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Sigmund Freud

Gli enigmi dell'infanzia, la discriminazione razziale, gli anni della formazione, il primo approccio all'isteria

Sigmund Freud nacque a Freiberg in Moravia (attuale rep. Ceca) il 6 maggio 1856. Il padre, Jacob Freud, di origine ebrea, era un commerciante di lane e tessuti. Si era sposato tre volte ed aveva già avuto molti figli; il primo aveva la stessa età della madre di Freud. Dal terzo matrimonio, contratto a quarantanni con la ventenne Amalie Nathanson, nacquero Sigmund come primogenito, cinque figlie e altri due figli. Sommandoli a quelli avuti dai precedenti matrimoni, abbiamo una prole da patriarca ed un modello familiare piuttosto simile a quello di un clan.
Molti hanno visto in questa situazione infantile una spiegazione alle posizioni di Freud, alla sua insistente ricerca sui traumi psichici della prima infanzia. Indubbiamente, se poniamo attenzione al fatto che sua madre rimase incinta nemmeno un anno dopo la nascita di Sigmund, e che questo nuovo figlio, Julius, morì dopo solo otto mesi, abbiamo una spiegazione alla difficoltà da parte di Freud stesso di evidenziare il rapporto tra madre e figlio nei primissimi mesi dell'infanzia.
Certamente si sentì trascurato e la grande sofferenza mostrata dalla madre per la perdita di Julius non lo aiutò di certo.
Ma tra i numerosi episodi raccontati della vita di Freud ce n'è uno che solleva qualche dubbio ed allo stesso tempo, qualora fosse vero, mostrerebbe perchè egli si sia costantemente interessato al tabù dell'incesto, l'equivalente del biblico comandamento "non fornicare" (non commettere atti impuri), sia negli scritti sulla sessualità infantile, sia nei maturi saggi di antropologia psicoanalitica.
Peter Gay nella biografia citata getta un'ombra non da poco sulla vita infantile di Freud, sostenendo che è probabile che uno dei fratelli maggiori di Freud, quelli nati dal primo matrimonio del padre, sia in realtà il vero padre della sorella Anna.
Gay scrive testualmente: «Sigmund Freud, il grande solutore degli enigmi umani, crebbe tra misteri e confusioni sufficienti a stimolare l'interesse di uno psicoanalista...Quando Jacob Freud, nel 1855, sposò la terza moglie, Amalie Nathanson, aveva quarantanni e venti più della sposa. I due figli di primo letto - Emanuel il maggiore, a sua volta sposato e con figli, e Philipp, scapolo - vivevano non lontano. Ed Emanuel era più vecchio della giovane e bella matrigna che il padre aveva portato con sè da Vienna, mentre Philipp aveva solo un anno meno di lei...
L'intricato schema dei rapporti familiari si complica ulteriormente: la bella e giovane madre sembra a Freud assai meglio assortita al fratellastro Philipp che non al padre, invece Amalia Freud condivide il letto con il padre.
Nel 1858, quando Freud non ha ancora due anni e mezzo, il problema diventa particolarmente acuto: nasce la sorella Anna.
Ripensando a quegli anni, Freud ritiene di aver capito, allora che la sorellina era uscita dal corpo della madre. Più difficile gli era parso spiegare in che modo il fratellastro Philipp avesse preso in un certo senso il posto del padre nella competizione per l'affetto della madre. Era stato lui a dare alla madre quella nuova, odiosa rivale? Tutto appariva estremamente sconcertante, e sapere era tanto necessario quanto pericoloso.»
Un altro aspetto da sottolineare è che, nonostante le origine ebraiche e la relativa povertà della famiglia, dovuta più alla crisi economica che ad una endogena indigenza, la famiglia di Freud potè permettersi una bambinaia, ferventa cattolica romana, che accudì il bimbo fino all'età di due anni e mezzo.
Scrive ancora Gay: « La madre di Freud la ricordava attempata, brutta, e intelligente; nutriva il bambino di storie devote e lo trascinava in chiesa: "Allora quando tornavi a casa, " dirà la madre a Freud, "facevi la predica e ci raccontavi che cosa fa Dio Onnipotente." Quella bambinaia fece qualcosa di più, anche se non è chiaro quanto di più: Freud lascia intendere indirettamente che essa gli fornì insegnamenti in materia sessuale. Era severa e molto esigente con il precoce bambino, ma Freud ricorda di averle voluto bene anche per questo.
Fu un amore bruscamente troncato: durante il puerperio dopo la nascita della sorella Anna, il fratellastro Philipp fece arrestare per piccoli furti la bambinaia, che finì in prigione. Freud ne sentì crudelmente la mancanza. La sua sparizione, che coincise con l'assenza della madre, lasciò in Freud un ricordo vago e spiacevole che egli cercò di chiarire ed interpretare solo molti anni dopo.»

