirà più di riconoscere l'esistenza di effettive aperture di una teoria scientifica verso l'altra; di riconoscere, cioè, che una nuova teoria scientifica può procurarci informazioni di estremo interesse sul significato e la portata di relazioni che la teoria precedente si limitava a enunciare senza discussione nei suoi postulati o a ricavare da essi come loro logiche conseguenze.»

L'altro aspetto dell'opera di Geymonat, quello dell'impegno politico, è stato variamente commentato. Alcune osservazioni di Costanzo Preve, pubblicate sulla rivista "Praxis" (1), gettano nuova luce: «5. L'anomalia del Nostro stava nell'essere un comunista assolutamente critico, indipendente e non-conformista, che fra l'obbedienza alla Chiesa-Partito e l'obbedienza alla sua Coscienza Scientifica sceglieva assolutamente e senza ambiguità la seconda. L'espressione "comunista critico" sembra quasi pleonastica ed inutile, perché dovrebbe essere evidente che la nozione di comunista comprende in se stessa, come in un giudizio analitico kantiano, l'attributo di critico. Nei fatti però non è stato sempre così, anzi non è stato quasi mai così. Il comunismo novecentesco è stato quasi sempre una figura antropologica della fedeltà, dell'identità rigida, dell'appartenenza gregaria, e questo forse ancora più fra gli intellettuali che fra i cosiddetti militanti di base. Il Nostro ha militato per un certo tempo nel PCI, e poi ne è uscito motivando le ragioni di questa sua uscita, e sostenendo apertamente che il non-conformista ha il diritto di separare il suo destino dai partiti burocratizzati la cui linea politica e la cui cultura politica non fossero più decentemente condivisibili. Il caso Galileo, da lui tanto studiato, è anche stato il suo modello personale di comportamento.»
Più avanti si trova una considerazione sull'adesione di Geymonat al neopositivismo: «Vi è una grave improprietà storiografica e biografica che si tramanda a proposito del Nostro, per cui egli avrebbe proposto e praticato una versione neo-positivistica (o neo-empiristica) del marxismo, ed avrebbe anzi avuto come filosofia personale una fusione fra neo-positivismo e marxismo. Questo non è affatto esatto. Negli anni Trenta il giovanissimo Geymonat andò a Vienna, e si entusiasmò per l'approccio filosofico dei grandi neo-positivisti di quella generazione. Negli anni Quaranta e Cinquanta, in un'Italia ancora filosoficamente molto provinciale, e divisa fra crociani e gentiliani di destra e crociani e gentiliani di sinistra, il Nostro propagò la conoscenza non tanto delle tesi specifiche dei neoempiristi e dei neopositivisti austriaci e tedeschi, quanto della generale problematica che ne faceva da base. Tuttavia, a partire dagli anni Sessanta, in coincidenza con la sua piena maturità filosofica, il Nostro aderì pienamente ad una filosofia diversissima dal neopositivismo, e cioè alla sua versione del materialismo dialettico marxista. Esattamente come Popper e Kuhn, anche se in modo ben diverso da loro, egli fu anzi un critico accanito del neopositivismo, che considerò una forma di riduzionismo metodologico troppo spesso privo di senso storico nel valutare i fenomeni scientifici.»

Il merito principale di Geymonat - unanimente riconosciuto - fu quello di aver introdotto la prima cattedra di filosofia della scienza in Italia, alla Statale di Milano. Egli tenne la cattedra dal 1956 al 1979, combattendo una lunga "battaglia culturale" con la quale riuscì ad influire in modo sensibile sulle sorti della filosofia, riuscendo a stimolare l'istituzione dell'insegnamento della filosofia della scienza in altre sedi universitarie, oltre che a convincere gli editori a dar vita ad alcune importanti collane editoriali - presso Feltrinelli a Milano e UTET a Torino - e mettere così in circolazione testi di logica, epistemologia e filosofia della scienza, nonché traduzioni di prestigiosi autori stranieri. Un lavoro vulcanico che non terminò con il pensionamento nel 1979, ma si protrasse ben oltre, praticamente fino alla morte. In realtà, come riportato da più di una testimonianza di allievi ed amici, Geymonat non era soddisfatto dai risultati conseguiti, e indulgeva a considerarsi come "uno sconfitto che lotta sempre", o, come avrebbero detto alcuni suoi allievi, un beautyful loser. Fonte di amarezza principale era indubbiamente la delusione: gli sviluppi del suo progetto politico-culturale avevano preso strade assai diverse da quelle auspicate. In particolare, la cattedra milanese di filosofia della scienza non si configurava più come centro di studio e diffusione dell'indirizzo epistemologico del materialismo dialettico, mentre il quadro generale del dibattito internazionale sembrava degenerare, seguendo derive soggettivistiche e irrazionali, nonchè un ritorno al fenomenismo criticato da Geymonat soprattutto in Attualità del materialismo dialettico. Se si guarda alla bibliografia, si osserverà che dal '79 al '91 furono pubblicate opere molto importanti ed impegnative, quali Scienza e realismo e Riflessioni critiche su Kuhn e Popper, gli scritti sui sentimenti e sulla libertà, di grandissimo interesse umano oltre che filosofico.

