| home | Chi siamo | Ce n'est qu'un débat | scientia | antropologie | mandrognan school of economics | dizionario | libri | Toyo tetsugaku (zhexue) | bioetica




Ludovico Geymonat: attualità del materialismo dialettico - seconda parte
Accogliere l'ipotesi metafisica di costituenti ultimi porterebbere inevitabilmente ad ammettere la possibilità di una conoscenza assoluta. Invece, un esame attento dello svolgimento storico dei processi conoscitivi, sconsiglia vivamente di cullarsi in tale illusione. Tale rinuncia comporta, d'altro canto, l'accettazione della tesi secondo cui la realtà è costituita di diversi livelli, «nessuno dei quali può venire concepito come ultimo e definitivo.» La visione materialistico-dialettica fonda su tale presupposto la teoria della conoscenza come approfondimento.
«Se infatti concepiamo la realtà come costituita di più livelli, diventa subito comprensibile che un certo sistema di conoscenze risulti adeguato ad uno di questi livelli ma non ai successivi; ci sentiremo allora autorizzati ad asserire che tale sistema possiede un indubbio valore obiettivo in quanto riesce effettivamente a cogliere l'anzidetto livello di realtà, ma non gli attribuiremo un valore assoluto prevedendo che esso verrà corretto e arricchito da un altro sistema di conoscenze capace di cogliere livelli più profondi del reale.»
Ovviamente, non va scordato che il reale è divenire; pertanto solo una concezione dinamica del conoscere può garantire una relativa capacità di adeguamento mediante approssimazione.
La rinuncia di poter cogliere una tantum la realtà nella sua pienezza, non andrebbe confusa con l'agnosticismo kantiano che dichiarava l'esistenza della cosa in sé al di là di tutti i fenomeni percepibili, ed allo stesso tempo la considerava inconoscibile. «L'abbandono della presunzione di poter cogliere con un atto intuitivo la totalità di queste strutture non esclude per nulla che se ne possa cogliere un numero via via crescente, e fra esse proprio alcune delle più significative.»
Sicché, è ben diverso prendere atto che in ogni fase dell'impresa scientifica si incontrano limiti ed ostacoli che oggettivamente ridimensionano la portata delle conoscenze raggiunte e dall'altro lato affermare che si è giunti ad una barriera invalicabile. [Anche, se varrebbe la pena di verificare quanto scritto effettivamente da Kant...nota dei redattori]. Geymonat, a questo punto citava Lenin e la sua affermazione più perentoria: «Non vi è né può esservi differenza di principio tra il fenomeno e la cosa in sé: La differenza è semplicemente fra ciò che è noto e ciò che non lo è ancora, mentre tutte le fantasie filosofiche sui limiti specifici tra l'uno e l'altro, sul fatto che la cosa in sé si troverebbe al di là dei fenomeni - non sono che vuoto non senso, ubbia, invenzione.» (1) Su questa specifica questione sarebbe opportuno leggere il saggio di apertura di Attualità del materialismo dialettico di Giulio Giorello - Sulla teoria leniniana del riflesso e dell'approfondimento - perché offriva alcuni chiarimenti illuminanti. In primo luogo sull'iniziale attrazione di Engels per il pensiero di Kant. Poi sulla critica del meccanicismo settecentesco e ottocentesco, sulle notevoli differenze tra il pensiero di Berkeley e quello di Kant, sulle problematiche posizioni di Helmholtz, infine su una delle "fontì" più importanti della riflessione di Lenin , ovvero il fisico Arthur William Rücker, professore a Leeds e a Londra, che si era occupato in particolare di geofisica ed elettromagnetismo. L'attenta ricostruzione di Giorello chiariva in modo esemplare che le elaborazioni di Lenin poggiavano su una buona conoscenza della scienza dell'epoca e del pensiero degli scienziati, oltre a quello dei filosofi.