Quando Sigmund aveva quattro anni, la famiglia si spostò a Vienna, capitale dell'impero con l'aquila asburgica come simbolo.
Freud si formò culturalmente e professionalmente in questa città, allora tra le più aperte e stimolanti d'Europa.
Fu spesso il primo della classe e dimostrò una precoce capacità di scrittura. A diciassette anni ottenne la maturità insieme ad una menzione d'onore.
Ma oltre all'istruzione pubblica ricevette anche un'educazione privata che risentiva delle origine ebraiche.
Alla nascita era stato circonciso.
Suo padre aveva registrato il suo nome, Schlomo Sigismund, sulla Bibbia di famiglia. Ma a diciassette anni egli stesso decise di chiamarsi e farsi chiamare solo Sigmund.
Generalmente si insiste sul precoce ateismo di Freud, ma si presta poca attenzione su come e quando cessò di credere all'esistenza di Dio. Sappiamo che negli anni giovanili frequento il circolo B'nai B'rith e che si immerse a lungo nello studio della Bibbia, un libro che affascina anche i non credenti per diversi motivi, specie per la crudezza ed il realismo di tante storie di vita.
Ma ben presto i suoi interessi si volsero soprattutto alla tradizione classica. Lesse avidamente molti testi greci e latini e opere di storia letteraria e filosofica.
Scrive Roberto Speziale Bagliacca nella monografia "Freud -Le dimensioni nascoste della mente": «Presto potè contare su uno stile e una bellezza di scrittura che impressionava i suoi insegnanti. Lui stesso racconterà che il brano tratto da Virgilio e i trentatre versi della tragedia Edipo re di Sofocle, che aveva dovuto tradurre all'esame di maturità, gli erano già familiari grazie a letture fatte.»
Ma Freud non amava Vienna. Lo sappiamo da alcune lettere giovanili, compresa una alla fidanzata Martha Bernays, residente ad Amburgo.
"Ti risparmio qualsiasi accenno all'impressione che mi ha fatto Vienna" - scrisse a sedici anni all'amico Emil Fluss.
Nella lettera alla fidanzata. scritta da Berlino, confessò: "Vienna mi opprime, forse più del necessario."
Sembra che in particolare odiasse "l'abominevole campanile" della chiesa di Santo Stefano, il duomo.
In seguito egli riconoscerà che in questa ostilità per Vienna emergeva qualcosa di sepolto.