I testi di Ludovivo Geymonat sono dunque da conoscere anche in base a motivazioni settoriali. Gli scriventi ritengono che siano imprescidibili per chiunque coltivi la pretesa di diventare un "filosofo della scienza", un filosofo razionale elastico e non rigido, un ricercatore in qualsivoglia campo, o più semplicemente un individuo consapevole del mondo in cui vive, e che le generazioni precedenti hanno contribuito a migliorare o a peggiorare, o più semplicemente a migliorare peggiorando, dato che non ci sono attività positive esenti da effetti negativi.
Secondo molti storici della filosofia, i filosofi sono essenzialmente o platonici o aristotelici. Secondo altri - non il citato Costanzo Preve - o sono materialisti o sono idealisti. Oppure empiristi o razionalisti metafisici. Agli scriventi è piaciuto proseguire questo giochetto di contrapposizioni e classificazioni forti - peraltro sempre impreciso e privo di una vera serietà analitica- e con questo concludere. I filosofi si distinguono anche in base ad una scala di priorità. Se assegnano più valore alla parola dell'autorità o a quella della ragione. Ludovico Geymonat è fieramente appartenuto a questo secondo campo, avendo come illustri antecedenti Dionigi l'Areopagita, Scoto Eriugena e Galileo Galilei. Altri, appellandosi ai Topici (2) di Aristotele ed interpretandoli in modo che nemmeno Ipse dixit avrebbe approvato, hanno reazionariamente tentato di far passare la supremazia dell'autorità. Tommaso d'Aquino - che non era un reazionario - arrivò tuttavia ad ammettere che quando la ragione contrasta con la fede, si deve seguire la fede. Affermazione che aprì la via al sistematico ricorso al principio d'autorità nei casi in cui nuove ragioni osano contestare i dogmi propugnati dalle gerarchie ecclesiastiche, accademiche, scientifiche, partitiche e così via. Va da sé che non sempre chi si appella alla ragione ha davvero "ragione", ma tocca poi ai "ragionanti" e "competenti" di tutto il mondo arrivare ad una sintesi convincente od a migliori spiegazioni alternative,

A questo punto il lavoro introduttivo ad alcuni riassunti delle opere di Geymonat ancora in cantiere sarebbe concluso. Purtroppo, l'esplorazione del web ci ha portato a trovare qualche giudizio a dir poco penoso (per chi lo ha formulato) in articoli e testimonianze di vario genere e qualità. Tra questi vi sono alcuni filosofi che evidentemente non hanno mai letto Geymonat, o si sono fermati alla visione delle copertine. Nei limiti della decenza ne daremo conto altrove.

Note
1) rivista "Praxis" reperibile all'indirizzo http://www.kelebekler.com/occ/geymonat01.htm
2) «Il prendere in considerazione il primo venuto, che dichiari delle opinioni contrarie a quelle generali, è difatti un'ingenuità.» (Topici, I (A) 11, 104 a)

Bibliografia

Il problema della conoscenza nel positivismo - Bocca - Torino 1931
La nuova filosofia della natura in Germania - Bocca - Torino 1934
Studi per un nuovo razionalismo - Chiantore - Torino 1945
Saggi di filosofia neorazionalistica - Einaudi - Torino 1953
Galileo Galilei - Einaudi - Torino 1957
Filosofia e filosofia della scienza - Feltrinelli 1960
Filosofia e pedagogia nella storia della civiltà, con Renato Tisato - Garzanti - Milano 1965, 3 voll.
Attualità del materialismo dialettico, con Enrico Bellone, Giulio Giorello e Silvano Tagliagambe, Editori Riuniti, Roma 1974
Scienza e realismo - Feltrinelli - Milano 1982
Paradossi e rivoluzioni Intervista su scienza e politica - a cura di Giulio Giorello e Marco Mondadori - Il Saggiatore, Milano 1979.
Filosofia della probabilità con Domenico Costantini - Feltrinelli - Milano 1982
Riflessioni critiche su Kuhn e Popper - Dedalo - Bari 1983
Lineamenti di filosofia della scienza, Mondadori, Milano 1985, seguita da una nuova edizione con una Postfazione e un aggiornamento della bibliografia di Fabio Minazzi, Utet, Torino 2006
Le ragioni della scienza con Giulio Giorello e Fabio Minazzi - Laterza, Roma-Bari 1986
Storia del pensiero filosofico e scientifico - Garzanti - Milano 1970-1976, 7 voll.
La libertà - Rusconi - Milano 1988
La società come milizia, a cura di Fabio Minazzi, Marcos y Marcos 1989
nuova edizione La civiltà come milizia, a cura di Fabio Minazzi - La Città del Sole - Napoli 2008

I sentimenti - Rusconi - Milano 1989
Filosofia, scienza e verità, con Evandro Agazzi e Fabio Minazzi - Rusconi - Milano 1989
La Vienna dei paradossi. Controversie filosofiche e scientifiche nel Wiener Kreis - a cura di Mario Quaranta - il Poligrafo, Padova 1991
Dialoghi sulla pace e la libertà, con Fabio Minazzi - Cuen - Napoli 1992
La ragione, con Fabio Minazzi e Carlo Sini - Piemme - Casale Monferrato 1994
moses - 31 ottobre 2012


Neopositivismo
Moritz Sclick
Il neopositivismo secondo Paolo Parrini
Eugenio Frola
Nicola Abbagnano - di Pietro Rossi

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Ludovico Geymonat: l'impegno per un nuovo razionalismo
Ludovico Geymonat: dal neorazionalismo alla filosofia della scienza
Ludovico Geymonat: attualità del materialismo dialettico I°