Alla base del materialismo dialettico - continuava Geymonat - vi sono anche le trasformazioni delle teorie scientifiche per renderle sempre più adeguate alla conoscenza della realtà. In alcuni casi, essi giungono a modificare le categorie. Ovvero anche quelle proposte dalla Critica della ragion pura di Kant. Categorie che i metafisici neokantiani tentano di difendere ad oltranza , mentre sarebbe indispensabile accettare le trasformazioni «per non lasciarsi sfuggire il senso effettivo delle rivoluzioni scientifiche.»
«Se ci proponiamo di essere coerentemente antidogmatici, dobbiamo avere il coraggio di respingere l'assoluto anche dal campo delle categorie, scorgendo pure in esse qualcosa di flessibile, di ampliabile, di essenzialmente dinamico. E' la dottrina leniniana della "flessibilità della categorie", complemento necessario di quella dell'approfondimento.»
Siamo così giunti al paragrafo 6 del saggio di Geymonat, molto importante perché contiene una critica dell'irrazionalismo metodologico e varie considerazioni su quella che veniva definita la «logica dialettica». Punto di partenza era la relazione di Mykhailo Erazmovych Omelyanovsky ad una Conferenza sui Problemi filosofici delle scienze della natura, svoltasi a Mosca nel dicembre del 1970. (2) In essa veniva esplicitamente citata la famosa affermazione di Einstein, secondo il quale i concetti basilari e i principi fondamentali delle teorie «non sono dedotti (dai dati empirici) per via logica e, in questo senso, sono libere creazioni dello spirito umano.» Affermazione che, secondo Geymonat, «varrebbe in particolare per i concetti e i principi che fanno passare la scienza da un dato livelllo ad uno più profondo.»
Ci si può senz'altro dichiarare d'accordo con Einstein - queste parole hanno indubbiamente un fondo di verità, ma il punto più rilevante della tesi proposta [che è solo l'autointerpretazione che Einstein dava del proprio percorso - ndr] è che in tal modo si rischia di certificare qualsiasi procedimento irrazionale. «Se teniamo conto del fatto, che gli epistemolgi più moderni i quali si sono occupati del trapasso da una teoria all'altra nella storia della scienza (ad esempio Popper, che si occupò più volte espressamente della creazione di una nuova teoria quando le precedenti siano state falsificate) concordano in sostanza con l'affermazione di Einstein poco sopra riferita, dovremmo concluderne che tale trapasso sfugge effettivamente ad ogni tipo di razionalità. Orbene il materialista-dialettico si rifiuta di accogliere questa pericolosa concessione all'irrazionalismo. Egli afferma invece che, se è vero che il trapasso in esame sfugge alla "logica formale con i suoi apparati metodologici", non sfugge però alla logica dialettica (Omelyanovsky).»
Il ricorso a questo tipo di logica può suscitare molti dubbi. Sembra contenere pericoli non meno gravi, ad esempio «quello di cadere nella logica hegeliana, tristemente celebre per le sue astratte ed equivoche formule triadiche.» Il pericolo può essere evitato, limitando l'interpretazione della logica dialettica al tentativo - l'unico finora conosciuto - di cogliere una forma di razionalità entro la processualità del divenire, soprattutto «quando questo risulti irriducibile ad un puro e semplice movimento meccanico.»
La razionalità emergente da questo approccio starebbe allora nella sua capacità di ristabilire l'unità tra due versioni apparentemente inconciliabili.
Per numerose che siano le perplessità dalla logica dialettica [e da tutti i paradossi cui può portare il suo uso disinvolto - ndr] Geymonat riconosceva che «essa sembra adeguarsi in modo mirabile a ciò che è possibile constatare concretamente nelle più delicate fasi di sviluppo della conoscenza scientifica.»
L'esempio più stringente era ovviamente il conflitto tra le due teorie della luce, quella ondulatoria e quella corpuscolare. La meccanica quantistica riuscì a risolvere il paradosso modificando radicalmente alcune vecchie categorie (oggetto fisico, causalità, ecc,) aprendo la via a nuovi approfondimenti. Fu proprio il paradosso scoperto all'interno della loro disciplina che spinse i fisici ad affinare la ricerca e le ipotesi. «Omelyanovsky giunge a sostenere che, allorquando un paradosso pone i ricercatori in contrasto sufficientemente radicale con le idee dominanti alla loro epoca, esso si rivela addirittura in grado di indicare loro "in quale modo vadano modificate le idee".»
Per concludere: alla luce di tale visione dei processi di approfondimento gnoseologico, l'introduzione di nuovi concetti e l'elasticizzazione delle categorie non sembrerebbe così irrazionale come a prima vista, bensì il risultato di una dialettica interna allo sviluppo delle scienze. «Lo scienziato militante, che si lascia unicamente guidare dall'introspezione, può illudersi di essere giunto per caso a certe innovazioni; ma il filosofo, che si sforza di comprendere nella sua globalità il processo della ricerca, ne coglie le motivazioni più profonde, inafferrabili a un semplice esame diordine psicologico.»