Tra le cose sepolte nella vita di Freud vi è deve essere stato, fin da quando il padre gli raccontò un certo episodio, un forte risentimento nei confronti di un certo tipo di antisemitismo, fastidioso, diffuso, ossessivo ed umiliante. Aggiungerei "umiliante" soprattutto per chi lo pratica. Ma nello stesso Freud emerge, poi il lato oscuro della vicenda, quella che in genere non viene raccontata, ovvero che il vero antisemita, come pure l'antiitaliano, l'antislavo come l'antiariano, è proprio l'ebreo, l'italiano, lo slavo e l'ariano. Nessun critico esterno riesce ad essere così feroce e pungente come il critico interno, colui che si sente pregiudicato da una appartenenza ad un insieme che non è il suo, un insieme costruito su caratteristiche che non sono le proprie.
Questo il fatto: un giorno Jacob Freud raccontò al figlio un episodio della sua gioventù. Voleva mostrargli di quanto fossero migliorate le condizioni degli ebrei in Austria. « "Da giovane, un sabato, me ne andavo a passeggio nelle vie della tua città natale, tutto agghindato, con un berretto di pelliccia nuovo. Mi venne incontro un cristiano, con un colpo fa volare il mio berretto nel fango e grida: 'Fatti da parte, ebreo!'" "E tu cosa hai fatto?" chiese con interesse Freud. "Sono andato in mezzo alla strada e ho raccolto il berretto"...»
Così la racconta Peter Gay, aggiungendo che Freud, "con poca generosità", commentò questa dimessa reazione con un "non mi è parsa eroica". "Suo padre - scrive ancora Gay - non era dunque un uomo grande e forte?"
«Scottato dal racconto dell'ebreo codardo che si prosterna davanti al gentile, Freud sviluppa fantasie di vendetta. Si identifica con lo splendido, intrepido semita Annibale, che ha giurato di vendicare Cartagine malgrado la potenza dei romani, e lo eleva a simbolo del "contrasto tra la tenacia degli ebrei e l'organizzazione della chiesa cattolica". Non lo avrebbero mai visto, lui, Freud, a raccogliere il berretto dal fango della strada."»
A piè di pagina Gay annota qualcosa di molto interessante. « Sospetto che Freud avesse un altro motivo per scegliere come suo eroe preferito l'immortale condottiero che aveva quasi conquistato la detestata e detestabile Roma contro ogni prostico: un motivo del quale Freud non era probabilmente consapevole. Così come nello scegliere il nome per il fratello minore Alexander aveva celebrato un conquistatore più grande del padre, Filippo il macedone, che fu a sua volta un grand'uomo, nell'identificarsi con Annibale scelse un'altra possente figura la cui fama aveva superato quella del padre, Amilcare, che, come Filippo di Macedonia, fu peraltro un grande uomo di stato e un capo militare di statura storica.»
Qui c'è innanzi tutto da notare che Sigmund Freud scelse il nome del fratellino minore, occupando di fatto il posto del padre.
Gay, giustamente, insiste sul carattere edipico di questa identificazione, un figlio più grande del padre, che prenda il suo posto, ma non spinge la riflessione fino alle estreme conseguenze: Alessandro il macedone fu anche l'assassino di suo padre, istigato da sua madre. Scegliendo di identificarsi con Annibale anzichè con Alessandro, al di là dell'origine semitica dello stesso, Freud scelse un figlio che non aveva ucciso suo padre, e scelse anche un perdente, perchè, infine, Annibale vinse tutte le battaglie, ma perse la guerra.
Ciò che stona in questa immatura speculazione freudiana improntata al riscatto è tuttavia la scelta, come modello di identificazione, di un generico semita, Annibale il cartaginese, anzichè qualche condottiero biblico di prima grandezza. Da Giosuè a David, magari attraverso la splendida figura del giudice Gedeone. Oltretutto si tratta di tre figure vincenti, anche se giustamente si potrebbe obiettare che David vinse tutte la battaglie, ma come Annibale, perse la guerra, consegnando il suo popolo alla tirannia di un re in tutto e per tutto uguale ai faraoni d'Egitto: suo figlio Salomone.

Ho insistito su questi episodi delicati della vita di Freud per poi mostrare come in realtà il rapporto tra Freud e la sua origine razziale non sia del tutto pacifico. Al di là della figura deludente di un padre non grande e forte, nel tempo Freud viene maturando un'ostilità sorda contro il popolo cui appartiene. Sceglie come modello un condottiero di altra provenienza, semita ma pagano, adoratore di baal. Poi a sedici anni rivela all'amico Emil Fluss di aver provato un sentimento di fastidio e di disgusto per una famiglia ebrea dell'Europa orientale che aveva viaggiato con lui in treno da Freiberg a Vienna.
Scrive Gay: «La loro compagnia gli era parsa " più intollerabile di qualsiasi altra" e gli era sembrato di riconoscere nel vecchio un noto personaggio di Freiberg. "Altrettanto dicasi del figlio, con il quale parlava di religione. Era fatto di legno dal quale, quando i tempi sono maturi, il destino ritaglia il farabutto, astuto, falso, incoraggiato dai cari familiari a credersi un individuo di talento, ma privo di principi o di una qualsiasi visione della vita."
Un aguzzino di professione - commenta Gay - non avrebbe potuto esprimersi, nei confronti degli ebrei, con maggiore durezza.»
In effetti non si può comprendere questo disagio e questo disgusto di Freud per una particolare forma di ebraismo esteriore, folkloristico, se non si pone attenzione a quei giudizi che noi italiani subiamo quando andiamo all'estero, specie in Germania e nei paesi mitteleuropei. Difficilmente succede che almeno una volta, al caffè, sul treno, mentre scattiamo fotografie, non ci imbattiamo con qualcuno che ha qualche commento folkloristico da esternare sugli italiani "chiassosi, indisciplinati, passionali e tutto spaghetti, chitarra e mandolino."

C'era da parte di molti ebrei di lingua tedesca, evoluti intellettualmente, un forte senso di estraneità nei confronti dei parenti poveri dell'Europa orientale, che parlavano quella strana lingua, intruglio di slavo, tedesco e yiddish medioevale, si vestivano in modo curioso, portavano oltre alle fluenti barbe, anche i capelli lunghissimi arricciati in treccine. E si lavavano raramente. La figura del chassidim, mistico, estasiato da Dio, che si gira dall'altra parte quando vede una donna, oppure le parla con gli occhi bassi, corrisponde purtroppo a quella dell'ebreo "pidocchioso" e parassita, astuto mercante ed usuraio, un vero esperto di trucchi ed espedienti per vivere ed arricchirsi senza lavorare.
I luoghi comuni si nutrono purtroppo di dati comuni, anche se, normalmente, proprio nel trapasso dal dato al "luogo", si assiste anche alla loro deformazione caricaturale.
Una mezza verità diviene così una fandonia, se non una calunnia vera e propria.
Freud non fu ovviamente un antisemita in questo senso, cioè in senso nazista. E certo non accettò mai di accettare la teoria delle differenze biologiche tra un ariano od un ebreo, tanto più che la sua ricerca psicoanalitica finì per abbandonare in larga misura proprio il terreno biologico, per avventurarsi su quello psichico.
Egli stesso ebbe la ventura di leggere il manoscritto di Otto Weininger, poi pubblicato con il titolo Sesso e carattere, e si sa che Freud sconsigliò fermamente il giovane intellettuale ebreo di pubblicare "quelle sciocchezze", che in qualche modo precorrevano le idee naziste sugli ebrei.
Weininger, dopo aver esternato in modo lucidamente delirante la sua avversione alle donne ed agli ebrei, come spostamento dell'odio verso sé stesso, ebreo e, verosimilmente, omosessuale, si suicidò. Ma la sua eredità venne raccolta e produsse notevoli sviluppi. Mein Kampf di Adolf Hitler è una ripresa volgare del sofisticato delirio di Otto Weininger ed il tragico esito di quello sparo nella nebbia che pose fine alle sofferenze terrene del povero Otto, a soli ventitre anni.
Fosse logico istituire un parallelismo tra Weininger e Hitler, e per certi aspetti lo è, potremmo dire che entrambi odiavano fermamente sé stessi, ed entrambi erano potenzialmente omosessuali, ma non di tipo biologico, bensì di tipo psichico.
Weininger, dopo aver cercato invano di scaricare la propria aggressività verso l'esterno, scrivendo un testo "cattivo" carico d'odio e di pregiudizi, la risolse contro sé stesso, nell'unico modo possibile, cioè suicidandosi. Hitler, prima di arrivare allo stesso esito, dovette distruggerre, uccidere, ordinare odiosi esperimenti su esseri viventi e massacri, scatenare la belva bionda.
Questa vicenda, in parte dimenticata, riesplose molti anni dopo, quando l'amico Fliess accusò Freud di aver passato le sue originali idee al povero Weininger, il quale le aveva pubblicate nel testo definitivo di Sesso e carattere. Che Fliess considerasse il libro di Weiniger come degno di essere letto, un prodotto culturale come tanti altri, costituisce il lato oscuro e non indagato di tutta la vicenda. La figura di Wilhelm Fliess, l'altro di Freud, il suo confidente epistolare per molti anni, ne esce, per così dire, sordidamente inquietante. E' un vero peccato che lo storico sia in possesso solo delle lettere di Freud a Fliess e non di quelle di Fliess a Freud.