«Considerare il vasto ambito dei processi conoscitivi sotto la prospettiva della totalità, significa sottolineare che essi costituiscono un continuum ove non trovano posto rigide separazioni fra un processo e l'altro pur conservandosi le loro differenze; per esempio non trova posto la separazione fra categoriale e precategoriale che già abbiamo criticato nel secondo paragrafo polemizzando contro l'indirizzo fenomenologico.
Dall'interno di tale continuum non sono invece escluse, dato il carattere dialettico che lo contraddistingue, le svolte, anche rapide, in cui si realizza il processo di approfondimento delle conoscenze scientifiche, quale l'abbiamo delineato nelle pagine precedenti. Il fatto è che la conquista di una conoscenza "più profonda" scaturisce proprio - come cercammo di spiegare poco sopra - dalla radicalizzazione deiparadossi emersi nei livelli precedenti dallo sviluppo conoscitivo; radicalizzazione che costituisce, di per sé, un effettivo, autenticolegame tra il vecchio e il nuovo livello, non una statica separazione tra essi.» Una conoscenza nuova, realmente superiore, non cancella le teorie precedenti ma le ingloba in sé, «facendoci per di più scoprire perchè queste valevano entro certi liimti ma non al di là di essi.»
Rifiutare questa prospettiva potrebbe portare a conseguenze negative incalcolabili [per i filosofi che si occupano di scienza, giacché si è visto che lo scienziato autentico sembra generalmente immunizzato - ndr]. La nozione di "causa" si presta come titolo di esempio. Se ne fa uso nella vita comune. Anche ai livelli più bassi della conoscenza è diventato un concetto, per quanto rozzo e primitivo. Ma la nozione ordinaria di causa non riflette in modo diretto un nesso esistente nel mondo obiettivo. Al pari delle nozioni più sofisticate via via elaborate dalla scienza, non possiede di per sé un significato immediatamente evidente. Il suo significato deriva per intero dalla teoria - della quale sembra poter fare a meno solo perché il senso comune è quasi generalmente inconsapevole delle teorie cui fa ricorso, o meglio: del livello di conoscenze a cui attinge. «Più precisamente: essa si inserisce in un sistema incentrato sull'idea di generazione, che non ha alcun diritto di venir privilegiata a priori rispetto ad altre idee.» Pensare nei termini di questa struttura, facendone un carattere integrante della casualità, è un atto meramente dogmatico, «frutto dell'ingiustificato privilegiamento del sapere primitivo, nella sua rozzezza e ingenuità...»

Orbene, se il concetto di "causa" è destinato a variare nella trasformazione permanente delle teorie scientifiche è certamente lecito chiedersi che ne è dell'obietiività delle leggi di natura. Nel materialismo meccanicistico la nozione di obiettività veniva impiegata per mostrare come le leggi naturali riuscivano a formulare con assoluta esattezza un "tratto fondamentale" della realtà intesa come sistema rigido di rotelle in un ingranaggio. Nel materialismo dialettico sta solo ad indicare che le leggi di natura spiegano mediante descrizioni "approssimativamente vere". «In questa prospettiva, "obiettività" significa soltanto capacità di riflettere qualche struttura del reale, non di esaurirle tutte; denota sì l'esistenza di un rapporto effettivo (non illusorio) col mondo oggettivo, ma un rapporto non assoluto, cioè passibile di perenni modifiche, integrazioni, approfondimenti.»
Anche molti metodologi di orientamento neopositivista rifiutano la vecchia interpretazione meccanicista delle leggi di natura. Quando affermano che le leggi hanno un valore meramente ipotetico, non sono molto distanti dal pensiero del materialismo dialettico. Tuttavia, quest'ultimo è preferibile sotto tre punti di vista: «1) perché riconosce la legittimità dell'aspirazione, presente in tutti gli scienziati militanti, a conseguire una qualche forma di obiettività; 2) perché risulta compatibile con l'attribuzione di un grado, sia pur limitato, di obiettività alle stesse conoscenze prescientifiche in quanto si rivelino idonee a formulare, mediante le loro categorie rozze e poco precise, le strutture riscontrabili nei primi (meno profondi) livelli della realtà; 3) perché riesce a dar un senso notevolmente chiaro al progresso scientifico, inteso come trapasso da una conoscenza, adeguata a un certo livello della realtà, ad altre conoscenze adeguate a livelli più profondi.»
Ad ogni stadio della conoscenza si viene in possesso di determinate categorie con le quali formulare un'immagine del mondo; tuttavia sarebbe erroneo sostenere che la realtà sia un'incarnazione delle categorie, essendo sempre possibile arrivare a categorie nuove e più profonde. Per taluni "immagine del mondo" potrebbe equivalere al "modello" di cui hanno parlato alcuni fisici. «E' doveroso però sottolineare che l'analogia testè accennata silascia sfuggire la tesi più caratteristica del materialismo dialettico, il qiuale parla sì di imagini, ma in tutt'altro senso; esso ritiene infatti che l'esistenza di più immagini fra loro isomorfe sia una questione di scarso rilievo, mentre l'importante è riconoscere l'esistenza di una successione di immagini - non isomorfe l'una all'altra - via via più approssimate alla realtà, cioè costruite mediante categorie gradualmente più raffinate, e perciò stesso più idonee a descrivere con profondità crescente, le strutture del reale.»