Fatto questo inciso, è giusto sottolineare che i rapporti tra Freud e suo padre furono generalmente ottimi. Il vecchio Jacob andava fiero di questo figlio così diverso, così intelligente, e lo sostenne economicamente, nei limiti del possibile, per tutta la durata degli studi, ed anche dopo. Andrebbe anche detto che egli non era affatto un ebreo orientale, del tipo di quelli detestati da Sigmund. Certo non fu mai una grande personalità e Peter Gay suggerisce un ruolo preponderante della figura materna nella formazione di Sigmund.
Di certo possiamo dire che Sigmund rispettò il padre, ne ebbe a lungo bisogno, anche per non morire di fame, ed amò sua madre.

Nel 1873 Sigmund Freud si iscrisse alla facoltà di medicina di Vienna, ma si laurerà solo nel 1881.
Questa lentezza nel procedere potrebbe indurre a pensare che egli se la prese comoda. In realtà come scrisse egli stesso, era insoddisfatto degli insegnamenti e cercava instancabilmente da solo o servendosi di occasionali supporti come le borse di studio.
Per due anni, nel '75 e nel '76 fece ricerche sulle gonadi delle anguille nella stazione zoologica di Trieste.
Studiò medicina sotto la guida di E.W. von Brücke, a sua volta seguace delle teorie di Heimholtz, teorico di un determismo radicale per il quale ogni effetto, cioè ogni evento fisico, aveva la sua causa fisica determinata e determinabile.
Von Brücke era dunque un fiero avversario del vitalismo, orientamento di pensiero che sosteneva l'esistenza di una corrente vitale responsabile delle dinamiche biologiche. Questo significava che per la scuola di von Brücke l'origine della vita era riducibile a fatti meccanici o chimico - fisiologici.
Scrive l'Abbagnano nel Dizionario di filosofia che: «La caratteristica propria del vitalismo è quella di dichiarare inutile la stessa indagine scientifica dei fenomeni vitali in quanto essa non riuscirebbe mai a cogliere la forza che costituisce l'essenza della vita. Il vitalismo in questa forma fu reso impossibile dalle scoperte della biochimica che, a cominciare dal 1828 (data in cui fu effettuata la fabbricazione sintetica dell'urea) dimostrò la possibilità di produrre nei laboratori le sostanze organiche.
Il neo vitalismo, prendendo atto di questa possibilità, riconosce l'utilità dell'indagine fisico-chimica dei fenomeni vitali, ma continua ad ammettere l'irriducibilità di questi fenomeni alle forze fisico chimiche riconoscendo che ad essi presiede un elemento specifico varimente denominato.»
Von Brücke era dunque un positivista. Il suo tipo di approccio in medicina significava che l'eziologia poteva progredire pressochè all'infinito perchè non vi erano forze sovrannaturali inidentificabili, ma solo processi determinati e determinabili.
Comprendere come questa impostazione abbia influito in maniera determinante sulla prima visione scientifica del mondo nel giovane Freud è dunque fondamentale.
Del resto è facilmente comprensibile che il cosiddetto meccanicismo dell'etiologia è spesso solo un'accusa di filosofi e teologi e non una
reale caratteristica della ricerca medica e fisiologica, la quale non è meccanica, come la fisica di quel tempo, ma ovviamente centrata sul vivente come dotato di caratteristiche sue proprie.
Col tempo, come vedremo, Freud, anche grazie alla frequentazione delle lezioni del filosofo Franz Brentano, venne a maturare alcune profonde convinzioni sull'autonomia dei fenomeni psichici da quelli strettamente fisiologici e nervosi, di fatto giunse a riconoscere che la corrente vitale interna risulta in qualche modo lesa o bloccata per motivi non fisiologici, arrivando così ad ammettere che non solo, a volte, non vi sono cause fisiche ai mali dell'anima, ma che vi sono persino cause psichiche ai mali fisici.