L'ultimo paragrafo, il nono del saggio di Geymonat, è quello che oggi potrebbe destare il maggior numero di perplessità, se non vere e proprie reazioni negative. L'anno in cui venne consegnato alle stampe era il 1974. Nel 1972, a cura del Club di Roma e di Aurelio Peccei, era stato reso pubblico il Rapporto sui limiti dello sviluppo, noto anche come Rapporto Meadows. In esso si dichiarava che la crescita economica non avrebbe potuto continuare indefinitamente a causa della limitata disponibilità di risorse naturali, specialmente il petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta. La crisi petrolifera del 1973 aveva confermato le fosche previsioni del Club di Roma. Eppure, le considerazioni di Geymonat, nel paragrafo espressamente dedicato al rapporto teoria-prassi, ossia tra scienza e tecnologia, tra conoscenza e scelte politiche, erano caratterizzate da un ottimismo dialettico (ci si passi la battuta) che oggi sembra persino iingenuo Nessun accenno alla crisi petrolifera, nemmeno un piccolo riferimento all'energia nucleare per uso civile ed allo spinosissimo problema delle scorie, solo un insufficiente accenno al rapporto tra medicina come biologia applicata e l'industria farmaceutica, condita dalla considerazione sulla possibilità di arrivare alla produzione ed al commercio di farmaci inutili o perfino dannosi. La prudenza nei confronti dell'introduzione di nuove tecnologie veniva interpretata, davvero a senso unico e in modo non certamente degno di un dialettico, come forma di attendismo, e questo a sua volta veniva rinviato con un brutto voto essendo, la manifestazione di una pretesa metafisica di conoscenza assoluta e garantita. «Trattasi di un'esigenza apparentemente nobilissima e ricca di fascino; ma il fatto che essa generi l'attendismo ce ne svela l'autentica natura. Essa rappresenta null'altro che un miraggio; un miraggio che distoglie dal presente, facendoci dimenticare, con fantasmi illusori, le nostre quotidiane responsabilità di uomini.» Un discorso che potrebbe oggi esser ripreso tranquillamente dai sostenitori ad oltranza dello sviluppo illimitato.
Certamente, non si può che condividere la tesi di chi sostiene che solo le scienze possono por rimedio agli errori commessi. Il vero miraggio - per dirla con la stessa parola usata da Geymonat - sta nel rifiuto della conoscenza. Ed è su questo piano che il ragionamento di Geymonat tornava ad acquistare un inquestionabile valore educativo. Rivolgendosi ad un'immaginaria platea di protagonisti delle lotte studentesche e operaie, veniva a ribadire che l'impegno soggettivo non è sufficiente. L'affermazione che per cambiare il mondo bastassero la buona volontà, la costanza e l'intensità dell'azione, veniva contestata, denunciata come velleitaria. «Non v'ha dubbio che un atteggiamento siffatto può dar luogo ad atti eroici, incontestabilmente meritevoli da un punto di vista personale; è altrettanto fuori dubbio però, come la storia ci insegna, che esso è stato sempre, o quasi sempre, sostanzialmente sterile.
Per riuscire davvero a trasformare il mondo non bastano le buone intenzioni: occorre saper scegliere i mezzi che, in una certa situazione, risultano più idonei a raggiungere lo scopo voluto.»
Secondo Geymonat, anche il velleitarismo, come già l'attendismo, deriverebbe da una mancata comprensione della dialettica e dalla pretesa di una corrispondenza integrale tra razionalità ed assolutezza.
Per concludere, Geymonat si rivolgeva alla più piccola platea di coloro che affermavano che le conoscenze scientifiche posson tornare più o meno utili, ma non riescono a dare alcun senso all'azione ed alla vita. Idea tipica di chi è solito separare l'esistenza concreta in compartimenti stagni. Scienza e filosofia non sono mai state concretamete separate se non da uomini che hanno preferito separarle.



1) Lenin - Materialismo ed empiriocriticismo - Editori Riuniti 1963
2) Omelyanovsky, Fock e altri - L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia in URSS - Feltrinelli 1972

Testo di riferimento:
Attualità del materialismo dialettico - Editori Riuniti, Roma 1974
contiene i saggi:
Giulio Giorello - Sulla teoria leniniana del riflesso e dell'approfondimento
Enrico Bellone - I presupposti materialistici del realismo dei fisici
Ludovico Geymonat - Primi lineamenti di una teoria della conoscenza materialistico-dialettica
Silvano Tagliagambe - I presupposti materialistici del marxismo

Moses - 25 novembre 2012
Karl Popper

Introduzione
Ludovico Geymonat e il Neopositivismo
Ludovico Geymonat: l'impegno per un nuovo razionalismo
Ludovico Geymonat: dal neorazionalismo alla filosofia della scienza

Attualità delmaterialismo dialettico - parte I