Si laureò in medicina nel 1881, continuò a fare ricerche con von Brücke fino a quando lo stesso non gli fece notare che per un "povero" medico era meglio una carriera professionale che una vita di ricerca.
Vittima, in certo senso, di una discriminazione di classe, oltre che razziale, possiamo immaginare la frustrazione del giovane Sigmund Freud, il suo dramma esistenziale. Ancora una volta l'umiliazione è dovuta al padre, alla sua collocazione di classe ed alla sua razza. La presunta avidità degli ebrei si spiega in modo molto semplice: ha fame di soldi chi ne ha sempre visti pochi.

Possiamo sintetizzare gli sviluppi del pensiero di Freud in una serie di tappe. Per comodità espositiva più che altro.
In genere questi riassuntini non riescono mai a dare il senso interno dei processi, ma solo a puntualizzare gli eventi in una serie cronologica che non sempre riesce a sembrare altrettanto logica.
Vediamo dunque di intendere: un Freud frustrato ed amareggiato per l'esclusione dalla ricerca, comincia, dopo la laurea, a lavorare in ospedale per tre anni in diversi reparti. Finalmente riuscì ad arrivare nella clinica psichiatrica di Meynert dove ebbe la possibilità di entrare in contatto con pazienti psicotici e con il loro mondo di allucinazioni.
Nel 1885 ottenne il titolo di Privatdozent che lo riconosceva specialista in malattie nervose. Grazie ad una borsa di studio potè raggiungere Parigi e frequentare le lezioni di Charcot alla Salpêtriere.
Ma nelle corsie dell'ospedale parigino Freud incontra qualcosa di veramente inquietante: l'isteria femminile, cioè un universo di apparente irrazionalità, una realtà che la psichiatria e la psicologia "razionali" non riescono a spiegare che a singhiozzi, spesso per giudizi liquidatori anche piuttosto rozzi. Va da sè che, se una razionalità non riesce a capacitarsi dell'irrazionale, non è sufficientemente razionale. E' semplicemente rigida e limitata, si presume razionale. Ma tant'è. Uno dei vizi di fondo dell'approccio sedicente scientifico alle cose è la pretesa che esse si adattino alla teoria anzichè viceversa.
Charcot era indubbiamente riuscito a realizzare un serio progresso nello studio di questa patologia, probabilmente perchè coltivava questa pretesa in minima parte. Grazie a lui abbiamo un ordine nella sintomatologia isterica e l'abbandono della vecchia dottrina neuropatologica. Questo indirizzo, tuttavia, finisce con il contrapporsi alla teoria di von Brücke, ed in generale, allo stesso positivismo.
Sempre grazie a Charcot, Freud cominciò a capire la base sessuale dell'isteria. Ma per un certo tempo dovette arrendersi alla dicotomia ancora presente in Charcot, che pensava l'isteria in modo ambivalente ma non complementare: da un lato essa doveva avere cause extranervose, effetto di suggestioni o persino simulazioni, in quanto non si riuscivano a trovare lesioni o malformazioni organiche tali da supportarla. Dall'altro la considerava esattamente come affezione neurologica, ma perchè?
In quale punto, con quale processo, il fisico incideva sullo psichico e viceversa?
Bisogna dire che a centanni di distanza il problema si ripropone pari pari: come interagiscono i fattori ambientali che condizionano il soggetto e gli forniscono una mentalità ed un'esperienza del mondo con quelli genetici?
E' in un gene che possiamo trovare la causa della depressione, o non sarà questa solo una predisposizione, ma la causa vera andrà da ricercarsi altrove? Possiamo dire che un carattere è predeterminato dalla nascita? O non è forse vero che un carattere mantiene molti connotati originali, dunque molte costanti, ma insieme matura e muta, e muta in base ad esperienze?
E' su questo problema che si arrovella Sigmund Freud. Solo che noi, a differenza di Freud, abbiamo studi molto più approfonditi in fatto di biologia e genetica. Purtuttavia non possiamo dire dire di essere vicini ad una spiegazione finale, come strombazzano quelli del genoma. La verità è che ne sappiamo solo di più, ma non ne sappiamo abbastanza.
Vorrei sottolineare a questo proposito solo un punto: la depressione come in generale un qualsiasi stato d'animo negativo incide pesantemente sulla considerazione che noi abbiamo della nostra forza interna. Crediamo di essere meno forti di quello che siamo.
Ma a volte è vero il contrario, ovvero che l'euforia ci porta a sopravvalutare noi stessi e le nostre capacità fisiche ed intellettive.
Difficilmente riusciamo ad essere equilibrati, cioè a sentire e valutare con realismo quanto siamo veramente in forma.

Freud, tornato a Vienna, conosce momenti di sgomento e si attira, per una imperdonabile leggerezza anche qualche critica. Aveva infatti somministrato cocaina, unita alla morfina, ad un suo amico ed a sè stesso. L'intento era buono nel senso che egli si era prefisso di liberare Ernst von Fleischl-Marxow dalla dipendenza della morfina, che doveva assumere per lenire i dolori di una grave malattia.
Questo condurrà lo stesso amico ad una dipendenza da cocaina. Come a dire che l'unica soluzione sarebbe stata quella di sopportare i dolori.
Ma il caso cocaina era destinato ad influire negativamente su Freud per molto tempo ancora. Su questo argomento aveva scritto un saggio. Dopo pochi anni egli venne accusato di aver scatenato il terzo flagello, dopo l'alcoolismo e la morfina. Costretto a difendersi da questo scandalo, egli non fece una gran figura.
Ma in quegli anni, come riporta anche Roberto Speziale Bagliacca, commise un altro errore gravissimo, presentando una relazione su Charcot e l'isteria ad una conferenza di specialisti viennesi, snobbando i contributi rilevanti dati dagli stessi ed esaltando oltre misura Charcot.
Speziale Bagliacca interpreta questo singolare incidente come un bisogno di Freud di farsi dei nemici esterni per dare battaglia, ma io non credo che questa lettura dei fatti corrisponda alla verità perchè in quel momento Freud necessitava di approvazione ed incoraggiamento, non di nemici. Egli era ancora del tutto alla ricerca dell'autoomologazione e doveva dimostrare di non essere "un ebreo come gli altri", ma uno studioso serio.
Sarei invece propenso a credere ad una ingenuità freudiana, il quale non era in fondo un buon psicologo:-)))
Battute a parte, intendo sottolineare che mancava di esperienza e che in quel periodo il successo poteva avergli procurato qualche baldanzosità di troppo.

Nel 1888 pubblica un saggio intitolato semplicemente Isteria (Hysterie). In esso formula una sorta di riassunto dei sintomi già descritti da Charcot, il quale aveva parlato di Grande Isteria, o isteria maggiore, o ancora istero-epilessia.
In questo scritto cominciano ad emergere quelle perplessità sull'origine fisica delle patologie che abbiamo già sottolineato.
Scriveva Freud: «L'isteria è una nevrosi nel senso più stretto della parola - vale a dire che non non soltanto in questa malattia non si sono trovate alterazioni percettibili del sistema nervoso, ma che non ci si deve neppure aspettare che un perfezionamento delle tecniche anatomiche ne riveli alcuna...»
L'isteria viene caratterizzata da attacchi convulsivi, preceduti da un'aura peculiare, senso di pressione all'epigastrio, costrizione alla gola, pulsazioni alle tempie, scampanio nelle orecchie, oppure parti di questo insieme di sensazioni.
«E' particolarmente noto - proseguiva Freud - il globus hystericus, una sensazione riferibile agli spasmi della faringe, per cui si ha l'impressione che un grumo stia salendo dall'epigastrio alla gola. Un vero attacco, se è completo, si manifesta in tre fasi. La prima fase detta "epilettoide" somiglia a una comune crisi epilettica, occasionalmente ad una crisi epilettica unilaterale. La seconda fase, quella dei grand mouvments, si manifesta con movimenti che descrivono ampi cerchi, simili a quelli noti come "inchini", posizioni arcuate (arc de cercle), contorsioni e così via. Spesso la forza sviluppata in essi è addirittura immensa. Per distiguere questi movimenti da quelli che si notano in una crisi epilettica si può osservare che i movimenti isterici vengono sempre compiuti con un'eleganza e una coordinazione che sono in netto contrasto con la rozza goffaggine degli spasmi epilettici. Inoltre anche nei casi più violenti di convulsioni isteriche si evitano per lo più danni gravi come quelli possibili in una crisi di epilessia.
La terza fase dell'attacco isterico, quella allucinatoria o delle attitudes passionnelles, è caratterizzata da atteggiamenti e da gesti propri di scene appassionate che il paziente vive in stato allucinatorio e spesso accompagna con le parole corrispondenti. Durante tutto l'attacco la coscienza può venir mantenuta o persa - il più delle volte avviene la seconda cosa.»

Ancora in questo studio, utile a comprendere a quale punto fosse arrivata la riflessione freudiana, troviamo una rilevante individuazione delle zone isterogene, ovvero i punti ipersensibili del corpo nei quali anche un leggero stimolo scatena un attacco.
«Queste zone - scrive Freud - possono trovarsi sulla pelle, nelle parti profonde, nelle ossa, nelle mucose ed anche negli organi di senso.
E' più facile che siano sul tronco piuttosto che sulle estremità, ed hanno una particolare predilezione per determinati punti - per esempio nelle donne si trovano spesso in un punto della parete addominale in corrispondenza delle ovaie, al vertice del capo e nella regione sotto la mammella e nell'uomo nel cordone spermatico e nei testicoli. Spesso una pressione in queste zone libera non la convulsione, ma le sensazioni d'aura. E' anche possibile servirsi di molte di queste zone isterogene per esercitare un'influenza inibitoria sulgi attacchi convulsivi; per esempio una forte pressione esercitata sulla zona ovarica libera molte pazienti da un attacco isterico o da un sonno isterico.»

Ancora in questo saggio Freud descrive i disturbi dell'attività sensibile e dell'attività sensoriale. Evidenzia che i disturbi della sensibilità possono consistere in un'anestesia od anche in una iperestesia.
L'anestesia può interessare la pelle, le mucose, le ossa, i muscoli, i nervi, gli organi di senso e l'intestino.
Può anche accadere che le sole sensazioni tattili generino dolori.
« L'analgesia isterica - scrive Freud - raggiunge spesso un grado talmente elevato che la faradizzazione delle ramificazioni nervose non produce alcuna reazione sensoriale. L'estensione può essere totale; in qualche caso può interessare la superficie della pelle e la maggior parte degli organi di senso.»
Freud annota ancora che spesso si da una relazione di reciprocità tra anestesia e le zone isteriogene, « come se tutta la sensibilità di una parte relativamente grande del corpo fosse compressa in un solo punto. I disturbi della sensibilità sono i sintomi su cui è possibile basare una diagnosi di isteria, anche nelle forme più rudimentali. Nel Medio Evo la scoperta delle zone anestetiche ed anemiche (stigmata Diaboli) fu considerata come una prova di stregoneria. »

Vedremo nel prossimo capitolo a quali conclusioni sull'isteria arriverà Freud nel 1888.